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E TRE: SICILIA, INDAGATO PER TRUFFA E APPROPRIAZIONE INDEBITA DEPUTATO REGIONALE DI FORZA ITALIA IN APPOGGIO A MUSUMECI

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

RICCARDO SAVONA INDAGATO PER UNA SERIE DI COMPRAVENDITE IMMOBILIARI FITTIZIE

Truffa e appropriazione indebita. Con queste ipotesi di reato la Procura di Palermo ha iscritto nel registro degli indagati il neodeputato regionale Riccardo Savona, eletto nella lista di Forza Italia a Palermo (ex Udc) con 6.554 preferenze alle recenti elezioni regionali.
Secondo quanto riportato dai media, il parlamentare è indagato insieme alla moglie, Cristina Maria Bertazzo, per una una serie di compravendite immobiliari che gli investigatori considerano fittizie, “fatte all’unico scopo di farsi consegnare somme di denaro in contanti”.
Oltre 20 le denunce contro Savona, sia da Palermo che da Termini Imerese.
Chi le ha sporte rivuole indietro i propri soldi: si tratta di oltre mezzo milione di euro che la coppia si è fatta consegnare in contanti con la promessa di acquistare appartamenti a prezzi vantaggiosissimi.
Promesse a cui, però, non sarebbero mai seguiti i fatti, almeno a leggere le accuse contenute nelle denunce ai danni di Savona e di sua moglie.
In campagna elettorale, si ricorderà , l’allora candidato berlusconiano, deputato uscente riconfermato, era stato indicato dai Cinquestelle tra gli “impresentabili”, di fronte alle smentite del politico su presunte indagini sul suo conto Giancarlo Cancelleri, candidato a governatore del M5s, poi si scusò.
“Sono sereno. Non conosco le persone che mi accusano, non le ho mai viste. È tutta una farsa, un raggiro montato ad arte per farmi fuori anche politicamente. Mi auguro che i magistrati mi chiamino al più presto per mettere fine a questo incubo che ormai va avanti da mesi. Chiarirò tutto perchè sono totalmente estraneo alle accuse che mi vengono mosse” ha detto Savona all’AdnKronos.
Secondo le accuse, inoltre, la consegna del denaro sarebbe avvenuta nella segreteria politica di neodeputato. “Anche questo è falso — ha aggiunto Savona — Non ho mai visto le persone che mi accusano, non sono mai stati nella mia segreteria politica. È tutta una montatura per infangarmi”.
Savona è il terzo deputato rieletto a Sala d’Ercole finito nei guai dopo Cateno De Luca, eletto nell’Udc e arrestato nei giorni scorsi con l’accusa di evasione fiscale e tornato libero ieri dopo la decisione del gip di Messina di revocare i domiciliari, ed Edy Tamajo di Sicilia Futura, indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale.
Riccardo Savona è un politico di lungo corso: 65 anni, è alla sua quinta legislatura. È considerato tra i veterani del Palazzo dei Normanni e tra i più esperti in materia finanziaria avendo ricoperto il ruolo di presidente della commissione Bilancio nella passata legislatura e come semplice componente durante gli altri mandati. Ha sempre militato nell’area moderata, tra Ccd e Udc.
Dopo essere stato eletto nella lista di Grande Sud (la formazione politica che fu creata da Gianfranco Miccichè), all’inizio della scorsa legislatura Savona lasciò l’opposizione per aderire ai Drs, formazione democratica e riformista fondata dall’ex ministro Totò Cardinale poi scioltasi, che sosteneva il governo di Rosario Crocetta.
E proprio con l’ex governatore si deve un episodio che portò Savona a lasciare i Drs e la maggioranza.
Quattro anni fa, durante il congresso dei Drs a Campofelice di Roccella (Pa), chiudendo l’assise Crocetta dal palco urlò il suo anatema: “In questa sala c’è qualcuno che non ci deve stare e deve uscire immediatamente”, disse l’ex governatore, replicando il gesto che Pio La Torre aveva fatto 32 anni prima durante la conferenza di organizzazione del Pci a Palermo.
Savona, che seguiva i lavori dell’assise dalla platea, si alzò abbandonando il congresso mentre la gente in sala applaudiva Crocetta.
L’ex governatore si riferiva al presunto coinvolgimento di Savona in una indagine: il deputato era stato intercettato dalla Dia mentre parlava al telefono di affari con Vito Nicastri, l’imprenditore soprannominato il “re dell’eolico” e definito dagli inquirenti vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro.
Dopo avere lasciato i Drs, Savona passò all’opposizione per poi aderire, dopo qualche tempo, al gruppo parlamentare di Forza Italia.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA CONTRO-LEOPOLDA DI MARIA STELLA GELMINI

