Ottobre 15th, 2017 Riccardo Fucile
L’OMOLOGAZIONE IPERBOLICA: LA PIU’ GROSSA MENZOGNA DELLA TECNOLOGIA CHE ALLONTANA LE PERSONE, INVECE CHE CONNETTERLE
Non avere uno smartphone nel 2017 è come trovarsi a una festa dove sono tutti ubriachi
tranne te, è come iscriversi a una lezione di balli latinoamericani ed essere l’unica fuori tempo.
I movimenti del tuo corpo e la scelta della tua comunicazione scorrono su un canale diverso, su un binario morto.
Per certi versi è una posizione privilegiata perchè ci si affaccia al mondo da una finestra nascosta, un falso specchio dove tutti gli altri — affaccendati con il naso all’ingiù — ignorano la tua presenza.
Sempre più spesso, quando osservo l’umanità che mi circonda e che mi attraversa senza degnarmi di uno sguardo, ritrovo un immenso magma di gente che compie gli stessi gesti, che parla allo stesso modo, che si assomiglia sempre di più.
L’omologazione iperbolica dovuta agli smartphones (non più strumento di comodo per telefonare o lavorare, ma vero veicolo sociale) inizia da bambini per emulazione, vedendo i propri genitori ossessionati dal telefono, antagonista potentissimo capace di rubar loro la scena.
Gli smartphone entrano nell’interazione delle persone e ne modificano il pensiero, riducono la visione del mondo (impossibile concentrarsi su contenuti scritti in caratteri minuscoli), impoveriscono l’eloquio e la qualità stessa delle relazioni.
La più grossa menzogna della tecnologia — connettere le persone in tutto il mondo — non ha fatto altro che allontanarle.
E possibilmente renderle più stupide.
Ci sono padre e figlio sul treno. Sono fissi sullo schermo e commentano la partita di calcio giocata dal genitore sul telefono. Parlano a spizzichi e bocconi, il bambino (di circa dieci anni) non riesce a produrre una frase di senso compiuto, usa parole mutilate. Il padre uguale.
Non si guardano, il telefono è uno spartiacque affettivo tra loro.
Una coppia mi è seduta di fronte sul treno. Sono giovani, studiano entrambi all’università a Genova. Parlano per mezz’ora di Instagram e del profilo di un’amica di lei, ripetono all’infinito gli stessi dettagli su come funziona l’applicazione.
I loro ragionamenti sono semplici, elementari, e si basano sul nulla.
Ma davvero si può parlare per mezz’ora di un profilo Instagram? Mentre lui le parla lei risponde distratta, con il pollice scrolla il telefono dal quale passano velocissime foto a cui lei non bada, eppure guarda.
Quando è stata l’ultima volta che qualcuno mi ha raccontato una storia, un’esperienza senza tirare fuori il telefonino per farmi vedere le foto?
L’ultima volta in cui mi ha fatto sognare ad occhi aperti? Non ricordo.
Non è solo l’intelligenza o il calo vertiginoso del linguaggio, ma l’aspetto sociale.
§È essere soli, sempre più isolati, in mezzo agli amici di Facebook, in mezzo ai followers di Instagram. È non avere nessuno con cui parlare sul serio, qualcuno con cui confidarsi, a cui sentirsi vicini.
Una delle beffe di Facebook è stata quella di appropriarsi del termine condivisione, quando in realtà con gli altri esseri umani non si è capaci di condividere quasi più niente. Neanche una cena.
Quante famiglie, coppie, amici si astraggono dal tavolo per guardare Facebook?
In quanti sono più focalizzati a fare la foto del piatto e postarla sul proprio profilo? Come se le persone con cui si trovano fossero solo un tramite per rappresentare una vita parallela che è la loro ma che non la è fino in fondo, perchè mentre la stanno vivendo non sono veramente lì con la testa e con il cuore, ma sul telefono.
Anche fisicamente le persone stanno cambiando.
La loro posizione non è più così eretta, camminano per strada con il collo allungato verso il basso in una sorta di involuzione a uno stato fetale.
