Novembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
MENTRE A MULTEDO UN DELIRANTE VOLANTINO ANONIMO ISTIGA LA POPOLAZIONE FARNETICANDO DI CENTINAIA DI PROFUGHI IN ARRIVO E DI DELINQUENTI CHE SI AGGIRERANNO PER IL QUARTIERE PRONTI A COLPIRE
“Basta bugie su Multedo, il vero problema è la disinformazione” recita un volantino del comitato “Noi con Multedo” che invita all’ennesima assemblea pubblica per il no ai migranti nel centro di accoglienza dove sono attualmente ospitati i primi dieci ragazzi richiedenti asilo.
Dopo il fallimento delle ultime mobilitazioni e il rasserenamento del quartiere che si è reso conto che si tratta di ragazzi tranquilli che non creano alcun problema, c’e’ ancora chi continua a cavalcare la protesta.
Un altro volantino, questo anonimo, è stato diffuso ieri con un testo delirante dove si dice testualmente che “l’opposizione non è per dieci
ragazzi ma per un numero altissimo di migranti maschi a rischio. La Prefettura parla di una cinquantina a breve, ma come è stato fatto un bando di gara per accoglierne cinquanta, se ne faranno altri fino al completamento della capienza della struttura, cioè centinaia di individui”.
Una balla colossale visto che il massimo della capienza è di 50 ospiti.
Il pericolo — prosegue il volantino- è che nel quartiere arrivino “elementi magari estranei al centro di accoglienza che potrebbero compiere azioni delittuose che sono state dettagliatamente spiegate alle istituzioni con comunicazioni ufficiali e che gli abitanti tengono riservate in quanto la loro diffusione già di per sè porterebbe a un aumento del rischio”.
Inutile sottolineare le farneticanti teorie del testo, teso solo a turbare l’ordine pubblico diffondendo falsità .
E’ evidente che qualcuno non ha ottenuto il risultato sperato e continua a soffiare sul fuoco. Comunque il volantino è anonimo e
sarà compito della Questura accertarne l’origine e il fine.
Noi ci limitiamo ad accogliere l’invito “politico” a porre fine alla disinformazione sul comitato che ha organizzato i cortei di protesta fino ad oggi e che , come più volte ribadito dalla sua portavoce Simona Granara ai media, ha “carattere assolutamente apolitico e apartitico”.
Sarebbe allora opportuno che proprio la portavoce facesse un passo indietro, dato che ha trascorsi politici ben definiti .
Simona Granara è stata infatti candidata per ben due volte alle elezioni amministrative.
La prima nel 2007 alle provinciali nelle liste del centro-destra per Renata Oliveri, candidata presidente per il centrodestra, raccogliendo 107 preferenze.
La seconda alle comunali del 2012 nel Popolo della Liberta’ al Municipio Medio Ponente dove raccolse 54 preferenze.
Pubblichiamo a tal fine sia la lista che la vedeva candidata che la foto che la ritrae nello staff del Pdl (vi risparmiamo il video).
Ovviamente libera di candidarsi dove meglio crede, libera di cercare futuri consensi dove meglio le aggrada, ma correttezza vuole che non si dichiari apolitica e apartitica, perchè la disinformazione è anche questa.
Anche per rendere più chiaro a chi giovano certe proteste “spontanee”.
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Novembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
ORRORI E MERCATO DEGLI SCHIAVI IN LIBIA, ESPLODE IL CASO A LIVELLO INTERNAZIONALE… SOLO DEI CRIMINALI POSSONO AVER BARATTATO LA DIGNITA’ ITALIANA FINANZIANDO UN GOVERNO DI ASSASSINI
Aste di esseri umani, come all’epoca della tratta degli schiavi: avvengono in Libia,
secondo la Cnn , che in un reportage in esclusiva mostra un filmato in cui due ragazzi vengono venduti dai trafficanti.
«800 dinari… 900, 1.100… venduto per 1.200 dinari (pari a 800 dollari)», recita la voce dell’uomo che mette all’asta un giovane, che dovrebbe essere un nigeriano, definito «un ragazzone forte, adatto al lavoro nei campi».
Dopo aver ricevuto il filmato, la Cnn è andata a verificare, registrando in un video choc la vendita di una dozzina di persone in pochi minuti.
Riprese realizzate con telecamere nascoste
Grazie a telecamere nascoste, la Cnn ha ripreso una vendita a Tripoli, in cui si vende «uno scavatore, qui abbiamo uno scavatore, un omone forte, in grado di scavare», secondo quanto dice il `venditore’.
Dopo che l’agghiacciante transazione è conclusa, i giornalisti avvicinano due dei ragazzi `venduti’, che appaiono «traumatizzati… intimoriti da qualsiasi persona».