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

IN CONTEMPORANEA CON LA KERMESSE RENZIANA, MARIA STELLA RIUNISCE A MILANO VECCHI INTERLOCUTORI E NUOVI MONDI

Non è una vecchia stazione ferroviaria ritinteggiata e dal fascino un po’ rètro ma il più “prosaico” Excelsior Hotel Gallia di Milano.
Non è tuttavia la location a fare la differenza quanto chi ne varcherà  l’ingresso.
Dal 24 al 26 novembre, nel capoluogo lombardo che deve ancora smaltire l’amarezza per il sogno sfumato dell’Ema per un sorteggio andato male, ci saranno gli ospiti che contano. Rappresentanti di punta del mondo economico, produttivo, sindacale, bancario, professionale e della new-economy parteciperanno alla contro-Leopolda di Forza Italia organizzata da Maria Stella Gelmini, proprio mentre a trecento chilometri di distanza il Partito Democratico renziano si riunisce nella vecchia stazione di Firenze per la tradizionale kermesse da cui l’ex premier Matteo Renzi ha lanciato la sua scalata al potere. E dove un’altra Maria – Boschi – è deputata agli onori di casa.
Il parterre, si diceva, fa la differenza e restituisce l’immagine dell’Italia attuale: un centrodestra rinato e rinvigorito, ancora ebbro per la vittoria alle Regionali in Sicilia che – questo l’auspicio – rilancerà  la coalizione in vista delle elezioni politiche. Un centrodestra che attrae perchè, come si legge in questi giorni su tutti i quotidiani, “Berlusconi è tornato centrale”, e ogni ipotesi di governo della prossima legislatura dovrà  comunque passare al vaglio di Arcore.
Il mondo produttivo, sempre abile nel percepire i repentini cambiamenti del vento politico, è quindi accorso all’evento.
“È evidente che c’è delusione per l’operato del Governo Renzi ma al tempo stesso c’è interesse per il Paese. Rispettiamo la terzietà  di queste istituzioni e siamo disponibili all’ascolto perchè non riteniamo di avere la verità  in tasca”, dice Maria Stella Gelmini all’HuffPost.
Alla kermesse “La voce del Paese” organizzata dall’ex ministra dell’Istruzione e da Paolo Romani ci sono esponenti di tutti la classe dirigente.
All’occhio salta prima di tutto la presenza dei principali sindacati: Massimo Bonini, segretario lombardo della Cgil, il segretario nazionale della Cisl Gigi Petteni, l’omologo regionale della Uil Danilo Margaritella.
Un tavolo verterà  infatti su come far convivere lavoro e flessibilità . La partecipazione dei sindacati – per definizione considerati più affini al mondo della sinistra – a un evento organizzato dal partito di Silvio Berlusconi è forse il segno dei tempi.
“Non vogliamo ‘brandizzare’ i nostri ospiti”, si cautela Gelmini, “per noi i sindacati sono interlocutori indispensabili per parlare del mondo del lavoro da posizioni e ruoli diversi. Trovo assolutamente normale dialogare con loro su un argomento che rappresenta il primo punto dell’agenda del Paese”.
Ma ci sono anche esponenti di lobby e potentati.
Come il mondo delle professioni: presidenti, segretari e membri dei consigli nazionali di ordini professionali e quindi del notariato, della consulenza sul lavoro, dei farmacisti, dei medici, dei commercialisti.
Ancora: le associazioni di categoria tra cui spiccano il presidente della Confcommercio Carlo Sangalli, di Confartigianato Giorgio Merletti, della confindustria milanese Carlo Bonomi, della Coldiretti regionale Ettore Prandini.
Lo zoccolo duro, detta in altre parole, del sistema produttivo che ha fatto le fortune politiche di Silvio Berlusconi e al quale quest’ultimo torna a parlare da protagonista della vita pubblica.
Ma un evento che verrà  chiuso dall’ex Cav domenica a mezzogiorno, prima della sua attesa partecipazione da Fabio Fazio, non poteva non dedicare ampio spazio al tema della casa. Tutti i player del mattone ci saranno: Confedilizia, Assoimmobiliare, l’Ance e anche il presidente dell’ente regionale per l’edilizia popolare Angelo Sala. Perchè, ovviamente, il centrodestra non può prescindere dal mattone per costruire e puntellare consenso nazionale.
Che la manifestazione abbia un respiro profondo si capisce però anche dalla partecipazione del mondo bancario, quel settore che per il centrosinistra renziano si è rivelato letale, costato voti e reputazione al Partito Democratico.
Victor Messiah di Ubi Banca e Paolo Fiorentino di Banca Carige, Filippo De Felice di Intesa e Alessandro Azzi delle Bcc lombarde i nomi forti del tavolo di sabato 25.
Infine il mondo dell’innovazione con il direttore scientifico dell’IIT di Genova Roberto Cingolani e l’ad di Google Italia Fabio Vaccarono.
Due mondi per certi versi nuovi che ben testimoniano la volontà  di aprirsi ad aree della società  alle quali il centrodestra del passato non ha mai guardato con particolare attenzione.
Ovviamente non può mancare, per una kermesse dall’accento lombardo, la Compagnia delle Opere. E poi tutta la schiera dei politici di Forza Italia, con la partecipazione, come detto, del redivivo leader del centrodestra Berlusconi.
L’ex premier chiuderà  la kermesse, e i top player della classe dirigente italiana lasceranno a lui l’ultima parola. Anche da questo si capisce che Berlusconi è tornato.
E non è affatto una buona notizia per il Pd di Renzi, o quantomeno così pare.

