Maggio 8th, 2018 Riccardo Fucile
GIORGETTI PATETICO: “FORZA ITALIA PERMETTA UN GOVERNO CON IL M5S”… DI MAIO : “LASCIO IL CELLULARE ACCESO”… LA GELMINI LI GELA: “PROPOSTA IRRICEVIBILE”… MA CHI HA VOTATO CENTRODESTRA NON HA VOTATO PER UN ACCORDO CON I GRILLINI, SALVINI SI PRESENTI DA SOLO E LA FACCIA FINITA, COSI’ VEDIAMO COME FINISCE
“Se Silvio Berlusconi vota il governo del presidente l’alleanza finisce”. Lo ha detto il capogruppo alla
Camera della Lega, Giancarlo Giorgetti. “Votando a luglio c’è un rischio di astensione – ha aggiunto -, ma siamo contrari al voto a settembre, perchè bisogna dare presto un governo che rispetti i desiderata degli italiani”.
Giorgetti ha proseguito: “Continuiamo a chiedere a Berlusconi un gesto di responsabilità per aiutarci a dare un governo al Paese. Semplicemente è cercare una forma di presenza di Forza Italia che sia compatibile con il governo con il Movimento 5 Stelle”.
Il capogruppo alla Camera ha anche detto: “Non rompiamo la coalizione, ci siamo presentati alle elezioni come centrodestra unito e così ci hanno votato, teniamo fede a quell’impegno per coerenza, ma forse c’è qualche soluzione che permetta di rispondere alle attese degli italiani che chiedono un governo politico. Il rischio di un’astensione forte c’è con il voto a luglio, ma noi abbiamo fatto di tutto per dare un governo politico”
Dal capogruppo alla Camera di Forza Italia, Mariastella Gelmini, arriva un primo no a Giorgetti: “Oggi chiedere a Forza Italia di dare l’appoggio esterno mi pare una domanda malposta che non può che avere una risposta negativa”.
A proposito delle ipotesi sulla data del nuovo voto, Centinaio ha commentato: “Ammetto anche io che il 22 luglio è una data abbastanza rischiosa”.
Insomma hanno paura delle elezioni, nonostante le dichiarazioni di facciata.
(da agenzie)
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Maggio 8th, 2018 Riccardo Fucile
RENZI GLI TELEFONA: “MA DAVVERO NON RIUSCITE A CONVINCERE BERLUSCONI A FARE UN PASSO INDIETRO?”… L’EX PREMIER TEME NON TANTO LE ELEZIONI, MA CHE CAMBINO I PARLAMENTARI PD, VISTO CHE STAVOLTA LE LISTE NON LE GESTIREBBE LUI
Quando tutto stava per precipitare, mentre il presidente della Repubblica affinava le frasi per spiegare con linguaggio felpato ai partiti e agli italiani quali sono i rischi di un voto tra luglio e ottobre, c’è stato un colloquio tra due insospettabili per tentare una soluzione in extremis, almeno nelle intenzioni di uno dei due.
Matteo Renzi ha telefonato a Matteo Salvini, perchè non poteva credere che davvero Lega e Movimento Cinque Stelle non avessero trovato l’accordo per formare un governo.
Era quello il vaticinio dell’ex segretario Pd.
Lo ha ripetuto per settimane: “Le forze che hanno vinto devono governare, tocca a loro”.
E ci credeva, evidentemente, che sarebbe finita davvero così se lunedì — racconta il Corriere della Sera — a un certo punto ha ripescato il numero del leader leghista, già contattato nei giorni passati per sondare la possibilità di un esecutivo tecnico, e gli ha chiesto: “Scusa Matteo, davvero non riuscite a convincere Berlusconi a fare un passo indietro?”.
“No Matteo”, ha risposto dall’altra parte Salvini. Aggiungendo, racconta il Corriere: “Ma visto che ci vai d’accordo molto più di me, prova a convincerlo tu“.
La mossa in zona Cesarini, alla quale non si sa se Renzi abbia dato seguito, è stata questa.
