Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
LA VERA CORSA TRA SALVINI BATTITORE LIBERO, LA MELONI INCASTRATA TRA LEGA E I SUOI DEL NORD E LA STANCHEZZA DI SILVIO
Ci si è arrivati tardi, ci si è arrivati male, ci si è arrivati nel modo sbagliato. 
Un errore grave il modo in cui si è arrivati a candidare Stefano Parisi alla carica di Governatore del Lazio per il centrodestra.
Uno sbaglio di metodo che rischia di essere fatale. Imperdonabile nel momento in cui a commetterlo è Silvio Berlusconi: il grande ammaliatore degli elettori, l’irresistibile seduttore di scontenti ed indecisi, il potente attrattore di tutto l’elettorato di faglia lungo la traiettoria che può portarlo verso di lui.
Al Grande Persuasore sarebbe bastato dire: “E va bene, visto che la politica tarda ad arrivare ad una sintesi vorrà dire che tirerò fuori la soluzione che ho pronta già da mesi. Avrei utilizzato Parisi in un’altra partita ma se serve al Lazio vorrà dire lo candiderò qui e non in Parlamento. Dopotutto è da mesi che scrivete di Tonino Tajani impegnato a sondare il mondo delle imprese“.
Invece no. Alla fumata bianca per la candidatura si è arrivati dando l’impressione dei disperati che annaspano sempre di più, pronti ad aggrapparsi al primo tronco portato dalla corrente pur di non affogare.
Replicando per la terza volta il dramma dell’impreparazione già andato in scena con la scelta del candidato per le scorse Comunali di Roma (caos identico a quello di questi giorni e regalo del Campidoglio ai Cinque Stelle) e prima ancora con la mancata presentazione della lista PdL in Regione ai tempi di Renata Polverini (la colpa fu data ad un panino, le leggende narrano verità molto più imbarazzanti).
L’ILLUSIONE DEL PARTITO
Il problema è che il panorama politico attuale è rappresentato da ‘non Partiti’. Da ologrammi. Proiezioni senza sostanza di ciò che un tempo erano strutture organizzate in maniera efficientissima e quasi militare. Capaci di selezionare con mesi di anticipo il candidato da schierare, in modo da potergli costruire con tutta calma la strada verso l’elezione.
Agire in un’illusione di Partito ha anche un’altra conseguenza: non esiste la struttura che dai territori arriva al vertice, non ci sono insomma le spinte che dal territorio riescono a far arrivare ai vertici i problemi locali, quelli che la gente si aspetta vengano risolti. Tutto avviene invece nella direzione opposta: dal vertice verso la base. Per calare dall’alto i candidati.
Se la gente ha smesso di affezionarsi alla Politica è anche perchè non si occupa delle sue esigenze e manda a rappresentarla persone in cui non si riconosce.
La scelta dei candidati questa volta ha suscitato sconquassi che non si vedevano da anni
LA VERA PARTITA? NON È IL LAZIO
Sulla candidatura di Stefano Parisi si è giocata una corsa che non è per il nome del candidato governatore. Pure quella è solo un’illusione.
La realtà è che ognuno in questi giorni ha corso per un obiettivo diverso da quello che appariva: queste elezioni non servono per definire chi dovrà governare la regione o il Paese. Ma per misurare in modo accurato chi ha più peso, all’interno delle squadre che compongono le alleanze.
Come se fossero le prove di un gran premio di Formula 1 prima della gara, per determinare la pole position. E poi quando il Presidente della Repubblica affiderà l’incarico di governo si accenderà il semaforo verde ed ognuno correrà la vera gara, facendo tattica con chi gli converrà di più.
CHI INCASTRA GIORGIA?
La corsa nel Lazio registra due elementi chiave. Il primo è la gara disputata da Matteo Salvini: dopo avere incassato le candidature di peso nel Nord ha giocato da battitore libero dentro l’alleanza, assestando sportellate in corsa a chi gli stava più vicino.
