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DINASTY GENOVESE, NELLE CARTE DEL SEQUESTRO LA STORIA DI TRE GENERAZIONI: “CRIMINALITA’ DEI SALOTTI BUONI”

Novembre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

SEQUESTRATI 100 MILIONI AL CONSIGLIERE REGIONALE SICILIANO DI FORZA ITALIA CAMPIONE IN PREFERENZE: “PROVENTI DI RICICLAGGIO ED EVASIONE NASCOSTI IN SVIZZERA”… EVVIVA LA “BELLISSIMA” DESTRA DELLA LEGALITA’

“La faccia della criminalità  che vive nei piani alti e nei salotti buoni delle città , con abiti eleganti e quei grandi mezzi dalla capacità  attrattiva immensa, non certo emarginata come i ladri di strada, con la differenza però fornita dal dato economico che disvela le vere capacità  criminali“.
E poi: “Una sorta di autostrada dell’impunità  e della sottrazione di denaro e beni ad ogni controllo e tassazione, sia per le organizzazioni criminale che per le evasioni fiscali eccellenti“.
Ma anche il “riconoscimento, sia pur lento, della abissale differenza, per entità  di guadagni e gravità  di effetti economici, tra una criminalità  di strada (pur grave e pericolosa), spesso con proventi irrisori e sprogorzionati ai rischi, e criminalità  economica“.
Sono le parole messe nero su bianco dal giudice per le indagini preliminari di Messina, Salvatore Mastroeni.
Giudizi pesantissimi su quella che è una delle famiglie più note e potenti della città  ma anche dell’intera Sicilia: quella dei Genovese.
È un sequestro multimilionario — si parla addirittura di beni pari a cento milioni di euro — quello che ha colpito Francantonio Genovese, primo segretario del Pd in Sicilia, ora deputato di Forza Italia.
Era già  stato condannato in primo grado per associazione per delinquere, truffa, riciclaggio, frode fiscale, peculato perchè con enti controllati da lui e dai suoi familiari ha truffato la Regione siciliana.
Per questo motivo è accusato di aver sottratto al fisco 20 milioni di euro. “Resta oggettivo — scrive dunque il gip — che rubare allo Stato circa 20 milioni di euro è, con ogni distinguo che si voglia fare, molto più grave del prendere di notte, sulla pubblica via, un’autoradio o un motorino, pur condotte che in flagranza portano quasi automaticamente al carcere e rendono soggetti miserabili e non da frequentare, delinquenti”.
Un’inchiesta su una dinastia lunga 3 generazioni
Il decreto di sequestro, chiesto dal procuratore di Messina Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Sebastiano Ardita, infatti, ricostruisce la storia non ufficiale della dinasty dei Genovese: quella criminale, seppur dal punto di vista degli inquirenti e in fase d’indagine preliminare.
“È la singolare storia di questo procedimento, che vede operare una dinastia, con tre generazioni implicate, di cui il primo indagabile (teorico) è Luigi Genovese senior, in realtà  deceduto ed il fatto sarebbe prescritto, e con un ramo collaterale ancora più nobile, avendo riguardo a soggetto più volte deputato alla Camera e Ministro”, annota il giudice nel provvedimento.
Che parte dal padre di Francantonio — Luigi senior, senatore della Dc dal 1972 al 1994 — e che arriva al figlio del politico passato dal Pd a Forza Italia. Per la prima volta nel registro degli indagati, infatti, è finito anche il giovane Luigi Genovese, 21 anni, studente di Giurisprudenza appena eletto all’Assemblea regionale siciliana con più di 17mila voti nelle file di Forza Italia. È l’ultimo rampollo della famiglia, che ha appena ricevuto il seggio a Palazzo dei Normani in eredità  dallo zio Franco Rinaldi,   per volere del padre Francantonio.
Luigi, l’ultimo rampollo
Ma non solo. Perchè per gli inquirenti Genovese junior ha ricevuto in dote anche altro:   denaro, parecchio denaro che il padre con “recentissime operazioni illecite, spericolate se non grottesche” vuole “salvare dall’aggressione“.
“E così dal nulla si staglia la figura di Genovese Luigi junior, che diventa consapevolmente, firmando atti e partecipando alle manovre del padre, ricchissimo — si legge nelle carte dell’inchiesta — La circostanza della ricchezza improvvisa del genovese Luigi, il suo notorio ingresso in politica, il modo spregiudicato di acquisizione della ricchezza, danno la probabilità , sia pur per la visione cautelare di protezione dei beni e dei soldi dovuti allo Stato, che si verifichi la stessa attività  dispendiosa del padre”.
E dunque l’ipotesi del giudice è che il giovanissimo Genovese sia l’ultimo tassello di un puzzle che nel decreto di sequestro è descritto così:   “Il quadro è univoco circa 20 milioni di euro sottratti allo Stato e oggetto di riciclaggi ed evasioni sistematiche, conti offshore, ruoli parlamentari, mezzi ed introiti enormi, e peraltro, ciò, effettuato con indifferenza già  agli obblighi di un cittadino e nei confronti di uno Stato, e correlativamente di cittadini lesi dall’evasione fiscale”.
L’indagine nata a Milano  
L’inchiesta sul tesoro dei Genovese non comincia a Messina, ma molto più a nord: a Milano: “Il dato di base, che scopre un reato e che, per continuare ad evadere le tasse, ne innesca una serie impressionante e continua, è un atto di indagine che parte da Milano, dalla Guardia di Finanza di quella città  che indagava su una filiale di una banca svizzera e da cui emergeranno i conti svizzeri di ricchi italiani”. Alcuni mesi fa alle autorità  elvetiche era stato chiesto di svelare i nomi dei circa diecimila clienti italiani che avevano polizze assicurative considerate sospette.
Tra quei nomi era dunque spuntato anche quello di Francantonio Genovese, quel conto in Svizzera viene definito dal giudice come la “madre” di tutti gli illeciti. “Quel conto svizzero che non costituirà , per la famiglia Genovese, solo un tesoro immenso ma anche, come spesso succede col denaro, la scelta di campo di delinquere, senza poi più fermarsi, per proteggere sempre di più una ricchezza smisurata ma illegale”.
