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LE MOGLI DEGLI ITALIANI CHE VANNO A CERCARE I RAGAZZI PROFUGHI A CAMAIORE E FORTE DEI MARMI: CHE ALLA BASE DI CHI NON LI VUOLE CI SIA UNA RIVOLTA DEI CORNUTI?

Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile

L’INCHIESTA DE “LA NAZIONE” RIVELA LE ATTENZIONI CHE MOLTE ITALIANE RIVOLGONO AI RAGAZZI OSPITI DEI CENTRI DI ACCOGLIENZA

La storia è innescata da un articolo a firma di Beppe Nelli uscito su La Nazione il 19 ottobre scorso.
La faccenda delle donne camaioresi attratte dal fascino esotico dei giovani migranti andava avanti da un po’.
Le segnalazioni dei vicini, l’interrogazione del capogruppo di Forza Italia Riccardo Erra, e i controlli fatti fare dal sindaco renziano Alessandro Del Dotto, hanno buttato all’aria tutto.
Durante gli appostamenti serali è stato notato che le auto che si fermavano per un paio d’ore erano di donne bianche, giovani e meno giovani, e anche riconoscibili.
Però nessun reato veniva commesso, e quindi non ci sono state segnalazioni. A volte le signore camaioresi arrivavano in piccoli gruppi. Le divise si sono trovate in imbarazzo.
Il quotidiano di Firenze comunque ieri ha rincarato la dose, pubblicando un altro pezzo che riguarderebbe invece le signore di Forte dei Marmi.
Qui non c’è l’intervento della polizia, ma soltanto una chiacchiera riportata in paese come pezza d’appoggio per un articolo come al solito invece molto assertivo:
E secondo i ‘si dice’ sempre più insistenti anche qui donne di tutte le età  che arrivano dalla Versilia ma anche dalla vicina zona apuana abbordavano bei ragazzi africani che hanno molte ore libere durante la giornata e quindi tempo per divertirsi e far divertire.
Mentre per quanto riguarda Camaiore non ci sarebbe stata nessuna contropartita offerta dalle signore, in questo caso sarebbe stata offerta una ricarica sul telefonino cellulare.
A questo punto verrebbe a pensare che alla base delle proteste maschili contro l’accoglienza, con connotazioni sempre più razziste, vi sia una “rivolta dei cornuti” o potenzialmente tali.
Da “padroni” a “cornuti a casa loro”, insomma.

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DAVIGO: “NON MI CANDIDO E NON FARO’ MAI POLITICA, DEI POLITICI MI OCCUPO SOLO QUANDO RUBANO”

Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile

“COME OGNI MAGISTRATO NON SAREI IN GRADO DI FARLO”… “IL CSM LA SMETTA DI AVVANTAGGIARE QUELLI DI NOI CHE HANNO FATTO POLITICA”

“Non intendo nè candidarmi ad alcuna elezione politica nè assumere alcuna carica politica nè di governo, anche perchè i magistrati non sono in grado di fare politica, nè tantomeno lo sarei io”.
Piercamillo Davigo ribadisce ancora una volta la sua distanza da ogni coinvolgimento in chiave politica.
L’ex presidente dell’Anm e ora presidente della II sezione penale della corte di Cassazione lo ha voluto precisare ancora una volta al congresso nazionale Anm in corso a Siena “per rispondere alle voci che mi riguardano”.
Il magistrato milanese aveva fugato in precedenza altre domande sulla sua possibile scesa in campo con la frase definitiva: “Io di politici mi occupo quando rubano”.
Piuttosto, l’ex pm di Mani Pulite, leader della corrente di Autonomia e indipendenza, sottolinea una critica ai colleghi: “Fate passare davanti quelli che hanno fatto politica: questo è il problema. Non voglio delegittimare il Csm ma quando c’è stato l’arresto dei professori universitari che si spartivano le cattedre, ho sentito i colleghi scrivere nelle mail che questa pratica viene seguita dal Csm tutti i giorni ‘uno a me e uno a te'”, criticando la ‘corsia preferenziale’ per gli incarichi direttivi in favore dei magistrati che hanno ricoperto incarichi fuori ruolo.
Nello scorso luglio, la corrente di Davigo decise di uscire dalla Giunta dell’Associazione nazionale magistrati e quel giorno il magistratò stigmatizzò tra l’altro che “al Csm si tollera che uno che proviene da due mandati parlamentari venga proposto per un incarico direttivo superando un collega più anziano”, mentre l’Anm “nell’ultima riunione del direttivo – disse Davigo – ha invitato il legislatore a prevedere ruoli non giurisdizionali per i magistrati che rientrano dalla politica”.

