Maggio 1st, 2018 Riccardo Fucile
CRESCE IL RISCHIO DI ELEZIONI, ESCLUSO L’INCARICO A SALVINI, MATTARELLA NON HA PIU’ ASSI DA GIOCARE
Se Cinque stelle e Lega volessero tornare di corsa al voto, e dichiarassero che il tempo dei tentativi è scaduto, in quel caso il Capo dello Stato non avrebbe armi per impedire nuove elezioni.
Non è ovviamente la soluzione che Sergio Mattarella desidera, anzi farà il possibile per evitarlo; tuttavia nessuno, dalle sue parti, sembra nutrire illusioni.
Di Maio e Salvini, insieme, dispongono in Parlamento della maggioranza assoluta. Per una questione puramente aritmetica, il loro «no» sarebbe una sentenza definitiva, anzi tombale per la diciottesima legislatura appena nata.
Che cosa potrebbe fare il Presidente per frenare quei due, sempre che vadano entrambi a dirgli «vogliamo per forza votare»? La risposta che si coglie tra i frequentatori del Quirinale è: nulla, purtroppo, tranne che prenderne atto con grandissimo dispiacere.
L’asso sparito
A lungo si era favoleggiato di un asso che Sergio Mattarella nascondeva nella manica: il cosiddetto governo istituzionale, di tregua o di decantazione. Doveva essere calato sul tavolo alla fine dei giochi, accompagnato magari da un robusto appello al Paese per segnalare i rischi del voto-bis e da un estremo solenne appello ai partiti nel nome della responsabilità nazionale.
Ma pure ammesso che sia mai esistito, del presunto asso adesso nessuno parla più, tantomeno i consiglieri del Presidente. E se ne comprende il motivo: i grillini non hanno la minima intenzione di sostenere un governo di tutti, l’hanno comunicato forte e chiaro. Idem la Lega, Salvini risulta contrario nonostante il fido Giorgetti avesse fatto balenare qualche apertura.
Dunque per Mattarella sarebbe inutile provarci, ulteriore tempo perso. Un esecutivo calato dall’alto potrebbe vedere la luce e forse la vedrà , però al solo fine di portare l’Italia alle urne qualora si ritenesse che Gentiloni ha fatto il suo tempo, non rappresenta più nessuno. Ma è questione di cui al momento nessuno si sta occupando. Il Guinness delle date
Di Maio vuole elezioni-bis entro giugno. Definire ardua l’impresa sarebbe poco. Nel testo unico elettorale, all’articolo 11, si parla di 45 giorni come minimo tra scioglimento e voto. Dunque, per tornare in cabina l’ultima domenica di giugno le Camere andrebbero sciolte da Mattarella entro il 9 maggio, vale a dire tra 8 giorni: tempi davvero ristretti, considerato che un passaggio parlamentare sarebbe difficilmente evitabile. I partiti dovrebbero fare le liste in 15 giorni, e pure questa sarebbe impresa da Guinness.
Il record precedente fu battuto nel 1976, quando tra decreto di scioglimento e urne passarono appena 50 giorni. Ma a quell’epoca non esisteva il voto degli italiani all’estero, con annesse complicazioni. Il Dpr 104/2003 stabilisce che le liste dei nostri connazionali vadano comunicate dal ministero dell’Interno a quello degli Esteri almeno 60 giorni prima del voto. Cambiare il Dpr è sempre possibile: basta che il governo ne sforni un altro, salvo scatenare in seguito un caos di ricorsi. Più facile scivolare al 1° luglio, oppure all’8 successivo.
Sospetti renziani
Se a luglio non si è mai votato, ci sarà pure un perchè. Fa caldo, le scuole sono chiuse, milioni di italiani vanno in vacanza. Sarebbe il trionfo dell’astensionismo.
Eppure la situazione è tale che, se Di Maio e Salvini si impuntassero, lì potremmo finire senza nemmeno attendere settembre. E, in fondo, qualche settimana prima o dopo sul Colle non farebbe questa gran differenza.
I renziani sospettano che la minaccia delle urne sia una messinscena per spaventare il Pd e favorire il «golpe» interno di Franceschini dopodomani in direzione.
Sempre i renziani pretenderebbero che Mattarella si immolasse annunciando «alle urne giammai!», in modo da rasserenare qualche senatore cuor di leone che, pur di difendere lo scranno, bacerebbe la pantofola di Di Maio.
Però il Capo dello Stato, ammettono i suoi, non possiede la bacchetta magica. Non ancora, perlomeno.
L’incarico impossibile
L’unica certezza è che un incarico a Salvini non sembra affatto alle viste. E non solo per le posizioni di politica estera che metterebbero in allarme Europa e America. Il centrodestra ha escluso qualunque contaminazione col Pd e si è dato il MoVimento come unico alleato possibile.
Ma quella strada è stata esclusa nel corso delle due consultazioni prima, dall’esploratrice Casellati poi. Nonostante il pressing berlusconiano, e la minaccia leghista di organizzare una «passeggiata a Roma», per Mattarella è ormai acqua passata.
(da “La Stampa”)
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Maggio 1st, 2018 Riccardo Fucile
DA UN LATO FRANCESCHINI E ORLANDO ACCUSATI DI UN ACCORDO SEPARATO, DALL’ALTRO RENZI CHE AVREBBE INTAVOLATO LA TRATTATIVA PER POI FARLA SALTARE
Dietro l’uscita di Matteo Renzi a Che tempo che fa che ieri ha scatenato (si fa per dire) Maurizio
Martina c’è la storia di un presunto accordo trovato dal Partito Democratico con il MoVimento 5 Stelle e successivamente fatto saltare.