L’assicurazione alla Credit Suisse: “Soldi non sono noccioline”
“Appare evidente — si legge sempre nel provvedimento — che attraverso la sottoscrizione a proprio nome della polizza emessa formalmente da Credit Suisse (Bermuda) Ltd, con sede nelle isole Bermuda versando un premio di € 16.337.341,00. l’avvocato Genovese Francantonio abbia di fatto riciclato i proventi derivanti da reati fiscali perpetrati dal padre”.
Quei soldi, infatti, sarebbero stati depositate in Svizzera dal padre di Francantonio. “Sul punto, su quella somma enorme esportata all’estero, evadendo il fisco (neanche una teorica emergenza di produzione o donativi dall’estero su estero per detto soggetto), vanno fatte una serie di considerazione. Risibile è la dichiarazione che fa Genovese Francantonio, che la esportazione avviene quando ha un anno e non ne sa molto. Innanzitutto i soldi, a differenza delle noccioline, sono cosi tanti e di cosi tanto valore, che non si potrebbe pensare mai, almeno da una certa età , che vi sia stata una detenzione inconsapevole, e se tutto inizia con Genovese Luigi senior, il reato prosegue e tanti ne derivare e fanno capo al figlio, con moglie e figlio e parenti”.
“Il padre non guadagnava tanto”
Durante l’inchiesta che lo ha visto imputato, Genovese senior si è trovato più volte a dovere spiegare da dove arrivassero le sue fortune economiche: spesso senza convincere i giudici.
“Nel verbale di interrogatorio del data 14 aprile 2015, Genovese ha dichiarato, e ammesso, che: “Le somme investite le ho ricevute da un conto corrente di mio padre (si tratta di somme che sia mio padre e forse anche mia madre detenevano all’estero), la cui accensione risale agli anni ’70.
Già  su punto la puntuale indagine della procura, con consulenza tecnica, ha accertato che il padre dell’avvocato Genovese Francantonio, Luigi, non risultava avere redditi tali da spiegare il “tesoro” all’estero.
A fronte di una capacità  reddituale media per anno (convertita in euro) di 117.034,00, avrebbe accumulato la somma di € 16 milioni in modo esterno ad ogni legale acquisizione, fondando il giudizio che tali somme siano state oggetto e frutto di evasione fiscale”.
Un particolare lega Luigi Genovese senior a Francantonio: padre e figlio hanno sempre più denaro rispetto a quanto guadagnano. “Sulla base di quanto accertato dalla Guardia di Finanza di Milano, Genovese Francantonio ha sottoscritto, nel giugno del 2005, un prodotto finanziario (contratto assicurativo) con la società  Credit Suisse Life. Il prodotto finanziario in questione è, palesemente, finalizzato ad occultare capitali all’estero e consente di sfuggire anche alla tassazione sugli interessi maturati sui depositi di capitali detenuti in Svizzera.   Si tratta di un investimento — non dichiarato al fisco italiano — non compatibile con il volume d’affari ed il reddito conseguito e dichiarato da Genovese Francantonio sino all’anno 2005. Cioè si procede nell’attività  delittuosa del padre e con modalità  analoghe”.
“Quei soldi ereditati da mio padre”. Ma era ancora vivo
Diventa addirittura surreale la giustificazione fornita da Genovese quando nel 2013 trasferisce nel “principato di Monaco a partire dall’anno 2013, fondi di importo consistente (per l’ammontare complessivo di 10 milioni di euro) su un conto esistente presso un intermediario monegasco, la banca Julius Bar, e intestato alla società  panamense Palmarich Investments“.
Secondo le indagini degli inquirenti in quel caso Genovese e la moglie Chiara Schirò avevano giustificato quegli accrediti, affermando che si trattava di fondi provenienti “da una eredità  a seguito della morte del padre, Signor Luigi Genovese (testualmente dalle carte: “Portion of the inheritance received by Mr Genovese following the death of his father Mr Luigi Genovese”)”.
Solo che il giudice fa notare come “all’epoca dei fatti “il padre di Francantonio Genovese “risultava essere ancora in vita“. “Questo dichiarare morto il padre vivo è uno dei tantissimi escamotage cui quel “tesoro” ha costretto il Genovese, e che giudicherà  lui stesso, al condizionale eventuale, come fatto che sarebbe altamente spiacevole”.
Il ritorno in Italia: “Gli spalloni, trucco da Alì Babà ”
Ricostruita nell’indagine è anche la fase in cui Genovese prova a recuperare quel denaro: secondo l’accusa lo fa tramite spalloni, cioè persone che trasportano personalmente il denaro alla frontiera.
“Discorso plasticamente lesivo della dignità  del ruolo ma spia della capacità  di movimenti illeciti, è farsi portare miliardi in contanti dalla Svizzera da spalloni, riceverli in alberghi, di nascosto, scambiando parole convenzionali, una sorte di apriti sesamo che ricorda la favola di Ali Babà  e i 40 ladroni”.
Poi comincia una “impressionante attività  di dismissioni, avvalendosi appunto di figli e nipoti. Qui Genovese Francantonio si va spogliando di tutto, talvolta con trucchi banali, talvolta con una serie di sotterfugi, anche geniali, in un contesto complessivo, che sorretto dalla evidenza del fine e del metodo, non dà  alcun dubbio su gesti effettivi e reali di mera liberalità .
Al riguardo, come detto, la liberalità  non è prospettabile visto che ogni atto viene fatto apparire, magari faticosamente, ma oneroso per i beneficiari (curiosamente a Genovese Luigi passa un patrimonio enorme, con operazioni finanziarie, prestiti e sostanziali “pagherò)”.
È l’ultimo atto della dinasty. Per adesso.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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NELLE CELLE DEI BABY BOSS ENTRANO TELEFONI E DROGA