Anche qualora la causa salviniana fosse stata davvero perorata dall’ex segretario i risultati sono stati minimi, se non nulli.
Perchè Silvio Berlusconi ha rifiutato di sganciarsi in cambio di tre ministeri da assegnare a persone vicine a Forza Italia e resta accanto a Salvini con l’unico distinguo, almeno per il momento, della preferenza sulla data del voto: “No luglio, sì in autunno”, ha spiegato il partito dopo la strigliata di Mattarella.
Così ora anche il Pd che Renzi ha voluto “orgogliosamente” isolare nei dialoghi per la formazione di un governo politico adesso ha pochi mesi per riorganizzarsi e prepararsi a un’altra sfida elettorale.
Con il rischio di un voto polarizzato, il vuoto di leadership e l’impossibilità di sfruttare l’opposizione per recuperare terreno, le urne sono uno scenario preoccupante per l’ex segretario, che non sarà più il plenipotenziario durante la formazione delle liste.
Un’arma usata lo scorso febbraio contro le minoranze più riottose che rischia di trasformarsi in un boomerang.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 8th, 2018 Riccardo Fucile
VIAGGIO ALLA ROMANINA TRA OMERTA’ E MINACCE AI CRONISTI: “ANDATE VIA O CI PENSO IO A VOI”
“Questa è una zona tranquillissima. E anche se succede qualcosa di losco, succede in tranquillità . Senza
che nessuno disturbi nessuno”.
Fabio è uno degli avventori del Roxy bar, il locale dove nel giorno di Pasqua due appartenenti alle famiglie Casamonica e Di Silvio hanno pestato Simona, una donna di 42 anni “colpevole” di aver reagito al sopruso dei “rampolli”, e il barista.
Siamo nella borgata della Romanina, poco oltre il Grande raccordo anulare, fra la Tuscolana e l’autostrada Roma-Napoli.
Una zona nota soprattutto per la speculazione edilizia, i grandi centri commerciali, l’urbanizzazione recente e le ville kitsch dei Casamonica.
“Andate via. Mò ci penso io a voi. Poi dicono che sono i Casamonica a fare danni”, urla ai cronisti da una delle ville una donna, mentre sul suo balcone si staglia una sedia dorata, quasi un trono.
I clan Casamonica — Di Silvio, imparentati fra loro, da 30 anni imperversano nella periferia est della Capitale, fra spaccio, racket, usura e riciclaggio.
Parlare di loro non è facile. “A noi non fanno niente, ma lasciateci perdere, non vogliamo sorgano antipatie”, dicono in un negozio a due passi dal bar teatro del pestaggio.
“Non fanno nulla, soprattutto a chi qui c’è da sempre e lavora. È un po’ come il branco: se hai paura lo vedono”, spiegano i titolari delle attività della zona.
Quello che è accaduto a Pasqua è un’azione di “ragazzotti”. “La vecchia guardia non lo avrebbe fatto. E poi erano sotto l’effetto di sostanze. Quando non lo sono, ti offrono anche il caffè”.
Non fanno nulla, ma in caso, meglio non rispondere? “Sì. A noi non è mai successo, ma spero di non provarlo mai”.
Negano il pizzo, ma ammettono in genere di farli passare davanti. “Per quieto vivere. E poi meglio vadano via il prima possibile, no?”.
A denunciare sono stati invece il barista, la sua compagna — vengono entrambi dalla Romania e hanno questa attività in zona da cinque anni — e Simona, la donna vittima del pestaggio.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 8th, 2018 Riccardo Fucile
PUO’ SUCCEDERE SOLO IN ITALIA CHE SI PERMETTA AI PARENTI DI UN CLAN DI MALMENARE I GIORNALISTI … A QUANDO IL PRESIDIO DEI SOVRANISTI A DIFESA DELLA SICUREZZA E DELLA LEGALITA’? … CHE ASPETTANO SALVINI E LA MELONI A FARE UN COMIZIO SOTTO L’ABITAZIONE DEI CASAMONICA?
