Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
IL VERTICE FINISCE SENZA DICHIARAZIONI… I MUSI LUNGHI DEI DUE SERVI DI PUTIN LA DICE LUNGA… SALVINI E GIORGETTI VOGLIONO LA POLTRONA OFFERTA DA DI MAIO, BERLUSCONI NON SI FA DA PARTE E RESTA ANCORATO A UN GOVERNO DEL CENTRODESTRA
Due ore di confronto serrato, faccia a faccia.
Da una parte Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, decisi a far passare la linea della necessità di un accordo con i Cinquestelle alle condizioni avanzate in un’ultima offerta da Luigi Di Maio.
Dall’altra Silvio Berlusconi e Antonio Tajani, fermi sulla necessità di un incarico a un esponente del centrodestra e soprattutto sul rifiuto che Forza Italia si faccia da parte, magari emarginata sull’appoggio esterno.
Il risultato è che il vertice di Palazzo Grazioli, al quale ha partecipato anche la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, è finito senza alcun risultato.
Dopo due ore Salvini e Meloni hanno lasciato la residenza romana di Berlusconi senza rilasciare dichiarazioni e nessuno dei partiti ha diffuso comunicati.
La riunione è stata aggiornata alla prima mattinata di domani, prima che alle 11 la delegazione (unita) della coalizione si presenti dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per le consultazioni.
Tradotto significa che lo scontro è stato frontale tra due linee completamente diverse, come d’altra parte è emerso in questi due mesi di trattative.
E la mancanza di note ufficiali è la dimostrazione della tensione altissima.
Da una parte Salvini che vuole evitare qualsiasi ipotesi di “governo istituzionale”, tecnico o simili.
Dall’altra Berlusconi che non vuole saperne dei Cinquestelle nè tantomeno di farsi da parte e che vorrebbe evitare le elezioni anticipate proprio partecipando al sostegno di un eventuale governo “del presidente”., cioè la soluzione individuata direttamente dal capo dello Stato Sergio Mattarella dopo i due mesi di trattative senza esito dei partiti.
Il centrodestra si è spaccato perchè sul tavolo c’è soprattutto l’ultima offerta a Salvini spedita direttamente da Luigi Di Maio, capo politico dei Cinquestelle, disposto a fare un passo indietro e a rinunciare all’incarico da presidente del Consiglio per formare un governo politico.
In questo quadro — per via dell’impuntatura dell’ala renziana — è tornato puro spettatore il Partito Democratico.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
IL PREMIER COMMENTA IL NO PREVENTIVO DI DI MAIO A UN GOVERNO DEL PRESIDENTE…. POI LA STOCCATA A SALVINI: “NON SO SE SUI PROFUGHI C’E’ BISOGNO DI CHIAMARE UN MEDICO, CERTO NON PER ME”
“Dire no a Mattarella sarebbe dire no al Paese: è molto pericoloso”. Lo sottolinea il premier Paolo
Gentiloni, ospite a Che tempo che fa su Rai1.
“Sono perplesso di fronte a questi altolà preventivi alle proposte del presidente della Repubblica. Penso che tutte le forze politiche, di fronte a una proposta del presidente, dovrebbero fermarsi un attimo a riflettere”, nota Gentiloni, riferendosi alle dichiarazioni odierne di Luigi Di Maio, che ospite a Mezz’ora in più su Rai3 ha escluso la possibilità di un appoggio dei Cinque Stelle a un governo del presidente. “Inviterei tutti a una grandissima pazienza”, è il consiglio del premier.
Anche perchè – prosegue – “a riportare fuori strada l’Italia ci vuole un attimo”.
“I fondamentali sono a posto e non faccio profezie di sventura. Ma a riportare fuori strada l’Italia ci si mette un attimo: in pochi mesi ci si può portare a una crisi molto pericolosa. Attenzione alle scelte che si fanno in economia e politica estera”.
La prospettiva di un governo M5S-Lega, per Gentiloni, “è certamente è un’operazione legittima ma a livello europeo sarebbe considerata un’incognita abbastanza singolare per un grande Paese come l’Italia”.
Dal Pd ci sarà una risposta positiva a qualsiasi scelta del Colle.
