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LA DENUNCIA DI DON GINO RIGOLODI: MEHDI, IL SOGNO SPEZZATO PER DECRETO

Gennaio 5th, 2019 Riccardo Fucile

HA IL PERMESSO DI SOGGIORNO PERCHE’ PROVENIENTE DA UNO STATO IN GUERRA, MA ANCHE A LUI E’ ARRIVATO IL RIFIUTO A CONCEDERE LA RESIDENZA

È arrivato anche ad uno dei miei ragazzi il rifiuto del Comune di Milano a concedere la residenza sulla base del cosiddetto Decreto Sicurezza.
Mehdi ha il permesso di soggiorno per richiedenti protezione internazionale perchè proveniente da uno Stato in guerra e spera in un futuro possibile anche se lontano dalla sua famiglia e dalla sua patria.
bello vedere un adolescente che sogna cose concrete e semplici: un lavoro, poi una casa e infine una famiglia «tranquilla», lontana dalle violenze e da una vita al limite della sopravvivenza.
È un ragazzo molto intelligente, capace di relazioni positive, di accettare dei compiti faticosi, rispettoso degli altri e riconoscente verso chi lo ha accolto e lo ospita. Per me è come avere un altro figlio.
Ha avuto il permesso di soggiorno, lo Stato lo ha dichiarato accolto ma poi dopo il «Dpr 113/2o18» gli impedisce di avere la residenza anagrafica e quindi gli proibisce il lavoro, la cura della salute, la casa e sembrerebbe gli proibisca pure di esistere.
Il ministro dell’Interno dice che è contro i clandestini ma Mehdi ha un permesso di soggiorno rilasciato regolarmente dalla questura, non è clandestino.
Ha certamente un grave difetto: è povero. E perciò dice il ministro: «Prima gli italiani».
Come se l’umanità  avesse colore o nazionalità , come se la guerra o la fame fossero un male che tocca a chi tocca. Noi possiamo solo guardare. Magari guadagnare un poco in petrolio e in armi, ma accogliere i fuggitivi poveri no.
È di moda dire che è finita «la pacchia» per gli stranieri clandestini ma questa legge «sicurezza» vuole fuori anche quelli regolari.
Quelli poveri si capisce, mica per esempio quelli del Quatar. Questi miei ragazzi come tutti i richiedenti asilo sono come i bambini che si possono prendere a botte, possono solo piangere. Io credo che debbano essere difesi.
Bene, io vivo veramente «una pacchia» che è quella di accogliere ragazzi in fuga senza chiedere rette a nessuno.
Sono molto fortunato, è veramente «una pacchia» quella di essere un uomo capace di compassione creativa, appassionato per la giustizia con il piacere e il privilegio della solidarietà .
E poi, essendo un cristiano, la mia pacchia è poter ubbidire al comando di Gesù che ha dichiarato benedetti quelli che lo hanno accolto nei poveri.
Nella fede cristiana uno ci può stare oppure no, mica è obbligatorio, ma la fede non si può inventare, o si è dentro o si è fuori. Tutte cose già  scritte duemila anni fa. Consiglierei al ministro dell’Interno e a tanti preti e laici di andare a leggere il capitolo 25 di San Matteo, la descrizione del Grande Giudizio.
Potrebbe essere salutare.

don Gino Rigolodi
(da “Il Corriere della Sera”)

