SUCA PRIDE, DOPO AVER INSULTATO MEZZA ITALIA LORD MATTEO SI SCANDALIZZA PER UN COMMENTO ARALDICO
SE L’ADDETTO STAMPA DEL COMUNE DI PALERMO HA RITENUTO OPPORTUNO RISPONDERGLI CON QUEL TERMINE C’E UN MOTIVO FILOSOFICO E DIALETTICO
“Suca!”, a Palermo, è l’alfa e l’omega d’ogni simposio dialettico, filosofico, talvolta perfino politico e amministrativo comunale siciliano.
La notizia che rimette ora questa parola al mondo extracittadino, è presto detta: Fabio Citrano, membro dell’ufficio stampa proprio di Palazzo delle Aquile, sede del Municipio, riferendosi a un post del ministro Salvini dove, in tema di migranti e disobbedienza civile, si chiamava in causa “sintacollanto” (pronuncia esatta pretenderebbe che si dica “sindaco Orlando”, ma, nell’assodato costume orale e popolare cittadino, questi vive ormai l’onore della contrazione tra titolo e cognome, assai più che una corona nobiliare) esattamente così: “Col Pd nel caos e clandestini, con la Lega ordine e rispetto. Certi sindaci rimpiangono i bei tempi andati sull’immigrazione ma anche per loro è finita la pacchia”.
Di rimando, il Citrano, esattamente a fronte della replica del ministro dell’Interno, ha ritenuto opportuno, da inevitabile palermitano, rispondere araldicamente piazzando un solenne, pubblico, “Suca”.
Salvini ha replicato a sua volta pubblicando, sempre su Twitter, corpo del reato di possibile lesa autorità , la schermata del precedente post, accompagnandola con queste esatte, eppure, sia detto sinceramente da palermitano a milanese, spuntate parole di riprovazione: “La professionale replica che ho ricevuto dal responsabile stampa del Comune di Palermo: “Suca”, Capito? un vero lord, ma questi dove pensano di essere”. S’intende, che il caso è adesso al vaglio dell’amministrazione che ipotizza per l’improvvido Citrano – vigile urbano utilizzato in funzione di addetto stampa, va da sè — un provvedimento disciplinare sollecitato dal medesimo Orlando.
Tuttavia, al di là dell’eventuale pena che gli verrà comminata, fosse anche rispolverando scenari da tempi dei Beati Paoli, con gli incappucciati della Compagna dei Bianchi che, lungo vicolo della Salvezza, conduce il condannato verso il patibolo, è certo che Citrano avrà comunque, ben al di là delle singole opinioni che si possano custodire rispetto al razzismo rionale in tuta omologata da celerino di Matteo Salvini, l’eterno plauso dei palermitani che hanno contezza del mondo, delle sue possibili filosofie liberatorie.
E questo perchè “Suca” fiammeggia nel lessico cittadino panormita ordinario e insieme più profondo, assoluto, come potrebbe illustrare assai meglio di noi perfino l’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, anch’egli nato e cresciuto all’ombra di Monte Pellegrino, da Goethe ritenuto “il più bel promontorio d’Europa”, e dunque se un tempo era necessario imbattersi nei siciliani, magari durante la leva di terra o di mare, per apprendere l’esistenza di questa parola dirimente, magari accompagnata dal riferimento proprio all’autorità , raffigurata da un ipotetico Duca, ossia “…a me e al Duca”, oggi la stessa è divenuta patrimonio comune, un esperanto della dialettica risolutiva.
Addirittura questo nostro magico, apotropaico, invincibile “Suca” è riuscito a resistere a ogni tempesta lessicale, a ogni forma di acculturazione successiva, mai soppiantata sui muri e sulle panchine neppure dal temibile 3MSC (leggi: tre metri sopra il cielo, complimento adolescenziale giunto dalla letteratura adolescenziale).
Perchè se ai palermitani, dopo aver consegnato loro un gessetto o un computer o un post-it, chiedi di scrivere la prima parola che affiora al pensiero, questi non nutrono dubbi, segnano subito un bel “Suca”, certi d’essere così in possesso dell’intera biblioteca d’Alessandria e di Babele.
E questa verità inconfutabile, un uomo di mondo come Salvini, proprio lui che, nonostante il ruolo istituzionale, manifesta irritualità nella cosiddetta comunicazione perfino istituzionale, calpestando sovente anche il protocollo e l’uso d’ogni opportunità ufficiale, dovrebbe ben saperlo, insieme alla consapevolezza che “Suca” trascende l’offesa stessa, in quanto, lo dicevamo, antidoto filosofico interclassista.
Parola perfino casta, sebbene discenda dal verbo “succhiare”, ossia possa sembrare riferita a pratiche un tempo ritenute degradanti.
Inciso pop sempre per Salvini: anche Checco Zalone, nel suo “Quo Vado”, ha pensato bene mostrare un pappagallo, sequestrato a un boss mafioso, che si rivolge agli estranei proprio con un ripugnante “Suca”.
Suca, si sa, è l’alfa e l’omega d’ogni abbecedario, libretto d’istruzione, di manutenzione, di navigazione d’ogni base di ricovero, bolla d’accompagnamento, statino universitario, ricetta, foglio di constatazione amichevole cittadini, palermitani, vive da sempre nella tavoletta cuneiforme dell’indigeno isolano.
E ancora abita sui muri, sui vespasiani, sui cartelli stradali, sulle saracinesche, sui carretti siciliani, perfino sugli scudi di Orlando e di Rinaldo, e sulla fronte di Angelica sotto la frangetta guerriera, ovunque.
Salvini, se mai andrà a Palermo a preoccuparsi dei “malacarne”, cioè dei mafiosi, come gli ha suggerito proprio “sintacolloanto”, ne scoprirà l’evidenza sulle palizzate cittadine, oppure inciso con un legnetto o in punta di chiave sul cemento ancora fresco del marciapiedi, sui manifesti pubblicitari accanto al dente annerito, piazzato sempre lì, a margine, affinchè sia chiara a tutti la propensione profonda dei siciliani verso lo scetticismo, “Suca”.
Quando la filosofia, la storia, la geografia, non supportano più il discorso, non arrivano a spiegare la logica, ecco che giunge, solenne, un “Suca”, come antidoto a ogni possibile razzismo.
Anche il mio amico Gianfranco Miccichè, detto Frisco, d’altronde, pensando al Decreto Sicurezza, non ha potuto fare a meno di definirlo “pura legge razziale”. Dimenticavo di dire al ministro che è contemplato anche il rafforzativo: “Suca forte!”.
(da “Huffingtonpost”)
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