Il sostengo a Sergio Pirozzi è servito ad aumentare la posta, creare difficoltà , indebolire e logorare gli alleati in una Regione nella quale Salvini punta ad allargarsi.
L’immediato appoggio dato al nome di Stefano Parisi è solo l’ennesima sportellata di Matteo Salvini a Giorgia Meloni.
La presidente di Fratelli d’Italia questa candidatura la deve accettare, obtorto collo. Lei avrebbe preferito schierare il suo colonnello Fabio Rampelli: per crescere ancora di più nel Lazio, rosicchiando quote a Forza Italia.
Mettere Parisi invece frena le sue mire espansioniste. Non è un caso che quella candidatura nasca da un’idea di Ignazio La Russa, che si muove sempre piu autonomamente in FdI insieme a Daniela Santanchè.
È come se fossero l’anima Nord del Partito, impegnata nella corsa ad impedire che l’anima Romana — laziale di Giorgia Meloni potesse continuare ad essere egemone.
LA STANCHEZZA DI SILVIO
Le primavere iniziano a pesare su Silvio Berlusconi. È arrivato stanco alla linea del traguardo. Come se alla fine, pur di non sentir più parlare del Lazio avesse detto: “Fate come volete, basta che troviate una soluzione“.
È così che ha consentito ci si aggrappasse ad uno Stefano Parisi che ha un curriculum di indubbio spessore. Ma che ha un’illusione di Partito, che si sposta per l’Italia sostenendo che esista davvero ed abbia un consenso elettorale.
Non è così: tanto è vero che fino all’altro giorno nessuno s’è sognato di imbarcarlo in alcuna alleanza, nemmeno con la Quarta Gamba.
È diventato utile nel momento in cui occorreva una toppa che non andasse a toccare gli equilibri di nessuno nel Lazio.
Lasciando in piedi un’illusione che tutto funzioni.
L’ultima illusione.
(da “AlessioPorcu.it”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
RITENUTA SUFFICIENTE LA DOCUMENTAZIONE PRESENTATA, NON NECESSARIO ASCOLTARE TESTIMONI TRA CUI FAVA, PINI E ALCUNI MILITANTI
È attesa a breve la decisione del giudice della prima sezione civile di Milano Nicola Di Plotti, che si è riservato di decidere sul ricorso d’urgenza contro la nomina di Matteo Salvini come segretario del partito, presentato da un esponente della Lega collegato al listino di Gianni Fava, assessore regionale e candidato che ha corso contro Salvini alle primarie del Carroccio lo scorso maggio.
Oggi in circa due ore di udienza il giudice ha ritenuto di non sentire alcune persone informate sui fatti indicate dal legale del ricorrente, Roberto Malizia – tra cui lo stesso Gianni Fava, il parlamentare leghista Gianluca Pini e alcuni militanti -, ritenendo sufficiente la documentazione presentata.
Nessun commento da parte di Fava, che si è limitato a dichiarare di essere presente solo in quanto persona informata.
Malizia chiede la sospensione cautelare della nomina di Salvini a segretario federale del Carroccio.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
QUERELATO DAL COGNATO DI FINI PERCHE’ LO HA DEFINITO “NON UNO STINCO DI SANTO” E PER “L’ESPRESSIONE FACCIALE E LA MIMICA”
Ignazio La Russa finisce in tribunale per la sua faccia. Può sembrare un titolo satirico di
Lercio, ma invece è proprio quello che succede in Italia, anno 2018: e la prima udienza del processo che si terrà domani è l’ultimo tassello di una storia surreale iniziata nel 2010 da una querela del cognato di Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani.
Ma ricostruiamo con ordine tutti i passaggi di una bega legale, trasformatasi negli anni in una commedia dai contorni pirandelliani.
Siamo nel 2010, e nello studio della trasmissione di Michele Santoro su Rai Due, Anno Zero, l’allora ministro La Russa definisce il cognato di Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani: «Non proprio uno stinco di santo».
Un’affermazione persino soft se si conoscono i registri linguistici assai più coloriti a cui ha abituato negli anni Ignazio.