I retroscena dei giornali partono dalla lettera inviata da Luigi Di Maio al Corriere della Sera in cui il candidato premier del MoVimento 5 Stelle elencava i punti in comune per un programma politico di governo.
E la vicenda la racconta il Messaggero:
Da un lato Franceschini e Orlando, accusati dal fronte del no di aver di fatto già incassato l’accordo con i grillini in cambio di qualche poltrona, arrivando a dare false informazioni sullo stato della trattativa perfino al Colle. Per il responsabile dei Beni culturali si tratta di una teoria complottista bell’e buona.
La tesi nella minoranza è opposta: Renzi — sostengono — avrebbe trattato in prima persona, servendosi della mediazione di Minniti, con i grillini fino a concordare, tramite appunto il ministro dell’Interno, i punti della lettera spedita da Di Maio al Corriere sui quali poter poi annunciare le convergenze di governo.
Due linee contrapposte.
La situazione è diventata ingestibile e anche un moderato come Delrio ritiene che sarà difficile trovare un percorso unitario per scongiurare una clamorosa divisione. Il capogruppo tra Martina e Renzi sceglierebbe senza se e senza ma il secondo ma lavora per calmare le truppe. Allo stesso modo Gentiloni, che non intende schierarsi.
Insomma, l’uscita di Renzi è sicuramente servita a chiudere all’ipotesi di governo PD-M5S, ma non si capisce chi abbia contribuito ad aprirla.
La resa dei conti interna
Di certo adesso la direzione programmata per il 3 maggio potrebbe costituire il momento giusto per la resa dei conti interna, anche in vista delle urne che dopo ieri si fanno più vicine a prescindere dalla data. Intanto si scaldano i motori e si costituiscono gli schieramenti: Dario Franceschini si è servito di Twitter per sottolineare come «dalle sue dimissioni Renzi si è trasformato in un signornò, disertando ogni discussione collegiale e smontando quello che il suo partito stava cercando di costruire. Un vero leader rispetta una comunità anche quando non la guida più».
Dello stesso tenore l’attacco di Michele Emiliano: «Per ben due volte, a distanza di pochi mesi, il segretario premier del Pd si è dovuto dimettere da tutto. Ciononostante, insiste nel voler riproporre il suo ruolo di leader formale o di fatto senza prendere atto del giudizio degli elettori».
Un giudizio critico arriva anche da Andrea Orlando: «Non c’è una linea nè condivisa nè maggioritaria, non si capisce chi dirige il partito».
E anche chi, come Nicola Zingaretti, è solito misurare le parole, non si risparmia: «Se si va in tv, a poche ore dalla direzione, a fare uno show si genera solo caos e confusione. Questo dopo una lunga serie di sconfitte è molto grave».
Dall’altra parte, spiega oggi Monica Guerzoni sul Corriere della Sera, Matteo Renzi avrebbe aperto un canale di comunicazione con Matteo Salvini prima di procedere con la sua proposta di un governo del presidente che lasci il parlamento libero di riformare la legge elettorale ed eventualmente la Costituzione allo scopo di arrivare a un sistema bipolare in cui si ha la certezza del vincitore e il meccanismo della fiducia non osti alla formazione di un governo dopo le urne.
Un governo che lavori sulle riforme costituzionali, senza imbarazzi a ragionare di doppio turno e semipresidenzialismo. Renzi ne avrebbe parlato non solo con gli emissari di Berlusconi, ma anche con Salvini. Nei dintorni del giglio magico raccontano che i due «Matteo» si stanno sentendo spesso e scambiando messaggini, Renzi infatti è stato bene attento a non attaccare in tv il leader della Lega.
L’alternativa a questo scenario era l’accordo presunto del Partito Democratico con il MoVimento 5 Stelle, che presumeva l’arrivo di Luigi Di Maio a Palazzo Chigi in cambio di quattro o cinque ministeri di grande peso.
Un accordo saltato e che oggi ciascuno all’interno del partito accusa gli altri di averlo voluto. A dimostrazione del fatto che la vittoria ha molti padri in Italia, mentre la sconfitta è sempre orfana.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 1st, 2018 Riccardo Fucile
STUDIO SWG: SU 170.000 CHE AVEVANO VOTATO M5S ALLE POLITICHE DUE TERZI SI SONO ASTENUTI, MENTRE L’8% HA VOTATO LEGA (8.000) O PD (5.000)
Cosa è successo nelle elezioni in Friuli Venezia Giulia?
I risultati hanno incoronato Massimiliano Fedriga e la Lega Nord, che hanno stravinto nella regione in cui il Partito Democratico ha registrato un calo robusto di preferenze dopo l’esperienza di Debora Serracchiani e il Carroccio ha superato di gran lunga Forza Italia.
Ma a colpire è stato anche il risultato dei grillini, in totale controtendenza: il MoVimento 5 Stelle ha perso voti sia rispetto alle politiche che rispetto alle amministrative di cinque anni fa, tanto che avrà un deputato regionale in meno rispetto al 2013.
Il Messaggero spiega oggi che il modesto dato friulano non è isolato: da tempo il M5S alle amministrative funziona molto peggio rispetto alle politiche.
Già alle comunali del giugno 2017 non entrò in nessuno dei 20 ballottaggi dei capoluoghi; poi la lista grillina alle regionali siciliane raggiunse il 26% (contro il 35% del candidato presidente) cioè quattro punti meno di quanto ottennero,sommandoli, i partiti del centrosinistra e della sinistra; poi ancora M5S è arrivato terzo alle regionali del Lazio anche se si è votato lo stesso giorno delle trionfali politiche; infine il 22 aprile in Molise i pentastellati sono scesi dal 44% delle politiche a quota 32% consegnando la Regione al centrodestra.