“La proposta che farà il presidente la prenderemo in considerazione positivamente in ogni modo. Nel Pd Mattarella troverà un interlocutore positivo”, assicura Gentiloni. “Penso che noi non dobbiamo mettere paletti e pregiudiziali” sulle decisioni che il presidente della Repubblica potrebbe prendere, “e dico a tutti: lasciamo al presidente margini di manovra perchè l’Italia ha bisogno di una soluzione a questa crisi”.
Auspicando che il governo Gentiloni, in caso di mancato accordo M5S-Lega, resti fino alle urne, “non so se Di Maio mi abbia fatto un favore o meno, perchè il governo senza avere un rapporto di fiducia col Parlamento” sarebbe “un problema”, osserva il premier.
Restare a Palazzo Chigi? “Preferirei di no” – risponde il premier, scivolando in un errore letterario (attribuisce a Oscar Wilde “Bartleby lo scrivano” di Herman Melville, errore subito ‘immortalato’ dagli utenti di Twitter) – ma per me quello che decide il presidente della Repubblica mi troverà sempre pronto a rispondere. Io lo considero un dovere. È stato un grandissimo privilegio e opportunità . Se il presidente fa una richiesta a una personalità o a una forza politica, è un errore dire di no a prescindere”.
Quanto al Pd, per Gentiloni il “gran rifiuto” alle proposte dei Cinque Stelle di formare un governo “non era indispensabile”.
Il ‘tocca a loro’ – secondo Gentiloni – non va per “un partito come il Pd, che è per definizione un partito di sinistra di governo e deve dare il suo contributo, non è che per definizione si colloca all’opposizione”.
Certo, “non era realistico che il Pd appoggiasse un governo guidato da Di Maio o da un altro esponente M5S, ma si poteva discutere perchè questo avrebbe messo a nudo le contraddizioni al loro interno”.
Gentiloni invita i compagni di partito a “dare una mano a Martina per l’unità “.
“Il dibattito nel Pd è iniziato e dobbiamo ringraziare Martina che ha la responsabilità . Io un po’ di tempo glielo darei, gli darei una mano. Ho visto varie proposte, da Beppe Sala a Carlo Calenda, hanno chiesto organismi che possono dare una mano a Martina. Credo si stia impegnando per mantenere unito il Pd e ritrovare le sue ragioni”.
“Il Pd ha preso due sberle, la cosa più allarmante è che non ci siamo chiesti perchè”, rimprovera Gentiloni. “Quando la sconfitta è così bruciante, come è stato a marzo, e certamente non è colpa solo di Renzi, forse un po’ più di tempo per capire ragioni sarebbe stato utile. E adesso lo facciamo, certo, ma in mezzo alle montagne russe”.
A Fazio che gli chiede se abbia già prenotato le vacanze estive, Gentiloni risponde: “Ancora no, ma non per ragioni politiche, sono attese da molto tempo e mi devo organizzare e vedere bene dove andare. E speriamo che si possano fare vacanze, vorrebbe dire che non si torna a votare fra 4 mesi”.
A conclusione, il premier risponde con una frecciata anche a Salvini, che ieri su Twitter aveva invocato “un medico per Gentiloni” in riferimento alle sue osservazioni sulla necessità del nostro Paese di un’immigrazione “con flusso regolare”.
“Non so se c’è da chiamare un medico, ma certo non per me!”, afferma, tornando a parlare di flussi migratori
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
AI GRILLINI FORZA ITALIA FA SCHIFO MA UN APPOGGIO ESTERNO POSSONO ACCETTARLO
“Va bene Luigi, ma devo parlarne con gli altri”. È l’ora di pranzo. Luigi Di Maio si sta preparando a prendere un taxi, direzione via Teulada, dove a In mezz’ora renderà pubblica l’ultima mossa per evitare la ridotta dell’opposizione e la richiesta delle urne. La posizione di Matteo Salvini, in attesa del vertice di Arcore, è interlocutoria.
Solo a sera i contorni della risposta verranno definiti.
Definita la risposta, occorre dare i contorni l’offerta.
Il capo politico 5 stelle mette sul piatto un suo passo di lato. Sì a un premier terzo. Non un tecnico, ma un nome politico che sia un punto di caduta delle esigenze del Movimento 5 stelle e della Lega.
Non fa nomi, non mette in campo ipotesi. Su RaiTre spiega che “è l’ultimo dei problemi se si tratta di un nome nostro o di uno loro”. È un “sediamoci al tavolo a trattare”. La war room stellata fa capire qualcosa in più.