Di più: siamo nel pieno dello scandalo dell’appartamento di Montecarlo che segnò la fine della carriera politica di Fini, e sugli affari poco trasparenti di Tulliani c’erano aggiornamenti quotidiani sulla stampa e in Tv, abbondantemente cavalcati dagli esponenti di centrodestra rimasti fedeli a Silvio Berlusconi.
Ma quel «non è uno stinco di santo» non piace affatto a Tulliani, che decide immediatamente di querelare La Russa.
E nell’atto di querela si premura persino di spiegare perchè si è sentito offeso, fornendo una spiegazione a metà strada tra dizionario Treccani e manuale della giovane marmotta: «L’espressione non essere uno stinco di santo viene utilizzata nel linguaggio comune per indicare una persona non virtuosa, disonesta e dalla moralità eccepibile».
La querela per quella frase è talmente pretestuosa da far decidere già nel 2010 al pubblico ministero (che, scherzi del caso, di cognome fa Fini), di disporre l’archiviazione in quanto l’affermazione: «per il tenore espressivo e il contesto della discussione, non offendono l’onore e la reputazione dell’odierno querelante».
Fine della storia? Macchè, il meglio deve ancora arrivare.
Anni dopo, siamo nel 2015, il giudice per le indagini preliminari De Robbio ribalta la decisione del pm.
Con una motivazione che rischia di entrare nella storia del diritto.
Scrive il Gip: «L’esame delle dichiarazioni, l’espressione facciale e la mimica ben percepibili da chiunque abbia visto la trasmissione televisiva […] inducono a ritenere sussistenti elementi idonei ad affrontare il dibattimento per il delitto di diffamazione contestato».
Insomma, si va in giudizio perchè La Russa ha fatto una faccia che non ha convinto il Gip.
Nel frattempo lo «stinco di santo» Tulliani è stato appena rinviato a giudizio in un processo per riciclaggio internazionale, dopo essere stato arrestato a Dubai.
Chissà che faccia avrà fatto stavolta La Russa nello scoprirlo.
(da “L’Espresso”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
NEL 2014 ALLA LEOPOLDA PARLAVA DI SOPPRESSIONE DELLE REGIONI A STATIUTO SPECIALE, ORA SI BLINDA IL SEGGIO GRAZIE AI VOTI DELLA SVP
Ha suscitato non poche ironie la decisione del Partito Democratico di candidare Maria Elena Boschi al collegio uninominale di Bolzano.
Candidatura “blindata” che le potrà garantire di essere eletta.
Tutti ricordano infatti quando la Boschi disse ad Otto e Mezzo che avrebbe preferito candidarsi nella sua città (Arezzo) ma che si sarebbe adeguata alle decisioni del Partito. Ora però a complicare le cose ci sono alcune dichiarazioni della Boschi sulla necessità di sopprimere le regioni a statuto speciale e superare le autonomie.
La ex ministra delle riforme del governo Renzi, che ha sempre detto che un politico deve anche prestare attenzione alle istanze del territorio, si troverà così a dover studiare un po’ di tedesco per ascoltare meglio le richieste e le doglianze dei suoi elettori.
Qualcuno però si è ricordato di quando la Boschi era su posizioni — moderatamente — critiche nei confronti delle autonomie locali e delle Regioni a statuto speciale. E dal momento che la provincia autonoma di Bolzano è una di queste la situazione rischia di creare un certo imbarazzo nel PD.
Andiamo con ordine: una delle ultime volte in cui la Boschi ha parlato di autonomie locali era nel maggio del 2016.
In quell’occasione la Boschi parlò la necessità di un confronto aperto e franco sul ruolo delle autonomie. La speranza era quella che la riforma costituzionale non venisse bocciata dal referendum.
Nell’ottica della riforma il Senato infatti avrebbe dovuto dare voce agli enti locali e alle regioni a statuto speciale.
C’è stato chi all’epoca disse che la riforma mirava ad abolirle o indebolirle. In realtà era vero l’opposto perchè secondo alcune interpretazioni la legge di riforma avrebbe rafforzato le autonomie al punto che il costituzionalista Michele Ainis scrisse all’epoca che uno degli effetti sarebbe stata la creazione di “cinque superStati: le Regioni speciali”.