La testimonianza
Mohammed Abdiker, direttore delle operazioni d’emergenza dell’Oim, in una dichiarazione rilasciata lo scorso aprile dopo un viaggio in Libia, aveva definito la situazione «terribile… le notizie di “mercati degli schiavi” si uniscono alla lunga lista di orrori».
La troupe ha quindi parlato con Victory, un 21enne detenuto al Treeq Migrant Detention Center di Tripoli dove gli immigrati illegali vengono rinchiusi in attesa di espulsione: il ragazzo dice di essere stato venduto all’asta come schiavo «più volte», dopo che i suoi soldi – tutti usati per cercare di arrivare in Europa – erano finiti.
«Pagai (ai trafficanti che lo tenevano in ostaggio affermando che doveva ripagare il debito verso di loro) più di un milione (oltre 2.700 dollari) – ha raccontato -. Mia madre è anche andata in un paio di villaggi a chiedere soldi in prestito per salvarmi la vita».
Gli osservatori dell’Onu: «Scioccati. L’Ue e i suoi stati membri non hanno fatto nulla per ridurre gli abusi perpetrati sui migranti»
Gli osservatori dell’Onu in Libia «sono rimasti scioccati da ciò che hanno visto: migliaia di uomini denutriti e traumatizzati, donne e bambini ammassati gli uni sugli altri, rinchiusi dentro capannoni senza la possibilità di accedere ai servizi più basilari». È la denuncia dell’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani Zeid Raad Al Hussein che accusa «l’Ue e i suoi stati membri di non aver fatto nulla per ridurre gli abusi perpetrati sui migranti».
L’Alto commissario Onu per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein ha espresso sgomento accusando la politica dell’Unione europea e dell’Italia di assistere la guardia costiera libica per intercettare i migranti. Per l’Onu si tratta di una politica «disumana».
«La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità » e quella che «era già una situazione disastrosa è ora diventata catastrofica», ha affermato Zeid chiedendo la creazione di misure giuridiche nazionali e la depenalizzazione della migrazione irregolare al fine di garantire la protezione dei diritti umani dei migranti.
Per Zeid, «la comunità internazionale non può continuare a chiudere un occhio di fronte agli orrori inimmaginabili subiti dai migranti in Libia, e far finta che la situazione può essere risolta con il miglioramento delle condizioni di detenzione».
«Non possiamo rimanere in silenzio di fronte a episodi di schiavitù moderna, uccisioni, stupri e altre forme di violenza sessuale pur di gestire il fenomeno migratorio e pur di evitare che persone disperate e traumatizzate raggiungano le coste dell’Europa».
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
UCRAINA: NEL 1932 DIECI MILIONI DI CIVILI UCCISI PER FAME DAL REGIME COMUNISTA DI STALIN… L’ITALIA E’ TRA I PAESI CHE NON HA ANCORA RICONOSCIUTO QUEL GENOCIDIO, NONOSTANTE IL CONSOLE ITALIANO FU IL PRIMO A DENUNCIARLO
Il quarto sabato del mese di novembre, ad ogni anno, si ricorda l’Holodomor, la strage perpetrata per anni al popolo ucraino e i cui numeri sono spaventosi: solo nel 1933 si calcola che morirono tre milioni e mezzo di civili, mentre le ultime ricerche stimano che, complessivamente, morirono di fame fino a dieci milioni di persone.
Il secolo “breve”, il Novecento, è stato teatro indiscusso di stragi, “luogo” di crimini contro l’umanità come non si erano visti prima nella storia, efferati genocidi a danno di intere popolazioni, il cui orrore continua a suscitare sgomento.
L’Holodomor è una parola ucraina che significa letteralmente “infliggere la morte mediante la fame”.
Questa è una strage poco conosciuta, ma è ciò che accade negli anni 1932-33 e — ancora prima negli anni ’20 – che provoca la morte per inedia di un’ampia parte della popolazione.
Provocata dal regime sovietico di Stalin, l’Holodomor è una delle stragi più imponenti della storia e uno dei crimini più grandi che si consumano in Europa nella prima parte del Novecento.
Questo crimine commesso contro il popolo ucraino, ma a tutti gli effetti contro l’umanità , come stabilito dal Parlamento Europeo nel 2008, è stato organizzato e realizzato nel clima totalitario del Cremlino di quegli anni, allo scopo di sottomettere la popolazione ucraina rurale.
In particolar maniera, nel 1932 e nel 1933, viene effettuato il vero e proprio sterminio per fame: per piegare i contadini al volere di Mosca, tutti i generi alimentari, compresi gli animali con cui gli agricoltori potevano sfamarsi, vennero requisiti.