Ma c’è un altro dato enucleato dai calcoli di SWG sui flussi elettorali in Regione e riepilogato nell’infografica pubblicata oggi dal Messaggero: «Il voto friulano è la dimostrazione che i Cinquestelle non hanno “colonizzato” l’Italia. Si tratta di un voto di protesta fortissimo ma che, dopo essere stato utilizzato alle politiche per silurare la classe dirigente soprattutto nel centro-sud, adesso torna ad inabissarsi nell’astensione».
«L’impressione — continua Risso — è che la gran parte dell’elettorato M5S non esca dal guscio dell’apoliticità : protesta, ma poi non indica una politica, in particolare quando si tratta di dare indicazioni sul territorio. E poi c’è un altro elemento che la dice lunga: oltre il 40%degli elettori M5S del Friuli mostrano fiducia anche verso la Lega».
Dati che soprattutto per quanto riguarda i flussi analizzati dalla SWG sono estremamente interessanti.
Come detto il 60% dei 170.000 elettori M5S friulani delle politiche, ovvero quasi due su tre, hanno scelto di non votare e l’8% (14.000) hanno cambiato casacca emigrando in 9.000 verso la Lega e in circa 5.000 verso il Pd.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 1st, 2018 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA CAMERA DEVE DARE SPIEGAZIONI O FARA’ SOLO UN DANNO SIA AL M5S CHE ALLE ISTITUZIONI
Tra accuse sballate al suo successore Paolo Gentiloni (“il Paese dal 4 dicembre del 2016 è bloccato”)
e proposte di nuove riforme costituzionali già clamorosamente bocciate dalla maggioranza degli italiani, Matteo Renzi una cosa giusta da Fabio Fazio l’ha detta: il presidente della Camera, Roberto Fico, deve davvero spiegare la questione della colf (per lui “un’amica della compagna”) che lavora nella casa della fidanzata in cui lui soggiorna ogni settimana da anni quando è a Napoli.
Le versioni diametralmente opposte offerte alle telecamere de Le Iene dalla ragazza (“ho un contratto regolare”) e da Fico meritano un chiarimento.
Non solo perchè chi ricopre cariche istituzionali tanto importanti ha il dovere di dare sempre il buon esempio e di non mentire (se mai Fico lo ha fatto), ma anche perchè è facile prevedere che, in assenza di una parola definitiva, questa storia nei prossimi giorni finirà per provocare l’intervento dell’Ispettorato del lavoro e delle autorità previdenziali.
Fingere che tutto verrà dimenticato non è giusto e soprattutto non serve: perchè senza rapide decisioni la questione della presunta colf in nero diventerà un vulnus per la credibilità di Fico e finirà per provocare un grave danno al suo Movimento.
Certo, lo sappiamo. La vicenda, anche se fosse definitivamente accertata, è di per sè minima. Gli italiani che hanno colf prive di contratto regolare sono centinaia di migliaia. A spingerli a non regolarizzare a volte sono le stesse collaboratrici domestiche e molto più spesso norme farraginose a cui si aggiungono costi sproporzionati.
Ma Fico milita in una forza politica che da sempre sostiene di combattere ogni irregolarità ed abuso. E che soprattutto ha fatto della trasparenza uno dei suoi principi fondanti.
Se non si arriverà a un punto definitivo, questa storia verrà rinfacciata dagli avversari ai pentastellati in ogni dibattito pubblico e finirà per provocare loro una grave perdita di consensi.
I Cinque stelle da pochi mesi hanno un nuovo statuto che ha introdotto il collegio dei probiviri.
A essi spetta il compito di accertare come stanno le cose, marcando la differenza rispetto a chi spesso chiude non un occhio, ma due, davanti a comportamenti eventualmente censurabili dei suoi esponenti più importanti.
Va detto però che la questione, oltre che spinosa dal punto di vista etico-politico, è umanamente molto delicata. Ma al di là di tutto il problema resta.
E per risolverlo non basta ricordare che Le Iene hanno come editore il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, o che qualche anno fa i vertici di Mediaset impedirono al programma di mandare in onda un servizio sulle note spese di Renzi.
Per chi fa politica e vuole essere il nuovo, la via maestra è invece una sola: la verità , qualunque essa sia, senza preoccuparsi delle sue conseguenze.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 1st, 2018 Riccardo Fucile
REAZIONI COMICHE E SCOMPOSTE DI ELETTORI CHE PER ANNI HANNO CHIESTO LE DIMISSIONI DI CHIUNQUE NON RISPETTASSE I LORO STANDARD DI PUREZZA
Il complicato rapporto dei 5 Stelle con la libertà di stampa si arricchisce di un nuovo capitolo. Dopo la messa in onda del servizio delle Iene sulla colf che lavora in nero nella casa della compagna del Presidente della Camera le reazioni ufficiali del MoVimento si limitano ad un comunicato congiunto dei capigruppo Giulia Grillo e Danilo Toninelli che esprimono la loro solidarietà a Roberto Fico “in queste ore oggetto di strumentali attacchi politici privi di fondamento”.
Altrove però la musica è diversa.
La senatrice napoletana Paola Nugnes si dice disgustata e va subito dritta al punto: la colpa è tutto della “buona vecchia legge” sul conflitto d’interessi che ancora non c’è. Scrive la senatrice pentastellata che «Se una parte politica possiede uno strumento di informazione, tipo una o più tv, e se questo strumento di informazione viene usato sistematicamente contro un’altra forza politica, c’è conflitto di interessi». Bisognerebbe poter distinguere tra “inchiesta giornalistica” con un interesse pubblico e “incursione nella parte più privata delle persone”.