Stavano documentando gli arresti di Antonio Casamonica e di Alfredo Di Silvio, ritenuti responsabili del pestaggio del 1 aprile ai danni di una donna disabile e del titolare del Roxy Bar alla Romanina.
Ma la loro presenza non era gradita ai parenti dei due uomini: prima le minacce, poi la violenza.
È successo all’alba di oggi a Roma, dove l’inviato di Nemo, Nello Trocchia e il filmaker Giacomo del Buono sono stati aggrediti dalle famiglie dei due arrestati. Durante il blitz delle forze dell’ordine, i Casamonica hanno inveito e insultato poliziotti e giornalisti, con una familiare che ha colpito la telecamera di Del Buono con uno schiaffo spaccando il led.
L’accaduto è documentato da un video diffuso dalla Rai.
Oltre agli insulti — ha reso noto Viale Mazzini — i familiari hanno lanciato anche oggetti proibendo alla telecamera di avvicinarsi alla casa di Antonio Casamonica.
Il servizio integrale andrà in onda nella puntata di Nemo di venerdì 11 maggio alle 21.20 su Rai2. Lo scorso 7 novembre il giornalista di Nemo Daniele Piervincenzi e il filmaker Edoardo Anselmi erano stati aggrediti a Ostia da Roberto Spada e Ruben Alvez Del Puerto. Il processo è in corso.
Immediata la solidarietà alla troupe del programma da parte dei vertici della tv pubblica. In una nota congiunta, la presidente Monica Maggioni e il direttore generale Mario Orfeo hanno commentato i fatti: “Ancora un’aggressione nei confronti di una trasmissione Rai impegnata a raccontare gli sviluppi giudiziari di un grave fatto di cronaca consumato a Roma — hanno fatto sapere — L’azienda esprime la piena solidarietà ai colleghi aggrediti questa mattina davanti alla casa di un esponente della famiglia Casamonica e conferma il suo totale impegno a tutela di tutti coloro che lavorano per garantire al Servizio Pubblico la possibilità di essere nei luoghi dove avvengono i fatti. Nessuna intimidazione — hanno concluso — potrà mai fermare il racconto della realtà che la Rai quotidianamente offre agli italiani“.
(da agenzie)
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Maggio 8th, 2018 Riccardo Fucile
MIGLIAIA IN PIAZZA CONTRO I LIMITI ALLA LIBERTA’ DI STAMPA, LE FRODI ELETTORALI E IL REGIME CORROTTO… IL “NUOVO” JOBBIK E’ IL PARTITO DI DESTRA SOCIALE ANTI-CORRUZIONE CHE DIALOGA CON LA SINISTRA, SECONDO PARTITO IN UNGHERIA CON OLTRE IL 20%
Oggi l’Ungheria si prepara a vivere un lungo giorno di tensione nella capitale Budapest. Gruppi
giovanili, organizzazioni della società civile, forze di opposizione hanno cominciato da ieri sera a formare una catena umana attorno all’enorme edificio del Parlamento nazionale (Orszà¡ghà¡z) nella centralissima Kossuth tèr.
Proprio nella mattina in cui si terrà la seduta costituente del nuovo Parlamento del premier razzista Viktor Orbà¡n
I dimostranti protestano contro quelli che denunciano come limiti brutali alla libertà di stampa, strappi ai valori dello Stato di diritto, corruzione, accuse di frodi elettorali.
Nel primo mattino la polizia è entrata in azione in modo brutale: trra trenta e sessanta giovani accusati di aver insultato le forze dell’ordine sono stati fermati e a norma di legge possono essere trattenuti in stato di fermo per 24 ore.
Dopo lo scioglimento della catena umana da parte della polizia deputati e membri del governo sono entrati senza problemi in Parlamento. Per volontà di Orbà¡n hanno tutti recitato insieme preghiere cristiane. Il gesto, una novità nel dopoguerra, è stato male accolto da parte dell’opinione pubblica (secondo sondaggi a caldo) come violazione delle regole e protocollo dello Stato laico.