E allo stato, rappresentato da un Cremlino fermamente deciso a far morire di fame la popolazione, vi fu l’obbligo di cedere tutto il grano prodotto.
Se si considerano i numeri, tragicamente, l’Holodomor è una strage dalle proporzioni spaventose.
Sul fronte del repertorio fotografico e documentaristico giunto fino a noi, sono raccapriccianti le immagini che ritraggono corpi scheletrici di bambini, donne e uomini, altrettanto spaventose le testimonianze che raccontano le disumane condizioni di un numero infinito di civili che muore consumato nell’impotenza e nell’inedia, vittima di un disegno politico agghiacciante.
La tragedia che si è consumata era qualcosa di mostruoso, ma come tutte le grandi tragedie, in un’epoca in cui la voce degli ultimi era inesistente, la stessa veniva negata, o era comunque misconosciuta.
Purtroppo in molte parti del mondo l’Holodomor ancora oggi è una pagina di storia ignota e, pur se nel tempo 16 paesi hanno firmato per riconoscere il genocidio, molti ancora non hanno coscienza di questa ulteriore strage voluta da Stalin.
L’Italia non è fra gli stati che ad oggi riconoscono il genocidio, però in questa triste vicenda il paese ha un ruolo piuttosto importante.
E’ proprio il Console italiano a Kharkov, Sergio Gradenigo, a raccontare per primo all’Occidente la tragedia seminata dal comunismo in Ucraina.
Questa testimonianza è riportata nel volume “Lettere da Kharkov. La carestia in Ucraina nei rapporti diplomatici italiani 1923-33”, pubblicato dal professor A. Graziosi.
L’invito per l’Italia è quello di unirsi a tutti gli stati, ultimi in ordine di tempo gli USA e il Portogallo, per riconoscere il genocidio ucraino.
L’Holodomor non può essere una pagina di storia dimenticata, occorre toglierla dall’oblìo per indicare all’alternarsi delle generazioni quella lezione di storia che serve a formare la coscienza dei popoli, al fine di riconoscere il male, difendere la pace, rafforzare la solidarietà internazionale e difendere la giustizia e la libertà .
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
ORA ANCHE LA MAY SE N’E’ ACCORTA: “LA RUSSIA STA MILITARIZZANDO L’INFORMAZIONE CON FALSI PER DESTABILIZZARE L’EUROPA”
Con tempistica abbastanza singolare, si muove infine anche Theresa May. Ossia una
premier che è direttamente figlia del referendum per la Brexit, con tutte le sue ombre di un potenziale, illegale coordinamento tra la campagna elettorale di Nigel Farage e quella dei conservatori, col ruolo non chiarito di Cambridge Analytica, con la certezza che Breitbart ha finanziato l’Ukip, con foto che emergono di Boris Johnson accanto al professor Mifsud (che nell’inchiesta Fbi sarebbe stato uno snodo contatto tra americani, George Papadopoulos, inglesi, e russi).
Il primo ministro britannico ha deciso di rompere – almeno a parole – queste pericolose affinità di famiglia e di venire allo scoperto, attaccando con parole piuttosto dure e inusuali la Russia per la operazioni di information war condotte- stando a diversi elementi emersi nelle analisi dei social network inglesi – anche sulla Brexit.
«La Russia sta militarizzando l’informazione», ha detto May nel corso del tradizionale Lord Mayor’s Banquet.
«Stanno cercando di svillupare i loro media guidati dal Cremlino, di impiantare storie false e foto false nel tentativo di seminare discordia in Occidente e indebolire le nostre istituzioni. Per questo ho una cosa molto semplice da dirvi: sappiamo quello che state facendo, e non avrete successo, perchè sottovalutate la resilienza delle nostre democrazie, la resistente attrazione delle società libere e aperte e l’impegno delle nazioni occidentali rispetto alle alleanze che ci uniscono. Il Regno Unito farà quanto necessario per tutelarsi e lavorare con gli alleati per fare altrettanto».
La settimana scorsa, dopo un’inchiesta di Wired , sono emerse numerose evidenze del fatto che un folto benchè delimitato gruppo di account twitter influenti nei social era controllato all’87 per cento da operatori russi.
I tool usati sono stati i medesimi di altre operazioni emerse – in Usa, o in Francia – ossia xenofobia, contenuti anti-immigrazione, discredito delle èlite, accuse non provate di corruzione delle classi dirigenti.
Diversi esempi particolarmente inquietanti e virali sono stati fatti, tra i quali uno che ha colpito molto l’opinone pubblica inglese penetrando anche nel mainstream: un account twitter di nome @SouthLoneStar aveva postato una donna coperta con l’hijab che, dopo l’attentato di Westminster del marzo scorso, camminava sul ponte accanto a una vittima senza mostrare alcun segno di compassione o di interesse, sosteneva l’account.