(da “Huffingtonpost”)

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PROFUGHI A MULTEDO, MARTEDI’ ALTRA MANIFESTAZIONE A RISCHIO SCONTRI

Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile

CASAPOUND ANNUNCIA LA SUA PARTECIPAZIONE E OVVIAMENTE GENERA LA REAZIONE DEGLI OPERAI DELLA CGIL: “PRESIDIEREMO LA PIAZZA CONTRO I RAZZISTI, PRONTI A INTERVENIRE”

La sezione genovese del sindacato Cgil si è detta «pronta a intervenire» se a Multedo sarà  confermata per martedì una manifestazione cui ha aderito anche Casa Pound: «Veniamo a conoscenza che alla manifestazione di una minoranza di cittadini di Multedo annunciata per martedì 24 ottobre, che rischia di assumere parole d’ordine razziste – si legge in una nota – hanno aderito i fascisti di Casa Pound. Genova non può accettare una tale provocazione, i veri stranieri nella nostra città  e nei nostri quartieri sono loro e vanno allontanati senza se e senza ma».
Ancora: «Si sappia che se sarà  confermata la manifestazione, la Cgil risponderà  convocando martedì alle 19 un presidio antifascista nei giardini di Multedo. Via i fascisti dalla nostra città ».
L’Anpi: «Saremo presenti a Multedo»
A riguardo la sezione Anpi di Genova ha annunciato la sua presenza alla manifestazione di martedì. «È di dominio pubblico che una minoranza di cittadini di Multedo, persistendo nel rifiuto della vicinanza con un esiguo numero di rifugiati, voglia nuovamente manifestare martedì 24 ottobre. A questa manifestazione – che sempre più viene caratterizzata da parole d’ordine xenofobe e razziste – ha dato la propria adesione casapound. Tutto ciò è intollerabile ed estraneo al dialogo democratico tra cittadini e istituzioni, anche se ciò è stato alimentato da pezzi della stessa maggioranza in Comune, che non hanno ancora compreso le regole del governo di una città , ben diverso dal becero populismo alla ricerca di consensi di pancia. Se tale manifestazione non sarà  revocata, l’ANPI martedì 24 sarà  presente a Multedo, insieme ad altre forze politiche e sindacali, a ribadire che Genova Antifascista non è disponibile a tollerare ulteriori rigurgiti xenofobi e razzisti» dicono dall’Anpi.
Don Martino: «Ricevuta anche tanta solidarietà »
Non sono 12 ma dieci i migranti alloggiati nell’ex asilo di Multedo e non sono i richiedenti asilo che erano alloggiati nel palazzetto dello Sport, che sono stati invece inviati nel Seminario del Righi e sono già  da tempo residenti a Genova e ritenuti fra i più integrati e caratterialmente `strutturati’.
Proprio per questo sono stati scelti per andare nell’ex asilo di Multedo dove la situazione ambientale resta ostile.
Il numero ridotto di migranti nell’ex asilo è dovuto al fatto che fino a oggi solo uno dei tre piani dello stabile è abilitato dalla Asl3 a accogliere ospiti. E su quel piano al massimo possono alloggiare 10 persone.
Un problema che però destinato a sparire entro pochi giorni con la fine dei lavori di ristrutturazione dell’ex asilo. «A Multedo non c’è solo la rabbia di qualche cittadino – ha detto don Giacomo Martino della struttura Migrantes – abbiamo ricevuto anche tanta solidarietà . Ma per ora, mi spiace ammettere, nessuna offerta di spazi e di attività  per avviare una vera integrazione dei ragazzi nel quartiere come era, ed è ancora, nelle nostre intenzioni».