Vale a dire che se occorresse, il Movimento sarebbe disponibile in extrema ratio a dare il via libera anche a un nome del Carroccio, purchè l’esecutivo si impegni a rispettare almeno una parte del governo 5 stelle (“Reddito di cittadinanza, abolizione della legge Fornero e legge anticorruzione”, quelli esplicitati).
Un Giancarlo Giorgetti, per intenderci. Sempre nell’ottica, spiega il leader, “di un premier condiviso nell’ambito di un contratto di governo”.
Ci sono ulteriori dettagli. I vertici 5 stelle continuano nel niet a Silvio Berlusconi: “Non lo reggiamo, non riusciremo a spiegarlo ai nostri militanti, ai nostri elettori. È anche una questione etica, morale”.
Ma rispunta il teorema già esplicitato dopo le consultazioni con Elisabetta Casellati. Qualora i forzisti decidessero di votare sì a un eventuale governo gialloverde, non sarebbero gli uomini di Di Maio a mettersi di traverso. “Saremmo comunque autosufficienti — spiegano — gli altri possono fare quelli che vogliono”. Sì a un appoggio esterno, insomma, senza tuttavia chiamarlo tale.
Sì perchè la proposta dell’ex delfino di Beppe Grillo prevede un vero e proprio governo politico fra le due forze politiche. Con ministri che siano espressione organica delle due forze politiche. Con i leader che se ne terrebbero fuori, garanti dell’intesa e tutori politici del nuovo Consiglio dei ministri.
Se l’articolazione dell’offerta non era mai stata così dettagliata, Di Maio svela comunque che del suo possibile passo indietro “avevo già parlato con Salvini tempo fa”.
Esattamente subito prima di recarsi a palazzo Giustiniani, allorchè la presidente del Senato era stata incaricata di esplorare possibili intese tra M5s e centrodestra.
Era per la mano tesa e i segnali positivi ricevuti che in quelle ore la truppa stellata trasudava ottimismo, poi gelata dalla doccia fredda del ricompattamento dei tre alleati.
Il nodo sta tutto lì. Perchè “gli altri” di cui parla il segretario della Lega sono Giorgia Meloni e, soprattutto, Silvio Berlusconi. Che già più d’una volta ha fatto saltare il banco.
Per questo ieri nella stanza dei bottoni 5 stelle è stato deciso di rendere pubblico il pezzo d’offerta che riguarda direttamente il ruolo del capo politico. Perchè la difficoltà degli ultimi giorni è stata evidente, e si è condensata nella lucidatura di un vecchio armamentario lessicale da barricate e in una un po’ goffa richiesta di urne subito.
A prescindere dalle risposte che arriveranno, lunedì al Quirinale verranno prospettate queste uniche due strade: o un governo politico con la Lega, o il voto al più presto possibile.
Il no a qualunque soluzione di governo del presidente (o con formulazioni simili) verrà respinta al mittente. Nell’apertura al Pd il Movimento si sente aver già mostrato la propria disponibilità all’inquilino del Colle più alto d’Italia. Subendo poi una bruciante scottatura — che tuttavia ha tolto un bel po’ di castagne dal fuoco — dallo stop ricevuto da Matteo Renzi, sul quale pure erano arrivati segnali inizialmente incoraggianti. “Il governo del presidente non ha i numeri — ha spiegato Di Maio a In mezz’ora — Per noi va bene andare al voto il prima possibile, e le nuove elezioni saranno un vero e proprio ballottaggio”.
In caso la situazione precipitasse, per il leader stellato, sarebbe “comodamente il governo Gentiloni a poter rimanere in grado per la gestione degli affari correnti”. Dicendosi tuttavia disponibile a votare sì a un cosiddetto decreto legge manovrina che scongiuri l’aumento dell’Iva.
Aperture, che fanno il paio con un discorso allarmistico, da qualcuno interpretato come una velata minaccia: “Non sta ancora succedendo ma il rischio che vedo io è un rischio per la democrazia rappresentativa. Io non minaccio nulla ma il rischio di azioni non democratiche può esserci”. Un contesto nel quale “noi del Movimento abbiamo fatto passi avanti, ma se continuiamo a ricevere solo due di picche c’è il rischio che una forza politica come la nostra si allontani dalla democrazia rappresentativa”.