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LE TRE VOLTE CHE SALVINI INCITO’ ALLA DISOBBEDIENZA

Gennaio 5th, 2019 Riccardo Fucile

DISOBBEDIENTE CON LE LEGGI DEGLI ALTRI

Il ministro dell’Interno si scaglia contro i sindaci che vogliono boicottare il dl Sicurezza: «Ne risponderanno davanti allo Stato».
Ma in passato anche lui ha invitato i primi cittadini leghisti a fare disobbedienza
Tutti disobbedienti, con le leggi degli altri. Tutti legalitari, con i disobbedienti alle leggi proprie.
Matteo Salvini tuona contro i sindaci che hanno annunciato di voler disattendere il suo decreto sicurezza, nella parte in cui vieta loro di iscrivere all’anagrafe i richiedenti asilo. «Cercano solo pubblicità », scrive il ministro dell’Interno.
«Chi non rispetta il dl Sicurezza, ne risponderà  davanti alla legge e alla Storia»
Eppure dell’idea di «disobbedienza», civile o meno lo giudicherà  la storia, si era infatuato anche Salvini, almeno in tre occasioni.
1) “PADANIA PRONTA A DISUBBIDIRE”
Del resto, lui aveva cominciato la sua avventura da segretario della Lega brandendo l’idea di disobbedienza: «La Padania è pronta a disubbidire: abbiamo migliaia di sezioni pronte a essere centri di lotta e di controinformazione», urlò dal palco di Torino il 15 dicembre 2013 nel discorso dell’incoronazione.
«Non ci fermeremo fino all’indipendenza», continuò sulle note di Va Pensiero, per poi attaccare i giornalisti«pennivendoli» e anticipare nella scelta semantica il futuro alleato di governo grillino.
2) «BRAVO!», AL SINDACO CHE DISUBBIDI’
C’era qualcun altro al governo, allora, e a lui toccarono cinque anni nel ‘più facile ruolo di oppositore. Così, nel 2016 plaudì all’atto di disobbedienza dell’allora sindaco leghista di Bondeno (Ferrara), che aveva fatto cancellare dall’albo pretorio del suo comune l’avviso della Prefettura per sondare la disponibilità  di alloggi privati da destinare all’accoglienza di rifugiati internazionali.
Giammai, motivò la sua decisione il sindaco, con queste parole: «Invece che sprecare risorse pubbliche nell’accoglienza, lo Stato si occupi dei terremotati».
«Più che un gesto di disobbedienza, il nostro è un gesto di civiltà ». «Bravo!», twittò Salvini. «Alla faccia dei Renzi e delle Boldrini di turno». Hashtag: #iostoconFabio.
3) “SINDACI DELLA LEGA, DISUBBIDITE”
Qualche mese dopo, Salvini si fece egli stesso promotore di un’altra azione di disobbedienza (o di civiltà , come direbbe il sindaco di Bondeno), quando invitò i sindaci leghisti a non celebrare le Unioni civili: «Sindaci della Lega disobbedite». La Cirinnà  «è una legge sbagliata, anticamera delle adozioni gay». La motivazione? «A questo punto perchè limitarti al matrimonio tra due persone, facciamo anche quattro o cinque». Niente hashtag.
