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PER SALVINI NON C’ERANO PRIMA GLI ITALIANI? ALLORA PERCHE’ AL MINISTERO ASSUMONO CINESI?

Dicembre 4th, 2018 Riccardo Fucile

ASSUNTA UNA CINESE CHE VIVE A SHANGHAI E NON PARLA ITALIANO: L’HA VOLUTA IL SOTTOSEGRETARIO GERACI, VICINO A SALVINI… PREOCCUPAZIONI DEI SERVIZI SEGRETI E RILIEVI DELLA CORTE DEI CONTI

Il sottosegretario Michele Geraci, numero due di Luigi Di Maio al ministero dello Sviluppo economico, è buon amico di Matteo Salvini.
Eppure il motto «Prima gli italiani! Prima il loro diritto al lavoro!» non deve averlo convinto più di tanto. Così, come suo assistente personale, ha fatto assumere al ministero una ragazza di nazionalità  cinese.
Una ventiseienne che non parla italiano e che risiede a Shanghai, e che da qualche giorno è diventata dipendente del Mise con un contratto da 36 mila euro l’anno.
Non è chiaro come mai Geraci si sia speso anima e corpo per l’assunzione della giovane Lingjia Chen, nata nella provincia dello Zhejiang nel 1992, e perchè l’abbia voluta a tutti i costi nel suo staff.
Ma è certo che — dopo settimane di pressioni – qualche giorno fa il gabinetto del dicastero di Di Maio ha formalizzato la sua assunzione tra i dipendenti pubblici del Mise.
La Chen, però, non metterà  probabilmente mai piede in Italia: la sua postazione di lavoro è stata allestita, con scrivania e computer, nella sede di Shanghai del nostro Istituto per il commercio con l’estero, dove pare si debba concentrare soprattutto sul tema dell’export.
«Non parla l’italiano, ma solo mandarino e dialetto wu. Per molti non ha qualificazioni professionali tali da giustificare l’assunzione al Mise» protesta qualche suo nuovo collega. «Si presenta a tutti come assistente personale del Geraci, che ha le deleghe per il Commercio internazionale ed è a capo della cosidetta “Task Force Cina” voluta da lui e da Di Maio. Ma lui non l’ha piazzata nella Task Force, che comprende un elenco di centinaia di persone. La Chen lavora direttamente per lui: ha accesso all’agenda di Geraci e a tutti i dossier sensibili del governo curati dal sottosegretario. Una cosa che in genere viene fatto da personale italiano, soprattutto per motivi di sicurezza».
Dal curriculum pubblicato su Linkedin risulta che la Chen lavori da qualche mese anche per la sede di Pechino della Boston Consulting, e che si occupi delle «relazioni esterne dell’economista Michele Geraci», direttore pure del Global Policy Institute, dall’ottobre del 2015: la giovane assistente cura «i rapporti con i media, l’organizzazione di conferenze, Pr Events, e il coordinamento dei social media».
Ma la Chen segnala di essere «membro importante» di una ricerca energetica per gli investimenti dell’Eni in Cina e di aver curato in passato contatti tra l’istituto diretto da Geraci e i governanti cinesi per un documentario sulla società  e l’economia della Cina.
Al Mise, in effetti, sono sorpresi. E anche qualche importante esponente della nostra intelligence vuole vederci chiaro.
Geraci, però, non ha voluto sentire ragioni. Anzi: lo scorso 30 settembre a persino preso carta e penna, e inviato una lettera – su carta intestata del Mise – alla sede di Intesa Sanpaolo, con cui chiede l’apertura di un conto corrente per la sua collaboratrice.
«La presente» scrive Geraci nella missiva «per confermare che la signorina Lingjia Chen farà  parte dello staff del Prof. Michele Geraci presso il ministero dello Sviluppo economico, con contratto e condizioni in via di definizione. A tal fine, si richiede l’apertura di un conto corrente presso la vostra banca su cui verranno canalizzati i compensi di tale attività ».
Dopo la firma del contratto, anche alla Corte dei Conti — dove ogni nuovo decreto di assunzione viene messo ai raggi X – vogliono capirne di più: al Mise sono infatti arrivati alcuni rilievi in merito al permesso di soggiorno, alla possibilità  che l’incarico sia o meno riservato ai cittadini dell’Unione europea, e richieste per scongiurare eventuali conflitti di interesse.
Geraci non è un sottosegretario banale.
Ex ingegnere elettronico, ex broker alla Merrill Lynch, alla Schroders e alla Bank of America, un Mba al Mit di Boston (L’Espresso ha controllato, il master l’ha preso davvero) si trasferito in Cina nel 2008, ed è rimasto in Oriente per dieci anni, fino alla chiamata al governo voluta direttamente da Matteo Salvini.