§Raramente hanno le mani libere, una regge sempre il telefono. E quando sfugge al contatto la vista si attiva allertata, le mani tastano nervose, palpano tasche, frugano borse fin quando, con un sospiro di sollievo, la riconnessione che per pochi istanti si era interrotta, avviene
Quando si staccano dal contatto simbiotico con il loro telefono sembra gli manchi l’aria, diventano irritabili.
A che cosa gli serve di così fondamentale? Quando sbircio sul loro schermo stanno giocando a qualche videogioco (anche se sono in mezzo ad altre persone con cui potrebbero interagire) ma il più delle volte sono su Facebook, Instagram o scambiano messaggi su uno dei mille gruppi Whatsapp. Di certo non stanno leggendo un reportage o un articolo.
E’ il vuoto di pensiero che si sta mangiando la capacità di ragionare; è la morte mentale logorata dall’esasperazione dei ritmi di vita, dalla società robotica che cede la sua scintilla di vita e pensiero critico all’attrazione luminosa dello schermo, in uno stand-by intellettuale sempre più lungo.
In pochissimi riescono a stare fermi, inattivi, a contemplare il mondo con le mani in mano riflettendo sulla vita.
Per esistere bisognare restare intrattenuti e distratti per non permettere alla mente di entrare in quel meraviglioso limbo, la noia, dal quale scaturiscono idee.
Se gli fai notare la loro incapacità di staccarsi dal telefono ti guardano sciocciati, ti rispondono male.
E il loro modo di farti notare che sei out perchè col tuo telefono giocattolo (del quale in fondo si vergognano) non puoi postare le foto delle vacanze, perchè non sei raggiungibile tramite Whatsapp è la prova che non riuscirebbero mai e poi mai a farne a meno.
E al pari di un alcolizzato o un cocainomane negano la propria dipendenza.
Così ti rimetti in strada, eroe senz’armi, continuando a osservare il mondo scorrerti davanti, in attesa di incontrare un tuo simile o qualche converso del web con cui dare vita a una pratica ormai in via di estinzione: guardarsi negli occhi e intavolare una conversazione.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 15th, 2017 Riccardo Fucile
LECCO, NEGLI ULTIMI MESI E’ INTERVENUTO TRE VOLTE SALVANDO PERSONE CHE STAVANO PER MORIRE
Ahmad Dheini ha 22 anni, libanese, lavora come cameriere nel ristorante del fratello per pagarsi il corso di laurea in Medicina all’ospedale Luigi Sacco, sede didattica della Statale di Milano.
Ahmad non si sente un eroe: «Ho fatto quello per cui mi sto preparando e che vorrei in futuro diventasse la mia professione», racconta mentre gli esercenti di via Bovara, una strada stretta e lunga nel cuore di Lecco, lo abbracciano dopo che per la seconda volta in due mesi ha salvato la vita ad una persona.
Stava servendo un piatto di hummus venerdì pomeriggio quando ha sentito gridare il suo nome. «Ahmad, Ahmad, corri, una ragazza si è sentita male, è svenuta, non respira!».
Lui ancora una volta ha fatto il suo dovere. Ha soccorso la donna in preda ad una crisi epilettica, l’ha messa in posizione di sicurezza perchè non soffocasse, le ha misurato il battito e atteso l’arrivo dei medici.
In agosto Ahmad aveva salvato un giovane di 26 anni che era stato ferito gravemente durante una banale discussione a due passi dal ristorante libanese.
Colpito al collo con i cocci di una bottiglia da due balordi poi finiti in manette: «Era steso a terra, rantolava. Ho tamponato la ferita e cercato di bloccare l’emorragia prima con le mani, poi con il mio grembiule. Alcune settimane dopo quel ragazzo, ricoverato in prognosi riservata, è stato dimesso dall’ospedale. È venuto a trovarmi, siamo diventati amici», racconta l’aspirante medico.
«Quello è stato davvero il mio primo incontro con la morte. Sono al quarto anno di medicina e mi è capitato di praticare alcune suture, ma mai nulla di simile».
L’orgoglio si legge nello sguardo del fratello Fadel, che gestisce il ristorante aperto da meno di un anno.