Novembre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

NEL CARCERE DI AIROLA IN UNA CELLA SCOPERTE ANCHE ANTENNE WI-FI E UN RUOTER…. IN QUELLE CELLE SONO RECLUSI I BABY BOSS DELLA “PARANZA DEI BAMBINI”

Neonati trasformati in corrieri della droga, cellulari, nascosti nelle parti intime femminili, introdotti durante i colloqui, antenne wi-fi installate nelle celle per telefonare e trasmettere messaggi all’esterno.
Nei penitenziari minorili della Campania accade questo e anche di più.
Ad Airola, in provincia di Benevento, dove sono reclusi i baby boss della cosiddetta «paranza dei bambini», feroci ragazzini che aspirano a scalciare i vecchi capi della camorra napoletana, il carcere è un luogo per dimostrare la loro potenza. Lo scorso 17 novembre sono stati sequestrati 25 grammi di hashish.
Li hanno trovati nell’ano di un detenuto, altri pallini di droga erano nello stomaco
«Quest’anno è l’ottava volta che sequestriamo droga in quel carcere – racconta uno degli agenti che presta servizio proprio ad Airola -. Entra di tutto. Durante la sorveglianza notturna ci siamo accorti di uno strano cicalare proveniente dalle celle. L’appostamento ci ha permesso di scoprire che i ragazzi erano in possesso di un micro telefono cellulare poco più grande di due monete da un euro. Lo usavano per chiamare i parenti ma anche per impartire ordini all’esterno».
Il baby boss in questione aveva scavato una nicchia nella suola della scarpa sinistra. Lo sfruttava per le sue comunicazioni ma anche come strumento di ricatto nei confronti degli altri.
«In cambio di una telefonata il compagno di cella doveva sottomettersi – spiega Emilio Fattorello, segretario regionale del sindacato di Polizia penitenziaria -. In questo modo creava il suo clan anche all’interno dell’istituto. In qualche modo erano riusciti a far entrare persino due antenne wi-fi e un router per la navigazione internet».
Non usavano la rete solo per le chiamate Whatsapp ma anche per postare su Facebook i selfie sorridenti in carcere.
Tra l’altro, si appoggiavano alla rete wi-fi gratuita e senza password del Comune di Airola per creare profili falsi con i quali probabilmente mandavano messaggi in codice.
Su questo sta indagando la Procura di Benevento che nei giorni scorsi ha inviato cinque avvisi di garanzia ad altrettanti detenuti per ricettazione.
Il rapporto tra poliziotti e detenuti è di uno a dodici, fa sapere il sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria.
“Ma siamo in difficoltà  anche perchè o non abbiamo proprio strumenti tecnologici come metal detector o raggi rx oppure li abbiamo ma non funzionano – denuncia Fattorelli -. Ciò che è emerso rappresenta solo quello che a occhi nudi siamo riusciti a notare.
L’altro giorno nel carcere di Avellino un collega è stato incuriosito dal modo in cui un detenuto abbracciava il figlio neonato durante i colloqui. Gli infilava ripetutamente le mani nei vestitini”.
In questo modo la Polizia penitenziaria ha scoperto che usavano il bimbo come corriere. La mamma aveva nascosto 80 grammi di hashish e un micro telefono cellulare tra il pannolino e la tutina.
In altri casi sia gli ovuli di droga che i microtelefoni venivano occultati nelle parti intime delle mogli che andavano a fargli visita.
«Questa situazione si è aggravata da quando hanno consentito l’ingresso negli istituti minorili di ragazzi adulti, anche di 24- 25 anni, che fuori sono già  dei capi – sottolinea Donato Capece, segretario generale del Sappe -. Senza contare che le disposizioni ministeriali ci invitano a evitare controlli oppressivi e raccomandano verifiche saltuarie per non turbare il minore. Invece dovremmo renderci conto che questi non sono ragazzini normali. Comportamenti così spavaldi servono proprio per dimostrare all’esterno che sono in grado di comandare anche in situazioni estreme come il carcere. In pratica fanno in cella l’università  del crimine per poi diventare fuori i boss di domani».