In un primo tempo la manifestazione era stata proibita. I promotori della catena umana si sono appellati alla magistratura e hanno ottenuto il permesso.
Ma poi tra le 6 e le 7 del mattino la polizia come si diceva è entrata in azione sciogliendo la catena umana e sgomberando e isolando piazza Kossuth. Già da ieri sono pronti diversi idranti, e forti reparti speciali della polizia.
Tutta la zona attorno al Parlamento è transennata. Incidenti e disordini sono dunque giudicati probabili e temuti da molti osservatori, anche nelle prossime ore e nel pomeriggio e sera.
Nel pomeriggio infatti, dalle 18, si svolgerà un corteo delle opposizioni parlamentari e tradizionali (dai socialisti a Jobbik trasformatosi da ultradestra in destra nazionale anti-corruzione e pro-giustizia sociale) che diverrà una marcia sul Parlamento.
Non si può escludere che ciò sfoci in altri disordini e incidenti.
Finora le due grandi manifestazioni antigovernative svoltesi a Budapest dopo il trionfo elettorale di Orbà¡n, nei due sabati successivi alle elezioni, sono state pacifiche ma per oggi martedà 8 aprile si percepisce un clima diverso, teso e di rabbia.
Qualsiasi cosa accada avrà anche probabili conseguenze nei già non facili rapporti tra il governo di maggioranza liberamente eletto ungherese e la Commissione europea.
A Bruxelles si studia il modo di ridurre gli aiuti (fondi di coesione) a paesi accusati — come ad esempio Polonia e Ungheria – di violare i principi dello Stato di diritto.
(da agenzie)
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Maggio 8th, 2018 Riccardo Fucile
SALVINI, DI MAIO E MELONI: FATE PAGARE IL CONTO A LORO, STACCATE UN ASSEGNO DI 800 MILIONI, GRAZIE
Le urne non hanno portato a un vincitore “a causa della legge elettorale” (no, non è vero) e per questo la Lega e il MoVimento 5 Stelle vogliono “andare al voto il prima possibile, a luglio, con questa legge elettorale”.
E poco importa ai nemici degli sprechi (altrui) se tutto ciò porterà a ulteriori spese con il rischio che finisca come in Spagna, dove nuove elezioni a pochi mesi di distanza da quelle precedenti hanno portato agli stessi risultati e a uno stallo messicano ripetuto.
Ora la domanda è un’altra però: quanto ci costeranno le nuove elezioni?
Panorama spiega che per l’Italia gli ultimi dati disponibili riguardano le politiche del 2013, quando si spesero 389 milioni di euro per la consultazione di domenica 24 e lunedì 25 febbraio, tenendo anche conto dell’abbinamento con le regionali.
Il principale costo è relativo al ministero dell’Interno pari nel 2013 a 315 milioni di euro. Segue con 38 milioni il ministero dell’Economia; 33 milioni il ministero degli Esteri; 14 milioni il ministero della Giustizia.
A questo andrebbero sommati i costi di questa legislatura inutile.
Alla Camera dei deputati la media è di 3,5 ore di lavoro al mese e fino ad ora i deputati sono stati riuniti per sette sedute (al costo di una ventina di milioni di euro l’una).
I conti li ha fatti il deputato Michele Anzaldi che ha calcolato che in questi 63 giorni di stallo le Camere hanno sprecato 252 milioni di euro (161 milioni Montecitorio e 91 milioni Palazzo Madama)
In questo lasso di tempo il Parlamento non ha prodotto alcuna legge.
Eppure di proposte di legge in entrambi i rami del Parlamento ne sono già state presentate molte, per la precisione 540. Alla Camera ne sono state depositate 377 mentre al Senato ne sono arrivate 163.
Disegni di legge che non potranno però essere esaminati nè votati fino a quando non si insedieranno le Commissioni. E le Commissioni non potranno essere formate fino a che non si saprà chi andrà al governo e chi invece all’opposizione.
