LA RUSSA A PROCESSO PER LA SUA FACCIA: CON LA MIMICA AVREBBE OFFESO GIANCARLO TULLIANI
QUERELATO DAL COGNATO DI FINI PERCHE’ LO HA DEFINITO “NON UNO STINCO DI SANTO” E PER “L’ESPRESSIONE FACCIALE E LA MIMICA”
Ignazio La Russa finisce in tribunale per la sua faccia. Può sembrare un titolo satirico di Lercio, ma invece è proprio quello che succede in Italia, anno 2018: e la prima udienza del processo che si terrà domani è l’ultimo tassello di una storia surreale iniziata nel 2010 da una querela del cognato di Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani.
Ma ricostruiamo con ordine tutti i passaggi di una bega legale, trasformatasi negli anni in una commedia dai contorni pirandelliani.
Siamo nel 2010, e nello studio della trasmissione di Michele Santoro su Rai Due, Anno Zero, l’allora ministro La Russa definisce il cognato di Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani: «Non proprio uno stinco di santo».
Un’affermazione persino soft se si conoscono i registri linguistici assai più coloriti a cui ha abituato negli anni Ignazio.
Di più: siamo nel pieno dello scandalo dell’appartamento di Montecarlo che segnò la fine della carriera politica di Fini, e sugli affari poco trasparenti di Tulliani c’erano aggiornamenti quotidiani sulla stampa e in Tv, abbondantemente cavalcati dagli esponenti di centrodestra rimasti fedeli a Silvio Berlusconi.
Ma quel «non è uno stinco di santo» non piace affatto a Tulliani, che decide immediatamente di querelare La Russa.
E nell’atto di querela si premura persino di spiegare perchè si è sentito offeso, fornendo una spiegazione a metà strada tra dizionario Treccani e manuale della giovane marmotta: «L’espressione non essere uno stinco di santo viene utilizzata nel linguaggio comune per indicare una persona non virtuosa, disonesta e dalla moralità eccepibile».
La querela per quella frase è talmente pretestuosa da far decidere già nel 2010 al pubblico ministero (che, scherzi del caso, di cognome fa Fini), di disporre l’archiviazione in quanto l’affermazione: «per il tenore espressivo e il contesto della discussione, non offendono l’onore e la reputazione dell’odierno querelante».
Fine della storia? Macchè, il meglio deve ancora arrivare.
Anni dopo, siamo nel 2015, il giudice per le indagini preliminari De Robbio ribalta la decisione del pm.
Con una motivazione che rischia di entrare nella storia del diritto.
Scrive il Gip: «L’esame delle dichiarazioni, l’espressione facciale e la mimica ben percepibili da chiunque abbia visto la trasmissione televisiva […] inducono a ritenere sussistenti elementi idonei ad affrontare il dibattimento per il delitto di diffamazione contestato».
Insomma, si va in giudizio perchè La Russa ha fatto una faccia che non ha convinto il Gip.
Nel frattempo lo «stinco di santo» Tulliani è stato appena rinviato a giudizio in un processo per riciclaggio internazionale, dopo essere stato arrestato a Dubai.
Chissà che faccia avrà fatto stavolta La Russa nello scoprirlo.
(da “L’Espresso”)
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