La donna in realtà aveva manifestato, come chiunque altro, di essere sconvolte e scioccata, aveva dato interviste su questo, ciò nonostante l’account twitter era riuscito a impiantare con successo la sua immagina criminale e xenofoba.
Si scopre ora che si trattava di uno dei 2700 account direttamente operati da russi (numerosi dei quali hanno agito negli Stati Uniti, per esempio nel caso della celeberrima Jenna Abrams; ma si ritiene che abbiano mosso manche i social network in lingua italiana, dove abbiamo conosciuto, nella stagione del referendum costituzionale del 5 dicembre 2016, un’attività social assai coordinata su Facebook, e un nutrito gruppo di account twitter che agivano a stormo, avendo dati e metadati matematicamente uguali).
La prima reazione di Facebook, anche riguardo la Brexit, è stata comunque minimizzare: il 13 novembre un alto dirigente aveva detto che «nella Brexit non abbiamo osservato i noti, coordinati cluster russi impegnati in un significativo coordinamento di acquisti di pubblicità o misinformation politica».
Ma poi, poco a poco – Facebook ha iniziato ad ammorbidire il suo diniego. Damian Colins, capo della Commissione sul digitale della House of Commons, ha scritto a twittter, Facebook, Google, chiedendo informazioni certe. E Buzzfeed, con fonti interne all’azienda, ha titolato che ora Facebook «apre la porta all’ammissione di un’interferenza russa nella Brexit».
Il copione è sempre lo stesso, incredibilmente.
Dagli Usa alla Francia (elezione presidenziale da cui è uscito vincitore Macron, nonostante operazioni russe pro Marine Le Pen), all’Italia del referendum costituzionale.
Solo in Italia, incredibilmente non si muove nessuna Commissione d’inchiesta parlamentare, non si registrano pressioni dell’opinione pubblica su Facebook e twitter, e tutto è lasciato al lavoro dei magistrati.
(da “La Stampa”)
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Novembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
SI MISCHIANO LE CARTE, SVANISCONO PAGINE DI SITI E GRUPPI FB O VENGONO SPOSTATI IN SITI PIU’ DEFILATI
Con regolarità inquietante stanno sparendo, dai siti della rete pro M5S (a volte siti ufficiali della Casaleggio, altre volte siti non ufficiali simpatizzanti) pagine, post, video che hanno rappresentato contenuti fondamentali della propaganda pro Putin, o no vax, apparsa nel mondo grillino nel biennio cruciale 2015-2017.
Perchè questi testi o video adesso scompaiono, risultando assai spesso non accessibili?
Ne abbiamo scoperti e testati numerosi, con aiuto diffuso anche da utenti sui social network, per giorni e giorni: e questi sono i risultati al momento in cui scriviamo. Proviamo a indicarne alcuni.
Su La Fucina – sito registrato dalla Casaleggio il 25 luglio 2013, che ha come admin Davide Casaleggio – compariva fino all’inizio di quest’estate un post più video antivaccinista che fu viralissimo, dal titolo: «Vaccini, è scesa la censura».
Nel video il medico Giuseppe Di Bella attacca: «Si sono lamentati perchè in Italia fanno pochi vaccini, però non hanno considerato la quantità documentatissima di danni gravissimi, di bambini autistici, di cui non bisogna parlare. Se c’è lo choc immunitario dei vaccini polivalenti, addirittura sei in una volta, per bambini piccoli, piccolissimi, ecco, non se ne deve parlare».
Beppe Grillo a maggio polemizzò ferocemente col New York Times che aveva criticato il Movimento per la propaganda antivaccinista in un articOlo dal titolo “Populismo, politica e morbillo”.
Grillo gridò che a sostegno dell’accusa «non c’è nulla, neppure un link, un riferimento, una dichiarazione. Nulla». In realtà i link furono prodotti. Anche La Stampa ne offrì numerosi. Il fatto è che alcuni poi spariscono: per esempio la pagina citata della Fucina, che correla vaccini e autismo (indirizzo originario: http://www.lafucina.it/2015/03/16/medico-e-paziente/). La possiamo tuttavia mostrare grazie a webarchive.org, a una serie di screenshoot, e avevamo scaricato il video.
Altro esempio, utile a capire anche alcune dinamiche: una pagina facebook seguitissima (piace a 494 mila persone), Silenzi e falsità dei media italiani, legata all’omonimo sito di cui risulta admin Marcello Dettori (Pietro Dettori, ex social media manager alla Casaleggio, è oggi responsabile editoriale dell’Associazione Rousseau), embedda un video con il logo della Cosa, canale “goviral”.