La Nugnes però coraggiosamente non vuole entrare nel merito, preferisce esprimere un desiderio, quello di «essere certa che l’azione giornalistica in questione non sia manovrato da interessi politici, che non sia strumento di alcuni contro altri».
Il partito che ha strumentalizzato costantemente ogni intercettazione di un personaggio politico e che ha chiesto ed ottenuto le dimissioni di una ministra (Federica Guidi) per una vicenda che poi è stata giudicata penalmente irrilevante, si scopre non solo ultra garantista (in fondo non c’è nulla di penalmente rilevante nemmeno qui) ma addirittura punta il dito contro la trasmissione che ha rivelato la vicenda della colf in nero.
Inutile poi ricordare che alle Iene abbia lavorato a lungo uno pentastellato di “altissimo livello” come Dino Giarrusso, autore ad esempio di un servizio sulle primarie “truccate” del PD a Napoli e a Roma.
Anche un’altra deputata M5S di Napoli, Carla Ruocco, prende le difese di Fico condividendo un post del senatore M5S Gianluca Ferrara che accusa le Iene di essere tali «solo con il M5S» mentre sarebbero «dolci koala con il “delinquente naturale ” Silvio Berlusconi». Perchè le Iene si occupano della colf di Fico invece che guardare in casa Mediaset e interessarsi degli affari e dei guai del loro “padrone”? Perchè tormentare gli onesti e lasciare tranquilli i delinquenti?
Giù le mani da Fico, scrivono i pentastellati, soprattutto se a gettare fango sul Presidentissimo della Camera sono le Iene “serventi” dell’omonima trasmissione. Il nervosismo a 5 Stelle è ben rappresentato da una vignetta di Marione che ritrae il leader di Forza Italia mentre tiene al guinzaglio una iena. Una chiara allegoria dell’informazione addomesticata delle Iene. Visto che le Iene sono “pagate da Berlusconi” è ovvio che non solo non mordano la mano del padrone ma che si cimentino ad attaccare il MoVimento.
C’è da ricordare però che già in passato l’autore del servizio, la iena Antonino Monteleone, era stato vittima dell’odio a 5 Stelle a causa di un servizio dove rinfacciava a Di Maio di aver cambiato idea sull’incontro televisivo con Matteo Renzi.
Anche all’epoca Monteleone e le Iene venivano definiti “servi” anche grazie alle uscite di Di Maio che aveva apostrofato l’inviato Mediaset dicendogli “una volta eri un giornalista serio” oppure “ma tu sei passato alle Iene? Prima facevi il giornalista”.
Quando parte l’hashtag #FicoDimettiti?
Inutile ricordare che nei cosiddetti “paesi civili” fonte d’ispirazione per il partito degli onesti ministri e politici scoperti a pagare in nero le colf si sono dovuti dimettere. Fico invece se l’è cavata dicendo che si tratta sostanzialmente di “beneficienza”. E gli elettori non hanno sentito il bisogno di chiedere ulteriori spiegazioni. In fondo hanno creduto alla storia del Presidente della Camera che va in ufficio in autobus.
Simpatizzanti e attivisti a 5 Stelle oggi parlano di fantomatici “dossier” di cui Berlusconi sarebbe in possesso e che utilizzerebbe per attaccare coloro che vogliono mettere le mani sul conflitto d’interesse.
Non è un caso, nota un elettore pentastellato, che l’attacco a Fico giunga proprio dopo che il Capo Politico del MoVimento “ha detto pubblicamente come stanno le cose sul Berluska con le sue tv”. Ovvero cose che tutti dicono da vent’anni.
C’è chi invece ci spiega che la storia non è vera perchè l’unico “che ci ha messo la faccia” è Fico mentre gli altri potrebbero essere chiunque.
Il che ovviamente è assurdo, perchè Fico sarà anche apparso in video “con la sua faccia” ma non è che ha chiarito granchè della situazione.
In ossequio al principio della trasparenza quanno ce pare Fico ha preferito dire che si tratta di “un’amica” della compagna con cui si scambiano favori. Una versione che è smentita non dalle Iene ma dalla stessa colf che ha ammesso di essere stata pagata.
Su Twitter le dimensioni del complotto diventano epocali.
Le Iene si sarebbero coordinate con Renzi perchè “guardacaso” il servizio su Fico è andato in onda proprio quando l’ex Segretario del Partito Democratico era in televisione da Fabio Fazio (che però lavora per la Rai e non per Mediaset, ma sono dettagli). Per altri invece non si tratterebbe altro che di una nuova puntata del “metodo Boffo” (una vicenda che ha visto coinvolto Il Giornale ma non le Iene).
Il benaltrismo è servito quando qualcuno invece che pretendere chiarezza e trasparenza da Fico, in fondo si tratta solo di uno dei valori fondanti del M5S, puntano il dito contro gli onorevoli che non pagano i collaboratori (ma chi, l’ex deputato M5S Paolo Bernini?) oppure i giornalisti che non pagano i portaborse (??) fino alla storia dei VIP (quali?) che pagano i contributi per 2 giorni a settimana. Purtroppo è una “STORIA LUNGA” e non ci sta nello spazio dei tweet.
I 5 Stelle, che se Fico fosse stato di un altro partito non avrebbero perso tempo a far partire l’hashtag #FicoDimettiti sono impegnati in una strampalata difesa d’ufficio dell’eroe della gente.