E quando la sindaca leghista di Oderzo, Treviso, unì civilmente due uomini (Pasquale e Andrea, compagni da 11 anni), che fece il Capitano? Minacciò di espellerla. «Se si è prestata a questo giochino, sicuramente ha poco a che fare con la Lega». La sindaca aveva applicato la legge.

(da agenzie)

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“LE SEMBRA NORMALE CHE UNO PER ANDARE IN PENSIONE DEBBA CHIEDERE UN PRESTITO?” DICEVA UN ANNO FA

Gennaio 5th, 2019 Riccardo Fucile

ORA SALVINI HA CAMBIATO IDEA E COSTRINGE I DIPENDENTI PUBBLICI CHE VOGLIONO LA LIQUIDAZIONE A STIPULARE UN PRESTITO CON ABI E PAGARE PURE GLI INTERESSI…ALTRIMENTI DOVRANNO ATTENDERE OTTO ANNI

«Ma scusi, le pare normale che uno per andare in pensione deve chiedere un prestito?», diceva un indignato Matteo Salvini nell’agosto 2016 a Omnibus criticando l’APE, ovvero l’Anticipo Pensionistico varato dal governo Renzi.
Sì, gli risponde idealmente un anno e mezzo dopo il sottosegretario leghista Claudio Durigon spiegando oggi al Messaggero che i dipendenti pubblici che vogliono andare in pensione con Quota 100 e vogliono la liquidazione dovranno stipulare un prestito con l’ABI per avere i loro soldi e pagare gli interessi alle banche, oppure attendere fino a otto anni
«I dipendenti pubblici che lasciano con Quota 100 potranno chiedere alle banche l’anticipo del loro trattamento di fine servizio. Stiamo valutando insieme all’Abi la stipula di una convenzione».
Servirà  una norma?
«Nel decreto vorremmo inserire un riferimento».
Si tratta di un prestito, chi pagherà  gli interessi?
«Saranno a carico dei beneficiari. L’erogazione della liquidazione degli statali sarà  garantita dallo Stato.”
Quando andranno in pensione i primi statali, a luglio o ad ottobre?
«Chi ha maturato i requisiti entro il 31 dicembre dell’anno scorso potrà  fare domanda a gennaio e potrà  lasciare a luglio».
E si noti come Durigon sostenga che abbia bisogno di un prestito chi vuole la liquidazione “in anticipo”, mentre in realtà  non c’è nessun “anticipo”: chi la vuole nei tempi stabiliti per le liquidazioni dei dipendenti pubblici non l’avrà  se, appunto, non si fa dare i (suoi) soldi in prestito dalla banca (pagandoci sopra gli interessi): un piccolo capolavoro di bispensiero, l’ennesimo.
Con il blocco delle assunzioni fino al 15 novembre non c’è il rischio che si crei un “buco”, una discrasia, tra pensionamenti e assunzioni?
«Il rischio c’è, ma è minimo. Parliamo di due mesi. E poi siamo anche convinti che con il divieto di cumulo tra reddito e pensione fissato a 5 mila euro, non ci saranno fughe di massa dal pubblico impiego».
Sarà  proprio interessante fare alla fine dell’anno il conto di quanti ricorreranno a quei fondi.