In Cina tiene lezioni per alcune università  (la Nottingham University e la Zhejiang University, dove pare abbia incontrato la giovane Chen rimanendone professionalmente folgorato), e in passato ha lavorato a progetti di ricerca che «si sono rivolti a governi e società  private, mirati ad offrire raccomandazioni politiche orientate alla pratica e non accademiche» si chiarisce in un suo curriculum vitae «Gli argomenti di mio interesse hanno ricompreso la politica monetaria, le disparità  di reddito, le migrazioni, l’urbanizzazione, la crisi economica europea, nonchè la tematica di fusioni e acquisizioni. Parlo italiano, inglese, cinese, spagnolo e francese».
È nel giugno del 2018 che Geraci fa il grande passo, e decide di entrare nel governo pentastellato.
Se è Salvini ad averlo voluto fortemente come sottosegretario al Mise, Geraci ha ottime entrature anche tra i Cinquestelle: sono anni che scrive sul blog di Beppe Grillo articolesse sulla Cina, descritta come una sorta di paradiso in terra, e panacea di tutti i mali italici.
Secondo Geraci il regime cinese può aiutarci comprando il nostro made in Italy e i nostri Btp per rifinanziare il debito, ma il professore (a contratto) nei suoi recenti incontri con le autorità  cinesi ha ipotizzato anche di far entrare Pechino dentro Alitalia, nelle società  dei porti italiani (in primis quello di Trieste), mentre qualche giorno fa ha annunciato di aver trovato un «importante gruppo cinese interessato a valutare l’acquisto del Palermo: ho il contatto, ma bisogna verificare se davvero il presidente Zamparini ha ceduto o meno la società ».
Tra le uscite di Geraci che hanno fatto maggiore scalpore, c’è sicuramente quella dello scorso giugno, quando il sottosegretario (fan accanito sia della flat tax salviniana sia del reddito di cittadinanza made in Casaleggio) ha spiegato come l’Italia debba prendere esempio dal governo di Pechino. Su temi eticamente sensibili come la gestione dei flussi migratori, l’ordine pubblico, i rapporti con l’Africa.
Letto il post, un gruppo di 23 tra professori universitari e ricercatori, tra i maggiori esperti italiani della Cina al mondo, hanno deciso di rispondere al sottosegretario, stigmatizzando le sue «affermazioni azzardate» in una lunga lettera pubblica: «Geraci non menziona come nel caso cinese si sia trattato di migrazione interna, quindi assolutamente non comparabile con i flussi migratori della nostra area mediterranea, e per di più pilotata fin dall’inizio dal governo di Pechino. In secondo luogo…le statistiche sulla criminalità  in Cina spesso sono edulcorate dal funzionari locali a cui conviene mostrare il successo della propria amministrazione», senza dimenticare «il sistema brutale con cui il crimine viene represso in Cina, che utilizza ancora la tortura nelle proprie stazioni di polizia: dure campagne anticrimine hanno ancora luogo a cadenze regolari».
Geraci in un post dello scorso aprile, sempre sul blog di Grillo, ha infine affermato che difendersi dall’invasione dei prodotti cinesi è, di fatto, impresa impossibile. Dunque, la nostra unica possibilità  è legata alla valorizzazione delle nostre competenze sostenibili, quali arte, storia, pensiero, cultura.
«Il reddito di cittadinanza» ragiona Geraci «deve essere concepito come un investimento che lo stato fa per sprigionare quel potenziale innato in ognuno di noi e liberare i giovani dall’assillo dello stipendio. Un assillo che porta a fare scelte di studio e di lavoro non consone alla propria indole e toglie risorse alle arti liberali che invece sono il supporto del nostro paese».
Il reddito di cittadinanza non deve deve essere considerato un bonus per i fannulloni, «ma» aggiunge letteralmente il sottosegretario «un metodo per continuare lungo la tradizione delle arti liberali, un investimento che lo Stato può fare per cercare di far emergere cento mille nuovi Michelangelo dalla Cappella Sistina commissionata da Giulio II. È un investimento che lo Stato fa per cercare di trasformare un fannullone di oggi in un potenziale talento».
In attesa che la promessa dei grillini diventi realtà  e tutti gli italiani abbiano almeno 780 euro al mese per provare a diventare novelli Raffaello, Geraci ha deciso di dare un reddito di 36 mila euro l’anno a un giovane talento. Cinese, s’intende.