(da agenzie)

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LO IUS SOLI NON SPALANCA LE PORTE AGLI IMMIGRATI, BASTA CON LE BALLE RAZZISTE

Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile

E’ SUFFICENTE INFORMARSI SU COSA SIGNIFICA E SULLE NORME PREVISTE PER SMENTIRE I FOMENTATORI DI ODIO

Il diritto a una nazionalità  è sancito nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Basterebbe già  questo per zittire quanti blaterano di ‘sopruso’ nei confronti degli italiani nell’approvare una legge che applichi il principio dello ‘ius soli’.
Per chi non lo sapesse, e sono in tanti, questo termine latino – letteralmente diritto (ius) del suolo (soli genitivo di solum)- che sancisce il diritto all’acquisizione della cittadinanza nel Paese sul cui territorio si nasce, indipendentemente dalla nazionalità  dei genitori, è applicato in varie forme nella gran parte dei paesi europei e in assoluto in quelli occidentali.
Ciò non vuol dire che se l’Italia lo adottasse così come è previsto dal disegno di legge che dovrebbe introdurlo, con un profilo ‘temperato’, tutti i bambini partoriti da donne incinte arrivando oggi nel nostro Paese su barconi di fortuna sarebbero considerati italiani.
Ma i professionisti della speculazione politica e in cerca di consenso elettorale vogliono far passare questa verità  che, giustamente o meno, allarma l’opinione pubblica.
E allora tocca fare chiarezza. Una volta per sempre.
Intanto, traducendo direttamente dalla Universal Declaration of Human Rights approvata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948, l’articolo 24 del Patto internazionale sui diritti civili e politici recita: ogni fanciullo, senza alcuna discriminazione sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l’origine nazionale o sociale, deve essere registrato immediatamente dopo la nascita e deve avere un nome. Ogni bambino ha il diritto di acquisire una cittadinanza.
E l’articolo 7 precisa che: gli Stati firmatari della presente dichiarazione devono garantire l’applicazione di questi diritti in conformità  della loro legislazione nazionale e dei loro obblighi ai sensi degli strumenti internazionali pertinenti in questo settore, in particolare quando il bambino risulterebbe altrimenti apolide.
Con queste indicazioni, i sottoscrittori della dichiarazione del ’48 tra cui ovviamente l’Italia, hanno assunto l’impegno a rispettare il diritto dei minori costretti a nascere al di fuori del proprio Paese di origine, ma anche dei figli di lavoratori migranti ad acquisire una nazionalità  all’atto della registrazione dopo la nascita.
Tra gli Stati che finora hanno preso alla lettera le prescrizioni delle Nazioni Unite e non si limitano come in Italia al riconoscimento della cittadinanza secondo il principio dello ius sanguinis (‘diritto di sangue’) ovvero bambini nati da almeno un genitore italiano, i discendenti che sono in grado di dimostrare la catena parentale fino ai parenti italiani e i figli di ignoti nati in Italia, i più virtuosi in Europa sono la Francia, la Germania, l’Irlanda e la Gran Bretagna.