(da “Huffingtonpost”)

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SICILIA, ELEZIONI A RISCHIO: RICORSI IN MASSA DEI CANDIDATI TROMBATI PER DOCUMENTAZIONI INCOMPLETE

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

“NEI MODULI IGNORATA LA LEGGE SEVERINO”… MUSUMECI PUO’ PERDERE 5 SEGGI, IL M5S QUASI TUTTI

“L’hanno già  fatto in Basilicata. Basta andarsi a leggere quella sentenza per capire che abbiamo ragione: poi se vogliono lavarsene le mani è un’altra storia”.
Giacomo Scala è arrabbiato. Anzi, vista la provenienza politica, è moderatamente arrabbiato.
Candidato alle elezioni regionali in Sicilia, non è riuscito a essere eletto. Nella sua lista, Sicilia Futura, il movimento fai-da-te dell’ex ministro dc Salvatore Cardinale, è arrivato primo: ha preso più di 5mila voti ma non sono bastati a far scattare il seggio nel collegio di Trapani.
“Ma adesso tutta la geografia dell’Assemblea regionale siciliana potrebbe cambiare”, spera l’ex sindaco di Alcamo che ha presentato ricorso al Tar.
Solo il primo di quella che si annuncia come una lunga serie di appelli di candidati non eletti. L’obiettivo comune è disarcionare i colleghi più fortunati dalla poltrona conquistata a Palazzo dei Normanni.
In che modo? È tutto spiegato nel ricorso di Scala: nei moduli per l’accettazione delle candidature distribuiti dagli uffici elettorali siciliani non era citata la legge Severino a proposito delle possibili incompatibilità .
Al contrario si faceva cenno alla legge numero 55 del 1990.
“Quella norma — dice però Scala — è stata abrogata dalla Severino che inserisce nuove cause di incompatibilità ”. In pratica secondo l’ex presidente dell’Anci Sicilia, che ha cominciato a chiedere l’accesso agli atti degli altri aspiranti consiglieri già  prima delle elezioni, molti dei candidati hanno presentato documentazioni monche. “Ma non si tratta di mancanze di poco conto — si lamenta — Trapani è la provincia di Messina Denaro e molta gente si è candidata senza la necessaria autocertificazione antimafia”.
Un caso già  sollevato prima delle elezioni ma rimasto praticamente congelato finora.
Il ricorso di Scala infatti rischia di avere un effetto domino sulle elezioni: in tutta l’isola sono diversi i candidati esclusi che stanno chiamando gli avvocati per imitare il politico di Sicilia Futura.
A Siracusa è pronto a fare ricorso Vincenzo Vinciullo di Ap, a Catania e Palermo gli altri alfaniani Marco Forzese e Francesco Scarpinato.
E poi Giuseppe Picciolo di Sicilia Futura e Pippo Laccoto del Pd a Messina, Salvatore Iacolino dell’Udc e Giovanni Panepinto del Pd ad Agrigento.
Un elenco che cresce di giorno in giorno, con i non eletti che hanno creato persino un gruppo Whatsapp: “La chat dei trombati speranzosi”, l’ha ribattezzata perfido Mario Barresi su La Sicilia.
“Siamo il movimento per il voto legale, ci sentiamo e aggiorniamo quotidianamente”, spiega Scala, che dopo aver esaminato decine e decine di moduli snocciola le liste che a suo parere non avrebbero rispettato le norme.
“Le liste in regola — spiega — sono quelle del centrosinistra e quindi il Pd, Sicilia Futura, Micari presidente. E poi Noi con Salvini, quella di Claudio Fava tranne in provincia di Trapani, e Diventerà  Bellissima di Nello Musumeci, che però ha problemi in due province. Il Movimento 5 Stelle, invece, sarebbe escluso in tutti i collegi: eleggerebbero solo Giancarlo Cancelleri come candidato governatore sconfitto”.
I pentastellati non commentano ma hanno chiesto dei pareri legali in merito e si dicono tranquilli.
Non replicano neanche le altre forze politiche, che vedrebbero completamente rivoluzionata la loro presenza all’Ars in caso di sentenza favorevole ai trombati.
“Il centrodestra passerebbe da 36 seggi a 31, ma cambierebbe parecchio: alcune liste supererebbero lo sbarramento come quelle di Ap”.
Sarebbe un mezzo terremoto. “È vero ma noi abbiamo rispettato le regole. E devono darci ragione a rigor di legge: stiamo chiedendo anche un incontro a Rosy Bindi”.
Sì, perchè mentre la commissione Antimafia non ha ancora finito di analizzare la situazione dei vari impresentabili, ecco che in Sicilia è già  spuntata una nuova tipologia di candidati: quella degli incandidabili del giorno dopo.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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AMA, SI E’ DIMESSO ANCHE IL DIRETTORE GENERALE STEFANO BINA