In un’altra occasione, qualche anno prima, la Boschi fu più esplicita.
Era il 2014 e stando a quanto riferì Bruno Dorigatti alla Leopolda la ministra disse, parlando delle regioni a statuto speciale: “Non è il momento propizio, ma sarei favorevole alla soppressione di queste realtà ”.
Una dichiarazione che scatenò una marea di polemiche, soprattutto in Trentino-Alto Adige dove tutti si affrettarono a dire che c’erano regioni a statuto speciale virtuose che nulla avevano a che fare con gli sprechi di quelle che per anni hanno sperperato fiumi di risorse pubbliche.
La frase della Boschi però era una di quelle classiche uscite che non dicono nulla. Perchè dichiararsi favorevole alla soppressione delle regioni a statuto speciale aggiungendo che “non è il momento propizio” serve solo a raccogliere i consensi di chi le autonomie vorrebbe abolirle davvero.
Del resto la Boschi non indicò nemmeno come e quando sarebbe arrivato il momento buono per farlo.
Tradotto dal politichese significa che la Boschi le autonomie non le avrebbe toccate. Il tema del resto è delicato: già nel 2012 una frase tratta da “Stil Novo” il libro di Matteo Renzi («Via le regioni a statuto speciale e si introduca un numero massimo di consiglieri per ogni realtà regionale») fece andare in fibrillazione trentini e altoatesini ma i renziani si affrettarono a dire che era stata estrapolata dal contesto e che Renzi in realtà stava proponendo “di passare ad un modello come quello trentino”.
A Bolzano la Boschi si troverà a sfidare Micaela Biancofiore, la deputata che con il suo emendamento (gemello di quello di Riccardo Fraccaro) fece naufragare l’accordo a quattro sulla legge elettorale.
Qualcuno ricorderà che quell’emendamento era fortemente avversato dalla SVP. Agli elettori l’ardua sentenza.
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
INSORGE LA BASE: “PENSAVAMO FOSSE UNA PERSONA SERIA”… PARISI HA USATO IL PARTITINO COME MONETA DI SCAMBIO
Stefano Parisi annuncia su Facebook di aver accettato la proposta di candidarsi come
presidente della Regione Lazio.
L’ex candidato sindaco di Milano (!) “risolve” così l’impasse del centrodestra incapace di trovare un candidato convincente dopo la discesa in campo di Sergio Pirozzi, ma lo fa nel modo più comico: ovvero presentandosi candidato anche senza legami con il territorio e ammettendo che il centrodestra ha rifiutato un’alleanza con lui per le elezioni politiche.
Lo stesso Parisi nel messaggio fa notare tutte le strane contraddizioni dietro questa scelta: “Solo pochi giorni fa il Centrodestra, con una decisione incomprensibile, ci ha voluto escludere dall’apparentamento e oggi ci chiede di portare Energie PER l’Italia e me stesso a supporto della corsa per il Governo della Regione Lazio”, scrive Parisi, che poi annuncia anche di non voler più far correre il suo movimento alle elezioni politiche: “Tanti di voi hanno lavorato per costruire le liste e la nostra presenza alle elezioni per Camera e Senato, divenuta ora incompatibile con la mia candidatura alla guida della coalizione nella Regione della Capitale. Abbiamo tuttavia deciso di accettare perchè siamo un partito nuovo, costruito in solo un anno di lavoro e dobbiamo innanzitutto consolidare la nostra presenza in tutta Italia, nelle comunità , nei territori”.
Lo status sulla pagina Facebook è pieno di commenti critici che sottolineano l’incredibile voltafaccia di Parisi: «Ho sperato fino all’ultimo che EPI fosse una cosa seria, peccato non abbia capito che un progetto a lungo termine non ha bisogno di scorciatoie… Peccato, era l’unico motivo per andare a votare (e anche molto di più)».