Il Regno Unito pur non avendo uno ius soli alla nascita garantisce un accesso facilitato alla nazionalità  britannica. Il bambino che nasce sul territorio inglese anche da un solo genitore già  in possesso della nazionalità  Uk o che è legalmente residente nel Paese da tre anni è automaticamente cittadino del Regno Unito, diritto che si acquisisce anche dopo tre anni di matrimonio con un britannico.
In Irlanda, che come l’Italia riconosce il principio dello ius sanguinis, se un bambino nasce da genitori di cui almeno uno risiede nel Paese regolarmente con un permesso di soggiorno da non meno di tre anni è di diritto irlandese.
Seppur con maggiori restrizioni, anche in Germania è possibile accedere da stranieri alla cittadinanza tedesca.
Dal primo gennaio del 2000 è entrato in vigore uno ius sanguinis meno rigido. Tutti i bambini nati da quella data sono riconosciuti ‘cittadini’ della Germania anche se entrambi i genitori non sono tedeschi. L’unica condizione è che uno dei genitori sia legalmente residente nel Paese da otto anni e abbia un diritto di soggiorno oppure viva lì da tre anni ma con un permesso di soggiorno permanente.
Il sistema più simile a quello italiano, ma che ha adeguato la legislazione in merito alla cittadinanza, è quello francese.
Pur non esistendo uno ius soli puro, chi nasce nel territorio del Paese e ha vissuto stabilmente in Francia per un periodo di almeno cinque anni può ottenere la nazionalità  quando compie la maggiore età .
I figli nati da un genitore straniero nato in Francia viene invece considerato automaticamente francese.
Nonostante l’avvento dell’amministrazione Trump, restano in assoluto gli Stati Uniti il più grande Paese in cui per nascita si applica lo ius soli e dunque si è cittadini americani per il semplice fatto di essere nati sul territorio Usa.
La cittadinanza americana dura tutta la vita, a meno che non si rinunci ad essa.
Con l’entrata in vigore del 14esimo Emendamento della Costituzione il 9 luglio 1868, la nazionalità  delle persone nate in America è stata regolata da una clausola in cui si afferma: “Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti, e soggette alla loro giurisdizione, sono cittadini americani e dello Stato in cui risiedono”.
In Italia non si vuole arrivare a tanto.
Se il ddl in attesa di calendarizzazione in Senato, con la speranza che possa essere approvato entro la fine della legislatura – come si è impegnato a fare il premier Gentiloni – un bambino nato in Italia ottiene la cittadinanza se almeno uno dei due genitori si trova legalmente nel paese da almeno 5 anni ed è in possesso di un permesso di soggiorno, un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, vive in un’abitazione con i requisiti di idoneità  previsti dalla legge e ha superato un test di conoscenza della lingua italiana.
L’altra strada per ottenere la cittadinanza è quella del cosiddetto ius culturae, e passa attraverso il sistema scolastico italiano.
I minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno 5 anni potranno chiedere la cittadinanza italiana, come i ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni trascorrendone almeno sei anni nel nostro Paese e dopo avere frequentato a loro volta un intero ciclo scolastico.
Insomma, quanto fanno già  i nostri figli che sono italiani.