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

ERA STATO NOMINATO DALLA GIUNTA RAGGI … SEGUE IL DESTINO DELLA GIGLIO E DI SOLIDORO

Il direttore generale di Ama, Stefano Bina, ha rassegnato le sue dimissioni dalla carica nel corso della seduta del Cda dell’azienda romana di raccolta e smaltimento rifiuti. Il CDA ha accettato le sue dimissioni. Bina era in carica da agosto 2015. Proveniente dall’ASM di Voghera, Bina era stato nominato dalla Giunta Raggi e segue Antonella Giglio e Alessandro Solidoro nell’esodo di questi mesi dall’azienda dei rifiuti capitolina.
Solidoro aveva preso il posto di Daniele Fortini, amministratore delegato di Ama, che ebbe un duro scontro con l’allora assessore all’ambiente Paola Muraro, dimessasi anche lei per guai giudiziari. Nel maggio 2017 invece Antonella Giglio, amministratore unico che prese il posto di Solidoro fu licenziata ed estromessa dal cda.
Il direttore generale fa sapere di essersi dimesso “per motivi personali”.
Il Presidente e Amministratore Delegato Lorenzo Bagnacani ringrazia, anche a nome del Consiglio di Amministrazione, l’ingegner Bina per il lavoro svolto ed assume, a partire da oggi, le responsabilità  ad interim della direzione generale, fa sapere AMA in una nota.
Nei mesi scorsi si erano rincorse voci su dissidi con le altre figure che si erano alternate alla guida dell’azienda ma erano state smentite dall’interessato e da AMA. Oggi arriva l’addio.

(da “NextQuotidiano”)

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IL RETROSCENA DELL’EMA, LA SCELTA DI BERLINO E IL TRADIMENTO DI MADRID

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

OLANDA E DANIMARCA AVEVANO SCHIERATO IL LORO MINISTRO DEGLI ESTERI, L’ITALIA NO… ROSSI: “GOVERNO PASSIVO E INUTILE, GENTILONI PATETICO”

Il governo parla di “beffa” dal premier Gentiloni al ministro degli Esteri Alfano, i retroscena dei quotidiani in edicola puntano il dito sul “tradimento” di Madrid e sulla “scelta” di Berlino di puntare su Bratislava per connessioni territoriale e forse in cambio di un appoggio a Francoforte cui sembrava destinata l’Eba, l’agenzia sulla vigilanza bancaria che è andata invece a Parigi che ha “battuto” Dublino al sorteggio”.
La Slovacchia fuori dai giochi dopo il turno di votazione ha deciso di non votare più e così che si è creata la condizione per cui a votare erano in 26.
Insomma l’Italia è arrivata al sorteggio senza avere i 14 voti necessari ad aggiudicarsi la sede di Ema: qualcosa nella diplomazia non pare avere funzionato fino in fondo. Sostenuta da Grecia, Cipro, Romania, Malta e molti altri Paesi che hanno preferito mantenere la riservatezza, ora l’Italia mastica amaro dopo aver lavorato per mesi ad accordi e alleanze, rifiutando la logica dei blocchi, convinta che il lavorio forsennato di un team istituzionale bipartisan e compatto avrebbe portato a casa il risultato.
A Bruxelles però Amsterdam e Copenaghen (arrivata al rush finale) avevano schierato i loro ministri degli Esteri, Halbe Zijlstra (nella foto, ndr) e Anders Samuelson, mentre l’Italia era rappresentata dal sottosegretario alle Politiche europee Sandro Gozi.
E proprio su questo punto il presidente della Lombardia, Roberto Maroni, parte all’attacco: “Io e Sala abbiamo fatto tutto per costruire un dossier competitivo. Resta il dubbio che fra seconda e terza votazione, quando c’era bisogno di essere lì e bastavano due voti, se ci fosse stato il Governo, il presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri, magari le cose sarebbe andate diversamente”.
Lo ha detto il presidente della Lombardia, Roberto Maroni, sull’assegnazione di Ema. “Tutto si è giocato in mezz’ora. C’era il sottosegretario Gozi, forse una presenza più autorevole avrebbe fatto la differenza”.
Secondo Maroni, al posto del sorteggio, “sarebbe stato opportuno fare i calci di rigore, convocare Milano e Amsterdam al tavolo di Bruxelles, fare illustrare i due dossier e dopo l’Europa avrebbe dovuto assumersi le sue responsabilità : sono sicuro che in un confronto fra i due dossier, Milano avrebbe vinto. “Bisogna saper perdere? Se le regole sono giuste e la partita corretta. Qui c’è stata una scorrettezza. Anzi, un’incapacità  dell’Europa di assumersi le sue responsabilità ”.
Ma su questo punto risponde direttamente: Le regole per l’assegnazione delle agenzie europee Ema e Eba, compreso il sorteggio finale, “sono state prese dai 27 ministri degli Esteri, non è questo l’indirizzo cui chiedere” dice il portavoce della Commissione Ue Margaritis Schinas, interpellato a riguardo. Schinas ha anche negato l’esistenza di divisioni nell’Ue. “Oggi non c’è ragione per parlare di scarto Nord-Sud o Est-Ovest”.
A pesare sui risultati anche la stizzita astensione della Slovacchia dopo che Bratislava è finita fuori dalla gara al primo round.
È stata la defezione del Paese di Visegrad a far approdare la partita al pareggio (13 a 13 al ballottaggio finale Milano-Amsterdam) dopo le aspettative deluse. Data in pole position fino all’ultimo in virtù del criterio politico della ridistribuzione geografica, la capitale slovacca è stata infatti schiacciata dalla statura tecnica di Milano (25 punti), Amsterdam e Copenaghen (20 punti ciascuno), senza possibilità  di appello già  alla prima votazione.
La seconda ha eliminato la capitale danese, poi l’epilogo. Con l’ipotesi del tradimento della Spagna.
“Agenzia del farmaco. Perso 1 miliardo e mezzo. E ci vogliono far credere che è colpa di un sorteggio. Dispetto della Spagna, biscotto nordico a favore di Amsterdam, astensione della Slovacchia. Non è colpa della sorte… e non a caso si è arrivati al sorteggio. È incredibile leggere questa mattina il mantra autoassolutorio della classe dirigente del nostro paese sulla vicenda Ema” dichiara in una nota Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana e fondatore di Articolo Uno-Mdp.
“Patetico — ha aggiunto Rossi — il commento del nostro premier che accusa la ‘sorte’ senza una sola riflessione sulla sua conclamata incapacità  gestionale della vicenda. Mentre gli italiani tutti i giorni fanno i conti con le difficoltà  del mondo del lavoro dell’economia, della corruzione, dilagante e della mafia ancora una volta chi ci dovrebbe dirigere non esercita la pratica dell’assunzione di responsabilità , che dovrebbe distinguere le istituzioni serie e che chiedono rispetto. Si consuma con la vicenda dell’Ema l’evidenza plastica del crollo della nostra reputazione internazionale e di questo governo passivo e inutile”
Una sconfitta con accuse interne è stata invece quella spagnola, col ministro degli Esteri Alfonso Dastis che ha attribuito all’indipendentismo catalano di Carles Puigdemont la colpa dell’uscita immediata di Barcellona.
Mentre il ministro degli Esteri danese Anders Samuelsen si è lamentato perchè la Svezia “ha tradito la cooperazione nordica col voto a Milano”, facendo finire fuori dalla gara Copenaghen.
E pare che proprio la Spagna abbia guardato verso l’Olanda piuttosto che verso l’Italia.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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STRASBURGO, E’ L’ORA DI BERLUSCONI, DOMANI L’UDIENZA