Un concetto borderline, che prova a sostanziare così: “Le mie posizioni sull’Europa sono note. Ma il referendum che propone Beppe Grillo ha un senso se ci escludono dal governo. È chiaro che a quel punto dovremmo cercare di portare avanti le nostre istanze in altro modo”.
È il D-day, lo scontro finale sull’Omaha beach della trattativa di governo. Di Maio è convinto di aver posto sulla spiaggia una testa di ponte ragionevolmente solida. Se verrà ricacciata in mare o supererà il vallo di Arcore, sarà solo la notte a poterlo dire.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
L’INIZIATIVA UE, ECCO COME PARTECIPARE
I requisiti per salire a bordo e partire sono avere 18 anni e aver voglia di scoprire l’Europa. 
L’iniziativa “Discover EU” offre interrail gratis ai neomaggiorenni cittadini Ue e nasce da un’idea proposta all’evento europeo per i giovani (EYE, dall’inglese European Youth Event) promosso dal Parlamento europeo.
Permetterà a 20.000-30.000 diciottenni cittadini dell’UE di viaggiare gratuitamente in Europa.
Ma cosa bisogna fare per partecipare?
Tra luglio e settembre prenderanno parte al programma 15.000 ragazzi. La prima procedura di registrazione online sarà disponibile dal 12 giugno fino al 26 giugno 2018, mentre una seconda aprirà più avanti.
Possono partecipare alla prima procedura di iscrizione i cittadini dell’UE che al 1° luglio 2018 abbiano compiuto i 18 anni.
Il biglietto consente di viaggiare da 1 a 30 giorni in non più di quattro paesi dell’UE utilizzando il treno come mezzo di trasporto principale. Sono previste eccezioni per situazioni particolari come portatori di handicap e persone che provengono da regioni periferiche.
Per maggiori informazioni sul programma, da metà maggio sarà possibile consultare la sezione dedicata all’interno del Portale europeo per i giovani e su una pagina Facebook creata per l’occasione.
Il Parlamento europeo è stato un grande sostenitore dell’idea di un biglietto del treno gratuito per i diciottenni dell’UE, votando tre risoluzioni a favore dell’iniziativa.
Gli eurodeputati ritengono che questo programma sia in grado di far conoscere e comprendere ai giovani le diverse anime dell’Europa e i valori comuni che la sostengono.
Pensano che incoraggiare i giovani cittadini europei a viaggiare negli stati membri e incontrare altre persone da altri paesi possa promuovere un’identità europea e rafforzare i valori fondanti dell’UE.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
L’EX CANDIDATO REPUBBLICANO AMMETTE IL VICE PENCE ALLE SUE ESEQUIE
Il senatore John McCain, 81 anni, da mesi in lotta contro un cancro al cervello, ha chiarito che non vuole che il presidente Donald Trump partecipi al suo funerale.
McCain, veterano della guerra del Vietnam e rispettato senatore dell’Arizona ha avuto un rapporto turbolento con Trump, ma vuole invece che il vicepresidente Mike Pence rappresenti la Casa Bianca.
McCain sta anche usando un nuovo libro e un documentario per esprimere rammarico per non aver scelto l’ex senatore Joseph Lieberman come suo compagno di viaggio nel 2008 contro Barack Obama e per avere scelto invece la populista Sarah Palin.
McCain sta combattendo una forma aggressiva di cancro al cervello da più di un anno. Attualmente è tornato in Arizona, dopo un intervento chirurgico per un’infezione intestinale.
McCain e Trump hanno avuto una relazione politica contrastata, in particolare durante le primarie presidenziali del 2016, quando Trump ha detto che McCain – prigioniero di guerra per anni in Vietnam – non era davvero un eroe di guerra perchè era stato catturato.
La scorsa estate Trump ha criticato McCain per un “no” che ha contribuito a condannare il decreto presidenziale per l’abrogare l’Obamacare – le riforme sanitarie approvate dal presidente Barack Obama.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
CALO DI CONSENSI A CAUSA DI RIFORME AUTORITARIE, MA L’ECONOMIA VIAGGIA CON UNA CRESCITA DEL 2%, OLTRE OGNI PREVISIONE E IL DEBITO SI E’ RIDOTTO
Era il 7 maggio 2017. E al secondo turno delle presidenziali francesi vinse Macron, allora 39 anni
appena e fino a pochi mesi prima un outsider assoluto.