(da agenzie)

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FIRENZE, INCIDENTE PROBATORIO, LE STUDENTESSE AMERICANE CONFERMANO LE ACCUSE: “VIOLENTATE DAI CARABINIERI”

Novembre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

DRAMMATICA UDIENZA: UNA DELLE RAGAZZE SVIENE MENTRE RICOSTRUISCE LA VIOLENZA SUBITA… “ACCUSE CONFERMATE SENZA ALCUNA CONTRADDIZIONE”

«Siamo state violentate dai due carabinieri». Le due studentesse americane, 20 e 21 anni, hanno confermato le loro accuse nei confronti dei due carabinieri Pietro Costa, 32 anni, e Marco Camuffo, 44 anni, indagati dalla Procura di Firenze per violenza sessuale e sospesi dal servizio dall’Arma.
Le accuse sono state confermate nell’incidente probatorio che si è svolto ieri nell’aula bunker di Firenze quasi per l’intera giornata.
L’udienza davanti al Gip del Tribunale, Mario Profeta, è iniziata alle 10 ed è terminata a notte fonde, intorno alle 23, con due brevi pause per il pranzo e la cena a base di panini.
L’incidente probatorio è servito per “cristalizzare” il racconto delle due ragazze statunitensi nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta violenza sessuale da parte di due carabinieri in servizio la notte del 7 settembre scorso nel capoluogo toscano. Ciò consentirà  alle due studentesse di non tornare più in Italia in caso di processo ai due militari.
I difensori delle studentesse statunitensi hanno concordato sul fatto che l’incidente probatorio ha rafforzato l’ipotesi accusatoria iniziale nei confronti dei due carabinieri e non sono state inficiate in alcun modo le testimonianze rese immediatamente dopo il fatto.
Le lunghe deposizioni delle giovani americane sono durate rispettivamente circa 7 ore la prima e cinque ore e mezzo la seconda.
All’uscita dell’aula bunker, ieri notte, gli avvocati hanno sottolineato che sono state fatte solo brevi pause per le necessità  personali.
I legali delle due studentesse, gli avvocati Gabriele Zanobini e Francesca D’Alessandro, hanno spiegato ai giornalisti che le loro assistite hanno confermato «senza contraddizioni» durante l’incidente probatorio i loro rispettivi racconti sullo stupro subito, nonostante le numerose domande che i difensori dei due militari avevano chiesto di fare al giudice nella forma della modalità  protetta con cui sono state sentite.
Sempre secondo quanto riferito dai due legali, ci sono stati «momenti drammatici e di sofferenza» durante le due deposizioni, e la ventunenne è scoppiata in lacrime quando le è stato chiesto di ricordare il momento dello stupro e poi sarebbe svenuta.
“La maggior parte delle domande proposte dai difensori era irrilevante, senza nessuna capacità  di spostare l’ipotesi accusatoria iniziale, che, invece, si è rafforzata”. L’avvocato Francesca D’Alessandro, che assiste l’americana di 21 anni, la prima ragazza ad essere stata sentita, ha aggiunto che “le testimonianze confermano tutto, senza alcuna contraddizione, anche rispetto a domande ripetitive e ininfluenti”, “l’incidente probatorio non ha inficiato le testimonianze iniziali”.