(da “Huffingtonpost”)

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DIRITTI TV NEL CALCIO: LA RIFORMA LOTTI TOGLIE SOLDI ALLE BIG E LI DA’ AI PICCOLI CLUB

Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile

SALE DAL 40% AL 50% LA TORTA DA SPARTIRE IN PARTI UGUALI, SCENDE DAL 30% AL 20% QUELLA SULLA BASE DEL “RADICAMENTO”… VARRANNO DI PIU’ I RISULTATI DEGLI ULTIMI ANNI E MENO QUELLI STORICI

Togliere ai ricchi (in particolare alla Juventus, ma anche alle milanesi) per dare ai poveri: Luca Lotti non sarà  proprio Robin Hood, ma la sua riforma della distribuzione dei diritti tv rischia di essere una delle cose più di sinistra fatte da questo governo.
Anche se si tratta solo di pallone: più soldi a tutti in parti uguali, sulla falsa riga del tanto invocato modello Premier League.
E soprattutto meno soldi alle big in virtù di privilegi acquisiti: con l’applicazione dei nuovi criteri la Juve potrebbe perdere fino a 40 milioni di euro l’anno.
Anche se è facile immaginare che la Lega calcio troverà  degli accorgimenti per limitare il salasso, che alla fine dovrebbe attestarsi fra i 15 e i 20 milioni.
Comunque una rivoluzione. “Inizia una nuova stagione per il calcio italiano”, commenta Stefano Campoccia, vicepresidente dell’Udinese, uno dei club che si è battuto per la riforma.
I NUOVI CRITERI: 50% IN PARTI UGUALI
Il ministro Lotti aveva promesso di cambiare la Legge Melandri, che da un decennio regola la distribuzione dei proventi dei diritti tv, principale (e spesso unico) fonte di risorse nel calcio italiano.
La nuova “Legge Lotti” arriverà  nella sede non proprio ortodossa della finanziaria (del resto, questo esecutivo non ha molte altre finestre normative a disposizione con le elezioni ormai alle porte).
Il nuovo meccanismo è quello annunciato: sale dal 40% al 50% la fetta di torta da spartire fra tutti in parti uguali, scende dal 30% al 20% quella attribuita sulla base del cosiddetto “radicamento”. Un travaso di circa 100 milioni di euro l’anno, completato dalla revisione del restante 30% meritocratico, dove varranno di più i risultati dell’ultimo campionato (15%) e degli ultimi cinque anni (10%), e di meno quelli storici (solo 5%).
DECISIVE LE PRESENZE ALLO STADIO
La novità  sostanziale, però, è soprattutto la maniera con cui verrà  stimato il 20% del radicamento: non più in base alla popolazione della città  di appartenenza e a pseudo-analisi di mercato sul bacino di utenza che finivano per premiare sempre la Juve, ma — si legge nel testo —   “sulla base del pubblico di riferimento di ciascuna squadra, tenendo prioritariamente in considerazione il numero di spettatori paganti che hanno assistito dal vivo alle gare casalinghe disputate nell’ultimo campionato”.
Ovvero le presenze allo stadio. E qui cambia tutto: perchè le differenze tra piccole e grandi si attenuano. E fra le grandi la Juve ha uno stadio molto piccolo, che la pone sistematicamente dietro le milanesi, al livello di Roma e Napoli.
LA SIMULAZIONE: LA JUVE RISCHIA 40 MILIONI (MA NE PERDERà€ 20)    
Stabilite le linee guida che dovranno essere approvata insieme alla manovra, tutto sta a capire quali potranno essere i loro effetti sulla Serie A.
Ilfattoquotidiano.it ha provato a farlo, rivolgendosi agli esperti di Tifoso bilanciato, blog specializzato sulla finanza calcistica che ha preparato una simulazione della ripartizione dei diritti tv della stagione 2016-2017 (quella appena conclusa) con il nuovo sistema in confronto al vecchio.
I risultati sono abbastanza clamorosi, seppur orientativi (ci sono una serie di variabili che lasciano margine di errore): come si vede dalla prima tabella, in cui il 20% del radicamento è calcolato interamente sulle presenze allo stadio, la Juventus precipiterebbe da oltre 100 milioni ad appena 65, con una perdita potenziale di quasi 40 milioni l’anno. Praticamente un top player in meno sul calciomercato di ogni estate.
Le sei big del campionato (oltre ai bianconeri, Milan, Inter, Roma, Napoli e Lazio) presentano il segno meno, con le dovute differenze. Per tutte le altre è festa grande, con un guadagno medio tra i 7 e gli 8 milioni a testa.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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DAI CALCIATORI AI TORTELLINI, LA RETROCESSIONE DI MODENA

Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile

LA SQUADRA IN SERIE C SENZA STIPENDI DA LUGLIO… LA FAMIGLIA FINI LASCIA: ALL’ASTA LO STORICO RISTORANTE E UN ALBERGO

Calcio e tortellini affondano penosamente in una città , Modena, che della pasta ripiena è la patria e, in quanto al pallone, vanta un passato glorioso ormai lontano, una lunga militanza in serie B e due anni nella massima serie nella prima metà  degli Anni 90. Sul fronte tortellino, la famiglia Fini è stata costretta a mettere all’asta lo storico ristorante e l’albergo per debiti con una banca locale.
Su quello calcistico, non solo i giocatori sono in sciopero perchè gli stipendi non arrivano da luglio, ma la squadra è stata sfrattata dal suo stadio, il Braglia, per inadempienze della passata gestione nel pagamento dell’affitto al Comune, proprietario dell’impianto, e così si è ritrovata fuori anche da spogliatoi e campo di allenamento.
La classifica è un pianto greco, zero punti e penalità  in arrivo per gli 0-3 a tavolino rimediati causa stadio chiuso, ma di sicuro l’essere poi stati obbligati a giocare a Forlì, in umilianti trasferte a porte chiuse, non ha aiutato il morale.
I tifosi, arcistufi del vecchio presidente Caliendo, l’ex procuratore di Baggio che ha appena passato la proprietà  ad Aldo Taddeo, hanno inscenato un funerale alla loro squadra del cuore con tanto di bara dipinta di gialloblu, i colori sociali del Modena Fc. Ieri poi l’altra tegola dello sciopero dei giocatori, provocato dall’enorme ritardo nel pagamento degli stipendi.
Andrà  in scena quasi di sicuro questa domenica per la partita col Fano, serie C girone B, a meno che ieri sera, per miracolo, non siano spuntati i soldi.
In un comunicato, l’Assocalciatori fa sapere che «all’esito della riunione di ieri (giovedì, ndr) è emerso come la società  non intenda al momento corrispondere ai calciatori le mensilità  di luglio, agosto e settembre, maturate fino ad oggi».
Al di là  della questione economica, aggiunge l’organismo sindacale, i giocatori del Modena non hanno avuto la possibilità  «di comprendere l’enttà  del dissesto, nè di conoscere i termini del piano di salvataggio, connesso alle prospettive concordatarie. Nonostante questo, hanno continuato ad allenarsi e a giocare».
Se poi vorrà  tornare nel suo stadio, la società  dovrà  pagare al comune una somma di circa 150 mila euro, l’importo dell’affitto di un anno di Braglia, spogliatoi e campo d’allenamento.
Per un pezzo di città  che soffre per il disastro della squadra di calcio, ce n’è un altro che rimpiange i tempi in cui il palazzo d’angolo di piazza San Francesco, pieno centro, recava l’insegna “Ristorante Fini”.
Era già  chiuso da anni, ma l’esito della vicenda legale ora vede finire all’asta quel che restava dell’impero modenese del tortellino, cioè gli edifici che ospitavano ristorante e albergo di famiglia.
Azienda e produzione passarono di mano già  molti anni fa, quando furono vendute a Kraft, ma il locale in centro era celebre per i tortellini, serviti rigorosamente in brodo, ed era un pezzo di storia della città , oltre che un rito per i modenesi Doc.
I palazzi andranno all’incanto a un prezzo di otto milioni di euro, una valutazione che è frutto della perizia effettuata per conto del tribunale.
In caso la vendita all’incanto vada a buon fine, la cifra servirà  a saldare i debiti fra la società  dei due fratelli Fini e la Banca Popolare di San Felice.
Il marchio rimane comunque in mano alla famiglia, ma il palazzo messo all’asta, con tutto il suo carico di ricordi, mette un punto definitivo nella storia dei Fini e dei loro tortellini, ed è una storia centenaria, perchè a cominciarla fu, nel 1912, il capostipite, Telesforo Fini.
A distanza di poco più d’un secolo ne scompare anche la traccia, un po’ come sta succedendo al Modena calcio, che rischia retrocessione e forse, se l’attuale proprietà  non riesce a rimetterlo sui giusti binari, pure qualcosa di peggio.

(da “La Stampa”)

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LA MISSIONE SPECIALE DEI TOP GUN ITALIANI, OGNI GIORNO IN VOLO PER SALVARE I BAMBINI: “IL LORO SORRISO VALE PIU’ DI UNA MEDAGLIA”

Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile

L’ECCELLENZA ITALIANA: A BORDO DEL FALCON DEL 31° STORMO, SPECIALIZZATO NEL TRASPORTO DEI PICCOLI MALATI, OLTRE 200 NEONATI SOCCORSI