Insomma, un pessimo affare per l’Italia e gli italiani con il ragionevole dubbio che nuove elezioni servano davvero a superare lo stallo e a dare la vittoria a uno schieramento invece che all’altro.
Perchè il rischio vero è questo: che si vada alle urne in estate sotto l’ombrellone dopo una campagna elettorale estenuante anche a causa del clima e alla fine ci si ritrovi con la stessa situazione e nessuna maggioranza chiara alla Camera e al Senato.
A quel punto forse qualcuno ci manderà a votare per la terza e la quarta volta, finchè non vince. O finchè gli italiani non lo inseguiranno con il forcone.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 8th, 2018 Riccardo Fucile
OBIETTIVO INDEBOLIRE FORZA ITALIA E POI SPARTIRSI IL BOTTINO, ALLA FACCIA DEI PIRLA
Il pensiero è già rivolto a dopo. 
Alla campagna elettorale, alle elezioni, a quando le urne con molta probabilità sanciranno che non ci sarà comunque una maggioranza, e si getteranno le basi per un paradosso: l’unico avversario che secondo Luigi Di Maio avrà il M5S in campagna elettorale, la Lega, potrebbe essere il futuro naturale alleato di governo.
Quello che non si è avverato ora, potrebbe avverarsi domani.
Prima, però, bisogna liquidare le liturgie dell’attesa, sperando che il malcontento interno al M5S per il voto anticipato non travolga le certezze del capo politico.
«Oggi inizia la campagna elettorale» ha annunciato Di Maio tra gli applausi dei parlamentari riuniti in serata.
I sorrisi hanno nascosto i musi lunghi dei tanti che vorrebbero evitare di tornare a elezioni. Non tanto per la paura di non essere ricandidati, perchè, promette Di Maio, «saranno ripresentate le stesse liste» e Beppe Grillo dirà di sì.
Quanto per il rischio di non essere abbastanza garantiti dal posto in lista, nelle regioni settentrionali si teme l’avanzata di Matteo Salvini.
A Sud, l’astensione, molto più probabile nei mesi estivi. Per questo Di Maio è già pronto a lanciare, per il prossimo mese, la campagna del Nord, nel tentativo di strappare alla Lega più consenso possibile.
Con un obiettivo preciso: «Conquistare il centro moderato che votava Berlusconi e non vuole votare Salvini».
I grillini sono convinti che il centrodestra si presenterà ancora una volta unito alle elezioni, ma con rapporti di forza capovolti.
Gli strateghi del successo del 4 marzo, sono già al lavoro. L’idea è di mantenere «un profilo da Dc conquistato in questi due mesi», restare trasversali e mutevoli, contando sui timori che suscita Salvini, vivi in un certo elettorato di sinistra al Sud, e conservatore, ma con radici nel Partito popolare europeo, al Nord.
La speranza è di prosciugare il bacino di Pd e Forza Italia, puntando sull’astensione dei loro sostenitori se si andrà a votare a luglio.
Anche lo slogan della campagna, già pronto, sarà personalizzato sulla sfida tra il nuovo mondo e il vecchio, su chi è stato responsabile e chi ha fatto naufragare gli accordi.
E tutto fa pensare che Salvini non farà parte della stessa categoria di Berlusconi e Renzi. «Sarà un ballottaggio tra noi e la Lega» assicura Di Maio. Ma non tutti sono convinti.
«Qual è la nostra proposta di governo se sarà di nuovo stallo?» ha chiesto il senatore Francesco Castiello.
Quello che non può dire Di Maio è quello che hanno concordato con Salvini e Giancarlo Giorgetti: «Se torniamo a votare Berlusconi si pentirà di aver detto di no. Scenderà sotto il 10% e comanderemo noi».
È la stessa scommessa del M5S: «Ci sarà un effetto onda che spazzerà via Berlusconi, e ci divertiremo..».
Meglio votare il prima possibile, però.