(da agenzie)

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UN SENZATETTO LE REGALA GLI ULTIMI 17 EURO CHE HA PER FARE BENZINA, UNA RAGAZZA NE RACCOGLIE PER LUI 114.000 IN 12 GIORNI

Novembre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

LEI ERA RIMASTA A SECCO SULL’AUTOSTRADA: “NON HA CHIESTO NIENTE IN CAMBIO, MI HA DONATO GLI ULTIMI SOLDI CHE AVEVA”

Rimanere senza benzina mentre si percorre l’autostrada e non si hanno spiccioli in tasca è un’esperienza che nessuno vorrebbe provare, ma Kate McClure, una ragazza di 27 anni, ha dovuto fronteggiare la situazione su l’interstatale 95, a Philadelphia.
In suo aiuto, però, è accorso un veterano della marina americana caduto in disgrazia e costretto a vivere da barbone per strada: l’uomo le ha regalato gli ultimi 20 dollari che aveva, senza pretendere nulla in cambio, ma lei non ha dimenticato il gesto di solidarietà  e ha raccolto per lui 114 mila dollari in soli 12 giorni.
“Quando la mia macchina si è fermata, poco prima di mezzanotte, non sapevo cosa fare” ha raccontato Kate. “Il cuore mi batteva all’impazzata”.
La ragazza, allora, ha telefonato al fidanzato, Mark D’Amico, chiedendogli di raggiungerla. E stato proprio in quel momento che Johnny Bobbitt Jr. è intervenuto, comparendo praticamente dal nulla.
Il senzatetto ha consigliato alla donna di chiudersi all’interno della sua auto, mentre lui si sarebbe recato a comprare del carburante.
L’uomo l’ha quindi aiutata a ripartire, ma Kate non aveva soldi per rimborsarlo.
Un paio di giorni dopo, allora, la 27enne e il fidanzato sono tornati nel medesimo punto dell’interstatale 95, per portare vestiti, cibo e contanti al benefattore.
Johnny si è aperto con loro e ha raccontato il suo passato nella marina statunitense. Nella vita precedente del 34enne c’è anche il lavoro come pilota di elicotteri per le emergenze, una relazione d’amore finita nel 2014, l’affetto di un cane.
È negli ultimi 18 mesi che la sua storia ha preso una brutta piega, tra problemi di soldi e con la droga.
“Sono in mezzo a una strada per mia stessa volontà ” ha voluto comunque precisare Johnny. “Non ho nessuno da incolpare, se non me stesso”.
La coppia è tornata più volte, nei giorni seguenti, a trovare l’uomo, portandogli ogni volta qualcosa di nuovo, alimenti o vestiario che poi Johnny amava condividere con i suoi amici senzatetto.
A quel punto, in Mark e Kate è sorta la voglia di cambiare la vita di quell’uomo e l’idea è stata quella crowfunding tramite la piattaforma GoFundMe.
Nel giro di una dozzina di giorni, la coppia è riuscita a racimolare più di 114 mila dollari, e la campagna di finanziamento non è ancora terminata.
I soldi verranno utilizzati per dare a Johnny una casa, un cellulare, dei vestiti, il cibo e un mezzo di trasporto. Come ha sperimentato Johhny, quindi, vale sempre la pena aiutare gli altri.

(da agenzie)

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LIBERATE CYNTOIA BROWN! MOBILITAZIONE NEGLI USA PER LA REVISIONE DEL PROCESSO

Novembre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

NEL 2004 SPARO’ ALL’UOMO CHE LA STUPRAVA E COSTRINGEVA A PROSTITUIRSI: AVEVA 16 ANNI MA FU CONDANNATA ALL’ERGASTOLO COME UN’ADULTA