Ed ecco che vengono pubblicate le prime “prove” del complotto: Monteleone si è girato verso la telecamera mentre intervistava Fico!! Almeno così non potranno accusarlo di non averci messo la faccia.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 1st, 2018 Riccardo Fucile
LE FAMIGLIE RISPONDONO AL GOVERNATORE DELLA SICILIA SUI DISABILI GRAVI
“Venire a sapere che tuo figlio ha una disabilità grave è qualcosa di fortissimo, un momento
spartiacque dell’esistenza che può anche sconvolgere il nucleo famigliare. Ma questo è lontanissimo anni luce dal ‘subire un colpo in fronte’”.
Mariarosaria Esposito, mamma di un ragazzo con atrofia muscolare spinale che vive a Sedriano, in provincia di Milano, commenta così le dichiarazioni choc di Nello Musumeci, governatore della Regione Sicilia, che in un discorso all’Ars sulle coperture finanziare per il Fondo regionale per l’assistenza dedicato alle persone con disabilità ha detto: “Se non ci fossero stati i disabili gravissimi, molte famiglie non avrebbero dovuto subire un colpo in fronte”.
Parole che hanno scatenato reazioni dure anche da parte dei genitori delle persone con disabilità che lottano quotidianamente per diffondere inclusione, dignità e pari opportunità , in modo da coltivare gli strumenti per vivere una “esistenza speciale”.
“Musumeci parla senza sapere di cosa si tratta”
“Non posso credere che un politico con queste responsabilità istituzionali possa solo pensare una roba del genere, probabilmente parla senza sapere di cosa si tratta — continua Mariarosa -. Negli ultimi decenni abbiamo conquistato diversi diritti civili ma è possibile che quando si tratta delle persone con disabilità siamo ancora a dover sentire certi discorsi? Noi madri e padri — continua — siamo in prima linea tutti i giorni per sostenere il riscatto dei nostri figli come parte integrante nella società , e ci battiamo contro ogni forma di discriminazione e ghettizzazione. Ma non vogliamo però pietismo nè compassione. Difendiamo i loro diritti, perchè è evidente che molte volte non vengano trattati con equità . Una persona disabile grave, con un corretto sistema di assistenza personale, può andare a scuola, avere un lavoro, essere indipendente dalla propria famiglia, vivere il presente e progettare il futuro, per diventare un’utile risorsa per la collettività ”.
“Un messaggio devastante per la società ”
Le parole di Nello Musumeci non sono piaciute “per niente” neanche ad Angela Rendo, mamma di un giovane con disabilità che vive a Catania e che conosce molto bene la dura realtà siciliana.
“Musumeci ha mandato un messaggio devastante alla società , a tutte quelle persone che non conoscono cosa voglia dire vivere 24 ore su 24 accanto ad un disabile gravissimo. Le persone con disabilità non sono un peso ma anzi arricchiscono chi li conosce, mostrano una serie di aspetti di vita eccezionali. Sono esseri umani straordinari, molte volte persino spiccatamente autoironici.
Chi si fa carico di governare una Regione come la Sicilia — osserva — dovrebbe inviare dei messaggi ben diversi, sapere almeno cosa vuol dire prendersi cura di un disabile grave. Forse Musumeci, che con le sue parole ha calpestato la dignità di tanti, non ha idea di cosa sia una giornata tipo vissuta da un disabile e dalla sua famiglia, non conosce le potenzialità e l’arricchimento in termini di valori umani che può regalare una persona con disabilità .
Mio figlio — precisa Angela — va a scuola come gli altri suoi coetanei e vorrebbe diventare un ingegnere informatico. Non ha nulla di diverso che dovrebbe impedirgli, a priori, di raggiungere certi traguardi. Ed io da quando l’ho visto nascere ho sempre ricevuto molto da mio figlio, che mi regala continue emozioni”.
“In Sicilia è quasi impossibile avere un’ora di assistenza domiciliare”
Ed è anche vero che lo Stato o dovrebbe mettere le persone con disabilità nelle condizioni di potersi realizzare sulla base dei propri bisogni e nel rispetto delle varie necessità .
“In Sicilia — continua ancora Angela — è quasi impossibile avere un’ora di assistenza domiciliare. In questo modo mio figlio potrebbe andare a prendere un gelato o una pizza con il proprio assistente personale, vedere insieme a lui un film e fare ciò di cui tutti i ragazzi della sua età hanno bisogno per svagarsi. Qui, fino ad oggi, non ci sono neanche percorsi per la Vita indipendente e progetti per il Dopo di noi.
Vorrei — aggiunge Angela — che il governatore siciliano evitasse di inviare suoi video, come parziali passi indietro rispetto alle sue dichiarazioni, dicendo che i disabili e le loro famiglie sono soggetti a strumentalizzazioni politiche“.
Per Angela “non è questo il punto, perchè la disabilità non ha colore politico e noi quando scendiamo in piazza per reclamare i diritti dei nostri ragazzi, sanciti dalle leggi italiane e dalla Convenzione Onu sui diritti per le persone con disabilità , lo facciamo per difendere diritti, non certo inesistenti privilegi”.
Intanto, dopo le polemiche sortite dalle esternazioni di Musumeci, domenica 29 aprile è passata una norma regionale che riguarda i disabili residenti in Sicilia.
E’ stato istituito un fondo da 270 milioni di euro, con garanzia dell’assistenza mensile per 12mila disabili gravissimi che avranno circa 1.500 euro al mese per scegliersi il percorso di assistenza.