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

DECIDONO 17 GIUDICI, INDEFINITI I TEMPI DEL VERDETTO CHE POTREBBE ARRIVARE ANCHE TRA UN ANNO

Sarà  una professoressa tedesca di Diritto pubblico, 54 anni, già  membro della Pontificia accademia delle Scienze sociali nominata da Benedetto XVI (bavarese come lei), a presiedere l’udienza della Grande Camera della Corte europea dei diritti umani che domani discuterà  il ricorso di Silvio Berlusconi contro la decadenza da senatore.
Angelika Nussberger, componente della Cedu dal 2011, sostituisce il giudice italiano Guido Raimondi, che avrebbe dovuto guidare il collegio ma ha deciso di astenersi; probabilmente per motivi di opportunità , poichè a suo tempo fu selezionato in una terna di candidati proposta dal governo Berlusconi.
Il suo posto, per il dibattimento di domani, sarà  preso dalla professoressa Ida Caracciolo, ordinario di Diritto internazionale a Napoli.
Oltre alla presidente Nussberger e alla giudice Caracciolo, la Grande Camera conta altri 15 componenti, in rappresentanza di altrettanti Paesi europei, dalla Grecia alla Macedonia, passando per Svezia, Montenegro e altri ancora (tra le nazioni non rappresentate ci sono le vicine Spagna e Francia).
Sono loro che dovranno stabilire se l’estromissione del fondatore di Forza Italia dal Parlamento, sancita 4 anni fa dal Senato sulla base del decreto varato dal governo Monti in applicazione della cosiddetta legge Severino, abbia violato oppure no almeno tre principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (irretroattività  delle sanzioni punitive, proporzionalità , diritto a un giudice imparziale).
Quei 17 giudici hanno già  letto e studiato le memorie e le contromemorie scritte, con gli argomenti dei ricorrenti che contestano la decisione del Senato e quelle del governo italiano che invece la difende, nonchè il parere della «Commissione di Venezia» a sostegno della legittimità  della norma e della procedura italiana; il parere contrario dell’ex presidente della Cedu Jean Paul Costa, presentato dall’Associazione radicale Marco Pannella, è stato invece escluso dagli atti.
Alle 9.15 di domani comincerà  l’esposizione orale.
Mezz’ora di tempo per ciascuna parte, che dovranno dividersi da un lato i tre avvocati di Berlusconi (Andrea Saccucci, Bruno Nascimbene e l’inglese Edward Fitzgerald) e dall’altro gli agenti del governo, i magistrati Maria Giuliana Civinini e Paola Accardo. Poi ogni giudice potrà  chiedere chiarimenti ai rappresentanti dei due schieramenti, i quali – al termine di una breve interruzione – risponderanno avendo a disposizione, sia gli uni che gli altri, 10 minuti.
In previsione di eventuali domande sulla condanna di Berlusconi a 4 anni di carcere per frode fiscale (da cui è scaturita l’estromissione dal Parlamento) la formazione dei difensori dell’ex premier comprende anche Franco Coppi e Nicolò Ghedini, che hanno seguito i processi.
Dopo quest’ultimo passaggio, la presidente Nussberger dichiarerà  chiusa la discussione e la Corte si ritirerà  in camera di consiglio.
Che si svolgerà , a più riprese, per un tempo indeterminato. Tanto sono prefissati e rigorosamente contingentati i tempi dell’udienza, infatti, tanto sono indefiniti e aleatori quelli necessari per il verdetto.
Mediamente i giudici di Strasburgo impiegano 9 mesi, ma per le questioni più controverse e delicate possono impiegare più di un anno e oltre.
Si dice che Berlusconi auspichi la sentenza a breve (e per questo vorrebbe che la scadenza elettorale in Italia slittasse al termine ultimo di maggio), sul presupposto che il suo ricorso venga accolto; nessuno però è in grado di confermare questa previsione, e in ogni caso per farlo tornare eleggibile ci vorrebbe l’ulteriore pronuncia di un giudice italiano.
Ma considerata l’imprevedibilità  dell’esito, anche una non-decisione prima del voto potrebbe tornargli utile; resterebbe incandidabile, ma ciò non gli impedirebbe di poter denunciare, nella campagna elettorale, una presunta violazione dei propri diritti.
Al contrario di una sentenza a lui sfavorevole.