Liberate Cyntoia Brown, la ragazzina che uccise il suo aguzzino.
Sull’onda lunga dello scandalo Weinstein decine di star – da Rihanna a Kim Karadashian – sono scese in campo per chiedere la revisione del processo che nel 2004 condannò all’ergastolo la ragazza minorenne.
Che costretta alla prostituzione da un uomo di 43 anni chiamato Johhny Mitchell Allen detto significativamente “cut throat”, il tagliagole, durante l’ennesima violenza sessuale riuscì ad ucciderlo impossessandosi della sua pistola.
Nonostante il fatto che Cyntoia avesse alle spalle una storia di soprusi sessuali lunga tre generazioni e fosse caduta giovanissima nelle mani dei trafficanti di sesso, lo stato del Tennessee l’aveva ugualmente condannata al massimo della pena per l’assassinio del suo aguzzino, giudicandola come un’adulta e aggiungendo l’aggravante della prostituzione.
C’è voluta l’ondata di denunce legate al caso Weinstein per riportare la storia di Brown, che oggi ha 29 anni ed ha già  trascorso in carcere quasi metà  della sua vita, sulle prime pagine dei giornali.
Grazie a una serie di post su Twitter e Instagram subito diventati virali con le immagini di un documentario girato nel 2011 dal filmaker Daniel Birman.
Un film durissimo che raccontava attraverso la testimonianza in prima persona della ragazza gli abusi fisici e sessuali subiti:
“Non aveva scappatoie” ha spiegato Birman in una recente intervista alla rete locale Fox17 Nashville. “Nata e cresciuta in una famiglia dove le violenze sessuali si sono ripetute per tre generazioni”.
Durante il processo del 2004 Cyntoia aveva raccontato nei dettagli ai giudici come il suo aguzzino la picchiasse, soffocasse e stuprasse regolarmente anche con una pistola. E i suoi avvocati avevano cercato invano di spiegare che erano stati proprio quei traumi a farle impugnare la pistola.
Non c’era stato nulla da fare: la sentenza era stata durissima, ergastolo con la possibilità  di ottenere la libertà  su parola solo dopo aver scontato 51 anni in carcere.
Quando nel 2011 Birman presentò il suo documentario la vicenda fece molto scalpore: al punto che i legislatori del Tennessee cambiarono la legge stabilendo che l’imputazione di prostituzione potesse essere formulata solo per ragazze maggiorenni. Le altre andavano considerate come vittime.
Peccato, però, che non si volle dare validità  retroattiva: Brown rimase in carcere. Qui la ragazza ha studiato: si è diplomata e ora sta scrivendo la sua tesi di laurea.
Ora, dopo che si è tornati a parlare del suo caso, una petizione è stata lanciata online affinchè si faccia presto una revisione del processo.
Le star del mondo del cinema e della musica si stanno mobilitando in suo aiuto: l’hashtag #freeCyntoiaBrown è già  diventato virale.
E chissà  che qualcosa, per la ragazzina nera che voleva solo vivere una vita normale, non possa finalmente cambiare.

(da agenzie)

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LA FOTO BUFALA DELLA BOSCHI E DELLA BOLDRINI AL FUNERALE DI RIINA

Novembre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

FATTA GIRARE SUL WEB DAI SOLITI PREZZOLATI RAZZISTI UNO SCATTO FASULLO, MA NESSUNO LO RIMUOVE… CHI L’HA INSERITO E’ UN SOSTENITORE DEL M5S

L’account chiamato Mario De Luise ieri è riuscito nel capolavoro di diventare la barzelletta di Facebook per aver pubblicato sul suo profilo una foto con la scritta “Guardate chi c’era a dare l’ultimo saluto a Totò Riina”, ovviamente falsa visto che ritraeva, tra gli altri, Maria Elena Boschi e Laura Boldrini al funerale di   Emmanuel Chidi Nnamdi, l’uomo di nazionalità  nigeriana morto dopo una rissa con Amedeo Mancini a Fermo.
Secondo quanto è scritto nel profilo, la persona sarebbe un infermiere professionale che lavora all’ospedale Pertini.
C’è da segnalare che nessuno sembra essersi accorto del credit che si trova sulla foto, ovvero quello della pagina Facebook Amici dello Scalcio (ma il meme non c’è sulla loro pagina)
Così come è divertente notare che quando tra i commenti qualcuno ha fatto notare che la foto non riguardava nessun fantomatico “ultimo saluto” a Totò Riina c’è chi ha avuto il coraggio di scrivere che alla fin fine, anche se era una bufala, andava bene lo stesso.
“Guardate questo profilo, spero falso. Guardate che schifo. Sono mesi che subisco e subiamo di tutto, ma qui si passa il limite. Tirano in ballo persino il capo della mafia contro di noi. Dobbiamo dire basta alle falsità  e all’odio. Dobbiamo difendere la verità ”, ha scritto Maria Elena Boschi su Twitter.
D’altro canto, di Maria Elena Boschi circola da anni una falsa foto in perizoma che è arrivata persino in USA, mentre è inutile ricordare la persecuzione via fake news che da anni subisce Laura Boldrini.
Mentre non ha certo aiutato il fatto che l’account avesse nella foto profilo l’invito a votare un partito politico (il MoVimento 5 Stelle).
E stupisce che nonostante le migliaia di commenti che lo avvertono della bufala il tizio non abbia ancora pensato di cancellare la foto, ma l’abbia invece ricondivisa più volte.
Ma basta dare un’occhiata al resto del profilo di Mario De Luise per notare che il proprietario dell’account utilizza Facebook proprio per condividere   e “far girare” i tanti “fotomontaggi dellagggente” che da secoli ormai circolano sul social network e diffamano politici e cittadini senza che Facebook si sia mai posto il problema di combatterne la proliferazione.
Non solo: la foto, nonostante le millemila segnalazioni che saranno arrivate ieri sulla scorta delle denunce pubbliche della ministra, si trova allegramente ancora lì, così come l’intero profilo.
Facebook, che ieri si è scusato con la figlia di Totò Riina per aver eliminato un post che conteneva messaggi di condoglianze per la morte del padre, non ha ritenuto di dover rimuovere lo scatto.
Lo stesso Facebook che elargisce ban a chi usa parole come “negro” anche in senso ironico. Ecco cosa ci insegna questa vicenda: la gggente continuerà  allegramente a condividere queste cose e se ne fregherà  del fatto che sono false e i social network continueranno a dare spazio perchè sviluppano flame che aumentano il tempo passato dagli utenti nel sito.
Combattere queste cose è come governare gli italiani: non impossibile, ma inutile.