Sempre via Facebook, al post di Parisi è seguito il commento di Lorenza Bonaccorsi, deputata del Pd Lazio: “Per il centrodestra la Regione Lazio è solo una moneta di scambio per le elezioni nazionali. In cambio della candidatura a governatore, Parisi ritira le liste del suo partitino da Camera e Senato, schierato contro il centrodestra dopo il mancato apparentamento. È quello che sta emergendo in queste ore”, scrive la deputata del Partito Democratico.
In pratica Parisi, ritirando la sua lista a livello nazionale, ha fatto un favore al centrodestra in quanto i suoi voti andranno in quella direzione. In cambio ha ottenuto la candidatura a perderre nel Lazio e un numero di posti ancora imprecisato nei collegi per le elezioni politiche.
E questo dovrebbe un leader in grado di cambiare il centrodestra…
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
A OTTOBRE DICEVA “VINCIAMO PURE SE CANDIDIAMO PAPERINO”… ORA SONO L’IMMAGINE DELLE CONTRADDIZIONI DI UNA COALIZIONE ALLO SFASCIO, SENZA NEANCHE UN CANDIDATO GOVERNATORE
“Stasera chiudiamo su Pirozzi in ticket con Bertolaso”. “Oggi riunione e poi presentiamo Rampelli”. “È fatta: Gasparri è pronto”. “Parisi? Decidiamo entro le prossime ore”.
E così avanti ormai da settimane.
Tanto che alcuni osservatori azzardano la possibilità , nella “follia collettiva”, di scoprire il nome del candidato alle regionali del Lazio il giorno della consegna delle liste in tribunale.
Insomma, l’ennesima tragicommedia del centrodestra a Roma e nel Lazio è compiuta. Solo che stavolta il rischio è di compromettere anche gli equilibri nazionali.
In vista delle politiche del prossimo 4 marzo, infatti, il centrodestra è dato in vantaggio, ma nel frattempo i leader della coalizione entrano in conflitto su tutto.
Solo poche ore fa Silvio Berlusconi ha assicurato a Bruxelles che, in caso di vittoria, il suo governo rispetterà il limite Ue che fissa al 3% il tetto per il rapporto tra deficit e pil, provocando l’immediata smentita di Matteo Salvini: “Il 3%? Per noi non esiste”, ha detto il leader della Lega.
La situazione non cambia anche quando sul tavolo ci sono elementi di minore rilevanza rispetto al rapporto con l’Europa.
È il caso del Lazio, dove, comunque vada a finire il “complesso di Tafazzi” — personaggio trash del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo che si prendeva a bottigliate sui genitali — sembra aver colpito ancora, dopo i disastri del 2010 e del 2016.
Se a fine ottobre le previsioni di voto interne facevano dire a un consigliere regionale uscente che “nel Lazio vinciamo pure se candidiamo Paperino”, col passare delle settimane lo scontro fratricida fra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, unito alle gelosie correntizie fra ex esponenti di An e addirittura dell’Msi (e non solo), ha ribaltato la situazione.
Oggi, la Regione viene data per persa, pedina di scambio per gli equilibri nazionali come un qualsiasi seggio in Senato.
D’altronde, gli ultimi sondaggi in mano allo staff di Silvio Berlusconi sono chiari: che sia candidatura unitaria o meno, con qualsiasi nome, il governatore uscente Nicola Zingaretti è ormai in fuga verso una vittoria che solo la pentastellata Roberta Lombardi potrebbe provare ad arginare. “Semo come la Roma che se venne Dzeko, manco in Champions annamo”, afferma sconsolato un esponente forzista, forse un tantino pessimista verso i destini giallorossi.
La verità è che i veti incrociati in queste ore stanno affondando la coalizione.
Su Sergio Pirozzi, ad esempio, c’è il no rigoroso di Giorgia Meloni. Il sindaco di Amatrice, oltre ad aver rinnegato una sua passata appartenenza a Fratelli d’Italia — prese la tessera in coincidenza del breve passaggio di Gianni Alemanno — è il candidato dell’odiato Francesco Storace e dell’ex An e neo leghista Barbara Saltamartini, con la quale non è mai corso buon sangue.