In un anno di «regno» cos’ha fatto e come l’ha fatto? E chi è diventato, almeno agli occhi dei francesi?
Chi è oggi Emmanuel
In un’inchiesta realizzata nel marzo 2017 da Ipsos-Sopra Steria per Cevipof venne chiesto ai francesi se Macron fosse di sinistra o di destra.
I sondaggisti proponevano una scala da 0 (il massimo della sinistra) a 10 (il massimo della destra): i francesi fermarono il cursore a 5,2, confermando l’ambizione di Macron di puntare a una politica «nè di destra, nè di sinistra»
Nei giorni scorsi la stessa società ha ripetuto l’inchiesta e il risultato è 6,7: per i francesi Macron è diventato di destra.
Un anno fa, con la sua campagna elettorale all’insegna della gioventù e della società civile, tanti parlavano della sua empatia: oggi solo il 35% degli intervistati lo trova simpatico.
Ma il 68% ammette che è energico e per il 50% «vuole riformare davvero la Francia». Il 55%, però, ritiene che le sue riforme siano «troppo autoritarie».
Cos’ha fatto Emmanuel
Tanto, va ammesso. Ha già realizzato o messo in cantiere una trentina di riforme.
Si va da quella del mercato del lavoro (una sorta di Jobs Act in salsa francese) alla moralizzazione della vita politica (compreso il divieto di impiegare familiari per i parlamentari), dalla riforma dell’accesso alle università (introducendo un minimo di selezione: le contestazioni attuali negli atenei non sembrano poter bloccare il processo) alla nuova legge sui migranti e l’asilo politico (in fase di approvazione in Parlamento) fino alla riforma fiscale (la patrimoniale, l’imposta sui più abbienti, è stata ridotta solo agli investimenti immobiliari: è uno dei motivi per cui si guarda a Macron come a un «presidente dei ricchi» e di destra).
Tantissime anche le normative specifiche che sono state varate dal governo di Edouard Philippe, nei settori più diversi, come l’introduzione di undici vaccini obbligatori, l’aumento del prezzo delle sigarette (a livelli tra i più alti del mondo) e lo sdoppiamento delle prime elementari nei quartieri in difficoltà , per ridurre le classi e rendere più efficace l’insegnamento.
Come l’ha fatto Emmanuel
Eletto al secondo turno in funzione anti Marine le Pen, mentre al primo aveva ottenuto appena il 24% dei voti, nelle legislative che seguirono a ruota, grazie a un sistema maggioritario a due turni e sullo slancio della vittoria alle presidenziali, Macron si è ritrovato con la maggioranza assoluta in Parlamento, composta dai deputati del suo movimento (En Marche!), spesso neofiti, facili da orientare.
Il Presidente, poi, ricorre costantemente ai decreti per accelerare l’applicazione delle sue politiche, prima ancora dell’approvazione definitiva delle leggi relative. E si è ritrovato in un contesto economico favorevole (il Pil è cresciuto del 2% l’anno scorso invece dell’1,5% previsto inizialmente).
Quanto al debito pubblico, a fine 2017 è stato limitato al 2,6% del Pil, scendendo per la prima volta sotto il 3% da dieci anni: una sua vittoria, ma che in grossa parte deve alla politica di riduzione della spesa pubblica portata avanti da Franà§ois Hollande.
Cosa deve fare ancora Emmanuel
Sulla riforma delle ferrovie pubbliche, nonostante l’ultima ondata di scioperi, è già molto avanti. Lo aspettano al varco una (necessaria) riforma del sistema pensionistico e il varo di un «Piano banlieue», a sostegno delle periferie urbane, le aree più disagiate del Paese.
Deve anche arrivare all’approvazione della nuova riforma istituzionale, che prevede, tra le altre cose, un’iniezione di proporzionale nel sistema elettorale (ma appena il 15%, giudicato insufficiente per democratizzarlo davvero).
Anche sulla politica estera, nonostante il suo volontarismo, è atteso al varco con qualche risultato concreto.
Intanto Emmanuel corre, corre.
(da “La Stampa“)
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Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE PUNTA SU UN INCARICO ALLA PRESIDENTE DEL SENATO E SUL SOSTEGNO DI UN PEZZO DEL PD
Quattro schemi e un funerale, cioè le elezioni anticipate.