Si tratta di un canale virale della tv del blog di Grillo, con un piccolissimo disclaimer che ne indica la natura teoricamente satirica.
Tuttavia quei video, caricati su altri siti, divengono virali in una rete su Facebook dove il disclaimer non c’è più.
E girano contenuti di questo tenore: «Putin salva migliaia di operai tirando fuori gli attributi». Il video si riferisce a Putin che ordina in malo modo ai dirigenti di una fabbrica di pagare gli stipendi arretrati ai poveri operai ridotti alla fame.
La fabbrica chiuderà di lì a poco, ma questo non viene detto.
Il video, reso virale tramite il canale facebook di Silenzi e falsità , non è più accessibile al momento in cui scriviamo (e da vari giorni) da quel canale, dopo che La Stampa ne ha scritto (compare ancora invece dalla pagina Facebook di Tze Tze).
Risulta inaccessibile, da La Fucina, un link storico (http://www.lafucina.it/2014/07/29/pilota_sparato-aereo_malese/) della propaganda pro Putin in Italia, la cui sparizione ci viene segnalata dal debunker David Puente.
Il volo MH17 della Malaysia airline si schiantò in Ucraina il 17 luglio 2014. La information war russa impiantò notizie fabbricate in vari luoghi, accusando gli ucraini. Uscì un’intervista, poi smontata, a un pilota ucraino che diceva di aver sparato, e era ripresa da un sito alternativo di destra tedesco, spesso all’origine di contenuti falsi. Divenne un titolo della Fucina: «Il pilota ucraino che confessa di aver sparato sull’aereo malese». Oggi la pagina è sparita.
Sul blog di Grillo, a dicembre 2014 apparvero un testo di Manlio Di Stefano e un video apologetico di Putin che dice «vogliono incatenare l’orso russo».
Il video reca da settimane il messaggio «Error loading player: No playable sources found» (sia da Chrome, sia da Explorer, sia da Mo zilla/Firefox).
Sappiamo però che era un video de La Cosa (la tv ufficiale del blog di Grillo) perchè resta embeddato (continua dunque il caricamento pubblicitario) in un altro sito della galassia grillina, defilato, rispetto al blog di Grillo.
Pagine vanno, pagine vengono, video appaiono, video spariscono, poi magari ricompaiono, più periferici.
Putin, come la militante grillina dissidente Stefania Batzella, viene sbianchettato dalla foto di famiglia in un interno.
(da “La Stampa”)
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Novembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
PER ACCREDITARE OLTRE OCEANO LA SUA CANDIDATURA A PREMIER SI CAMBIA L’ABITO, ORA VA BENE QUELLO A (CINQUE)STELLE E STRISCE
«Non è un caso che abbia scelto gli Stati Uniti» ci tiene subito a far sapere Luigi Di
Maio: «Non è un caso che abbia scelto proprio questa meta come primo viaggio da candidato premier del M5S».
C’è un prima e ci sarà un dopo nella politica estera in via di definizione nel Movimento. In un’estrema sintesi: più Stati Uniti meno Russia (e Venezuela).
Perchè in questa trasvolata atlantica non c’è soltanto lo scontato desiderio di accreditarsi e cercare una vetrina, ma c’è anche voglia di fare chiarezza, di ridisegnare il volto internazionale del M5S.
Perchè nell’anarchia in cui spesso è stata lasciata, non si capisce bene la direzione verso cui tende la politica estera, rimasta in balia di troppe ombre. «Basta con questa storia della Russia e che siamo alla mercè di Putin – ha detto Di Maio nelle riunioni preliminari al viaggio – È una storia che non sta in piedi e che ci fa solo del male».
Mr Di Maio va a Washington, infatti, mica a Mosca.
Sbarcato nella capitale americana, ieri sera è stato a cena con l’ambasciatore Armando Varricchio accompagnato dal capo della comunicazione Rocco Casalino e dal consigliere politico Vincenzo Spadafora, a cui si deve molto della ribalta internazionale del candidato premier del M5S.
Proprio come una fiaba di Frank Capra: il ragazzo di Pomigliano in cinque anni è passato dall’asfalto della strada dell’attivismo al pavimento lucido dei palazzi del potere globale. Di Maio è l’atlantista del gruppo ma sa benissimo che tra i grillini a giocare con la sponda russa sono stati in diversi.
Alessandro Di Battista, il senatore Vito Petrocelli e soprattutto Manlio Di Stefano.
Le sue perplessità per queste simpatie sono aumentate nel corso di questi anni di presunti condizionamenti elettorali in cui il M5S è stato associato a tutte le forze populiste e antisistema europee tenute in gran considerazione da Mosca.