Il timore diffuso, fra l’altro, è che Pirozzi possa rappresentare una specie di mina vagante, come lo fu Renata Polverini fra il 2010 e il 2012.
Pirozzi, fra l’altro, si sta facendo condurre la campagna elettorale dalla moglie di Roberto Buonasorte, braccio destro di Storace e suo probabile capolista nella lista civica, zeppa di uomini dell’ex governatore e di Alemanno.
Sembra esserci un buon feeling, invece, fra Fratelli d’Italia, i fittiani e i forzisti di Antonio Tajani, con quest’ultimi pronti a proporre Francesco Giro in ticket con Fabio Rampelli.
Tajani però è ai ferri corti con Maurizio Gasparri, altro candidato (non troppo convinto) al soglio della Pisana, mentre sul cellulare di Salvini sarebbero arrivati degli screenshots con vecchie dichiarazioni di Rampelli (padre politico di Giorgia Meloni) contro il Carroccio, motivo del veto improvviso da parte del leader leghista.
E allora che si fa? Con Pirozzi — logorato da settimane di campagna elettorale in solitaria — non si vince, ma con un altro candidato e il sindaco di Amatrice in campo, si fa ancora peggio.
Una gara a perdere, insomma.
Il risiko del Lazio sta scompigliando anche il puzzle nazionale. Mollata la Pisana, Forza Italia si aspetta di indicare il candidato governatore in Friuli Venezia Giulia, dove c’è ancora qualche chance di vittoria, sebbene da tempo se la stiano contendendo Lega e Fratelli d’Italia.
Nelle ultime ore, Silvio Berlusconi sta tentando un’operazione non facile, che consegnerebbe la candidatura nel Lazio — e un po’ di seggi in consiglio regionale buoni per il progetto — a Stefano Parisi, romano solo di nascita ma ormai milanese di adozione, in cambio del ritiro del proprio simbolo Energie per l’Italia dalla corsa nazionale.
Parisi, sostenuto a livello locale dal consigliere socialista (ed ex craxiano) Donato Robilotta, in mattinata ha ottenuto anche una mezza approvazione da parte di Giorgia Meloni, che comunque continua a portare la bandiera di Rampelli.
Sul territorio la tensione è fortissima.
I portatori d’acqua locali non sanno più cosa dire ai propri elettori, nel frattempo sedotti dagli altri candidati già in pista.
Molti pensano a ritirare la propria promessa di candidatura — fra questi diversi ex sindaci — mentre altri non sanno se entreranno nelle liste del Parlamento o del consiglio regionale.
“A un mese dalle elezioni — racconta un esponente locale di Fratelli d’Italia — non ho nemmeno i fogliettini elettorali pronti. Cosa racconto se si candida Pirozzi, piuttosto che Parisi? Parisi poi, un socialista, io che stavo a tirare le monetine a Craxi nel 1993”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
CENTROSINISTRA IN RECUPERO, EXPLOIT DELLA BONINO
Ed eccoci a poco più di un mese dalle elezioni politiche del 4 marzo. L’astensionismo è
ancora un’incognita.
Gli italiani pensano di andare a votare? Rispondono in mondo affermativo quasi nove su 10: ma la reale affluenza alle urne, calcolata applicando un coefficiente di 0,8 al «certamente sì» e di 0,2 al «probabilmente sì», si attesta tra il 60% e il 65%.
Si tratterebbe, dunque, di un dato in linea con le elezioni del 2013.
Il conto alla rovescia che avanza (-38 giorni) e le coalizioni ormai delineate coincidono con un primo cambiamento sulla percezione dei partiti e dei loro leader.
Come vanno oggi? E rispetto ai mesi appena trascorsi?
Cominciamo dalle coalizioni. Il dato più interessante riguarda il centrodestra, cresciuto da ottobre alla scorsa settimana di circa 4 punti, che sembra aver fermato la sua corsa: nell’ultima ricerca ha infatti perso circa un punto. A favore di chi?