L’ora “ics” delle fatali consultazioni del capo dello Stato s’avvicina e nel centrodestra, meglio dentro Forza Italia, si registra un incessante lavorìo per trovare una soluzione contro il voto in autunno, a settembre o ottobre.
Il Quirinale è al corrente di questi “movimenti” diurni e notturni — definirle vere e proprie trattative è forse troppo — e vi assiste con un realismo che rasenta l’atarassia. Ossia, parafrasando Democrito, con un stato d’animo di perfetta indifferenza, o quasi. Tanto il momento della verità è domani al terzo giro di consultazioni e Sergio Mattarella farà tutte le sue domande in merito, cercando di avere risposte certe, se mai ci saranno.
Primo schema.
È l’unico che ha qualche probabilità residua di verifica. Ed è un pre-incarico o un incarico pieno alla presidente del Senato Elisabetta Casellati, già esploratrice senza successo del perimetro tra centrodestra e Cinquestelle. Stavolta però il suo nome potrebbe essere fatto per un esecutivo sostenuto dal centrodestra con un appoggio esterno del Pd.
Dice un influente berlusconiano: “Il nome di Casellati è l’unico per ingabbiare Salvini e Meloni, contrari a ogni collaborazione con il Pd, ma comunque è difficile”.
In ogni caso l’eventualità di un pre-incarico consentirebbe alla presidente del Senato di guadagnare altri giorni per far maturare un’improbabile svolta, sia sul fronte fascioleghista, sia su quello dei democratici.
Ragionano al Colle: “Renzi ha appena chiuso una direzione dicendo mai con Salvini o Di Maio. Un pre-incarico? Non ce n’è bisogno: Mattarella incontrerà Martina subito dopo la delegazione del centrodestra e glielo chiederà direttamente: ‘Siete disponibili ad appoggiare un tentativo del centrodestra?’”.
Comunque su Casellati pesa il precedente istituzionale del dc Amintore Fanfani nel 1987: fu lui, presidente del Senato e premier di un governo senza fiducia nel Parlamento, a traghettare il Paese al voto delle elezioni politiche di quell’anno.
Ma in questo caso la composizione di un esecutivo Casellati sarebbe diversa da quella di uno di centrodestra.
Secondo schema.
Discende dal primo ed è un governo di centrodestra camuffato da esecutivo di scopo. È la versione berlusconiana dell’offerta salviniana dell’altro giorno al M5S, immediatamente respinta da Luigi Di Maio.
In pratica l’ex Cavaliere avrebbe già offerto al Pd un premier modello Guido Tabellini, l’ex rettore della Bocconi, per superare l’estate, fare la manovra in autunno e finire a dicembre. In pratica un governo dell’Iva con voto anticipato a fine febbraio. Ovviamente l’incognita è il solito Salvini, che non concederà mai a Di Maio di cavalcare da solo le sterminate praterie dell’opposizione.
Questo schema però potrebbe essere propedeutico al vero governo di tregua che Sergio Mattarella prospetterà ai suoi interlocutori. Tabellini o meno, dalle parti del Pd renziano si chiedono: “Come farà tutto il centrodestra a dire di no al presidente della Repubblica?”. Ogni riferimento al leader leghista è fortemente voluto.
Terzo schema.
Qui si entra nel territorio ai confini della realtà . Nel senso che i “movimenti” ci sono ma non porteranno a nulla. Tutto nasce dagli abboccamenti quotidiani tra Gianni Letta e Luca Lotti, ambasciatori del renzusconismo. Sarebbe stata esaminata persino un’ipotesi tra Pd e Forza Italia ma in questo caso i famigerati Responsabili, alla Camera, dovrebbero essere ben cento. Un’impresa disperata.
Ma se per miracolo dovesse essere fattibile, al Quirinale s’avanza un’obiezione decisiva: “Quale sarebbe l’impatto di un governo degli sconfitti Renzi e Berlusconi?”.
Al di là di tutto, il fenomeno rinato del lettalottismo è il segnale della strategia renziana di creare un blocco centrista alla Macron.
Per farlo, l’ex Rottamatore aveva messo in conto anche la scissione dal Pd ma i sondaggi commissionati in segreto su un nuovo partito renziano sono stati spietati: non più del 3 per cento, come Liberi e Uguali.
Quarto schema.