(da “il Corriere della Sera”)

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COSA C’E’ DIETRO IL “PASSO DI LATO” DEL DIBBA

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

IL FREDDO E CALCOLATORE E’ LUI, NON DI MAIO… HA FATTO BENE I SUOI CONTI E HA CAPITO CHE TRA CINQUE ANNI DI MAIO SARA’ FUORI DAI GIOCHI

Sembra ieri quando Alessandro Di Battista se la prendeva con le “solite indiscrezioni mai provate” dei giornali che lo avevano tirato in ballo parlando di una sua “pausa”, di candidature o non canditature.
E invece era il 19 giugno 2017 quando il Dibba, stanco di essere oggetto di gossip, smentiva le voci riguardanti una sua possibile, eventuale, pausa dalla politica attiva. Voci che si rincorrevano da tempo ma che per Di Battista erano solo invenzioni frutto della fantasia (e diciamolo, della cattiveria) dei giornalisti.
Eppure quando dopo qualche mese a Rimini è stato mandato in onda il suo video messaggio (era appena nato il figlio Andrea e Dibba non era potuto andare alla kermesse del 5 Stelle) la faccenda era apparsa molto più chiara.
Di Battista aveva infatti detto: «È giusto non candidarsi, non è il mio ruolo. Mi sento un libero battitore. Ognuno ha il suo ruolo. Voglio essere totalmente libero di portare avanti le battaglie in cui credo». Ieri sempre su Facebook è arrivata la conferma che quelle voci non erano state inventate dai giornalisti cattivi al soldo di editori impuri ma erano la pura e semplice verità .
Dibba invece smentisce sè stesso, perchè aveva detto che fino alle prossime elezioni non avrebbe parlato di candidature o non candidature. Ed è chiaro che a questo punto a mentire non sono i giornali.
Alessandro Di Battista ha annunciato che non si ricandiderà  alle prossime elezioni. Si dedicherà  al figlio, a viaggiare, a scrivere un libro e a fare politica fuori dal palazzo e dalle istituzioni.
Il pentastellato però non lascerà  la politica. Lo aveva detto ad Annalisa Cuzzocrea de La Repubblica ad inizio ottobre: «Lasciare la politica? “Ma figuriamoci!”».
Anche perchè a Di Battista rimane ancora un mandato pieno. I 5 Stelle hanno infatti la famosa regola dei due mandati, che Di Battista ha spiegato vanno intesi come un arco temporale di dieci anni per fare politica. Cinque li ha già  fatti e se la matematica non è un’opinione cinque ancora gli restano da fare.
È da escludere l’ipotesi che Di Battista voglia candidarsi alla Regione Lazio a sostegno di Roberta Lombardi.
Le candidature per un posto in Consiglio Regionale infatti sono già  state chiuse, e Di Battista non si è presentato.
Il futuro politico di Di Battista dipende tutto da quella regola dei due mandati e dalla durata della prossima legislatura. Sulla prima non sembrano esserci dubbi, anche se quella dei dieci anni è un’interpretazione della regola che lascia spazio ad una deroga (se un mandato dura meno di cinque anni allora è possibile correre per tre mandati). La durata della prossima legislatura invece sarà  fondamentale per capire che ruolo Di Battista vorrà  giocare fra cinque anni.
C’è infatti chi sostiene che la scelta di Di Battista sia una sorta di “grande vaffanculo” alla vecchia politica. Insomma il pentastellato starebbe dicendo ai politici di professione che lui non ha bisogno di essere in Parlamento per continuare a fare politica e ad esistere come leader.
Anche perchè a quanto pare grazie al congruo anticipo ricevuto da Rizzoli per la pubblicazione del suo secondo libro (in uscita in questi giorni) la famiglia Di Battista potrà  vivere senza troppi pensieri.
Ma quello di Alessandro Di Battista non è tanto un “vaffanculo” alla tanto odiata Kasta quanto al suo compagno di partito Luigi Di Maio, l’uomo che ha sempre considerato “un fratello”.
Perchè non è difficile capire le ragioni profonde di questa scelta di vita.
Di Battista sa, come lo sa anche Di Maio e lo sanno i vertici del 5 Stelle che la prossima legislatura sarà  molto complicata per il MoVimento.
Il M5S è condannato a vincere ma con la nuova legge elettorale è improbabile che anche in caso di vittoria il prossimo governo sarà  un Governo a 5 Stelle.
Di Maio si troverà  in una situazione complicata e nuova, dovrà  trovare degli alleati, coalizzarsi, fare inciuci con la vecchia politica.
Da fuori Di Battista — che dei due è quello più movimentista e meno di palazzo — potrà  sostenerlo ma anche criticarlo, amorevolmente, come si fa con un fratello. Perchè lui si sente un battitore libero che avere la libertà  di portare avanti le battaglie in cui crede.
Senza contare che senza lui di mezzo un eventuale Governo Di Maio non soffrirebbe delle rivalità  (vere o presunte) tra i due. E nel malaugurato caso il M5S venisse sconfitto e andasse in pezzi (non si può stare all’opposizione per sempre) Di Battista sarà  lì, pronto a raccoglierne i cocci e a diventare il leader di nuova formazione politica o dello stesso M5S.
Quale delle due dipenderà  dalla durata della prossima legislatura, se sarà  breve Di Battista raccoglierà  lo scettro di Di Maio — il 5 Stelle difficilmente riuscirebbe a partorire nuovi leader in un lasso di tempo di un paio d’anni — se invece andrà  a scadenza naturale Di Maio sarà  fuori gioco e il Dibba avrà  campo libero.
Almeno così spera. Nel frattempo si prepara ad invadere le televisioni.