Innanzitutto del centrosinistra che, con l’uscita di Liberi e uguali tra ottobre e dicembre, ha perso ben quattro punti.
Già la scorsa settimana era in lieve ripresa, una tendenza confermata anche nell’ultima rilevazione.
Il Movimento 5 Stelle è invece l’area politica più stabile nel corso di questi mesi. L’ultima oscillazione registrata è positiva (+0,5%) ma nelle ultime settimane sembra aver smarrito la forza espansiva che l’aveva contraddistinto l’anno scorso.
Ci siamo interrogati anche sui bacini di voti potenziali per i nuovi partiti costituiti in queste ultime settimane: la propensione maggiore, e dunque il bacino potenziale più ampi, risulta a favore di Emma Bonino e il neonato +Europa, nel quale è confluito anche il Centro Democratico.
Quanto alla «quarta gamba» del centrodestra, Noi con l’Italia, in questa settimana si è registrata una maggior forza sul territorio.
Capitolo leader. Al primo posto, indiscusso, c’è il Presidente della Repubblica: oltre un italiano su due ha fiducia in Sergio Mattarella. E nell’ultima settimana il gradimento nei suoi confronti è cresciuto di ben 6 punti.
Va notato che dei primi cinque leader che seguono il capo dello Stato, ben quattro appartengono al centrosinistra.
Il primo in classifica, con 4 punti guadagnati rispetto alla scorsa settimana, è Paolo Gentiloni inseguito, anche se a 10 punti di distanza, da Emma Bonino, anche lei in crescita.
Seguono poi Pietro Grasso (Liberi e uguali) e Luigi Di Maio (M5S). Il candidato premier del Movimento 5 Stelle registra una frenata e perde due punti rispetto alla settimana precedente.
Chiude Matteo Renzi: per il segretario del Partito democratico è un risultato sostanzialmente identico alla rilevazione di una settimana fa.
Come per l’intenzione di voto divisa per area, anche i leader di centrodestra rallentano.
I leader di Lega Nord, Fratelli d’Italia, e Forza Italia occupano tutti i gradini inferiori della classifica e perdono colpi (tutti due punti percentuali) negli ultimi sette giorni. Matteo Salvini è il primo degli ultimi con 26 punti, poi Giorgia Meloni (23) e Silvio Berlusconi (22).
Nicola Piepoli
(da “La Stampa”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
NEANCHE IL TEMPO DI CONTARE I MORTI E SALVINI SPECULA SULLA TRAGEDIA… DIMENTICANDO CHE LE RESPONSABILITA’ POLITICHE, QUALORA FOSSERO ACCERTATE, SEMMAI SONO DELLA REGIONE LOMBARDIA VISTO CHE SI TRATTAVA DI TRENORD
«Circolazione interrotta tra Treviglio e Milano a causa di un inconveniente tecnico a un treno»: è il tweet di Trenord delle 8.09 che ha fatto infuriare i social in questo momento di dolore per le vittime del deragliamento avvenuto questa mattina a Seggiano di Pioltello.
«L’inconveniente tecnico si chiama deragliamento. E ci sono dei morti» fa notare Daniele Banfi su twitter. «Inconveniente tecnico? 100 feriti, 10 gravi, 4 morti… disumano» scrive Carlos Almiron.
«Il deragliamento di un treno che ha causato morti e una cinquantina di feriti oggi viene definito da #Trenord «inconveniente tecnico». Non commento, meglio» aggiunge sempre su twitter Simona Bellocci. «#trenord siete scandalosi,- aggiunge Ilaria Possenti – non potete annunciare ritardi per un inconveniente sulla linea quando è deragliato un treno!».
«Male e malissimo. Usiamo le parole – prega Paulo R. – come si dovrebbero usare. Già fate pena in tutto, vi prego almeno su i social un linguaggio corretto per questo brutto momento».