(da “NextQuotidiano”)

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E QUATTRO: LUIGI GENOVESE, ELETTO IN REGIONE SICILIA A SOSTEGNO DI MUSUMECI, INDAGATO PER RICICLAGGIO ED EVASIONE FISCALE

Novembre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

LA GDF GLI HA SEQUESTRATO BENI MOBILI E IMMOBILI PER 30 MILIONI DI EURO… IL PADRE E’ GIA’ STATO CONDANNATO A 11 ANNI

Luigi Genovese, lo studente di 21 anni appena eletto all’Ars per Forza Italia, è indagato per riciclaggio nell’ambito di una inchiesta della Procura di Messina. Indagato anche il padre, il deputato Francantonio Genovese.
I finanzieri del Comando Provinciale di Messina questa mattina hanno eseguito un sequestro di beni mobili e immobili riconducibili ai due Genovese.
Secondo gli inquirenti, dopo la condanna a 11 anni, Francantonio Genovese avrebbe intestato parte del suo patrimonio al figlio, su conti esteri.
Le indagini hanno inizialmente consentito di trovare fondi esteri per un ammontare pari ad oltre 16 milioni di euro, schermati da una polizza accesa attraverso un conto svizzero presso la società  Credit Suisse Bermuda.
A Messina Genovese ha racimolato 17.359 preferenze sotto le insegne azzurre.
Un record per un giovanissimo della politica, studente universitario, ma soprattutto figlio di un padre dalla grande influenza.
Quel Francantonio Genovese, deputato, antico ras del Pd di cui è stato segretario regionale nel 2007, poi passato in Forza Italia, con alle spalle una pesante condanna a 11 anni nell’ambito del processo sui ‘Corsi d’oro’ della formazione professionale. Rampollo dunque di una influente dinastia, Genovese Jr, di cui adesso è ufficialmente anche il prolungamento politico.
Secondo l’accusa, che indaga per lo stesso reato anche Chiara Schirò, madre di Luigi e moglie di Francantonio, i Genovese avrebbero usato quella che nel gergo si chiama la “tecnica dell’altalena”.
Per mettere al riparo 16 milioni provento del riciclaggio e per sottrarsi al pagamento delle imposte e delle sanzioni amministrative collezionate, che hanno raggiunto circa 25 milioni di euro, Francantonio Genovese si è spogliato di tutto il patrimonio finanziario, immobiliare e mobiliare a lui riconducibile, attraverso la società  schermo GE.FIN. s.r.l. (ora L&A Group s.r.l.) e Ge.Pa. s.r.l., di cui deteneva il 99% ed il 45% delle quote sociali, trasferendolo al figlio Luigi insieme a denaro proveniente dal precedente riciclaggio.
Le partecipazioni societarie sono state dismesse attraverso operazioni strumentali: è stata deliberata la riduzione del capitale sociale delle società , al di sotto della soglia di legge prevista dalla legge, per far fronte alle perdite artificiosamente generate dagli stessi indagati.
Poi è stato disposto il ripianamento delle società  attraverso un nuovo versamento di capitale a carico dei soci.
Anzichè provvedere in prima persona, nonostante ne avesse le possibilità  finanziarie, Francantonio Genovese ha dichiarato di rinunciare alla qualità  di socio per mancanza dei fondi necessari, poche decine di migliaia di euro, per partecipare all’aumento di capitale, permettendo così, ex novo, l’ingresso in società  del figlio, Luigi, privo di risorse economiche proprie.
Questo ha permesso a Genovese di vanificare gli effetti del pignoramento che sulle sue quote era stato effettuato da Riscossione Sicilia.
«I miei voti? Merito mio»
Ospite di “Un Giorno da Pecora”, su Rai Radio1, qualche settimana fa Luigi Genovese aveva detto che i suoi voti erano merito suo: “I voti sono stati dati a me, me li sono guadagnati sul campo conoscendo tanta gente e coinvolgendo i giovani che sono estranei alla politica”.
Alla domanda se conoscesse tutti quelli che lo avevano votato, Genovese jr ha risposto: “Penso di sì, anche perchè voi mi insegnate che per prendere tante preferenze bisogna conoscere almeno il doppio delle persone”. “Ho solo la tessera di FI, prima non ne ho avute altre. Prima di queste elezioni ho votato solo per Gianfranco Miccichè alle europee”. Infine, su Berlusconi: “Silvio — ha spiegato — è un sole che illumina, come dimostra la sua ‘discesa in campo’ in Sicilia”.