(da “L’Espresso”)

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“SALVINI CON UN TWEET HA FATTO UNA CAZZATA, E’ UN FESSO DA TEMERE”

Dicembre 4th, 2018 Riccardo Fucile

ROBERTO SAVIANO CHIEDE L’INTERVENTO DEL CSM DOPO GLI INSULTI CHE SALVINI HA ANCORA AVUTO IL CORAGGIO DI RIVOLGERE AL PROCURATORE CAPO DI TORINO… UN INDAGATO SAREBBE RIUSCITO A SOTTRARSI ALL’ARRESTO

“Salvini ha fatto un tweet mentre erano in corso degli arresti e, a quanto pare, qualcuno è riuscito a sottrarsi alla cattura”.
Roberto Saviano commenta su Facebook lo scontro tra il ministro dell’Interno e il procuratore di Torino, Armando Spataro e accusa: “Come è solito fare, non avendo conoscenze e argomenti, consapevole di aver fatto una enorme cazzata, invita al linciaggio, questa volta del procuratore Spataro”.
Lo scrittore ricostruisce la vicenda che ha visto come protagonisti il vertice del Viminale e il magistrato: “Il procuratore della Repubblica di Torino Armando Spataro dice che il ministro degli Interni, a causa della sua ossessione per la comunicazione, rischia di mandare all’aria un’importante operazione giudiziaria. Salvini ha fatto un tweet mentre erano in corso degli arresti e, a quanto pare, qualcuno è riuscito a sottrarsi alla cattura. Alla legittima e motivata reprimenda di Spataro, Salvini risponde con una nota scomposta: ‘Si candidi. Vada in pensione”‘.
Saviano poi chiede l’intervento del Csm: “È Il caso che il Consiglio superiore della magistratura si faccia sentire per difendere l’autonomia del potere giudiziario dagli assalti di un esecutivo tanto sgangherato quanto pericoloso”, e chiosa: “La saggezza popolare insegna che è dei fessi che bisogna aver paura”.

(da “Huffingtopost”)

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DE BORTOLI: “SALVINI E DI MAIO, DUE ARRUFFAPOPOLI IRRESPONSABILI”

Dicembre 4th, 2018 Riccardo Fucile

“BUON SENSO E MODERAZIONE FANNO POCHI LIKE”