«Ricordo a tutti che la prima visita di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio dopo il nostro inaspettato successo nel 2013 fu all’ambasciata americana a Roma».
Il ragionamento che fa Di Maio è semplice: «Siamo occidentali e il nostro più grande alleato in Occidente sono gli Stati Uniti», se c’è un interesse della Russia «è da parte loro verso di noi». «Il M5S vuole solo fare gli interessi commerciali dell’Italia. Ecco perchè siamo per togliere le sanzioni a Mosca».
Diverso è il discorso sulla Nato. Nel programma del M5S cucito addosso alle teorie più radicali di Di Stefano c’è scritto di voler «ridiscutere la partecipazione italiana nell’Alleanza».
Vorrebbe dire strappare un sorriso a Vladimir Putin, insofferente alla presenza militare ai confini del suo impero. Per Di Maio la questione deve essere calibrata meglio. All’indomani della sua incoronazione, sulla Nato rispose così ai giornalisti stranieri: «Non siamo disponibili a rifinanziare il programma militare con altri 14 miliardi di euro». Un messaggio al presidente Trump che ancora avanza questa richiesta agli alleati?
Un altro favore a Putin? Di Maio coglierà l’occasione di questo viaggio per chiarire che il M5S non accetterà di mettere più soldi, come vuole Trump, ma che «non è vero che vogliamo bloccare i finanziamenti alle missioni».
Insomma, siamo a una fase di tentata maturazione del pensiero politico grillino anche sullo scacchiere globale.
Ora il M5S ha un leader dichiarato, «e una sintesi va trovata» confida Di Maio ai suoi. Basta con iniziative individuali e gaffe: come le dichiarazioni amichevoli sul Venezuela di Maduro della senatrice Ornella Bertorotta e ancora la disponibilità con i russi, considerata a tratti eccessiva, di Di Stefano, responsabile Esteri di fatto esautorato.
Il candidato premier vuole una sorta di normalizzazione e la tappa a Washington serve a questo. A rassicurare, a provare a mostrare cos’è il M5S «e a spiegare che non siamo solo quello che raccontano».
Ecco perchè al di là dei colloqui a Capitol Hill con parlamentari repubblicani e democratici (il leader dei libertari Rand Paul è stato ferito da un vicino e l’incontro potrebbe saltare), è importante, agli occhi Di Maio e dei suoi consiglieri, l’appuntamento al Dipartimento di Stato.
È un primo fondamentale approccio con l’amministrazione Usa, con gli ambienti più vicini a Trump verso il quale il grillino non nutre pregiudizi, «anche se – sostiene – restano gli stessi dubbi di tutti sulla sua politica energetica».
Pure Trump non se la passa bene quanto a sospetti sulle manovre russe, ben più pesanti di quelli sugli ammiccamenti ai 5 Stelle.
E anche se in Italia i rapporti del M5S con i giornalisti sono ai livelli del presidente Usa, Di Maio chiuderà il suo viaggio nella sede del «Washington Post» che di Russiagate e scoop ne sa qualcosa.
(da “La Stampa”)
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Novembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
ECCO LA LISTA DEI DEBITORI INSOLVENTI CHE HANNO PORTATO AL CRAC LA BANCA
Da Mariella Burani all’Hotel Dolomiti, dalla Ginori Real Estate al noto costruttore Luca Parnasi. C’è di tutto nella lista dei 100 debitori insolventi che hanno portato al crac della Banca Popolare di Vicenza. A rivelarne i nomi è oggi il Corriere della Sera, che spiega come si è arrivati al maxi-buco dell’istituto.
La lista è stata acquisita dalla commissione parlamentare banche guidata da Pierferdinando Casini mostra chiaramente come Gianni Zonin, all’epoca numero uno, abbia gestito l’istituto e come si sia potuti arrivare a oltre 5 miliardi e mezzo di euro “sofferenze” e più di 4 miliardi di euro “inadempienze”.
Cominciamo con i nomi eccellenti.
La Mariella Burani Fashion Group, spiega il Corriere della Sera, aveva una “sofferenza” di 7 milioni e 600mila euro. Ben più alta quella della Vimet, colosso nel campo della gioielleria con oltre 43 milioni di euro fallita pochi mesi fa.
Dopo il crac però l’azienda ha assistito “a un quasi completo azzeramento delle somme investite”.
Il CorSera prosegue poi con la Champions Re, la società dei campioni di calcio del calibro di Vincenzo Iaquinta, Sebastian Giovinco, Nicola Amoruso e Matteo Guardalben, che all’epoca vantava un’esposizione ben oltre i 23 milioni e mezzo di euro.