(da “NextQuotidiano”)

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FICO IN CAMPO CONTRO SALVINI, CONTE TACE E L’EUROPA LATITA

Gennaio 5th, 2019 Riccardo Fucile

SI ALLARGA LA DISTANZA TRA M5S E LEGA, LA CHIESA METTE IL SUO PESO SULLA FRATTURA DI GOVERNO… UNA CAMPAGNA ELETTORALE SULLA PELLE DEI DISPERATI

Un altro giorno è andato. I migranti lo trascorrono ancora a largo di Malta sulle navi Sea Watch e Sea Eye, mentre l’Europa latita e l’Italia chiacchiera, con l’eccezione del premier Giuseppe Conte che resta in prudente silenzio.
Una giornata di tante parole, con due novità  di fondo.
Da una parte la sponda di Roberto Fico a Luigi Di Maio nello scontro con Matteo Salvini sul da farsi per i 49 profughi a bordo delle navi delle ong.
Dall’altra il coro polifonico della Chiesa che mette il suo peso nella frattura del Governo.
Comunque sia Di Maio un risultato lo ottiene. Le navi Sea Watch e Sea Eye ricompattano il Movimento 5 Stelle anche se, al di là  del dato politico, una soluzione non è stata trovata e i porti europei, compreso quello italiano, restano chiusi.
Il vicepremier grillino vorrebbe che donne e bambini sbarcassero in Italia ma Matteo Salvini, almeno per adesso, non retrocede.
La campagna elettorale delle Regionali, ma soprattutto per le Europee in questi casi fa da padrona in uno schema in cui M5S prova a prendere la questione da sinistra e a differenziarsi quanto più possibile dalla Lega.
Di certo il vicepremier grillino, grazie alla sua mossa, un risultato lo ha ottenuto. Ha incassato l’appoggio di Roberto Fico che, in termini di equilibri interni al mondo pentastellato e agli occhi dell’elettorato pentastellato, vale molto in un momento in cui dalla pancia del partito vengono fuori parecchi malumori sul Decreto Sicurezza voluto dal leader leghista.
Il presidente della Camera, in maniera del tutto inedita – trattandosi di un argomento di stretta competenza del governo – scende in campo a fianco del capo politico: “Sono convinto – dice – che l’iniziativa presa da Di Maio sia un segnale importante e ne sono contento. Allo stesso modo credo fortemente che l’Italia non debba essere lasciata sola, così come nessun altro Paese debba essere lasciato solo a gestire questioni complesse”.
Anche la Chiesa è in fibrillazione e chiede uno scatto di buona volontà  contro “certi andazzi”. Ci sono le emergenze della Sea Watch e della Sea Eye, ma è l’intero decreto sicurezza a non piacere.
Aleggia negli ultimi giorni una chiamata all’obiezione di coscienza. È “un principio riconosciuto”, ha detto ieri da Genova il cardinale Angelo Bagnasco.
Un appello esplicito è stato lanciato anche da padre Francesco Occhetta, gesuita, che per “La Civiltà  cattolica” cura le analisi sulla politica italiana: “L’obiezione di coscienza è luce che illumina le tenebre, fa progredire i diritti umani e chiarisce i doveri”.
Anche il vescovo Guerino Di Tora, presidente di Migrantes, la fondazione della Cei, dalle colonne dell’Osservatore Romano, ribadisce che “come cristiani non possiamo mai rinunciare all’accoglienza”.
Sul fronte politico per adesso agli atti restano soltanto parole.
Come del resto nessun atto concreto arriva dagli altri Paesi europei. Solo media tedeschi riferiscono di un generico impegno della Germania ad accogliere i migranti “in un contesto però di ridistribuzione” a livello europeo. Quasi nulla, se non nulla di fatto, dunque.
Nel Governo tra Di Maio e Salvini tertium non datur, o prevale l’uno, o prevale l’altro: dopo la mossa a sorpresa di ieri – “prendiamo donne e bambine” – Di Maio non vede alcun risultato, ma non va allo scontro frontale con Salvini, anzi se ne guarda bene dal farlo.
E dal canto suo il leader leghista risponde alla Cei a muso duro: “Mi spiace se qualcuno dalle parti del Vaticano ha chiesto di accogliere. Abbiamo già  accolto abbastanza, ora pensiamo agli italiani”, dice dal palco de L’Aquila in pieno tripudio da campagna elettorale e di fronte a un gruppo di contestatori ai quali risponde: “Prendete il barcone e andatevene”.
Di Maio e Conte continuano a sostenere che donne e bambini vanno accolti in Italia per dare anche un segnale all’Europa “che – dice il capo politico M5s – mette la testa sotto la sabbia. E Malta non ha il suo dovere”. Ma il messaggio lanciato dal capo politico M5s sembra essere più un modo per sedare la rivolta che parte dalla base, dai sindaci e da alcuni senatori come Nugnes, Mantero e Fattori, che una vera e propria presa di posizione con un riscontro pratico.
Salvo colpi di scena, dal momento che anche dal Viminale ammettono che il quadro è in continua evoluzione, nelle prossime ore non dovrebbero esserci novità .
Parole da campagna elettorale, compresa quella “coltellata” che Salvini assesta a Di Maio quando lo ringrazia perchè “da solo non sarei riuscito a fare sull’immigrazione quello che stiamo facendo insieme”. Parole velenosissime mentre il capo politico pentastellato prova a smarcarsi dall’ingombrante alleato almeno sul tema dell’accoglienza in sintonia con Fico e il resto del Movimento.