Ferruccio De Bortoli contro il governo del cambiamento inebriato dalla popolarità  nei sondaggi.
Il giornalista in un articolo sul Corriere della Sera attacca pesantemente il governo gialloverde: “Sono passati sei mesi e il periodo di prova è finito, ci vuole una necessaria dose di umiltà “.
“Governando si impara, forse. Romano Prodi – ha scritto De Bortoli sul Corriere della Sera – confidò di aver provato, nei primi mesi della sua esperienza a palazzo Chigi, un senso di disagio o persino di inadeguatezza e di averlo superato “con tanto lavoro alla scrivania e chiedendo consiglio alle persone sagge”.
Si può e si deve far tesoro dei propri errori. Ne fece Prodi. Ne fecero anche altri suoi successori. È un modo di dire questo – far tesoro dei propri errori – assai calzante e attuale. Specie quando si parla dei necessari aggiustamenti alla manovra per scongiurare una procedura d’infrazione europea lunga e costosa”.
“Anche il premier e ministri del governo del cambiamento – ha aggiunto De Bortoli – si sottopongono a una sorta di apprendistato amministrativo. Come accade a chiunque di noi. Nelle piccole e nelle grandi cose. L’importante è che ne abbiano la consapevolezza. L’arroganza non aiuta mai. Quando si accompagna all’incompetenza il risultato è esplosivo”.
“Il discorso – ha scritto ancora De Bortoli – vale, a maggior ragione, per chi aveva in odio il palazzo con tutti i suoi riti e ambiva ad aprire il Parlamento come fosse una scatoletta di tonno. Sono passati però sei mesi, il periodo di prova è finito da un pezzo. E non si può sempre dare la colpa a chi è venuto prima, pur essendo i predecessori non privi di responsabilità  soprattutto nella gestione del debito pubblico. L’investitura popolare non dovrebbe far venire meno una necessaria dose di umiltà . Prezioso viatico per chi decide presente e futuro dei propri cittadini”.
“Nel caso del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che guida una coalizione divisa quasi su tutto, il voto non c’è nemmeno stato. E forse è meglio così: dovrebbe essere immune dalla ricerca spasmodica del consenso. Misurarsi con la propria coscienza più che con i suoi azionisti di riferimento. Immaginiamo poi che apprezzi, da uomo di fede, la prudenza (una delle virtù cardinali) come pilastro anche della saggezza di un esecutivo”.
“E siamo convinti – o almeno ci sforziamo di esserlo – che sia un valore condiviso anche da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. I capi politici – ha sottolineato De Bortoli – sono loro. Insieme hanno ricevuto la fiducia della maggioranza dei votanti il quattro marzo. Ma non una delega in bianco. Non una procura per azioni temerarie. Non il nulla osta ad esporre famiglie e imprese a rischi non previsti nè ponderati”.
“La popolarità  e i sondaggi – si legge ancora sul Corriere – inebriano. Nessuno ne è immune. La presunzione di avere il vento della storia alle spalle o addirittura di essere prescelti dal destino mette chi governa, ma soprattutto il proprio Paese, su una china pericolosa. È un rischio capitale. Questa consapevolezza, a giudicare da troppe dichiarazioni avventate e presuntuose, è drammaticamente assente. Speriamo in un “ravvedimento operoso”.
La grande popolarità  raggiunta dai leader in Rete, con la complicità  di macchine di propaganda oliate e spregiudicate, conferisce loro la certezza di essere nel giusto. Avvolti da un grande abbraccio popolare. Baciati dalla sorte. Le critiche dei media tradizionali vengono respinte come espressioni di un establishment impaurito e reazionario.
Chi non faceva, tra i giornalisti, sconti ai precedenti governi era persino considerato, esagerando, un paladino del pluralismo. Chi oggi, allo stesso modo, non perdona nulla all’attuale esecutivo è in malafede o prezzolato da fantomatici poteri forti che vorrebbero ribaltare l’esito del voto. È una condizione di “onnipotenza digitale” che spinge i leader del governo legastellato a un esercizio solipsistico e vanitoso.
Non li trattiene dall’uscire fuori dalle righe, certi della comprensione generale. Li disabitua a un reale contraddittorio (quando c’è), così fastidioso nei mezzi di comunicazione tradizionali”.
“I social network sono una irrinunciabile arena di discussione e confronto ma anche un terreno infido di violenze verbali, non immune a una nuova e pericolosa forma di anonimo squadrismo digitale. La Rete promuove, esalta, castiga, aggredisce. Non andrebbe giornalmente “armata” da chi ha ruoli di governo, anche per difendersi da accuse ingiuste.
La popolarità  in Rete si acquista facilmente, ma si può perdere in poco tempo. Anche il voto è più volatile. Una caratteristica che accomuna molte democrazie liberali in quello che appare, a diversi osservatori, come l’autunno della democrazia rappresentativa. Il declino improvviso della popolarità  di Macron ne è uno degli esempi. A volte bastano piccoli incidenti d’immagine a provocare slavine di consensi perduti”.
“Anche i nostri “eroi di governo” della Rete – ha concluso DE Bortoli – abituati a scambiarla come un balcone affacciato sull’umanità , così sprezzanti nei confronti della libertà  di stampa, senza la quale non sarebbero mai esistiti, dovrebbero riflettere su come sia facile acquisire e perdere consensi in questa fase convulsa e tormentata. Buon senso e moderazione fanno pochi like. Ma sono, mai come in questo momento, così necessari al Paese e distinguono i governanti veri dagli arruffapopoli irresponsabili”.

(da agenzie)

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ARIA DI REGIME: PENNACCHI INDAGATO PER “OLTRAGGIO” A SALVINI

Dicembre 4th, 2018 Riccardo Fucile

“OLTRAGGIO A CORPO POLITICO”, SEMBRA DI ESSERE NELLA RUSSIA COMUNISTA DELLA CORTINA DI FERRO

Lo scrittore Antonio Pennacchi è indagato per oltraggio a corpo politico a causa di alcune frasi pronunciate nei confronti del ministro dell’Interno Matteo Salvini.
Lo ha detto lui stesso a Rai Radio 1 durante Un Giorno da Pecora e lo scontro tra lui e Salvini è uno dei tanti andati in scena in questi anni: ce n’è anche uno su La7 di qualche tempo fa, quando Salvini non era ancora ministro.
Pennacchi è stato querelato per aver detto ‘se tu sei fai il ministro e sproloqui a più non posso, sei solo un somaro che raglia, se non studi e non conosci queste cose. E se invece le conosci, allora sei una faccia da culo che mente, sapendo di mentire’… “Non ho detto esattamente questo, non ho detto che Salvini è questo. Ho detto che se fai il barbiere o il macellaio puoi anche aprire bocca senza documentarti. Ma se fai il Ministro e parli senza documentarti invece… è un taglio ipotetico insomma”.
E’ stupito di esser stato indagato per queste dichiarazioni?
“Sono scocciato. Per ora mi hanno solo chiamato in questura, alla Digos, da quella che una volta si chiamava ‘Squadra Politica’ e mi hanno dato il pezzo di carta”. Secondo lei Salvini ha detto cose non vere?
“In merito all’immigrazione si. Lui sostiene che quando emigravamo noi abbiamo fatto la ricchezza dei paesi senza che succedesse mai nulla. Ecco, questa è una cosa storicamente falsa, inesatta”.
Per quale motivo?
“Leggendo qualsiasi libro che tratti di immigrazione italiana ci si rende conto che in giro per il mondo noi abbiamo portato tantissima brava gente ma anche tanti guai. Se si va negli USA o in Canada gli italiani vengono ancora chiamati ‘dago’, perchè stavamo sempre in giro col coltello in mano”.
Non le piace la strada presa dal governo?
“Non mi piace ma non è il mio compito salvare il Paese, faccio un altro mestiere”, ha concluso Pennacchi a Rai Radio1.