(da agenzie)

argomento: Giustizia | Commenta »

GHEDINI: “POSSIBILE CANDIDARE BERLUSCONI CON RISERVA”

Novembre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

IL LEGALE OTTIMISTA SULLA SENTENZA

“Siamo cautamente ottimisti sulla sentenza della Cedu, perchè la questione è stata ritenuta rilevante e seria”.
Ad affermarlo è Niccolò Ghedini, legale di Silvio Berlusconi, intervistato da Radio Anch’io, aggiungendo che “in ogni caso l’8 marzo 2018 sarà  possibile presentare un’istanza di riabilitazione in Italia per Silvio Berlusconi.
Questo estinguerebbe gli effetti della legge Severino.
È tecnicamente possibile – anticipa il senatore – anche una candidatura con riserva. La decisione la prenderà  lo stesso Berlusconi”.
Parla al Messaggero un altro del pool dei legali difensori di Berlusconi, Franco Coppi, il quale non azzarda previsioni, ma lascia trapelare fiducia nella sentenza di Strasburgo. Un ottimismo che sostanzia in punta di diritto, sostenendo che la Legge Severino non possa essere applicata al passato:
“La natura penale della norma si porta dietro a cascata tutti i principi che riguardano la sanzione, applicata retroattivamente. Lo è, ma anche se non fosse una norma penale, va detto che neppure le sanzioni amministrative possono essere retroattive. In questo caso, comunque, si tratta di una vera e propria pena accessoria, conseguente a una condanna” […] “Una sentenza favorevole cancellerebbe la decadenza e l’incandidabilità  e sarebbe immediatamente operativa nell’ambito dell’ordinamento”.
Scrive la Stampa che l’attesa di Berlusconi è all’insegna del relax, senza stress:
“Berlusconi è solo l’ultima celebrità  nel carnet del Palace Hotel di Merano, lussuosissimo albergone fuori dipinto nel tipico giallino asburgico e dentro pieno di famosi e non (ma comunque danarosi: per 6 giorni di cure detox si parte da un minimo di 3.640 euro) che deambulano da un massaggio a un check up in accappatoio e pantofole. Qui officia il mago del benessereo Henri Chenot: per lui l’attuale Silvio Berlusconi dimagrito e ringiovanito è quasi uno spot vivente”.

(da “Huffingtonpost”)

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UN POLITICIZZATO NE ACCUSA UN’ALTRO: LA POLIZIA E’ DAVVERO MESSA MALE

Novembre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

IL SINDACALISTA DEL SAP CHE CONTESTA LA PRESENZA DEL CAPO DI GABINETTO STEFANO GAMBACURTA IN UN VIDEO SUL BLOG DI GRILLO

Gianni Tonelli, sindacalista del SAP, scrive oggi a Libero una lettera aperta a Franco Gabrielli in cui si lamenta della presenza di Stefano Gambacurta, capo di gabinetto del prefetto, in un video del MoVimento 5 Stelle in cui si illustra uno dei punti del programma grillino, quello relativo alla riorganizzazione delle forze di polizia.
Il Prefetto Gambacurta è tutt’oggi in servizio ed ha ricevuto da Lei l’incarico di seguire il progetto di riforma del Dipartimento della P.S. Contestualmente oggi è anche parte integrante e promoter del programma elettorale di un partito col quale anche io ho più volte, come con altri, collaborato.
Ho infatti partecipato alle loro dirette streaming, alle loro riunioni, ho inviato pareri e risposto a quesiti, oltre a doverli infinitamente ringraziare per il grande sostegno che mi hanno gentilmente fornito durante il mio sciopero della fame durato 61 giorni contro la repressione illecita di libertà  costituzionalmente garantite a danni di rappresentanti del Sindacato Autonomo di Polizia che rappresento.
Io non mi sono nascosto dietro incarichi istituzionali, ci metto la faccia e ho scelto di sviluppare un’attività  sindacale di rappresentanza dei miei colleghi da considerarsi pertanto, politica in senso lato. Vuole forse farmi credere che di questa vicenda non ne sapeva nulla
Tonelli sembra lamentarsi non tanto della presenza di Gambacurta, quanto di essere stato richiamato per aver fatto la stessa cosa:
Cosa dire poi del fatto che continuamente sono stato sottoposto da parte Sua a pungenti critiche perchè osavo mettere in pubblico i nostri panni sporchi, denunciando sul circuito mediatico le nostre carenze e la debilitazione del più importante apparato del Paese, ossia quello della sicurezza.
Cosa devo pensare ora, quando facendo il mio nome, mi ha accusato di voler ambire ad uno scranno parlamentare? Che forse Lei ambiva allo scranno ben più autorevole di Ministro dell’Interno? Le ricordo, signor Capo della Polizia, che lei ha fatto riaprire un procedimento disciplinare finalizzato alla irrogazione della punizione con la sospensione dal servizio contro un dipendente, perchè,a suo parere, a causa di una modesta attività  politica, avrebbe danneggiato l’immagine della Polizia. Forse aveva sbagliato partito?

(da “NextQuotidiano”)

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