“Non mi appassiona commentare le frasi di Musumeci, ma è giusto farlo” per non rimanere nelle posizioni di chi, con il silenzio, approva tacitamente certe posizioni “francamente inaccettabili”, dice a ilfattoquotidiano.it Antonio Nocchetti, presidente di Tutti a scuola e attivista napoletano che si batte da lungo tempo per difendere i diritti delle persone diversamente abili.
“Se potessi prescrivergli, da medico ed educatore, una terapia, lo inviterei a trascorrere un giorno alla settimana per un anno almeno in una famiglia ‘speciale’.
Ne avrebbe da guadagnare la sua persona e la politica che intende rappresentare. Purtroppo questa prescrizione rimarrà lettera morta. E i disabili e le loro famiglie continueranno ad ascoltare queste ‘perle di saggezza’”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 1st, 2018 Riccardo Fucile
CONSEGNARE PIZZE E SUSHI NON E’ PIU’ SOLO UN LAVORETTO PER UNIVERSITARI… LE STORIE DI EX DIPENDENTI, LA GUERRA PER I TURNI, L’ANSIA PER LE STATISTICHE DI AFFIDABILITA’ E I BONUS
“In una domenica di pioggia ho pedalato 115 chilometri. Fatti due conti, ho guadagnato 1 euro al chilometro”.
Pietro non si allena per il triathlon ma il fiato ce l’avrebbe, per forza di cose. Da due anni fa il rider per Foodora, su e giù per Torino per quattro o cinque ore al giorno. Quando ha iniziato aveva già passato i 40 e l’azienda in cui lavorava come programmatore l’aveva lasciato a casa.
Nel frattempo si è separato e senza gli 800-900 euro netti che porta a casa consegnando pizze e sushi non arriverebbe a fine mese. E’ uno dei tanti: se i giovani restano la maggioranza, girare in bici o motorino per una piattaforma di delivery non è più solo un lavoretto da universitari.
Le pettorine di Deliveroo, Foodora, Glovo, UberEats & c — che saranno in prima fila nei cortei del Primo maggio a Milano e Torino — le indossano anche ex dipendenti e professionisti che faticano a tirare avanti e pagano l’affitto improvvisandosi fattorini per pochi euro all’ora.
Sono la frangia più debole di un mercato del lavoro ad alto tasso di precariato, con più di 500mila “somministrati” (gli ex interinali) che in un caso su tre vengono chiamati per incarichi di un solo giorno e quasi 200mila collaboratori che si arrabattano con incarichi da meno di 5mila euro l’anno.
“Le piattaforme vogliono pagare a cottimo. E scegliere i più veloci e disponibili” — Dati ufficiali sull’età degli oltre 5mila rider attivi in Italia non ce ne sono. Ma una ricerca Uil sull’intera “gig economy” — che comprende anche le piattaforme su cui si comprano e vendono a basso costo lavoretti di traduzione, editing, grafica e simili — mostra che il 28% dei lavoratori on demand ha più di 35 anni.
“A Torino”, dove di recente i giudici hanno negato a un gruppo di fattorini Foodora l’equiparazione a dipendenti a tutti gli effetti, “ho conosciuto un ex ingegnere della Ibm lasciato a casa a 50 anni. Adesso fa le consegne”, racconta Giorgio Airaudo, ex segretario della Fiom-Cgil, che l’anno scorso nelle vesti di deputato di Sel ha firmato una proposta di legge per l’equiparazione di queste prestazioni “organizzate o coordinate dal committente” al lavoro subordinato.
“Del resto le piattaforme di delivery puntano a scaricare tutto il rischio di impresa sui lavoratori: non si fanno carico nemmeno dei mezzi di trasporto, pretendono di pagarli a cottimo e pure di scegliere i più veloci e sempre disponibili“. Come può esserlo chi non trova altro, magari perchè ha perso il posto dopo i 40 anni o è un migrante.
Giulio, 43 anni: “Ho rifiutato di lavorare un’ora sola. E la mia affidabilità è calata del 6%”
In effetti è tutta questione di disponibilità . Lo dimostra il messaggio che Giulio (come negli altri casi non è il suo vero nome) ci manda a tarda sera, dopo l’intervista. “Avendo rifiutato di lavorare oggi per un’ora sola, la mia statistica affidabilità e diminuita. Schiavi di un algoritmo“.
Segue screenshot del suo smartphone. E’ la schermata della app con cui Deliveroo comunica i turni e da alcuni mesi tiene traccia se accetti di lavorare nei weekend, negli orari in cui la domanda è più alta e anche, appunto, per un’ora sola. Che significa guadagnare, quel giorno, circa 8 euro netti. Se dici no il tuo “rating” si abbassa. E quello di Giulio, 43 anni, rider dal settembre 2017, è appena sceso dal 100 al 94%. L’altra variabile che conta è la “partecipazione durante le sessioni con maggiore richiesta di lavoro”. Più quelle che la app definisce “le tue statistiche” calano, “meno chance hai di scegliere gli orari per te più comodi”, spiega Giulio.
“I turni settimanali si possono chiedere a partire dalle 11 di lunedì. Ma io potrò prenotarmi solo dalle 15“. C’è di peggio: se ti fanno slittare alle 17, ti restano solo le fasce peggiori.
“È un ricatto”, commenta Giulio. Eppure si sente quasi un privilegiato. “Sono inquadrato come collaboratore occasionale, ma per noi che abbiamo più anzianità c’è ancora un compenso orario, 6,5 euro netti. Chi è arrivato quest’anno invece è pagato a cottimo, ha solo un minimo garantito di 6,5 euro per ogni turno più 1,5 euro per ogni consegna fatta e un rimborso benzina di 20 centesimi al chilometro per chi come me gira in scooter. Nei weekend però capita di aspettare più di mezz’ora fuori dal ristorante per cui di consegne ne fai poche”.