I genitori sono scappati dalla guerra in Libano nel 1989: Ahmad, le sue tre sorelle e i due fratelli, sono nati in Germania, poi dieci anni fa il lavoro del padre li ha portati a Lecco dove sono cresciuti e hanno studiato.
«Mio nonno è morto per un problema cardiaco ed è stato in quel momento che ho deciso che sarei diventato un cardiochirurgo. Ho sempre desiderato studiare medicina. Questa estate ho soccorso una ragazza in coma etilico in discoteca».
Poi si schermisce: «Non vorrei che qualcuno pensasse che porto sfortuna. Quando accade qualche incidente io ci sono sempre”.
Lo chiamano in cucina, Ahmad deve servire gli ultimi tavoli.
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 15th, 2017 Riccardo Fucile
SONDAGGIO SWG: A SINISTRA DEL PD CALANO TUTTI, MA IL 66% VUOLE L’UNITA’
I partiti alla sinistra del Partito Democratico perdono un punto a settimana nei sondaggi
di SWG, che oggi ne parla sul Messaggero in un articolo a firma di Enzo Risso, direttore dell’istituto di sondaggi.
E nell’area di sinistra la posizione di Pisapia, che prevede una formazione ampia di centrosinistra senza chiudere al PD, è quella più popolare rispetto a Speranza, che vuole costruire un’alternativa al renzismo e non vuole allearsi con il Partito Democratico.
Di più: sempre secondo SWG, La decisione di Mdp di sancire l’allontanamento da Giuliano Pisapia, non è stata salutata positivamente dall’opinione pubblica (il 22% dà ragione a Speranza e il 44% a Pisapia) e non è del tutto condivisa neanche dagli elettorati di riferimento (il 40% degli elettori Mdp si schiera con l’ex sindaco di Milano).
La base del centrosinistra, al fondo, non si è arresa all’idea della divisione. La spinta unitaria resta forte e coinvolge il 57% dell’elettorato di riferimento.
In particolare si dice favorevole a una coalizione unitaria il 75% degli elettori Pd.
Su questa posizione sono schierati anche il 50% degli elettori di Mdp (con il 44% che è contrario), il 74% dei supporter dell’ex sindaco di Milano e il 49% degli elettori di Sinistra Italiana (con il 40% contrario).
Il 66% degli elettori di centrosinistra voterebbero una lista della coalizione anche se non gradiscono Renzi.
I partiti alla sinistra del PD quindi si trovano di fronte a un bivio, che non ha facile soluzione: anche perchè uno degli argomenti su cui più spingeranno i politici in questa campagna elettorale sarà il voto utile, ovvero quello dato al partito che può vincere invece che a quello che rischia di trovarsi dopo le elezioni fuori dal parlamento.
O accettano in qualche modo un patto con Renzi, magari fatto di una desistenza nei collegi uninominali, oppure rischiano di fare la fine della formazione di Ingroia nel 2013.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 15th, 2017 Riccardo Fucile
IL PD RACCOGLIE L’88% DEL TOTALE DEGLI ELETTORI DI SINISTRA, E’ LA PIU’ ALTA PERCENTUALE IN EUROPA
Un’infografica del Messaggero riepiloga oggi il peso della sinistra “tradizionale”, quella fatta dai partiti eredi della tradizione del Novecento, sul totale di chi vota a sinistra in alcuni paesi europei.
Dall’infografica, che per l’Italia si basa sui sondaggi, dice che il Partito Democratico in Italia pesa per l’88% sul totale della sinistra e questa percentuale è la più alta tra i paesi presi in esame.
Il SAP norvegese arriva infatti al 71% mentre per il resto il peso è intorno al 50%.
In Germania, dopo la sconfitta elettorale, SPD arriva al 20,5% mentre gli altri partiti pesano per il 18,1%, in Spagna il PSOE è stato superato dalla percentuale di chi vota Podemos e le altre associazioni mentre in Francia la crisi del Partito Socialista assume contorni di tragedia, come quella del Pasok in Grecia.