Come il precedente, appartiene alla sfera dell’irrealtà . Se non altro perchè presupporrebbe un incarico a Salvini o Giorgetti, che ormai dentro Forza Italia danno per “impossibile”.
È la strada del centrodestra più Responsabili. Ma i 50 necessari alla Camera, con tanto di nomi e facce come chiede il capo dello Stato non ci sono.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
“E’ IL LEADER PIU’ VECCHIO, IN POLITICA DA 28 ANNI, NEMICO A PAROLE DELLE RACCOMANDAZIONI E’ RIUSCITO A PORTARSI IL FRATELLO DI BOSSI COME PORTABORSE AL PARLAMENTO EUROPEO E A PIAZZARE DUE EX MOGLI A CARICO DEI CONTRIBUENTI”… “NEMICO DELLA UE SALVO CHE DELLO STIPENDIO CHE PRENDE DALLA UE, CONFONDE IL LIBRO SACRO DEGLI EBREI CON IL CORANO”
Non so voi, ma io ho una voglia matta di un bell’incarico al Cazzaro Verde, al secolo Matteo Salvini. 
Sono due mesi che reprimo questa irrefrenabile pulsione, ma ora non ce la faccio più: l’idea di vederlo uscire dal Quirinale col pennacchio e i galloni di premier incaricato sulla felpa è troppo allettante, soprattutto dal punto di vista estetico e scenico.
Lo so che, per un incarico pieno, il presidente della Repubblica pretende una maggioranza con numeri certi in Parlamento, altrimenti preferisce sciogliere le Camere e far gestire le nuove elezioni da un governo elettorale di minoranza che si faccia bocciare in Parlamento e resti in carica per gli affari correnti (come il governo Gentiloni, ma non più espressione di un partito che ha appena dimezzato i suoi voti). E questa, intendiamoci, è l’unica via costituzionalmente corretta.
Però sperare non costa niente, e io spero che Salvini venga finalmente messo alla prova.
La sua fortuna, infatti, è che nessuno l’abbia mai chiamato a un pizzico di responsabilità , nei 28 anni della sua carriera politica (è il leader politicamente più vecchio su piazza, essendosi iscritto alla Lega nel lontano 1990, essendo stato eletto consigliere comunale a Milano nel 1993, e rappresenta il partito più vecchio sul mercato, l’ultimo nato nella Prima Repubblica, classe 1989).
È più di un quarto di secolo che il Cazzaro verde spara a salve, senza che nessuno verifichi mai la sua mira.
Le rare volte che qualcuno ha provato a inchiodarlo a un dato di fatto, la sua maschera è caduta da sola.
Quando sbarcò dalla Lombardia al Parlamento europeo, nel 2004, l’anti-Casta Salvini si portò il fratello di Bossi come assistente parlamentare (“portaborse”, direbbero i padani duri e puri di una volta, ma con un curriculum di tutto rispetto: terza media e scuola commerciale, negozio di autoricambi a Fagnano Olona, allenatore della squadra di ciclismo della Padania, il che giustificava il modico stipendio di 12.750 euro al mese).
Nemico giurato delle raccomandazioni e dei familismi di Roma ladrona, l’intransigente Salvini ebbe l’ex moglie Fabrizia Ieluzzi sistemata al Comune di Milano con contratti a chiamata dalle giunte Albertini e poi Moratti, e poi la sua nuova compagna Giulia Martinelli assunta a chiamata alla Regione Lombardia dalla giunta Maroni a 70 mila euro l’anno.
Quando esplode lo scandalo dei rimborsi del Carroccio rubati o buttati dal tesoriere per mantenere la famiglia Bossi, Salvini fa il moralista: “La mia paghetta era 500 lire”. Lui con la Family non c’entra, ci mancherebbe: infatti pochi mesi prima era in ferie col Trota.
All’Europarlamento, le rare volte che ci mette piede (a fine mese non manca mai per ritirare lo stipendio da quel “Gulag sovietico” che per lui è l’Ue, senza offesa per l’amico Putin), matura grande esperienza internazionale.
Infatti, dopo la strage di Charlie Hebdo, spiega a Sky che l’estremismo islamico deriva “da un’errata interpretazione della Torah” (il libro sacro degli ebrei, che lui confonde col Corano: forse per l’assonanza col dio Thor, figlio di Odino, nel cui culto celtico si sposavano i leghisti d’antan).