(da “NextQuotidiano”)

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PADRE SEDICENTE FASCISTA E IL CATECHISMO A ROMA NORD: DI BATTISTA HA COSTRUITO LA SCENEGGIATURA PERFETTA

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

TERZOMONDISMO, FOTO DEL CHE, LE EX: DA TESTIMONIAL A EROE GRILLINO

Se la mossa è stata preparata da tempo, stavolta è venuta bene. Se nasce da una valutazione esistenziale o aziendale, poco cambia: con l’annuncio «non mi ricandiderò», «sosterrò sempre il M5S, ma al di fuori dei palazzi istituzionali», Alessandro Di Battista fa quello che non t’aspetti da un politico, e dunque quello che più serve a un Movimento spesso appannato nella sua metamorfosi-partito: mostrarsi diverso dai politici tradizionali.
Che lo sia realmente, diverso, poco importa, adesso. La mossa di Di Battista così lo fa sembrare.
Se Di Maio è il suo D’Alema, Di Battista si candida a fare il suo Veltroni.
La sceneggiatura è stata costruita per tempo. Già  a settembre Dibba creò una buona suspense tra i suoi fan confidandosi con amici e facendo quindi uscire questa frase, «ragazzi, non so se mi candiderò di nuovo a questo giro. Ho voglia di fare tante altre cose. Ho voglia di tornare a scrivere».
E alla festa cinque stelle di Rimini non andò, rendendo evidente come fossero altre in quel momento le sue priorità : la nascita del primo figlio è sicuramente una di queste.
Si collegò in video, proprio lui, il più amato fisicamente dalla folla grillina, e disse «è giusto non candidarsi, non è il mio ruolo. Mi sento un libero battitore. Ognuno ha il suo ruolo. Voglio essere totalmente libero di portare avanti le battaglie in cui credo». Sconcerto tra la folla, che non ci volle credere.
I suoi fan speravano di no, i suoi detrattori si domandavano chi è che mai, in Italia, rinuncia a quella poltrona. E invece ieri sera, zac, colpo di scena.
Chi lo conosce dice che Di Battista ha detto «farò politica a modo mio»: si porta enormemente avanti nella battaglia politica, pronto a una leadership futura tra i grillini che a questo punto pare certa per acclamazione, sia quando sia.
Per ora può far politica anche facendo tour elettorali, in fondo è lui quello del papà  col busto di Mussolini nell’ingresso di casa, ma anche delle foto in brandina posando alla Che Guevara di Roma Nord, dei tour in scooter, delle «spremute di umanità » con cui Il Foglio lo sfotte; oppure scrivendo libri, con ottimi contratti editoriali: il prossimo sarà  un memoir dedicato alla sua paternità , per il gruppo Mondadori (immaginate anni fa cosa gli avrebbe detto Casaleggio, se avesse scritto per una casa editrice di Berlusconi).
Chi ragiona in chiave tutta politica vede solo che l’ex catechista della parrocchia di piazza dei Giuochi Delfici a Roma (l’altra catechista con lui era la moglie dell’allora governatore di Bankitalia Fazio, coi figli del quale Dibba era ottimo amico) si tiene pronto per il prossimo giro, in caso di durata breve della legislatura: Di Battista, così, non si sarebbe bruciato il secondo mandato. Ma sarebbe politichese, e questa mossa non appartiene (solo) al politichese.
Nella politica come performance per ottenere clic, produrre ads (pubblicità ) politiche sui social, e visualizzazioni, la scena intelligente della rinuncia di questo ex animatore di villaggi si vende benissimo.
Specie se recitata dal più telegenico dello spettacolo. Un performer costruito e coccolato dall’azienda: Di Battista fu scoperto e portato alla Casaleggio da Mario Bucchich, il socio storico di Gianroberto.
Casaleggio senior gli diede tremila euro per girare il Sudamerica e scrivere un libricino, poi risultato terzomondista (“Sicari a 5 euro”), venduto per Adagio (la casa editrice della srl). Partì a 25 anni, con l’allora fidanzata, stette in Colombia e Guatemala, poi ritornò per candidarsi (chiamato da Casaleggio; lui voleva restare).
Tornato, cominciò a suggerire di leggere Che Guevara e Marx ad amici che li avevano scoperti a 17 anni. Dibba è così, tocca una cosa e si convince di averla scoperta lui.
Ebbe altre fidanzate, per esempio la fascinosa A. G., moldava, annunciata in gran spolvero e poi sparita.
O la compagna attuale, che lo ha reso papà , una francese che potrebbe rivelarsi, anche, ottima consigliera.