In Italia la peculiarità è anche un’altra: insieme all’egemonia del Partito Democratico sul resto della sinistra si nota anche che il totale dell’elettorato che si riconosce nella sinistra è più basso rispetto agli altri paesi europei a parte la Francia.
Una spiegazione possibile risiede nel tripolarismo e nel fatto che molti elettori che un tempo si sarebbero detti di sinistra oggi scelgono di votare il MoVimento 5 Stelle.
In ogni caso quello che manca, nei partiti alternativi o della stessa area del Partito Democratico, è oggi una leadership realmente spendibile visto che nè l’area Bersani-Speranza nè l’area Pisapia-Tabacci riesce a convincere in maniera importante l’elettorato.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 15th, 2017 Riccardo Fucile
UN MEDICO E UN AVVOCATO, DAL 2009 A SYDNEY: “NON TORNEREMO PIU’, SOLO DA PENSIONATI IN VACANZA”
Quando si parla di numero chiuso in Italia spesso si pensa al test di Medicina e alla
facilità con la quale i suoi laureati possono trovare lavoro. Ma non sempre è così.
Non lo è stato per Francesco Fascetti, 39enne romano che dopo la laurea in Medicina e Chirurgia a Pavia ha dovuto affrontare un altro ostacolo, quello della specializzazione: “Ho cercato di entrare ad Ortopedia — ricorda —. Sono arrivato sesto in graduatoria ma prendevano solo i primi quattro. Eravamo a un punto e mezzo di distanza”.
E nel frattempo, oltre a studiare, per mantenersi passava le notti facendo la guardia medica e lavorando di giorno in uno studio privato.
“Io non sono figlio di — spiega — e questo mi ha portato ad accumulare gradualmente risentimento non solo verso l’Italia. Anche per l’Europa, dove questa professione è ancora estremamente di èlite”.
Il suono della sua voce ha un sapore amaro. Al suo fianco c’è il fratello Alberto, avvocato. Entrambi vivono a Sydney, in Australia, a migliaia di chilometri da casa.
“Siamo tutti e due figli dell’Erasmus — dice Alberto, 34 anni e una laurea in Giurisprudenza sempre a Pavia —. Durante quel periodo mi sono diviso tra Granada e Madrid mentre Francesco è andato a Saragozza: un’esperienza che ti apre la mente, che tu lo voglia o meno”.
Ed è proprio lui che terminati gli studi prende una decisione: “Dovevo trovare il meglio per me stesso, sotto ogni punto di vista, non solo lavorativo — dichiara —. L’Italia non mi poteva offrire questa possibilità , non è servito neanche provarci per capirlo”.
E così inizia la sua ricerca. “Volevo una città in ascesa, in un paese che ancora potesse offrire opportunità per gli intraprendenti e serenità per costruire un futuro”.
Nel 2008 il dito sul mappamondo si è fermato ai piedi delle Blue Mountains, dove però ha dovuto ricominciare da capo: tre anni di giurisprudenza, sei mesi per il praticantato e due anni in uno studio legale.
“Se non ci si vuole accontentare non bisogna rimanere immobili — afferma —. Saper perseverare con l’obiettivo di migliorare la propria vita porta sempre a delle soddisfazioni”.
Saper perseverare con l’obiettivo di migliorare la propria vita porta sempre a delle soddisfazioni
“Lui — indicando Francesco — ha imparato che oltre al bisturi esiste il cucchiaio da gelataio”, scherza. Gli anni difficili sembrano essere alle spalle.
Quando Francesco raggiunse il fratello nel 2009 aveva già provato con gli Stati Uniti: “Tre mesi in Colorado sono bastati a farmi rendere conto che la mentalità americana non fa per me — dichiara —. Dopo aver respirato l’aria di Sydney capii cosa avrei dovuto fare”. Il suo era uno dei lavori richiesti dal governo australiano. Un requisito che, però, non è stato sufficiente.
“In Australia l’esame di abilitazione medica non è comparabile con il nostro — sottolinea —. In Italia ci ho messo un mese, qui quasi tre anni”.
E durante l’attesa fa un po’ tutto: il gelataio, il personal trainer, lavora anche in una scuola calcio sponsorizzata dal Milan.