“Avevo una pizzeria, ora le pizze le consegno”
Giulio a fare il rider ci è arrivato dopo vent’anni nel mondo della ristorazione. “A un certo punto avevo aperto una pizzeria in centro a Milano. Ma le cose sono andate male, due anni è finita in liquidazione. Per un po’ ho lavorato in nero per un locale fuori Milano e per andarci ho comprato lo scooter. Lasciato quel lavoro, per metterlo a reddito ho pensato di mettermi a fare consegne.
Prima per una società postale privata, che mi dava 800 euro al mese in nero per otto-nove ore al giorno in mezzo al traffico senza pause”. Dopo cinque mesi ha mollato. Adesso per arrivare a fine mese, insieme alla compagna che è impiegata in un call center, ha diversificato. “Al mattino lavoro al nero per una panetteria: porto pane e focacce ai ristoranti della zona e, in pausa pranzo, consegno negli uffici. Prendo dieci euro all’ora, in tutto arrivo a 150 euro alla settimana. E la sera faccio i turni per Deliveroo. Mi danno un rimborso benzina, ma non basta mai. Il contratto telefonico me lo devo pagare io. Niente contributi, perchè siamo collaboratori occasionali, e se mi faccio male non ho nessuna copertura. Le mance? In centro non la lascia nessuno, nei quartieri popolari va un po’ meglio. A fine mese prendo dai 300 ai 500 euro, non di più, anche perchè è la app a decidere quanto lavoro. Magari chiedo di fare quattro ore ma a loro ne serve solo una”.
“70-80 ore a settimana. Poi mi ha travolto un suv”
Il meccanismo del “rating delle prestazioni” ha esasperato anche Domenico, 37 anni, ex salumiere in un supermercato. “Nel 2016 sono stato io a scegliere di aprire partita Iva e lavorare per Deliveroo: mi era comodo avere più flessibilità per andare a trovare mio figlio a Roma. E guadagnavo bene, anche 2.400 euro, pedalando per 70-80 ore a settimana. Ma adesso, con questi turni decisi dal computer, non ho più nessuna sicurezza su quanto riuscirò a portare a casa. In più ho dovuto passare allo scooter perchè ho fatto un brutto incidente. Ero stanco, a un incrocio non ho visto un suv che stava arrivando e mi ha preso in pieno. L’assicurazione? Ce l’abbiamo, ma c’è una franchigia da pagare e non sono ancora riuscito a sapere la cifra”. Morale: da settembre Domenico intende tornare dietro un bancone, con una paga fissa. Le consegne, nel caso, le farà solo per arrotondare.
“Non mi chiedono neanche un certificato medico. E pedalo 4 ore al giorno”
Pietro ha la stessa età di Giulio e lavora per Foodora dal luglio 2016. Per lui niente scooter. Le consegne le fa in bici. “Per fortuna ero abituato, perchè se non sei allenato è un massacro“.
All’inizio prendeva 5 euro all’ora, poi l’azienda ha introdotto il cottimo: paga in base alle consegne fatte. “In un primo momento ho rifiutato. Poi, dopo la mobilitazione dei colleghi, il compenso a consegna è salito a 4 euro lordi. A quel punto ho ricominciato. Per 4-5 ore al giorno sulla bici prendo in media 800-900 euro netti, a volte anche di più. Ovviamente dipende da quante ore mi danno. E sono loro a decidere. Adesso che noi rider siamo tanti (e ci sono anche persone più grandi di me) è una guerra: più sei disponibile più ti fanno lavorare”.
Foodora inquadra i lavoratori con un contratto cococo, per cui paga i contributi. “Quando mi sono fratturato il mignolo l’Inail mi ha coperto. Ma se mi ammalo e sto fermo sono cavoli miei. E non ti chiedono neanche un certificato medico, nonostante pedaliamo per ore con la loro pettorina: domenica scorsa pioveva e ho fatto 115 km di seguito. Non mi lamento, almeno riesco a conciliare il lavoro con i weekend in cui mi occupo di mia figlia. Però non potrò certo farlo fino ai 70 anni”.
Il Primo maggio Pietro fa sciopero. Rinunciando al bonus di 15 euro a turno promesso dall’azienda a chi si presenterà puntuale per le consegne anche nel giorno della festa dei lavoratori.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 1st, 2018 Riccardo Fucile
UN PAESE SEGNATO DAGLI SCIOPERI, SINDACATI DIVISI
A cinquant’anni da quel maggio parigino che infiammò le strade della capitale con proteste e
incidenti, oggi la Francia celebra la tradizionale festa dei lavoratori in un clima da guerriglia con violenti scontri di piazza, mentre i sindacati avanzano in ordine sparso, l’opposizione è persa in un’impasse e il presidente Macron se ne va dall’altra parte del mondo in uno dei momenti più delicati del suo mandato.
Uno scenario frammentato, testimone di una scollatura tra istituzioni e parti sociali, all’interno del quale il governo continua a far avanzare le sue riforme come un rullo compressore, senza badare troppo alle proteste dei suoi oppositori.
La manifestazione di oggi a Parigi è stata caratterizzata da violenti disordini tra forze dell’ordine e un gruppo di circa un migliaio di persone a volto coperto appartenenti ad ambienti anarchici e di estrema sinistra.