Un’altra volta riesce a trasformare in uno statista persino Balotelli, chiedendo il rimpatrio del ghanese del Milan Muntari, definito “un immigrato che non lavora”, e beccandosi la lavata di capo del campione italiano di colore (“Ma davvero Salvini è un politico? Allora votate me, è meglio”).
Ora, siccome è piuttosto rozzo ma tutt’altro che fesso, lucra sul declino di B., succhiando i voti di FI grazie a una serie bluff che funzionano solo perchè nessuno va mai a vedere.
Tipo le ricette miracolistiche contro gli immigrati e i rom (curiosamente presenti in massa anche nelle regioni e nei comuni amministrati dalla Lega), contro l’Ue (che lo mantiene da 14 anni a spese nostre), contro la legge Fornero e pro Flat tax.
Diversamente da Di Maio, che per tentare di fare un governo, anzichè cambiare tutto subito, s’è accontentato di cambiare qualcosa nel tempo, il Cazzaro Verde ha continuato a ripetere — restando serio — che gli basta l’incarico per, nell’ordine: trovare una maggioranza (in due minuti), fare il governo (subito), espellere tutti i clandestini e bloccare tutti i nuovi sbarchi (oggi pomeriggio), cancellare la Fornero (domattina), tagliare le tasse all’aliquota unica del 15% (domani sera) e accontentare il M5S con mezzo reddito di cittadinanza (entro dopodomani al massimo).
E solo nei primi due o tre giorni: seguiranno altre cuccagne.
Siccome tutti sanno che è un fanfarone e nessuno l’ha mai preso sul serio, non è tenuto a dire con quali parlamentari farà la maggioranza, chi glieli comprerà e con quali soldi manterrà le promesse elettorali.
Ma intanto la gente ci casca e lui vola nei sondaggi. In questi due mesi ha raccontato solo balle (a Mattarella, a B., a Di Maio), giurando a B. eterna fedeltà a FI e contemporaneamente assicurando al M5S l’imminente sganciamento da FI, annunciando intanto urbi et orbi che, se dipendesse da lui, il governo sarebbe già bell’e fatto. “Datemi ancora due giorni…”, “Appena si vota in Molise…”, “Aspettate il Friuli e poi vedrete…”.
L’ultima supercazzola è il “governo di scopo”, a guida leghista e “a termine fino a dicembre” (e perchè non fine gennaio o metà aprile?), praticamente pronto col centrodestra unito e i 5Stelle, per “cambiare la legge elettorale”: il fatto che il M5S non voglia vedere B. neppure in cartolina, che Di Maio non voglia fargli da ruota di scorta e che i tre partiti di destra e i 5Stelle propongano quattro leggi elettorali diverse e incompatibili, per tacere di tutto il resto, sono dettagli che non lo riguardano.
La prego, presidente Mattarella, gli dia l’incarico: dopo tanta noia, anche lei ha bisogno di un po’ di svago.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 6th, 2018 Riccardo Fucile
INTERVISTATO DALLA GRUBER NE HA ANCHE PER RENZI: “DOVEVA SEDERSI AL TAVOLO CON I GRILLINI, HA FATTO FINTA DI DARE LE DIMISSIONE SENZA DARLE”
“il Movimento 5 Stelle è ridicolo, Salvini è peggio, antisemita, antieuropeo, finanziato da Putin”. Lo ha affermato, secondo quanto scrive l’ANSA, Carlo De Benedetti intervistato da Lilli Gruber al Festival della Tv a Dogliani.
“A chi bisogna credere tra Grillo e Di Maio sull’euro? Tutte buffonate”, ha detto. L’accusa, gravissima, nei confronti di Salvini ha fatto annunciare al leader della Lega una querela, per ora solo annunciata.
Nel suo intervento De Benedetti ha trovato anche il tempo di parlare del Partito Democratico: “Il Pd ha fatto male a non sedersi a un tavolo con i 5 stelle, avrebbe dimostrato che un programma comune era insostenibile. Assurdo dire che gli elettori lo hanno votato per stare all’opposizione”.
Quanto a Renzi, “è inaccettabile che abbia fatto finta di dare le dimissioni senza darle”.
E, sul governo, “la cosa più logica sarebbe un governo Gentiloni che va in Parlamento a chiedere la fiducia per rifare la legge elettorale”, ha detto.
(da agenzie)
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