(da “Huffingtonpost”)

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A BORDO DELLA SEA WACHT: ACQUA, UNA ZUCCA E GIOCHI PER BAMBINI

Gennaio 5th, 2019 Riccardo Fucile

GRAZIE AI 22 EROI DELL’EQUIPAGGIO, NON FATE CASO AI RIFIUTI UMANI CHE LUCRANO VOTI SULLA PELLE DEI PIU’ DEBOLI, VERRA’ ANCHE IL LORO GIORNO DEL GIUDIZIO

«Mamma, perchè non possiamo prendere l’aereo?». Ahmed, 6 anni (il nome è di fantasia) dorme sul ponte della Sea Watch3 da due settimane.
Mangia due cucchiaiate di riso in bianco, contro voglia. La nave rulla. Sua madre Layla, 36 anni, non lo perde di vista nemmeno per un istante.
«Prima di farcela abbiamo tentato di fuggire due volte. La prima, in ottobre, ci siamo riparati su una piattaforma petrolifera, la seconda abbiamo rischiato di annegare quando il gommone si è ribaltato. La guardia costiera di Tripoli ci ha riportato indietro».
Layla abbassa la voce perchè Ahmed non senta. «Siamo venuti via perchè mio marito minacciava di uccidermi e mio fratello non faceva nulla per difendermi».
È tranquilla nonostante tutto la situazione sulla nave della ong tedesca. Si aspetta un segno da terra.
Intanto le autorità  de La Valletta hanno concesso l’avvicinamento sotto costa per il rifornimento di cibo e acqua operato da una missione congiunta di Sea Watch e Mediterranea. Tra le casse c’è anche una zucca enorme, qualche gioco, medicinali e carta igienica.
«Uomo in mare, uomo in mare». La terra è davvero vicina, il Golfo dello Scirocco sembra quasi di toccarlo. La calma viene interrotta dalle urla: un migrante si è buttato nel mare gelido. Qualche bracciata, la corrente è forte, le onde del Mediterraneo d’inverno fanno paura, meglio rinunciare.
«Non possiamo più aspettare, non siamo cattivi, lasciateci arrivare», dice Ali (il nome è uno pseudonimo), egiziano che ha pagato 1200 dollari per salire su un gommone sgonfio. Con lui ci sono altri quattro uomini. Uno ha perso l’occhio per le botte dei suoi carcerieri.
«Siamo venuti via perchè da settembre la situazione in Libia è peggiorata. E sai già  come va a finire: ti sparano e poi i cani si mangiano il tuo cadavere».
Mentre la tempesta dà  un po’ di tregua arriva anche il cambio di equipaggio.
I 22 donne e uomini della crew di Sea Watch sono provati. Ma sorridono. Ci si abbraccia e ci si saluta. «Siamo stanchi, abbiamo una media di cinque ore di sonno per notte. Inoltre i migranti stanno mostrando segni di stress e affaticamento mentale», spiega il capo missione Philipp Hahn, con lo sguardo gentile.
Ayla Emmik, 28 anni, olandese, dottore di bordo non riesce a trattenere le lacrime. «I miei tre colleghi sono tutti giovanissimi, anche io mi sono specializzata da poco. Ma ne sono sicura: non esiste un medico al mondo pronto ad ascoltare e curare quello che raccontano queste persone».
Torture, abusi, traumi. A nessuno dei migranti è stato risparmiato il dolore.
«Abbiamo cercato di stare vicini a tutti, abbiamo parlato, abbiamo anche guardato dei film insieme sui computer. Ma lo spazio ristretto e il mal di mare fanno risalire tutto a galla come una tempesta».
«Cosa provano queste persone quando vedono arrivare la vostra nave?». A chiederlo è Helge Lindh, deputato tedesco dell’Spd, che guarda nervosamente il telefono di continuo.
Con lui ci sono altri quattro parlamentari tedeschi. Grà¼nen, Linke. L’eurodeputata verde Ska Keller, che si ferma, gentile, a parlare con tutti.
Le cancellerie di Berlino e Bruxelles sono lontane anni luce dal muro della fortezza. «Non ci avviciniamo direttamente, prestiamo soccorso con i Rhib (gommoni, ndr) in modo da evitare che scatti il panico e che i migranti si buttino in acqua», rispondono da Sea Watch.
E quando salgono a bordo? «Controlliamo che non abbiano benzina sui vestiti. La maggior parte di loro rimane per ore immersa in una miscela di gasolio e acqua salata che piaga la carne».
Dolore e impotenza. «Bisognerebbe iniziare a lavorare all’introduzione dei corridoi europei», ipotizza Christiane Groeben, vicepresidente della Federazione delle chiese evangeliche europee.
Ma il tempo per la missione di rifornimento sta per finire. La Sea Watch e i suoi 32 passeggeri devono tornare al largo, ordini di Malta. La delegazione risale sulle navi di supporto.
«Oggi siamo riusciti a dimostrare che tra mare e terra esiste un ponte fatto di alleanze e solidarietà  inarrestabili. Stiamo facendo, una volta di più, quello che le autorità  e i governi continuano a non fare: andare a prestare soccorso a chi in mare rischia la vita a causa delle politiche europee», chiosa Alessandra Sciurba, capomissione per Mediterranea.
Poi le nuvole ricominciano ad addensarsi all’orizzonte, in mezzo al cielo nero un arcobaleno sottile fa capolino. Ma è solo per un attimo.

(da “il Corriere della Sera”)

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SUCA PRIDE, DOPO AVER INSULTATO MEZZA ITALIA LORD MATTEO SI SCANDALIZZA PER UN COMMENTO ARALDICO

Gennaio 5th, 2019 Riccardo Fucile

SE L’ADDETTO STAMPA DEL COMUNE DI PALERMO HA RITENUTO OPPORTUNO RISPONDERGLI CON QUEL TERMINE C’E UN MOTIVO FILOSOFICO E DIALETTICO