Intanto hanno scelto assieme alla Lega una data, l’8 luglio e l’hanno comunicata in contemporanea. Per mettere paura a Berlusconi e al Pd, e per bruciare ogni altro appuntamento. Hanno i numeri per farlo.
Lo hanno deciso in un incontro che dal M5S definiscono «un po’ freddo», nell’ufficio di Giorgetti, dove Di Maio ha accusato Salvini: «A forza di ripetermi “dammi tempo” mi hai fatto perdere due mesi. Non ho mai capito il motivo che ti tiene legato mani e piedi a Berlusconi».
Eppure i 5 Stelle, spiegano, erano pronti a tutto: al passo indietro di Di Maio, ad accettare la staffetta a Palazzo Chigi proposta dai leghisti, a lasciare la premiership a uno tra Salvini e Giorgetti. «Non è per questioni di finanziamenti, come hai detto tu – è stata la risposta di Salvini – Al Nord governiamo troppe realtà in comune…»
(da “La Stampa”)
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Maggio 8th, 2018 Riccardo Fucile
LE LOTTE IN DIFESA DELLA SUA TERRA, LA SFIDA ALLA MAFIA NEL PAESE DEI “CENTO PASSI”… E QUELLA NOTTE DEL DELITTO IMPERFETTO SUI BINARI
Irridente, geniale ed entusiasta.
Un trascinatore nella sua Cinisi muta, cieca e sorda.
Militante rigoroso, quanto irrequieto, fermo nel proposito di denuncia, ma convinto che l’arma dell’ironia, dell’irriverenza, dello sberleffo fosse molto più efficace di estenuanti dibattiti e di pagine su pagine di documenti.
Peppino Impastato studiava anche quelli con il piglio da giornalista, riconoscimento postumo nella sua esistenza.
Come l’elezione a consigliere comunale di Democrazia proletaria, successo dopo cocenti amarezze, arrivata dopo il funerale.
E allora eccolo nella memoria dei compagni di un tempo, i dibattiti, certo, i comizi ma anche il cineforum, il circolo di Musica e Cultura, i concerti, l’emancipazione femminile, le feste, le scorribande con i compagni, le serate di chiacchiere e le divergenze fino alle incazzature su fumo, nudisti e amore libero. Le rotture con chi voleva dare a quelle esperienze un’impronta hippy.
Ma anche il carnevale, quel suo travestimento da clown che sorprese e spiazzò tutti quando si presentò irriconoscibile con i bambini che gli facevano corona.
O quella sua idea che se il Comune opponeva l’occupazione di suolo pubblico per impedire una imbarazzante mostra sulle malefatte di Tano Badalamenti e dei suoi complici in municipio, era allora la mostra stessa a doversi mettere in movimento, a camminare sulle gambe di chi ci credeva, su e giù per il corso, così che potessero vederla tutti.
Erano le lotte per immagini e slogan secchi: quella sulla costruzione dell’Az10 il primo dei complessi turistici che avrebbero contribuito a privatizzare e a sfregiare la costa, gli espropri di campi e pascoli e lo sfascio sociale creato dalla realizzazione della terza pista dell’aeroporto.
Lo scalo stesso e il suo essere snodo per il traffico internazionale dell’eroina, raffinata tra mare e montagna nel grande golfo di Castellammare.
Il dito puntato su Pino Lipari, un geometra dell’Anas, che molti e molti anni dopo avrebbe portato dritto alla rete di protezione di Bernardo Provenzano.
E poi c’era Onda Pazza, l’appuntamento quotidiano di Radio Aut, quel picchiare duro su Tano Seduto e la sua Mafiopoli.
La voce che usciva da quel microfono l’ascoltavano tutti: gli amici e i detrattori. Se la ricordano quelli che a Cinisi lo hanno amato e quelli che ancora trovano sempre una ragione per scrollare le spalle.