(da “La Stampa”)

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I TREDICINE A PIAZZA NAVONA E QUANDO DI MAIO LI ACCOSTAVA A MAFIA CAPITALE

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

UN ANNO FA: “SAPPIAMO BENE IL SISTEMA CHE RAPPRESENTANO A ROMA”… E ORA IL NUOVO BANDO DEL COMUNE CON PONTI D’ORO PER LA FAMIGLIA CHE MONOPOLIZZA I MERCATI AMBULANTI DELLA CAPITALE

«Ma, anche se mi rubassero 100 foto, i Tredicine rimarrebbero sempre i Tredicine e la loro storia non cambierebbe: sappiamo bene chi sono e il sistema che rappresentano a Roma, come emerso da Mafia capitale»: era l’ottobre del 2016 e Luigi Di Maio era stato nettissimo quando una foto che lo ritraeva insieme al sindacalista degli ambulanti Dino, padre di Giordano.
Una frase pesante e magari anche potenzialmente diffamatoria visto che, a differenza di quello che pensano i 5 Stelle degli avversari politici (ma non dei loro candidati), la responsabilità  penale è personale.
Ma anche a suo modo divertente oggi, quando il bando per Piazza Navona e la tradizionale Festa della Befana organizzato dal Comune di Roma li vede pienamente trionfatori per i prossimi nove anni.
Intendiamoci, è tutto in regola. Ma perchè chi ha fatto le regole ha utilizzato come criterio dirimente per il bando quello dell’anzianità , cosa che ha favorito gli ambulanti storici come quelli della famiglia Tredicine.
L’anno scorso, dopo mesi di sedute dedicate all’argomento, la commissione Commercio non era riuscita a emanare l’avviso per il 2016.
Poi la delibera Coia ha stabilito definitivamente il carattere di Fiera della Festa, chiudendo dunque agli altri operatori e dando al criterio dell’anzianità  un ruolo di primo piano.
La graduatoria di quest’anno, poi, sarà  valida per 9 anni, così come stabilito dal bando: “La concessione dei posteggi — si legge- avrà  la durata di anni 9 a decorrere dall’edizione della Festa della Befana 2017/2018”.
E così su 28 posteggi, sei postazioni le vincono direttamente Dino, Tania, Mario e Alfiero Tredicine, altre sette vanno ad alcuni componenti della famiglia Cirulli, partendo da Anna Maria, moglie di Mario Tredicine.
I Tredicine strappano anche due delle tre postazioni destinate alla vendita dei palloncini (una ad Alfiero, l’altra a Sandro Cirulli).
Nell’area delle postazioni artigiani, infine, come era stato già  denunciato da Il Messaggero, su 20 stalli ne sono stati assegnati appena 9. C’è un altro aspetto, sempre sottolineato dal quotidiano: la graduatoria è arrivata con dieci giorni di ritardo, rispetto alle promesse dell’amministrazione.
Ed è stata resa nota proprio all’indomani del voto su Ostia.
In una nota, invece, il Comune di Roma si autoelogia per l’iniziativa elegantemente glissando sui vincitori del bando: “Finalmente romani turisti riavranno la festa della Befana a Piazza Navona — spiega l’assessore al Commercio Adriano Meloni — Questo è stato possibile grazie a un bando che ha fatto proprie le indicazioni per il rispetto del decoro di uno dei luoghi più belli al mondo e per la migliore gestione della sicurezza”.
Chissà  come sarà  contento Di Maio.

(da “NextQuotidiano”)

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