Decisamente esposto era anche il costruttore romano dello stadio della Roma Luca Parnasi: 16 milioni e 400mila euro.
Nella lista anche la Monte Mare Grado dell’ex presidente del Palermo Maurizio Zamparini, insolvente per 57 milioni e 800 mila euro. Il prestito si riferisce a un progetto immobiliare al quale rinunciò nel 2013.
Tra i finanziamenti anche due società collegate al crac di Banca Etruria.
Si tratta di Etruria Investimenti e della Sant’Angelo Outlet. La prima ha provocato una sofferenza di 7 milioni e 200mila euro, l’altra ha un’inadempienza di oltre 12 milioni. “Nel gennaio 2016 – spiega il Corriere della Sera -, su ordine della procura di Arezzo, la guardia di Finanza ha perquisito numerose società che avrebbero ottenuto fidi in conflitto di interessi perchè riconducibili all’ex presidente di Etruria Lorenzo Rosi e all’ex consigliere Luciano Nataloni. Nella lista delle aziende c’erano proprio Etruria Investimenti e Sant’Angelo Outlet entrambe destinatarie di finanziamenti senza le garanzie necessarie. A legare tutte queste aziende è la Castelnuovese di cui Rosi è stato presidente fino a luglio 2014. È stato infatti accertato che proprio quella ditta ha costruito a Pescara l’outlet Città Sant’Angelo, destinatario di un ulteriore finanziamento. Un fido che risulta «incagliato»”.
Della lista nera fanno parte anche la Nsfi srl con una sofferenza da 62 milioni e 500mila euro.
Si tratta di una delle 19 aziende finite nell’inchiesta della Procura di Roma che nel novembre di un anno ordinò perquisizioni contestando all’imprenditore ex candidato sindaco di Roma Alfio Marchini il reato di concorso in false comunicazioni sociali.
E poi la Tirrenia con una sofferenza di 16 milioni di euro; l’Hotel Dolomiti di Cortina, per 19 milioni di insolvenza; Sorgente Group che ha affari immobiliari in tutto il mondo dagli Emirati Arabi a New York, passando per il Lussemburgo e il Brasile e ha una sofferenza di oltre 26 milioni di euro.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
AFFIDATO A MALLEGNI E FIORI LO SCOUTING SUL TERRITORIO… BUONE PREVISIONI SUGLI UNINOMINALI
«Devo ammettere di essermi sbagliato a essere così prudente sul Rosatellum. A
sapere che sarebbe finita così, l’avremmo accolto con entusiasmo molto prima». Ormai è diventata una costante.
Ogni qualvolta si ritrova a compulsare le rilevazioni della fidata sondaggista Alessandra Ghisleri, con tanto di proiezioni sul numero dei collegi in cui il centrodestra è in vantaggio, Silvio Berlusconi sorride di gusto.
Una vita a combattere l’idea di ritornare al maggioritario «che favorisce il centrosinistra», anni e anni a debellare «il virus del Mattarellum» per poi ritrovarsi, all’alba della lunga campagna elettorale del 2018, col centrodestra in netto vantaggio sui rivali.
Ma visto che l’uomo non è di quelli che si accontentano, e visto che all’idea di avere una maggioranza netta per il centrodestra non s’è rassegnato, ecco che da Arcore hanno scoperto l’uovo di Colombo.
Una specie di «partito dei sindaci», anche se nella formula vengono compresi soprattutto i governatori e i consiglieri regionali, «per provare a vincere ancora più collegi».
Quello che per anni è stato il sogno proibito di un pezzo di classe dirigente del centrosinistra – all’epoca bollato da Massimo D’Alema come il gruppo dei «cacicchi» – adesso rischia di diventare la chiave per il ritorno del centrodestra.
Pronto al grande salto
Così è nata l’idea di dar vita a una mini task force per individuare sul territorio dei possibili candidati da schierare nei collegi già dati per persi.
A occuparsene – su mandato di Berlusconi – sono Massimo Mallegni, già sindaco di Pietrasanta pronto al grande salto in Parlamento, e Marcello Fiori, che dopo anni passati al fianco di Guido Bertolaso adesso si occupa di enti locali per Forza Italia.
L’obiettivo, oltre a creare un raccordo con le liste minori che saranno agganciate al tridente FI-Lega-Fratelli d’Italia, è quello di capire quale può essere il contributo fattivo dei tanti sindaci e governatori che il centrodestra ha intenzione di schierare in prima linea nella campagna elettorale. Soprattutto al centrosud.
«Ciascuno candiderà chi vuole»
Perchè non ci sarà soltanto il blocco del nord – da Luca Zaia a Roberto Maroni passando per Giovanni Toti, senza dimenticare il contributo dei «civici» come il sindaco di Trieste Dipiazza e quello di Venezia Brugnaro – a rappresentare la coalizione nei comizi di piazza, in tv, sulla Rete.