Cominciate verso le 15 all’altezza del ponte d’Austerlitz, le violenze si sono verificate alla testa del corteo e hanno obbligato i manifestanti a cambiare il percorso inizialmente previsto.
La polizia ha risposto con dei gas lacrimogeni e un cannone ad acqua al lancio di pietre e oggetti contundenti. Al termine della giornata, le forze dell’ordine hanno fermato circa 200 black block, con un bilancio che riporta diverse vetrine rotte, un McDonald’s saccheggiato e alcune macchine date alle fiamme.
L’Eliseo ha fatto sapere che il presidente Macron, in viaggio in Australia, ha seguito con attenzione l’evolversi della situazione. Immediata anche la reazione del ministro dell’Interno, Gerard Collomb, che sul suo profilo Twitter ha lanciato una “ferma condanna delle violenze e degli atti degradanti”, sottolineando che “è stato messo in atto tutto il necessario per far smettere questi gravi disordini ed arrestare i responsabili”.
Sul fronte sindacale, a scendere nelle strade delle principali città francesi per la tradizionale manifestazione del Primo maggio oggi c’erano solamente la Cgt e Solidaire, due dei principali sindacati nazionali.
La prefettura ha contato 20mila persone nel corteo sindacale e 14.500 persone a d fuori delle organizzazioni.
A nulla sembra essere servito l’appello lanciato qualche giorno fa da Philippe Martinez, segretario della Cgt, che aveva richiamato all’ordine tutte le sigle per una giornata “unitaria”. A Parigi la Cfdt ha organizzato un evento “culturale e rivendicativo insieme all’Unsa e la Cftc, durante il quale è stato proiettato il film “7 Minuti” di Michele Placido.
Force Ouvrière, invece, ha indetto una conferenza stampa dopo il recente cambio di segretario che ha visto Pascal Pavageau prendere il posto del contestato Jean-Claude Mailly.
In realtà , i sindacati francesi per la festa dei lavoratori sono tradizionalmente divisi. L’ultima iniziativa intersindacale comune risale al 2009, quando all’Eliseo c’era Nicolas Sarkozy. In quell’occasione, otto organizzazioni sfilarono fianco a fianco per protestare contro la crisi economica di quel periodo.
Alla base di queste divisioni ci sono le differenti strategie adottate dai sindacati, tra chi preferisce la mobilitazione in strada, come la Cgt, e chi adotta una linea centrata sul dialogo con le istituzioni.
“I sindacati devono parlarsi più spesso. E invece di discutere delle cose che ci differenziano, bisogna vedere cosa ci unisce” ha detto Martinez in un’intervista pubblicata ieri da Libèration.
Secondo il segretario, la protesta si porta avanti “prima di tutto con i lavoratori”, anche se ci possono essere delle “iniziative con i partiti”.
Tuttavia, nonostante il dialogo tra le confederazioni nazionali resti bloccato, le proteste nei vari settori vedono un’intesa maggiore.
Ferrovieri, dipendenti pubblici, pensionati e personale di Air France: la lista delle categorie che in questa settimana incroceranno le braccia è lunga e include le principali organizzazioni. Giovedì e venerdì toccherà ai dipendenti della Sncf, l’azienda nazionale dei trasporti ferroviari, e di Air France, che si fermeranno insieme. La settimana si concluderà il 5 con la “Festa di Macron”, una manifestazione contro le politiche del governo indetta a Parigi da Franà§ois Ruffin, deputato della France Insoumise, partito della sinistra radicale.
E proprio mentre la Francia si prepara ad affrontare un inizio di primavera particolarmente “caldo”, il presidente Macron decide di partire per un viaggio che questa settimana lo vedrà impegnato in Australia e in Nuova Caledonia.
Una scelta che ha fatto ovviamente discutere, interpretata da molti come una “fuga” dalle contestazioni di questi giorni.
“Non ci sono giorni feriali quando si è presidente della Repubblica” ha detto il capo dell’Eliseo a Sidney, definendo il dibattito come “una falsa polemica”. Sebbene la presenza del capo di Stato non avrebbe apportato cambiamenti sostanziali alla situazione visto il suo tradizionale atteggiamento distaccato dalle questioni interne, la mossa ha contribuito ad aumentare l’irritazione dei partner sociali, che a più riprese hanno puntato il dito contro “l’arroganza” del presidente.
Il dialogo sociale sulle ultime riforme, in particolare quelle del lavoro e delle ferrovie, si è svolto in un clima di freddezza, con il governo fermo sulle sue posizioni.
Ma il presidente francese non è l’unico ad aver disertato la capitale in questa giornata. Anche la leader del Front National, Marine Le Pen, ha scelto di allontanarsi da Parigi per celebrare il Primo maggio a Nizza insieme ai suoi alleati europei del Movimento per un’Europa delle nazioni e delle libertà (Menl) per la “Festa delle Nazioni”. All’appuntamento era atteso anche Matteo Salvini, che però ha declinato l’invito all’ultimo minuto, così come Geert Wilders, capo del partito olandese per la libertà (Pvv).
Un duro colpo per la presidente dell’estrema destra francese, che puntava su questo evento per lanciare il suo partito in vista delle elezioni europee de 2019.
Avere al proprio fianco tutti i leader dei principali partiti populisti avrebbe consacrato la presidente del Front National come capofila del movimento all’interno dell’Unione europea.
Al suo ritorno, il presidente Macron si ritroverà in un clima sociale ancora più teso di quello che aveva lasciato alla viglia della sua partenza. Una situazione che però non sembra preoccupato vista la determinazione mostrata dal suo governo in questi ultimi mesi.
(da “Huffingtonpost”)
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