“Dopo l’abilitazione sono riuscito ad avere un contratto gratuito per un anno come observer di chirurgia in un ospedale — racconta — e lo scorso anno ho trovato lavoro come chirurgo estetico in una clinica privata”.
Anche in Australia, però, l’accesso alla specialità non è semplice: “Ci vogliono anni e non volevo più fare ricominciare da capo — afferma —. Ma qui ti danno la possibilità di provare. Possono anche dirti di no, però non ti ridono in faccia come da noi in Italia”.
“Questo paese ha i suoi alti e bassi, certo — sottolinea Alberto, che ora ha uno studio legale con altri soci —, e fino a quando non hai il visto permanente ti senti un estraneo. Ma sono le qualifiche che fanno la differenza: ho visto molti ragazzi andare via per questo”. Le maglie dell’immigrazione si sono strette, anche per i lavori ultraspecializzati.
E e lui ne sa qualcosa dato che il suo studio FastVisa è specializzato nella consulenza legale per i visti.
“A chi vuole venire in Australia dico che non bastano i sorrisi e la buona volontà — continua l’avvocato —. Oggi ci vogliono anche le qualifiche, soprattutto nel privato”.
E l’Italia? “Vediamo che la situazione non è migliorata da quando siamo partiti — rispondono — C’è poca voglia di mettersi in gioco e il sistema è ancora gestito dall’alto. Non torneremo più nella forza lavoro del nostro paese, è più probabile che lo faremo da pensionati in vacanza”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 15th, 2017 Riccardo Fucile
L’ENNESIMO CONTRASTO TRA IL PRESIDENTE E IL MONDO CHE LO CIRCONDA
“Rimanere nell’accordo con l’Iran è nell’interesse degli Stati Uniti”: lo afferma il segretario di Stato americano Rex Tillerson che in un’intervista alla Cnn sembra prendere le distanze dall’offensiva lanciata dal presidente Donald Trump contro la storica intesa del 2015.
Il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha poi detto che il presidente Usa Donald Trump gli ha dato istruzioni di continuare gli sforzi diplomatici per calmare le tensioni con la Corea del Nord e ha aggiunto che “quegli sforzi diplomatici continueranno finchè non cadrà la prima bomba”.
Con queste dichiarazioni, Tillerson di fatto sminuisce i precedenti post di Trump su Twitter in cui l’inquilino della Casa Bianca suggeriva che il segretario di Stato stesse perdendo tempo provando a negoziare con Kim Jong-Un.
“Ho fatto un controllo. Sono ancora tutto intero…”: con questa battuta il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha risposto a chi gli chiedeva sui presunti dissapori con il presidente Donald Trump che secondo il senatore Bob Corker ‘castrerebbe’ il capo della diplomazia Usa.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 15th, 2017 Riccardo Fucile
ALL’UNIVERSITA’ ERA PIU’ NOTO PER LE AUTO SPORTIVE E LE BELLE RAGAZZE CHE PER GLI ESAMI SOSTENUTI: UN ALTRO PRODOTTO DEL MARKETING PUBBLICITARIO
Via i panni della Grosse Koalition e delle argomentazioni moderate, sì al nuovo look con
camicia e gel, nazionalismo e chiusura delle frontiere.
Kurz è riuscito a portare il suo à–vp dalla depressione del 20% al 31% che gli assegnano gli exit pool nelle elezioni politiche tenutesi oggi in Austria.
Prima che prendesse il controllo del partito approfittando delle lotte interne, la situazione in Austria era ben diversa: l’Fpà¶ nazionalista di Heinz-Christian Strache e Norbert Hofer sembrava avviata verso una vittoria netta e tranquilla, in testa ai sondaggi davanti al centrosinistra.
Kurz in Austria è diventato un’icona e ha ritagliato la campagna elettorale dei cristiano-democratici intorno alla sua figura da star.
Ha riempito i palazzetti come un cantante, scattato selfie con i più giovani e fotografie abbracciato agli anziani. Tra i candidati è il re indiscusso di Twitter e conta più di 700mila seguaci su Facebook, dove posta immagini e video, come quello in cui scala una montagna di notte e all’alba ammira dalla vetta il paesaggio dell’Austria, “il Paese più bello del mondo, da guidare nuovamente verso la cima”.