Eppure quel grappolo di case che partono dal Municipio e corrono fin quasi alla costa, con le sue strade squadrate, le campagne avare e le mucche dei “vaccari” un tempo molto più generose di latte e carne, con le seconde case dei palermitani corsi a ritagliarsi uno rettangolo vista mare, oggi nel mondo è il paese di Peppino e non più quello di don Tano, come qui ancora qualcuno chiama il boss morto in carcere negli Usa, prima che la condanna per l’assassinio di Impastato diventasse definitiva.
È il paese dei Cento Passi, l’invenzione del film che ha fatto di Peppino un’icona ma è anche il paese di Casa Memoria.
Lì dove si custodisce il senso di una vita nota a morte avvenuta, grazie all’impegno di chi gli è sopravvissuto in un ponte ideale con Palermo, dove opera il centro di documentazione alla memoria di Peppino, animato da Umberto Santino che ha dedicato la propria esistenza a battersi per la verità , pur non avendolo mai conosciuto.
Ma Cinisi è anche il paese di Felicia, la madre di Peppino, la donna esile e minuta, dalla tempra fortissima che riuscì a chiudere gli occhi solo quando un pezzo della giustizia pretesa arrivò, 23 anni dopo l’omicidio
Incrociando in tribunale Vito Palazzolo, il braccio destro di don Tano, trascinato a rispondere di quel corpo dilaniato sui binari della ferrovia che si voleva far passare per suicida gli sibilò in faccia: “Vergogna”. Costringendolo ad abbassare lo sguardo. Quando le dissero delle condanne prima di Palazzolo e poi di Badalamenti, rispose solo: “Ora posso morire”.
Alla nipote fino a pochi giorni prima di andarsene chiedeva di metterle ancora una volta “u cinema di Peppino”, il film che di quel figlio ridotto “a un sacchetto di resti” gli aveva restituito l’onore della verità .
Per notti e notti, prima di allora, sola in casa, se ne stava a contemplare la foto del figlio, percuotendosi le tempie.
Se ne accorsero quando la ricoverarono trovando ai raggi X i segni di quei colpi. Lo aveva accudito e coccolato quel figlio, difeso anche contro il marito Luigi, mafioso, che lo aveva ripudiato.
Perchè Peppino le prime lotte le aveva fatte nel perimetro della sua famiglia, prendendo le distanze dal padre e dal mondo degli amici degli amici.
Una rottura insanabile, un disonore, per uno che alle scampagnate con la famiglia si trovava con Luciano Liggio, che aveva visto il corpo dilaniato dello zio capomafia Cesare Manzella, che avrebbe rifiutato le farisaiche condoglianze dei boss al funerale del padre.
Fedele alla linea dettata da Felicia che al marito aveva proibito di portargli in casa i suoi amici.
Era anche questo Peppino, intransigente, segnato da un’esperienza sentimentale che lo aveva amareggiato, deluso dalla piega che le convenienze e i minuetti della politica, anche a sinistra, anche a Cinisi, i compagni cooptati nel sistema avevano preso. Ne aveva scritto in una lettera.
I carabinieri del futuro generale Antonio Subranni, corsi il 9 maggio di 40 anni fa a chiudere sbrigativamente l’indagine su quel che doveva essere un bombarolo morto in servizio durante la preparazione di un ordigno, usarono anche quella per farlo passare per suicida.
Un kamikaze, contro l’evidenza della pietra sporca di sangue con la quale lo avevano stordito, delle sue mani integre, risparmiate da una bomba che si voleva esplosa mentre la maneggiava, dei testimoni mai cercati, delle chiavi di Radio Aut inspiegabilmente lucide, provvidenzialmente trovate tra gli sterpi da un carabiniere. Prima di interrogarsi su cosa fosse accaduto, gli investigatori avevano fretta di stabilire come uscirne.
“Era tutto apparecchiato”, rivelò un investigatore della polizia, arrivato sul luogo del delitto quando già i militari avevano sentenziato le loro certezze. Le perquisizioni? A casa degli amici e della vittima. Ad afferrare carte per costruire l’inganno. Funzionale all’impunità di un boss forse già allora confidente che doveva essere risparmiato dal suo stesso crimine.