(da “NextQuotidiano”)

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SALVINI METTE A RISCHIO UN BLITZ ANTIMAFIA PER LA SUA INCONTINENZA SU TWITTER

Dicembre 4th, 2018 Riccardo Fucile

IL PROCURATORE SPATARO: “COSI’ DANNEGGIA INDAGINI IN CORSO, IL BLITZ ERA IN PIENO SVOLGIMENTO E LA NOTIZIA E’ STATA DATA IN MODO INESATTO”

La tirata d’orecchie è netta: “Ci si augura che, per il futuro, il Ministro dell’Interno eviti comunicazioni simili a quella sopra richiamata o voglia quanto meno informarsi sulla relativa tempistica   al fine di evitare rischi di danni alle indagini in corso”.
A farla, al ministro Matteo Salvini, è il procuratore capo di Torino, Armando Spataro, dopo che il vicepremier leghista aveva aperto la mattina con tweet trionfanti su arresti di stranieri avvenuti in varie città  d’Italia.
Erano le 8.57 del mattino quando il numero uno del Viminale ha twittato: “49 mafiosi, colpevoli di estorsioni, incendi e aggressioni, sono stati arrestati poche ore fa dai Carabinieri in provincia di Palermo. Le buone notizie non finiscono qui. Altri 15 mafiosi nigeriani sono stati arrestati a Torino dalla Polizia, che poi ha ammanettato altri 8 spacciatori (titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari e clandestini) a Bolzano. Grazie alle Forze dell’Ordine! La giornata comincia bene!”.
Ma la giornata, per il ministro dell’Interno, non è proseguita altrettanto bene.
La reazione di Spataro non si è fatta attendere, ed è arrivata sotto forma di un duro comunicato stampa: “All’inizio della mattinata odierna – scrive il procuratore –   il Ministro dell’Interno ha diffuso un tweet in cui, facendo seguito ad altro precedente, afferma: ‘..non solo, anche a Torino altri 15 mafiosi nigeriani sono stati fermati dalla Polizia’, facendo seguire riferimenti ad arresti avvenuti altrove”.
Spataro non fornisce ulteriori elementi sull’indagine in corso: si tratta, secondo indiscrezioni, di un’inchiesta su traffico di prostituzione e spaccio di droga che arriva a distanza di anni da una precedente prima tranche sulla mafia nigeriana e in particolare sul gruppo criminale degli “Eiye” che si è conclusa nel gennaio scorso con 21 condanne fino a dieci anni di carcere.
“In relazione ai soli fatti di Torino – prosegue Spataro – il Procuratore della Repubblica osserva che, al di là  delle modalità  di diffusione, la notizia in questione: è intervenuta mentre l’operazione era (ed è) ancora in corso con conseguenti rischi di danni al buon esito della stessa; la polizia giudiziaria non ha fermato “15 mafiosi nigeriani”, ma sta eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare emessa, su richiesta della Dda di questo Ufficio, dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Torino. Il provvedimento restrittivo non prevede per tutti gli indagati la contestazione della violazione dell’art. 416 bis c.p.; coloro nei cui confronti il provvedimento è stato eseguito non sono 15 e le ricerche di coloro che non sono stati arrestati è ancora in corso”.
La diffusione della notizia, aggunge Spataro, “contraddice prassi e direttive vigenti nel Circondario di Torino secondo cui gli organi di polizia giudiziaria che vi operano concordano contenuti, modalità  e tempi della diffusione della notizie di   interesse pubblico, allo scopo di fornire informazioni ispirate a criteri di sobrietà  e di rispetto dei diritti e delle garanzie spettanti agli indagati per qualsiasi reato.
Ci si augura che, per il futuro, il Ministro dell’Interno eviti comunicazioni simili a quella sopra richiamata o voglia quanto meno informarsi sulla relativa tempistica   al fine di evitare rischi di danni alle indagini in corso, così rispettando le prerogative dei titolari dell’azione penale in ordine alla diffusione delle relative notizie. Allo stato non si ritiene di poter fornire altre informazioni sulle indagini in corso”.
E’ polemica, dunque, contro la pericolosa gaffe del vicepremier. Il segretario dei dem, Maurizio Martina, proprio su Twitter osserva: “Senza parole. Salvini invece di fare il Ministro dell’Interno gioca su Twitter con informazioni delicate. La sua ansia di propaganda è fuori controllo”.
E sempre dal Pd il deputato Michele Anzaldi chiede la chiusura della “costosissima mega-struttura di comunicazione per i social portata da Matteo Salvini al Viminale, a spese degli italiani, venga chiusa immediatamente. Con i soldi pubblici non soltanto diffonde disinformazione ma, come ha dichiarato il procuratore capo di Torino Armando Spataro, mette anche a rischio delicate indagini antimafia e di polizia giudiziaria, come è accaduto oggi con l’operazione contro la malavita nigeriana. La propaganda di Salvini – prosegue Anzaldi – non serve in alcun modo all’informazione istituzionale del ministero dell’Interno ma serve solo al leader della Lega, e utilizza anche le notizie riservate delle indagini pur di aumentare click e like. Un caso senza precedenti: se il governo non interviene, si muova la Corte dei Conti”.