Nei suoi post c’è spazio per la retorica nazionalista, ma mai per riferimenti al suo partito. Il motto è sempre lo stesso: “Es ist Zeit” — “è il momento” .
La camicia bianca, il sorriso sicuro e i capelli tirati all’indietro con il gel servono a ricordare a tutti la sua giovane età .
Kurz — che ha mollato giurisprudenza — appena qualche anno fa, da sottosegretario 24enne, era conosciuto come il “Geil” (il figo) che se andava in giro tra le università con macchine sportive e belle ragazze per attirare il voto dei giovani.
Sui social i suoi capelli impomatati sono diventati appunto il tema preferito di meme e sfottò. Ma intanto hanno contribuito ad accrescere la fama del personaggio Kurz che è riuscito allo stesso tempo a presentarsi come la novità ma anche come la parte moderata, l’argine ai populisti che pure si porterà probabilmente in coalizione.
Lo ha rimarcato per l’ennesima volta nell’ultimo testa a testa televisivo avuto con il leader dei nazionalisti Strache, bacchettandolo per le sue simpatie verso Alternative fur Deutschland e Marine Le Pen, ma anche ricordandogli che un conto è “evidenziare i problemi”, un conto è trovare “effettive soluzioni”.
La protezione delle frontiere, a partire dal Brennero, è diventata uno dei suoi mantra insieme al rilancio dell’economia nazionale. Ma già prima rivendicava con entusiasmo la chiusura della rotta balcanica a marzo 2016, grazie al suo lavoro in collaborazione con il premier ungherese Viktor Orban. Con l’obiettivo finale, caro anche ai politici italiani, di “aiutare i migranti a casa loro”.
E, sempre se non vi saranno sorprese, al governo di Vienna ci sarà una coalizione tra popolari e liberali xenofobi. Un ritorno all’alleanza nero-blu del 2000, quando Bruxelles fece finire l’Austria nella “quarantena”.
Allora Kurz aveva meno di 15 anni e gli Stati europei non erano ancora alle prese con crisi, profughi, ritorno dell’ultradestra e giovani leader.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 15th, 2017 Riccardo Fucile
SPOSTANDO A DESTRA L’OEVP, KURZ HA RUBATO VOTI ALL’ FPO CHE NON SFONDA E RIMANE TERZO PARTITO
L’Austria chiamata al voto ha deciso di cambiare pagina.
Secondo le proiezioni, la Oevp, il partito dei popolari guidato da Sebastian Kurz, è in testa con il 31,5% dei voti, sette punti in più rispetto alle ultime elezioni.
Al secondo posto arrivano i socialdemocratici del cancelliere uscente, Christian Kern, con il 27,1% dei voti.
La destra nazionalista, islamofoba ed euroscettica di Heinz-Christian Strache, è balzata di cinque punti al 25,9% dei consensi, ma fino a qualche mese era era data come primo partito intorno al 34%.
Batosta per i Verdi, il partito del presidente della Repubblica Van der Bellen, finiti al momento sotto la soglia di sbarramento del 4%, al 3,8%, dunque fuori dal Parlamento. Mentre i Neos e la lista Peter Pilz, nata da uno scissionista dei Verdi, si assestano rispettivamente al 5,1% e al 4,4%.
Al momento ogni coalizione è possibile perchè i candidati sono tutti molto vicini. La strada più probabile è un’alleanza blu-nera Kurz-Strache, anche se non si può escludere una riedizione della Grande Coalizione.
Kurz si appresta dunque a diventare il più giovane leader di un Paese europeo in seguito a elezioni legislative. Il 31enne leader del partito conservatore à–vp ha impostato la sua campagna elettorale virando tutto a destra, soprattutto sul tema dei migranti, nell’obiettivo di sottrarre voti all’estrema destra guidata da Heinz-Christian Strache.
Con Kurz come nuovo leader l’à–vp ha guadagnato in poche settimane 10 punti percentuali nei sondaggi, cioè più o meno la stessa quantità di consensi persa dall’Fpà¶, e si è scatenata una vera ‘Kurzmania’.