La manina di Siria si muove lentamente, debole come il ritmo del suo respiro: «Non si arrenderà , vedrete, ce la farà  — dice mamma Rosanna —. Ha il carattere della nostra famiglia e in 40 giorni di vita l’ha già  dimostrato».
Vincerà  la sua battaglia più grande e se le forze di una bimba così piccola dovessero non bastare, allora si potrà  contare sull’aiuto di un esercito vero.
Militari addestrati in accademia e che combattono per la causa più nobile per le forze armate italiane. «Ogni volta che un bambino rischia la vita noi siamo pronti al decollo — racconta il capitano Daniele Sgambati —. Con i nostri aerei raggiungiamo ogni angolo d’Italia e spesso andiamo all’estero: l’obiettivo è sempre quello di accompagnare nel minor tempo possibile i piccoli pazienti verso l’ospedale più attrezzato, dove i medici garantiscono una speranza anche quando le condizioni sembrano disperate. Negli ultimi sei anni abbiamo salvato 250 bambini».
È una guerra, dunque, ed è l’unica guerra giusta.
Contro il tempo che passa troppo in fretta le armi sono tutte consentite, perchè il nemico peggiore in questa battaglia è sempre quel minuto in più che rischia di ridurre le possibilità  di vincere.
Oggi bisogna vincere per Siria, che da Catania dev’essere trasportata d’urgenza a Roma. La richiesta di aiuto alla sala operativa del 31° Stormo di Ciampino arriva pochi minuti prima delle 9 del mattino: «Richiamate gli equipaggi – grida il luogotenente Emilio Latini -. Oggi dobbiamo essere velocissimi».
Siria, dicono dell’ospedale di Taormina, rischia di non farcela ma gli uomini dell’Aeronautica hanno giurato di non arrendersi mai. «Salvare i bambini è un grande privilegio – dice il capitano Federico Rispoli -. Ogni missione conclusa vale più di una medaglia».
A bordo del Falcon c’è lavoro per tutti. C’è chi smonta i sedili per far posto alla barella, chi prende in consegna la piccola culla termica, chi assiste i medici e anche chi fa di tutto per strappare un sorriso alla mamma di Siria.
Lei si sistema nella poltroncina più in fondo e osserva tutto in silenzio. Il suo ringraziamento non ha bisogno di parole: è tutto chiaro, chiarissimo, leggibile in quello sguardo terrorizzato.
In quelle mani che si contorcono e la testa che dondola. Il suo primo giorno di ottimismo inizia quando sulla pista di Fontanarossa arriva l’aereo bianco dell’Aeronautica militare. Perchè il pilota ha garantito che arriverà  a Roma il prima possibile e perchè i professori del Bambin Gesù hanno detto che faranno di tutto perchè la sua piccola creatura possa aspettarsi una vita gioiosa come quella che meritano tutti i bambini.
Per fronteggiare emergenze come questa è necessario schierare soldati ben addestrati e gli uomini del 31° Stormo dell’Aeronautica sono in trincea giorno e notte.
Non sparano missili letali ma sganciano potentissime bombe di speranza: decollano da Ciampino e arrivano ovunque, tutte le volte che qualcuno rischia di non farcela.
«La regola è che si parta entro due ore – spiega il tenente colonnello Sergio Perciaccante -. Ma ogni volta che arriva quella telefonata non si può perdere un minuto. Con la mente vorremmo arrivare in un secondo, quando ci mettiamo ai comandi scegliamo sempre la rotta più breve. I miei due ragazzi sono nati prematuri e ogni volta che rivedo una culla termica ripenso all’angoscia di quei giorni. Ogni missione si fa con questo spirito, pensando che quel piccolo possa essere nostro figlio».
Oggi le dita di tutti s’incrociano per Siria, osservando l’ambulanza che prende in consegna il piccolo fagotto e corre verso l’ospedale Bambin Gesù.
«In questi momenti vorresti fare di più, ma la situazione è talmente critica che hai persino paura ad avvicinarti – confessa il capitano Alessio Duranti -. Questa è una situazione vissuta decine di volte e a cui nessuno di noi riesce ad abituarsi. Ma la soddisfazione più grande è il sorriso di una mamma quando scende dall’aereo. Per lei siamo stati l’ultimo appiglio».
Le medaglie più preziose gli uomini del 31° Stormo non le hanno appese in bacheca: sono tutte nascoste in un cassetto chiuso a chiave come fosse una cassaforte.
Dentro, ben ripiegate, ci sono le lettere che arrivano da tante mamme. Come quella di Barbara Rosati di Spoleto, che solo grazie all’Aeronautica ha potuto accompagnare il figlio Ludovico a fare un trapianto di fegato.
O come quella dei genitori di Filippo, che il Falcon bianco ha riportato in Italia dalla Cina nel corso di una missione durata 29 ore: «Grazie per aver reso possibile un miracolo».

(da “La Stampa”)

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CHI E’ ANDREA BABIS, IL NUOVO PREMIER CECO CHE RICORDA BERLUSCONI IN TUTTO (TRANNE CHE PER UNA COSA)

Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile

UN PATRIMONIO DA 4 MILIARDI DI DOLLARI E UN PASSATO DA AGENTE DELLA POLIZIA SEGRETA COMUNISTA

Ha un patrimonio di 4 miliardi di dollari. Ha fondato un partito-azienda nei cui posti chiaveha piazzato i suoi principali collaboratori, e come un’azienda promette di governare lo Stato.
È accusato di una maxi truffa e grida al complotto politico-giudiziario.
Ha un’enorme influenza mediatica grazie all’acquisizione di due tra i principali giornali del paese.
Andrej Babis – che oggi sta trionfando le elezioni nella Repubblica ceca: quando sono state scrutinate il 50 per cento delle schede il suo movimento veleggia oltre il 31 per cento non ha ancora una collezione di Champions League, ma per il resto ricorda parecchio Silvio Berlusconi.
Tranne che per l’unica cosa di cui Silvio Berlusconi non potrà  mai essere accusato: il comunismo. Si potrebbe scrivere un romanzo su questo imprenditore-prestigiatore, che è riuscito a fare dei migranti una questione chiave in un paese senza migranti e con la disoccupazione più bassa d’Europa (2,9%).
La chiave del successo
Ma la chiave del suo successo, sottolinea il Washington Post, è l’economia: diventato ministro delle Finanze nel 2013 in una coalizione tra la sua «Azione per i cittadini insoddisfatti» (l’acronimo è Ano, che in ceco vuol dire «sì»), i socialdemocratici e i cristianodemocratici, Babis è riuscito a intestarsi tutti gli eccezionali risultati economici della Repubblica ceca, con un Pil che vola e un bilancio statale in surplus.
Il posto al governo l’ha perso per le inchieste, da cui risulterebbe che ha usato quasi due miliardi di fondi europei per un hotel di lusso e un centro conferenze: erano soldi destinati alle piccole imprese e lui li avrebbe ottenuti tramite il suo conglomerato Agrofert – fertilizzanti, chimica, alimentari e cliniche per la fertilità  – che raggruppa 230 aziende e impiega 32 mila persone.
Da premier, potrebbe facilmente farsi rivotare l’immunità  parlamentare che gli è stata tolta il mese scorso. Lenka Zlà¡malovà¡, giornalista che ha a lungo indagato su di lui, dice al Guardian che «se combini potere mediatico-economico e controllo degli apparati di sicurezza, la minaccia è chiara».
Le ombre del passato
E il comunismo? In base a documenti degli archivi di Stato, Babis – slovacco di nascita e figlio di un importante esponente del vecchio regime – è stato un agente della polizia segreta.
Lui dice che sono carte false, ma la scorsa settimana la Corte costituzionale slovacca ha riaperto il caso, annullando una sentenza del 2014 che lo aveva assolto.
Di certo, con lui al potere si allarga il fronte populista dell’Est, ma con più incognite, come spiega il giornalista Pavel Å afr: «Non è un conservatore nazionalista come l’ungherese Orban nè un cattolico tradizionalista come il polacco Kaczynski. È Babis, un populista universale».

(da “il Corriere della Sera”)

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ELEZIONI REPUBBLICA CECA, VINCE IL TRUMP DI PRAGA, IL MILIONARIO POPULISTA ED EVASORE FISCALE BABIS

Ottobre 21st, 2017 Riccardo Fucile

LA SUA “ALLEANZA DEI CITTADINI SCONTENTI” AL 29,7%, SECONDO IL CENTRODESTRA CON L’11,3%, TERZI I PIRATI CON IL 10,8%, XENOFOBI SOLO AL 10,7%, SOCIALISTI AL 7,5%

Come da previsioni, il partito del miliardario populista Andrej Babis, soprannominato il «Trump ceco», è largamente in testa nelle elezioni parlamentari nella Repubblica Ceca.
Il suo partito Ano (Sì in ceco) ha ottenuto il 29,7 per cento dei consensi che vale 78 dei 200 seggi della camera bassa.
Al secondo posto, per un pelo, il centrodestra storico (Ods) con l’11,3 per cento. Dietro il Partito dei pirati con il 10,8 e una formazione radicale, xenofoba, antieuropeista, il Partito della libertà  e della democrazia diretta (Spd) guidata da un leader di origini miste ceco- giapponesi, Tomio Okamura, che si è attestata al 10,7 per cento.
Peggio che mai vanno i socialdemocratici (Cssd), il partito di maggioranza uscente del premier dimissionario Bohuslav Sobotka, che crollano al 7,5 per cento nel loro peggior risultato storico assoluto.
La Repubblica Ceca avrebbe scelto dunque di mettersi nelle mani di un miliardario accusato (in patria e in Europa) di frode fiscale, che ha promesso di guidare il Paese come se fosse un’azienda, di combattere l’immigrazione musulmana e limitare i legami con l’Unione Europea.
Ora Babis, che negli scorsi mesi aveva giurato che mai si sarebbe alleato con gli estremisti di Okuamura, nè con i comunisti, dovrà  iniziare a preoccuparsi per trovare un alleato di governo.

(da agenzie)

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