(da agenzie)

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LA FLAT TAX CHE SALVINI SI E’ RIMANGIATO

Dicembre 4th, 2018 Riccardo Fucile

IL SOLE 24 ORE: “DOPO TANTE PROMESSE NON MANTENUTE, ALLA FINE IL SISTEMA PRODUTTIVO E’ STATO PENALIZZATO”

Il Sole 24 Ore fa oggi il punto sulla differenza tra le promesse contenute nel contratto di governo Lega-M5S e la realtà  della Manovra del Popolo, che ha ridimensionato gran parte di quanto scritto negli impegni presi dalle due forze che compongono oggi la maggioranza.
Il punto in cui il grado di convergenza tra contratto di governo e disegno di legge della manovra è addirittura nullo è la flat tax: si prevedevano due aliquote fisse al 15% e al 20% per persone fisiche, partite IVA, imprese e famiglie con deduzione fissa di 3mila euro in base al reddito familiare; la flat tax nella legge di bilancio ha trovato posto soltanto per le partite IVA.
Commenta il quotidiano
Non c’è dubbio che i destinatari ne trarranno benefici, ma nessuno può ignorare che sull’altare della “quasi flat tax” per le partite Iva vengano immolate alcune misure fiscali non proprio irrilevanti, con la finalità  di trovare le risorse necessarie a finanziarla.
A partire dalla doppia soppressione di Ace e Iri, che non sarà  compensata dall’aliquota IresIrpef agevolata su investimenti e assunzioni incrementali (9 punti in meno) prevista dalla manovra.
Tra bonus ricerca e bonus Sud che sfumano, minori benefici per Industria 4.0, mancato rinnovo del superammortamento, il sistema produttivo si ritrova penalizzato proprio nel momento in cui il rallentamento dell’economia richiederebbe coerenti misure di sostegno.
Qualcosa è destinata a cambiare in queste ore in Parlamento — dal recupero parziale dei benefici per la formazione in chiave 4.0 all’aumento della deducibilità  Imu sui capannoni fino allo sconto sul cuneo fiscale legato ai premi Inail — ma non al punto da invertire il segno delle misure fiscali, che resterà  decisamente negativo.

(da “NextQuotidiano”)

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I SOSPETTI ALL’INTERNO DEL M5S SUL CONDONO DI ISCHIA: “BASTA POCO PER ESTENDERLO ALL’INTERA CAMPANIA, E IL PADRE DI DI MAIO NE AVREBBE USUFRUITO PER SANARE TUTTO”