D’altronde, come dicono nella war room di Arcore, «in quei collegi vinciamo anche se candidiamo dei perfetti sconosciuti». La partita si gioca soprattutto nei collegi del centrosud.
Dove un ruolo di prim’ordine sarà riservato a veterani tornati in auge come il neogovernatore siciliano Nello Musumeci e a nuove leve come il sindaco di Perugia Andrea Romizi, senza dimenticare sindaci al secondo mandato come l’ascolano Guido Castelli.
Difficile che le liste siano un tema di scontro tra partiti della coalizione anche perchè nel maggioritario ci sarà un accordo nazionale mentre «nelle liste dei singoli partiti», come ha detto Salvini, «ciascuno candiderà chi vuole».
Le risse, semmai, ci saranno all’interno delle singole forze politiche. Soprattutto dentro Forza Italia, che è già in fibrillazione.
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
FINTA APERTURA A MDP PER LASCIARE AD ALTRI LA RESPONSABILITA’ DELLA ROTTURA
Dopo l’apertura ma senza abiura di Matteo Renzi all’alleanza con MDP durante la direzione del Partito Democratico, Antonio Polito sul Corriere della Sera oggi sostiene che la mossa del segretario del PD serva solo a lasciare agli altri la responsabilità della rottura:
Quando in un famoso fuorionda Delrio si lamentò del fatto che i renziani sembravano tutti felici della scissione a sinistra nella convinzione di avere così più seggi da spartirsi, aveva ragione. Il danno che quella rottura arrecò al Pd va infatti ben oltre i voti effettivi che Bersani e D’Alema si porteranno via (vedremo quanti sono); perchè colpì al cuore la credibilità di un partito che era nato presentandosi come un contenitore di tutto il centrosinistra, e che invece finisce la legislatura con i due presidenti delle Camere già in campagna elettorale con lo slogan «mai con il Pd».
Con tutto il rispetto per Emma Bonino, per gli alfaniani, e perfino per Pisapia, i tre forni evocati ieri dal segretario del Pd per metter su una coalizione, difficilmente basteranno a
ricostruire ciò che è andato distrutto.
Ma fin qui siamo alla tattica. Renzi se ne potrebbe pure infischiare se avesse ancora la spinta propulsiva degli inizi, o quella del Veltroni di dieci anni fa. E la ragione per cui non ce l’ha più non è tanto il suo carattere o la sua presunta antipatia (quattro anni fa era simpaticissimo a tutti proprio per il suo carattere); sta piuttosto nel fatto che il Renzi di oggi ha già dato la sua prova di governo, anche lunga, guida un partito che è stato al potere per l’intera legislatura, e dunque non può più promettere un nuovo inizio come se niente fosse.
Il problema, però, è che la tattica di Renzi, che prevede di presentarsi come una sorta di Nuovo Che Ritorna, finisce stritolata nella morsa degli altri due poli che contendono il potere al PD che ha governato per cinque anni
Ancora ieri, mentre in Direzione pronunciava la sua «apertura» a sinistra, il leader era giustamente preoccupato di aggiungere un attimo dopo: «ma senza abiure della nostra opera di governo».
Il guaio è che quell’opera è oggi giudicata male dall’elettorato esterno al Pd anche al di là dei suoi demeriti, forse proprio per l’eccesso di aspettative che aveva creato.
Un solo esempio: il Jobs act è stata una buona legge per rinnovare il mercato del lavoro, ma se la presenti come il toccasana che crea occupazione stabile e poi il precariato giovanile torna appena finiscono gli incentivi, ti si ritorce contro, e toglie credibilità anche alle altre riforme che annunci, in una specie di spirale che si è avvitata fino alla sconfitta referendaria.
Renzi avverte questo problema. E infatti da qualche mese sembra tentato di chiedere voti non come il continuatore dell’opera sua ed i quella di Gentiloni; ma come il «nuovo» che torna, come l’uomo che riparte daccapo, e perciò prende in prestito temi classici del populismo, per esempio l’attacco all’Europa o a Bankitalia.
Ma proprio mentre lui insegue i Cinquestelle, accade che il centrodestra risorge dalla sue ceneri in una versione «governista» che assomiglia sempre di più a Tajani, a Zaia, a Maroni, a Musumeci, come la forza che può fermare il populismo grillino.
Il tripolarismo è un ambiente già di per sè molto ostile per un partito riformista; se poi lo stringe come in una morsa,da destra e da sinistra, rischia di stritolarlo.
(da “NextQuotidiano“)
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