“Suca!”, a Palermo, è l’alfa e l’omega d’ogni simposio dialettico, filosofico, talvolta perfino politico e amministrativo comunale siciliano.
La notizia che rimette ora questa parola al mondo extracittadino, è presto detta: Fabio Citrano, membro dell’ufficio stampa proprio di Palazzo delle Aquile, sede del Municipio, riferendosi a un post del ministro Salvini dove, in tema di migranti e disobbedienza civile, si chiamava in causa “sintacollanto” (pronuncia esatta pretenderebbe che si dica “sindaco Orlando”, ma, nell’assodato costume orale e popolare cittadino, questi vive ormai l’onore della contrazione tra titolo e cognome, assai più che una corona nobiliare) esattamente così: “Col Pd nel caos e clandestini, con la Lega ordine e rispetto. Certi sindaci rimpiangono i bei tempi andati sull’immigrazione ma anche per loro è finita la pacchia”.
Di rimando, il Citrano, esattamente a fronte della replica del ministro dell’Interno, ha ritenuto opportuno, da inevitabile palermitano, rispondere araldicamente piazzando un solenne, pubblico, “Suca”.
Salvini ha replicato a sua volta pubblicando, sempre su Twitter, corpo del reato di possibile lesa autorità , la schermata del precedente post, accompagnandola con queste esatte, eppure, sia detto sinceramente da palermitano a milanese, spuntate parole di riprovazione: “La professionale replica che ho ricevuto dal responsabile stampa del Comune di Palermo: “Suca”, Capito? un vero lord, ma questi dove pensano di essere”. S’intende, che il caso è adesso al vaglio dell’amministrazione che ipotizza per l’improvvido Citrano – vigile urbano utilizzato in funzione di addetto stampa, va da sè — un provvedimento disciplinare sollecitato dal medesimo Orlando.
Tuttavia, al di là  dell’eventuale pena che gli verrà  comminata, fosse anche rispolverando scenari da tempi dei Beati Paoli, con gli incappucciati della Compagna dei Bianchi che, lungo vicolo della Salvezza, conduce il condannato verso il patibolo, è certo che Citrano avrà  comunque, ben al di là  delle singole opinioni che si possano custodire rispetto al razzismo rionale in tuta omologata da celerino di Matteo Salvini, l’eterno plauso dei palermitani che hanno contezza del mondo, delle sue possibili filosofie liberatorie.
E questo perchè “Suca” fiammeggia nel lessico cittadino panormita ordinario e insieme più profondo, assoluto, come potrebbe illustrare assai meglio di noi perfino l’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, anch’egli nato e cresciuto all’ombra di Monte Pellegrino, da Goethe ritenuto “il più bel promontorio d’Europa”, e dunque se un tempo era necessario imbattersi nei siciliani, magari durante la leva di terra o di mare, per apprendere l’esistenza di questa parola dirimente, magari accompagnata dal riferimento proprio all’autorità , raffigurata da un ipotetico Duca, ossia “…a me e al Duca”, oggi la stessa è divenuta patrimonio comune, un esperanto della dialettica risolutiva.
Addirittura questo nostro magico, apotropaico, invincibile “Suca” è riuscito a resistere a ogni tempesta lessicale, a ogni forma di acculturazione successiva, mai soppiantata sui muri e sulle panchine neppure dal temibile 3MSC (leggi: tre metri sopra il cielo, complimento adolescenziale giunto dalla letteratura adolescenziale).
Perchè se ai palermitani, dopo aver consegnato loro un gessetto o un computer o un post-it, chiedi di scrivere la prima parola che affiora al pensiero, questi non nutrono dubbi, segnano subito un bel “Suca”, certi d’essere così in possesso dell’intera biblioteca d’Alessandria e di Babele.
E questa verità  inconfutabile, un uomo di mondo come Salvini, proprio lui che, nonostante il ruolo istituzionale, manifesta irritualità  nella cosiddetta comunicazione perfino istituzionale, calpestando sovente anche il protocollo e l’uso d’ogni opportunità  ufficiale, dovrebbe ben saperlo, insieme alla consapevolezza che “Suca” trascende l’offesa stessa, in quanto, lo dicevamo, antidoto filosofico interclassista.
Parola perfino casta, sebbene discenda dal verbo “succhiare”, ossia possa sembrare riferita a pratiche un tempo ritenute degradanti.
Inciso pop sempre per Salvini: anche Checco Zalone, nel suo “Quo Vado”, ha pensato bene mostrare un pappagallo, sequestrato a un boss mafioso, che si rivolge agli estranei proprio con un ripugnante “Suca”.
Suca, si sa, è l’alfa e l’omega d’ogni abbecedario, libretto d’istruzione, di manutenzione, di navigazione d’ogni base di ricovero, bolla d’accompagnamento, statino universitario, ricetta, foglio di constatazione amichevole cittadini, palermitani, vive da sempre nella tavoletta cuneiforme dell’indigeno isolano.
E ancora abita sui muri, sui vespasiani, sui cartelli stradali, sulle saracinesche, sui carretti siciliani, perfino sugli scudi di Orlando e di Rinaldo, e sulla fronte di Angelica sotto la frangetta guerriera, ovunque.
Salvini, se mai andrà  a Palermo a preoccuparsi dei “malacarne”, cioè dei mafiosi, come gli ha suggerito proprio “sintacolloanto”, ne scoprirà  l’evidenza sulle palizzate cittadine, oppure inciso con un legnetto o in punta di chiave sul cemento ancora fresco del marciapiedi, sui manifesti pubblicitari accanto al dente annerito, piazzato sempre lì, a margine, affinchè sia chiara a tutti la propensione profonda dei siciliani verso lo scetticismo, “Suca”.
Quando la filosofia, la storia, la geografia, non supportano più il discorso, non arrivano a spiegare la logica, ecco che giunge, solenne, un “Suca”, come antidoto a ogni possibile razzismo.
Anche il mio amico Gianfranco Miccichè, detto Frisco, d’altronde, pensando al Decreto Sicurezza, non ha potuto fare a meno di definirlo “pura legge razziale”. Dimenticavo di dire al ministro che è contemplato anche il rafforzativo: “Suca forte!”.