A dispetto delle tante, troppe tracce, di un delitto assai imperfetto.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 8th, 2018 Riccardo Fucile
DAVIDE CRIPPA, DALLA LOTTA CONTRO LE SPESE MILITARI A RELATORE IN COMMISSIONE PER L’ACQUISTO DI VELIVOLI RADIOCOMANDATI PER LE FORZE ARMATE
Basta fare una piccolissima ricerca su Google per essere inondati di dichiarazioni, comunicati stampa,
filmati, interventi alla Camera: se c’è un registro sul quale il cittadino Davide Crippa, novarese, deputato del Movimento 5 Stelle, si è moto distinto nella scorsa legislatura, è quello del pacifismo e della lotta alle spese mlitari, con particolare attenzione al programma F35 che proprio nel novarese, alla base di Cameri, ha il suo fulcro.
Ancora meno di un anno fa, l’11 maggio 2017, il Movimento aveva sottoposto al voto degli iscritti un programma di governo per il settore della Difesa che, votato in rete da 19 mila e 747 iscritti, impegnava a ridimensionare il “programma degli F35”, bollato come “inutile e costoso”.
Ironia della sorte, il primo atto del nuovo Parlamento in cui il Movimento 5 stelle è partito di maggioranza relativa è stato un provvedimento non esattamente in linea con le posizioni assunte in passato nè con le promesse elettorali, ma bensì, udite udite, l’acquisto di dieci droni.
Una “spesa militare”, tal quel quelle sostenute per gli F35, che costerà alle casse dello Stato la bellezza di 776 milioni di euro.
E, ironia delle ironie, a sostenere in aula la necessità di dare seguito a questa spesa, è stato proprio il “pacifista” Crippa
Come è noto in assenza di una maggioranza di governo definita e nell’impossibilità di comporre e far partire le commissioni normali, Senato e Camera hanno istituito le cosiddette “Commissioni speciali”, che hanno competenze su tutti i temi più urgenti e sono presiedute da Vito Crimi dei Cinquestelle a Palazzo Madama e da Nicola Molteni della Lega a Montecitorio.
All’ordine del giorno della seduta di quella della Camera c’era appunto lo “schema di decreto ministeriale di approvazione del programma pluriennale relativo all’acquisizione (…) di aeromobili a pilotaggio remoto e potenziamento delle capacità di Intelligence, Surveillance and Reconaissance della Difesa”.
Tradotto dal “militarese”, si tratta dell’acquisto in un arco di tempo dal 2018 al 2032 di (citiamo dalla relazione ufficiale) “10 sistemi, costituiti ciascuno di due velivoli ed una stazione di comando e controllo”.
Sono in pratica droni da guerra.,che fanno lo stesso lavoro degli aerei militari, ma sono più piccoli e silenziosi e non mettono a rischio nessuna vita umana perchè sono telecomandati:
Relatore in aula è stato proprio Crippa, che nel suo intervento ha sostenuto con un certo calore l’opportunità di dar seguito all’acquisto, contenuto in un decreto preparato dalla ministra uscente della Difesa Roberta Pinotti: la spesa prevista è la bella cifra di 766 milioni di euro che sarà spalmato su sette esercizi.
Lo zelo di Crippa, dicono le cronache parlamentari, ha suscitato qualche perplessità anche nel capogruppo del M5S in commissione speciale, ma la svolta “governista” e “guerrafondaia” del grillini si è comunque compiuta.
Interpellato dalle agenzie, Crippa si è difeso affermando: «Io non sono nè “pro” acquisti militari, nè contro; sono soldi già stanziati dall’ultima legge di bilancio. Certo — ammette -, con questo acquisto il nostro Paese sarebbe il terzo al mondo quanto a numero di droni».
Solo qualche mese fa non avrebbe certo esultato per questo genere di “successo”…
(da “La Voce di Novara”)
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