Dicembre 4th, 2018 Riccardo Fucile

IL VIDEO DEL PADRE CURATO DALLA COMUNICAZIONE DEL M5S MA CON IL “DIVIETO DI DIFFUSIONE” AI PARLAMENTARI

Federico Capurso sulla Stampa racconta in un retroscena i dettagli del video con cui ieri Antonio Di Maio ha chiesto scusa al figlio, confermando che è stato gestito dalla comunicazione pentastellata e organizzato per fornire una risposta politica e di comunicazione alle accuse: curioso che sia uscito l’ordine — eseguito, visto che nessuno lo ha fatto — di non condividere il video su Facebook e di non parlarne:
Tutto viene studiato al dettaglio dallo staff della comunicazione pentastellata.
Dal testo della lettera letta dal padre, alle riprese nell’ufficio dell’azienda del «piccolo imprenditore», fino alla pagina Facebook di «Antonio Di Maio», creata per l’occasione.
Sul video però — rivela una fonte interna ai Cinque stelle — cala il divieto di diffusione.
«Nessuno dei nostri parlamentari dovrà  condividerlo o parlarne», avrebbe chiesto il capo.
I colonnelli del Movimento assicurano solo che «Luigi è sereno, stanco, ma sa che la vicenda si risolverà  e che dobbiamo continuare a lavorare».
La versione ufficiale — come spesso accade — è edulcorata. Egli stesso si mostra tranquillo con i giornalisti: «Non sapevo che stare in piscina in pvc fosse un reato, io non ho mai detto che quella era una stalla. Oggi mio padre si è preso le sue responsabilità  e ci ha messo la faccia. Io metto in liquidazione l’azienda, adesso però possiamo anche finirla qui».
Invece è curioso che ci sia chi nel M5S adombri il sospetto di conflitto d’interesse per il condono di Ischia
Ma chi lo ha sentito nelle ultime ore, racconta di un vice premier «logorato come mai prima da questa vicenda».
Tutti i suoi impegni vengono cancellati. Di Maio — questo sarebbe il motivo — deve prepararsi alla puntata di Porta a Porta che oggi accoglierà  la sua versione dei fatti.
Le opposizioni, Pd in testa, chiedono che il vice premier venga a riferire in aula, prima di farlo nel salotto di Bruno Vespa.
Il timore di rimanere travolto, d’altronde, questa volta è forte. Persino all’interno del Movimento inizia a sollevarsi qualche isolato bisbiglio, qualche sospetto. Come quello che riguarda il condono di Ischia.
C’è chi, a taccuini chiusi, sostiene che attraverso un semplice ricorso il condono di Ischia possa essere esteso all’intera regione Campania.
E in questo modo, «avrebbe potuto usufruirne anche il padre di Luigi per sanare quegli abusi. Mi auguro che non sia così».

(da “NextQuotidiano”)

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CONTRIBUTI INPS DI LUIGI DI MAIO: IN REGOLA SOLO TRE MESI

Dicembre 4th, 2018 Riccardo Fucile

PER IL RESTO HA LAVORATO IN NERO DAL PADRE, IN PIZZERIA E PURE ALLO STADIO

Flavia Amabile sulla Stampa di oggi ficca il naso nei contributi INPS di Luigi Di Maio dopo le note polemiche di questi giorni sul padre e la storia del lavoro nero in pizzeria: l’estratto dell’Istituto di previdenza contiene solo le tre buste paga dall’azienda familiare.
Nessuna traccia dei “periodi estivi”, di quelli da cameriere in una pizzeria o di steward al San Paolo.
La schermata dell’Inps intestata a Luigi Di Maio è breve.
Si intitola «estratto conto previdenziale» e comprende una sola riga: i contributi previdenziali versati dal 27 febbraio al 27 maggio del 2008.
Tre mesi, cinque settimane effettive e 1283 euro di reddito. Non risulta altro nella pagina dell’Istituto pensionistico relativa al vicepremier nell’intera sua vita lavorativa.
Se ha lavorato allo stadio come steward nel 2006 guadagnando 30 euro ogni partita, come ha raccontato lui stesso, ha lavorato in nero.
Se ha lavorato in pizzeria, come racconta il titolare di un locale di Pomigliano D’Arco, la città  dove è cresciuto, ha lavorato in nero.
Se ha lavorato durante le estati giovanili sui cantieri del padre, come ha raccontato lui stesso, ha lavorato in nero.
Il vicepremier era all’epoca inquadrato inizialmente come «operaio», poi come «manovale», con un livello 1. Si tratta di un contratto di lavoro nel settore Edilizia, Piccole e Medie Imprese, con una retribuzione di 632,99 euro (minimo), 513,46 per contingenza, 10,33 (E.D.R), ai quali si sommavano 150, 51 euro per Indennizzo territoriale. Totale: 1.348,81 euro mensili lordi per 40 ore settimanali.
A Di Maio venivano assegnati ferie e permessi retribuiti come da contratto nazionale di categoria. Compresi in busta paga anche indennità  di mensa e di trasporto.