(da “Huffingtonpost”)

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I PRESIDI SCRIVONO ALLA RAGGI: “TROPPA IMMONDIZIA E TOPI, RISCHIO SANITARIO PER I BAMBINI: LUNEDI NON RIAPRIAMO LE SCUOLE”

Gennaio 5th, 2019 Riccardo Fucile

“SERVE UN TEMPESTIVO INTERVENTO DELL’AMA O TERREMO CHIUSE LE SCUOLE”… E’ IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO

Via l’immondizia, o le scuole romane non riapriranno dopo l’Epifania per il rischio sanitario a cui verrebbero esposti i bambini.
È questo in sintesi il senso della lettera inviata dall’Associazione dei presidi alla sindaca di Roma Virginia Raggi per sollecitare una rapida rimozione dei rifiuti nei pressi degli istituti scolastici, dopo le feste natalizie e accumulatisi in seguito all’emergenza scaturita dall’incendio del Tmb Salario.
Come riportano Repubblica e il Messaggero, i presidi hanno scritto alla Raggi per sollecitare la pulizia delle aree vicino alle scuole, dal momento che in queste condizioni non potrà  essere assicurata la riapertura delle scuole
Come riporta il quotidiano romano, per il presidente della sezione del Lazio dell’Associazione nazionale Presidi, Mario Rusconi, il “grave problema investe il tema sanitario, che potrebbe comportare in alcuni casi anche la chiusura delle scuole, soprattutto quelle dell’infanzia ed elementari la cui popolazione è composta da bambini molto piccoli, qualora non fosse tempestivamente risolto”.
Serve quindi “un decisivo intervento nei confronti dell’Ama affinchè preveda la raccolta di tutta questa immondizia almeno nei pressi delle scuole prima della ripresa delle attività  didattiche prevista per il 7 gennaio”. Altrimenti, come si diceva, c’è il rischio che gli istituti prolunghino “la chiusura”.
Scrive ancora il Messaggero:
L’associazione presidi, nella missiva inviata a Palazzo Senatorio, racconta delle «numerose segnalazioni che stiamo ricevendo da diversi colleghi di scuole del centro e della periferia, di asili nido, scuole elementari medie e superiori». «Basta girare per le strade della città  – si legge ancora – e constatare i cumuli di rifiuti a volte anche ingombranti attorno ai cassonetti strapieni di immondizia vicino ai cancelli e ai portoni degli istituti scolastici. Non solo spettacoli poco decorosi, ma anche odori nauseabondi accompagnano la vista dei cittadini nel constatare come animali randagi e roditori trovino spesso bivacco attorno a questi monumenti di pattume».
“Questo sconveniente scenario – si legge ancora nella lettera – è diseducativo per i nostri studenti che tutti i giorni nelle aule educhiamo al senso civico, al rispetto per la città  e al decoro, alla cura per il bene pubblico, alle regole della convivenza e della cittadinanza, che poi vedono puntualmente infrangersi fuori dalle loro aule a pochi passi dai portoni d’ingresso delle scuole, attorno a queste pattumiere a cielo aperto

(da “NextQuotidiano”)

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SALVINI CONTESTATO IN PIAZZA ALL’AQUILA AL GRIDO DI “SCIACALLO”, FORTE TENSIONE TRA CORI E PROTESTE

Gennaio 5th, 2019 Riccardo Fucile

CENTINAIA DI AGENTI ITALIANI PER PROTEGGERE IL MINISTRO DELLA VERGOGNA CHE INDOSSA ABUSIVAMENTE LA DIVISA DELLA POLIZIA MA NON RESTITUISCE I 49 MILIONI FOTTUTI DALLA LEGA