Il candidato conservatore difende una politica restrittiva su immigrazione e asilo, a proposito della quale ha chiesto all’Unione europea di prendere esempio dalla strategia dell’Australia di internare direttamente sulle isole i rifugiati intercettati in mare mentre provano a raggiungere le coste.
Dal punto di vista economico, difende l’abbassamento delle imposte per la classe media e le imprese, oltre a promettere una riduzione del debito a lungo termine, in parte riducendo le sovvenzioni e la spesa sociale che, assicura, non fa che provocare l’arrivo di immigrati e rifugiati.
Chi lo critica evidenzia la mancanza di concretezza (ha presentato il programma elettorale in tre parti, l’ultima delle quali appena 18 giorni prima delle elezioni) e sostiene che la sua strategia sia dominata dall’immagine e dal marketing, senza contenuti precisi nè idee nuove.
Nella sua propaganda elettorale, Kurz è arrivato al punto che sui manifesti non compaiono neanche il logo nè il nome dell’à–vp. Il colore turchese ha sostituito il tradizionale nero con cui il partito si identifica dalla sua fondazione nel 1945.
Così, qualcuno che non è stato altro se non un politico di un partito dell’establishment, è riuscito a presentarsi come ambasciatore di un nuovo modo di fare le cose, lontano dalla vecchia politica.
Nonostante questa rivoluzione, Kurz ha potuto contare sull’appoggio dei baroni del partito, che hanno visto in lui l’opportunità di tornare a guidare il governo dopo 10 anni al secondo posto in coalizioni guidate dai socialdemocratici.
Di fatto molti analisti vedono dietro all’ascesa di Kurz la mano dell’ultimo cancelliere conservatore, Wolfgang Schà¼ssel, che nel 2000 formò un governo con l’Fpà¶. Quei fatti scatenarono un’ondata di critiche sia all’interno sia all’esterno dell’Austria, nonchè sanzioni diplomatiche da parte di altri Paesi membri dell’Ue per il fatto di avere permesso l’ingresso al governo di un partito di ultradestra. Kurz non è sposato e non ha figli ma vive a Vienna con Susanne, sua fidanzata dai tempi delle scuole superiori, che lavora al ministero delle Finanze.
(da agenzie)
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Ottobre 15th, 2017 Riccardo Fucile
RISPETTO ALLE ELEZIONI PRECEDENTI SPD SALE DI 5 PUNTI, LA MERKEL CALA DI 1 PUNTO IN PERCENTUALE
Nelle elezioni in Bassa Sassonia la Cdu viene battuta dalla Spd di Martin Schulz, che così
ottiene una vittoria da quando ha preso la guida dei socialdemocratici.
Questi ultimi conquistano, secondo una media degli exit poll di Ard e Zdf, dal 37 al 37,5% dei voti, mentre la Cdu è al 35%.
L’estrema destra di Alternative fuer Deutschland è stimata appena al 5,5%.
“Questa è una meravigliosa vittoria per Stephan Weil. L’Spd è il chiaro vincitore di stasera in Bassa Sassonia”, ha commentato il leader dei socialdemocratici, Martin Schulz.
“Andiamo verso un fulminante successo dell’Spd in Bassa Sassonia”, ha detto il presidente uscente del Land, Stephan Weil.
“Un giorno importante, gli elettori hanno deciso. Io faccio i miei auguri a Stephan Weil e all’Spd per il chiaro buon risultato.
“Avrei voluto un risultato migliore, personalmente e per la Cdu”, ha detto il candidato della Cdu, Bernd Althusmann, il quale però ha ridimensionato la sconfitta e messo le mani avanti: “Ci siamo chiaramente distanziati dal trend federale, e siamo il secondo partito in Bassa Sassonia”.
Nel 2013 la Cdu uscì in testa con il 36% pari a 54 seggi su 137 ma furono l’Spd al 32,6% e 49 ‘deputati’ regionali e i Verdi al 13,7% con 20 seggi, a formare l’esecutivo della Bassa Sassonia.
(da agenzie)
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