«Ma un minimo di vergogna no ? Inconveniente tecnico! – sbotta Alba Cosentino – DISASTRO FERROVIARIO CON MORTI E FERITI…» . «Alla faccia dell’eufemismo!!!» si accoda l’utente Palla. Per far capire meglio il concetto, The Wickedly talented posta una foto del treno deragliato con la didascalia: «Inconveniente tecnico?».
Non mancano poi le polemiche politiche.
Il sindaco di Milano Sala invita a «moltiplicare gli sforzi sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e nei trasporti»; il presidente del consiglio regionale della Lombardia Raffaele Cattaneo osserva: «In questi anni è stata data maggiore attenzione all’alta velocità che non ai treni dei pendolari». E Giorgia Meloni (Fdi) attacca: «Inaccettabile morire così nel 2018 in una nazione che fa parte del G8», mentre Berlusconi parla di «Italia in debito rispetto alle infrastrutture», Salvini invita a «pensare prima di fare i tagli».
«Che Salvini fosse uno sciacallo lo sapevamo e oggi ne abbiamo la conferma. Mentre i soccorritori stanno lavorando tra le lamiere del disastro di Trenord, Salvini specula dimenticandosi che questo è il momento del silenzio e del dolore. Lo dico con addosso il disagio di chi spesso viaggia su quella rete ferroviaria, insieme ai pendolari, per raggiungere Milano. E mentre c’è gente che piange lui pensa a chi ha tagliato e a chi ha investito con la solita memoria corta e con la mistificazione della realtà . Glielo spieghiamo domani a Salvini come stanno le cose. Oggi, per favore, silenzio», scrive una nota Simona Malpezzi
(da “La Stampa”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
ALLE PORTE DI MILANO DERAGLIA CONVOGLIO REGIONALE PIENO DI PENDOLARI… CEDIMENTO STRUTTURALE DI CIRCA 20 CM DI BINARIO
Un cedimento strutturale di circa 20 centimetri di binario, circa due chilometri più indietro rispetto al luogo del deragliamento del treno regionale Trenod, è stato accertato dai tecnici di Rete Ferroviaria Italia.
Lo si apprende da fonti della stessa Rfi. Potrebbe essere questa la causa del terribile incidente avvenuto a Piloltello alle 7 del mattino in cui sono morte almeno 4 persone.
I tecnici di Rete Ferroviaria Italiana, dopo una verifica della rete infrastrutturale nell’area del deragliamento del treno, hanno escluso qualsiasi malfunzionamento degli scambi della stazione di Pioltello.
Al contrario, è risultato che i sistemi di sicurezza della rete hanno funzionato: i sensori posizionati sugli scambi hanno rilevato il passaggio anomalo di alcune vetture del treno ed hanno disposto a “via impedita” tutti i sistemi di segnalamento, bloccando di fatto la circolazione nell’area.
Attraverso indagini successive si dovrà stabilire se il cedimento del binario sia stato causa o effetto del deragliamento del treno.
“Andava tutto bene, all’improvviso il treno ha iniziato a tremare, poi si è sentito un boato e le carrozze sono uscite dai binari”.
E’ una delle prime testimonianze di uno dei passeggeri che erano sul treno deragliato stamani a Seggiano di Pioltello, nell’hinterland di Milano, in cui sono morte tre persone e si contano centinaia di feriti. “Quasi subito – ha aggiunto l’uomo, salito alla stazione di Crema – abbiamo capito che cosa era successo”.
“Abbiamo individuato un cedimento tra vagoni ma sono ancora in corso tutti gli accertamenti per chiarire il quadro” ha detto il questore di Milano Marcello Cardona, arrivato sul luogo del deragliamento.
Le immagini inviate da testimoni e Vigili del fuoco mostrano alcuni vagoni accartocciati attorno a un palo, mentre alcune persone sarebbero ancora prigioniere delle lamiere. Decine i soccorritori intervenuti sul posto: Vigili del fuoco, polizia, carabinieri, infermieri e medici del 118 e squadre speciali.
Le operazioni per estrarre i feriti che erano rimasti incastrati nelle lamiere dei due vagoni di un convoglio sono terminate intorno alle 10.
(da agenzie)
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