Matteo SalvinI è giunto a L’Aquila poco dopo le 18.
Sul mancato stanziamento dei fondi per il bilancio del Comune dell’Aquila, a copertura delle maggiori spese e delle minori entrate dovute al post terremoto, ha aggiunto che l’esecutivo “rimedierà ”
Stessa promessa al Conapo, il sindacato autonomo dei Vigili del Fuoco, che aveva manifestato la rabbia per il mancato incontro col ministro dell’Interno stante, anche, l’impasse nella ricostruzione della caserma cittadina.
Giunto in Piazza Duomo il leader della Lega – oltre che da decine di simpatizzanti – è stato accolto da un nutrito gruppo di manifestanti che hanno gridato contro di lui “L’Aquila libera”, “Sciacallo”
Imponenti le misure di sicurezza, con decine di agenti schierati ovunque
Non sono mancati momenti di tensione, col sindaco Pierluigi Biondi che ha avuto un durissimo battibecco con alcuni manifestanti. “A quel vigliacco che ha provato a colpirmi di lato, la prossima volta fatti vedere in faccia, se hai coraggio”, il post rabbioso del primo cittadino su Facebook.
Diversa la versione del comitato cittadino che ha sottolineato come sia stato il primo cittadino a spintonare un contestatore, pubblicando sui social un video piuttosto eloquente in cui si vede Biondi, in effetti, perdere le staffe e spingere via un manifestante.
In mattinata, il ministro dell’Interno e vice premier ha fatto tappa a Teramo, per la seconda giornata del suo tour nella nostra Regione.
Anche a Teramo però, sono arrivate le contestazioni. Prima gli insulti, nella centrale piazza Martiri, poi i cori: “Siamo tutti terroni“. I manifestanti sono stati tenuti a distanza da un nutrito gruppo di agenti della Polizia e il vicepresidente del Consiglio è stato costretto a modificare il programma della visita.

(da agenzie)

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IL REDDITO DI CITTADINANZA ANDRA’ PER META’ A CHI LAVORA IN NERO: UN AIUTO AGLI IMBROGLIONI

Gennaio 5th, 2019 Riccardo Fucile

LA RICERCA DELLA CGIA DI MESTRE: SONO DUE MILIONI I LAVORATORI IN NERO (CHE QUINDI EVADONO LE TASSE) SUI QUATTRO MILIONI STIMATI   AVENTI DIRITTO   AL REDDITO DI CITTADINANZA

La CGIA di Mestre ha pubblicato oggi sul suo sito un’analisi del reddito di cittadinanza che afferma che metà  della spesa prevista, per un totale di 3 miliardi, andrà  a chi già  oggi lavora ma in nero.
La CGIA afferma anche che a causa dell’assenza di dati omogenei relativi al numero di lavoratori in nero presenti in Italia che si trovano anche in stato di deprivazione, non è possibile dimostrare con assoluto rigore statistico l’affermazione.
Poi passa ad elencare gli elementi che in ogni caso avvalorano la tesi di partenza.
Secondo l’Istat, in Italia ci sono poco meno di 3,3 milioni di occupati che svolgono un’attività  irregolare.
Se da questo numero rimuoviamo i dipendenti e i pensionati che non hanno i requisiti per accedere a questa misura — pari, in linea di massima, a 1,3 milioni di unità  — coloro che pur svolgendo un’attività  irregolare potrebbero, in linea teorica, percepire questa misura sarebbero 2 milioni; vale a dire la metà  dei potenziali aventi diritto (poco più di 4 milioni).
Secondo questa analisi, la regione più a “rischio” è la Calabria che, secondo gli ultimi dati disponibili (anno 2016), presenta 140.700 lavoratori in nero, ma un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil regionale pari al 9,4 per cento.
Un risultato che è quasi doppio rispetto al dato medio nazionale (5,1 per cento).
Segue la Campania che, con 372.600 unità  di lavoro irregolari, “produce” un Pil in “nero” che pesa su quello ufficiale per l’8,6 per cento.
Al terzo posto di questa particolare graduatoria troviamo la Sicilia, nello specifico con 303.700 irregolari e un peso dell’economia sommersa su quella complessiva pari all’ 8,1 per cento.
La Campania e la Sicilia sono le prime due regioni dove abita la maggior parte di coloro che potrà  chiedere il reddito di cittadinanza.

(da “NextQuotidiano”)

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