(da “NextQuotidiano”)

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LE CARTELLE EQUITALIA DI ANTONIO DI MAIO: SONO 33 QUELLE ACCUMULATE

Dicembre 4th, 2018 Riccardo Fucile

176.000 EURO PER MANCATI PAGAMENTI DI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI AZIENDALI… DAL 2010 PERO’ NESSUN PAGAMENTO E   NESSUNA AZIONE ESECUTIVA

Ora tocca al Fatto Quotidiano movimentare la giornata di Antonio Di Maio, il padre del ministro che ieri si è scusato con tanto di regia grillina con il figlio il quale oggi annuncia che metterà  in liquidazione la ARDIMA di cui è proprietario al 50% con la sorella Rosalba.
Nell’articolo a firma di Vincenzo Iurillo e Marclo Lillo si parla dell’iscrizione ipotecaria 34440/ 2010 e delle 33 cartelle esattoriali accumulate da Antonio Di Maio e si pubblica la cartella di Equitalia e l’ipoteca da 176mila euro.
L’atto di iscrizione   in Conservatoria è su carta intestata Equitalia Polis spa di Napoli. Il procuratore speciale dell’iscrizione si chiama Pasquale Di Maio (omonimia) ed agisce con una procura del luglio 2009 presso il notaio di Napoli Sabatino Santangelo.
Le stangate arrivano tra la fine del 2006 e la fine del 2007.
Il 29 novembre 2006 Antonio Di Maio viene raggiunto dalla cartella esattoriale 071/2006/ 02463638/ 09/000 di quasi 27.000 euro più quasi altri 3.000 di interessi di mora. Si tratta di mancati pagamenti di contributi previdenziali aziendali.
Il 9 ottobre 2017 un’altra mazzata con la stessa causale di quasi 29.000 euro più interessi per altri 3.300 euro circa.
Proprio nel 2006 Antonio Di Maio compie il passaggio di mano dell’impresa nelle mani della moglie, la signora Paolina Esposito, insegnante.
Lo fa per far proseguire l’attività , come ha chiarito ieri nel video. Dal 2006 nasce l’impresa individuale della moglie. Sei anni dopo tocca ai figli: Luigi e Rosalba creano la Ardima Srl nel 2012 e due anni dopo, nel 2014,quando Luigi è deputato, ricevono in donazione l’azienda (cioè il complesso organizzato dei beni e i passivi) dell’impresa materna.
È normale che dal 2010 al 2018, e in presenza di beni sottoposti ad ipoteca, quella pratica non abbia fatto alcun passo in avanti, in un senso o nell’altro?
Repubblica lo ha chiesto all’Agenzia della riscossione.
Dall’ufficio stampa nazionale, risposta secca: «Ovviamente esiste la privacy e vale per chiunque. In linea generale, comunque, ci sono iscrizioni per debiti che risalgono addirittura al 2000».
Ecco perchè, almeno ufficialmente, «non sembra una anomalia».
La cartella non chiarisce molti punti ancora oscuri.
Secondo il Corriere della Sera pare che Di Maio senior abbia aderito alla rottamazione ter varata dal governo e dovrà  pagare 80mila euro entro il 7 dicembre.
Intanto, per i quattro manufatti abusivi è stata avviata la procedura per la demolizione. Tra queste ci   sono gli edifici «sgarrupati», il campo di calcio e la«stalla» (come l’ha chiamata Luigi Di Maio), che secondo le Iene era un villino con patio e piscina. Ma al Fatto Quotidiano Luigi Di Maio dice tutt’altro:
A suo padre, Antonio Di Maio, sono state notificate 33 cartelle esattoriali di Equitalia, dal 2001 al 2011. Tra debiti previdenziali, contributivi e tasse non pagate, il totale è di 134.226,82 euro (176.724,59 con interessi di mora e altri oneri). Suo padre aderirà  alla rottamazione —la cosiddetta “pace fiscale”—alleggerendo così, grazie all’abbuono di sanzioni e interessi vari, la sua posizione debitoria nei confronti del Fisco? A mia precisa domanda, mio padre ha risposto che non aderirà  alla rottamazione.
Anche se suo padre dovesse decidere di non aderire, secondo l’articolo 4 del decreto fiscale da poco approvato, su 33 cartelle, 13 si annullerebbero d’ufficio, in automatico (quelle inferiori ai 1.000 euro): una cancellazione di circa 5mila euro di debito.
La “pace fiscale”è una delle misure più importanti della Legge di Bilancio del governo Lega-M5S, questo non le crea imbarazzo? Per quanto si tratti di soli 5mila euro, non le sembra comunque un potenziale conflitto di interessi
Non so se alcune cartelle si estingueranno, ma resta il fatto che su un debito di circa 180.000 euro questo non migliorerebbe in maniera significativa la situazione di mio padre.
Sa se suo padre ha aderito in passato ad altre forme di rottamazione, anche parziale, delle cartelle (come quella del 2016 targata Renzi)?
Anche in questo caso, ho chiesto a mio padre e ha risposto che non ha aderito alla rottamazione prevista nel 2015/2016.

(da “NextQuotidiano”)

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