Destra di Popolo.net

LE BUGIE DEL BULLO SALVINI

Gennaio 6th, 2019 Riccardo Fucile

LA DIRETTA FB DI UN PINOCCHIO CHE MENTE SAPENDO DI MENTIRE

Il vicepremier Matteo Salvini durante una diretta Facebook dal Viminale sul suo profilo ribadisce la sua posizione.
Ecco in sintesi cosa ha detto e le relative balle che spara
«Quanti migranti accogliamo? Zero. Abbiamo già  dato. Possono fare appelli, Fabio Fazio, il vescovo, il cantante, il calciatore, ma io rispondo a 60mln di italiani che hanno diritto a un Paese in cui si entra se si ha il diritto. Per i trafficanti di esseri umani i porti italiani sono, erano e saranno chiusi. Le Ong che non rispettano norme e leggi continuano ad aiutare i trafficanti di esseri umani».
1) «Quanti migranti accogliamo? Zero.”
Falso.
Secondo i dati del ministero dell’Interno, presieduto dallo stesso Salvini, si scopre che proprio dal 22 dicembre ad oggi sono sbarcati sulle nostre coste circa 165 migranti: oltre tre volte quelli che stanno scatenando le ultime polemiche.
Se si considera l’intero mese dicembre il totale è di 359 sbarchi.
Ma dato che questi arrivi diretti sulle nostre coste non hanno avuto ribalta mediatica, Salvini non ha interesse a dirlo perchè i suoi amichetti razzistelli se ne avrebbero a male.
Per la cronaca il   2018 si è chiuso con un totale di 23.370 sbarchi, e gli sbarchi continuano.
2) “Io rispondo a 60mln di italiani”.
Tu rispondi a chi ti ha eletto, ovvero il 17,2% di italiani che ti hanno votato per le tue tesi.
L’82,8% non ti ha votato, quindi non condivide le tue cazzate e se anche oggi la Lega fosse al 30% vuol dire che il 70% non ti vota, fattene una ragione.
E hai preso i voti non per fare il governo con il M5S, così come i grillini non hanno preso i voti per fare un governo di affogatori di profughi.
Quindi la maggioranza degli italiani non solo non ti ha votato, ma ti schifano pure.
3)   “Per i trafficanti di esseri umani i porti italiani sono, erano e saranno chiusi.”
Balle, i porti italiani sono aperti, non chiusi, tanto è vero che sono arrivati 23.370 profughi in un anno e 165 migranti nelle ultime due settimane.
Per loro i porti erano aperti, quindi sei un ballista.
Non solo: non hai competenze per chiudere i porti, e chi l’avrebbe (Toninelli) non ha mai fatto uno straccio di ordinanza in tal senso, come ha confermato lui stesso e l’autorità  portuale di La Spezia.
Anche perchè Toninelli non vuole finire in galera.
Il ministro degli interni, una volta attraccata la nave, può impedire lo sbarco “per serie ragioni di ordine pubblico”.
Come   hai provato a fare questa estate e ti è andata male.
4) “Le Ong che non rispettano norme e leggi continuano ad aiutare i trafficanti di esseri umani».
Le Ong fanno il lavoro che dovrebbero fare i governi civili, quindi non il tuo.
E lo fanno, a differenza tua, rispettando le norme internazionali e le acque territoriali, coordinate dalla Guardia Costiera italiana.
Tu sei quello della “Libia porto sicuro”, quello che regala motovedette a una Guardia costiera libica corrotta, che respinge i profughi nei lager libici, dove le donne vengono stuprate e i bambini violentati.
I trafficanti di esseri umani sono quelli che, sotto la protezione del governo libico amico tuo, taglieggiano i profughi, non quelli che vogliono salvarli.
Caro ex comunista padano per interesse e ora sovranista della domenica per convenienza, continua pure a raccontare balle agli italiani, l’ora della verità  si avvicina.
Per i razzisti è finita la pacchia.

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TONINELLI: “NESSUN DECRETO DI CHIUSURA PORTI”

Gennaio 6th, 2019 Riccardo Fucile

IL MINISTRO CHE NON CONOSCE IL SENSO DEL RIDICOLO

Sentite questa dichiarazione serale del ministro Toninelli e tenetevi forte:
“Come Di Maio siamo pronti a dare una lezione all’Europa accogliendo donne e bambini a bordo delle navi”.
Ovvero accogliere dopo 16 giorni 7   esseri umani, tra donne e bambini, lasciando al loro destino i loro padri e altre 42 persone sarebbe “dare una lezione all’Europa”, non fare la parte dei cialtroni.
Poi la riga sulla chiusura dei porti che non sono mai stati chiusi: “Non ho emanato alcun decreto di chiusura dei porti perchè non serve, non essendo alcun porto italiano interessato alle operazioni”
Ma come, caro Toninelli, sono arrivati 359 profughi solo a dicembre nei porti italiani accolti e scortati dalla Guardia costiera italiana, non te ne sei accorto che hanno attraccato ai moli siciliani?
Non hai il coraggio di dire la verità ? Ovvero che i porti non sono mai stati chiusi perchè puoi farlo solo se ci sono motivi seri altrimenti rischi la denuncia?
Altro che “non ci sono porti interessati alle operazioni”: ce ne sono stati tanti e non li hai mai chiusi.
Poi Toninelli si tramuta in arbitro che ha bisogno del Var: “nessuna autorità  di sistema portuale italiana può arrogarsi prerogative che travalicano le sue funzioni amministrative. Darò mandato alle strutture del mio ministero di valutare eventuali accertamenti di natura disciplinare”
Tradotto: cartellino giallo all’autorità  portuale di La Spezia che ha osato ricordare che i porti sono aperti perchè Toninelli non li ha mai chiusi.
Povero ministro che ha paura delle “grandi” e annulla i gol regolari delle squadre di provincia.
Un classico caso di sudditanza psicologica, abbiate pietà  di lui, tiene famiglia.

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L’ABRUZZO È UN TEST PER TUTTI: REGIONALI IL 10 FEBBRAIO

Gennaio 6th, 2019 Riccardo Fucile

SALVINI GUARDA ALLA SUA PARTITA PERSONALE, IL M5S IN ALLARME PER UN PASSO FALSO NEL SUO FEUDO, IL CENTROSINISTRA LARGO E CIVICO POTREBBE ESSERE LA SORPRESA …A MARZO 2018: M5S 40%, CDX 35%, CSX 17%

Attenzione all’Abruzzo, dove si vota il prossimo 10 febbraio. E non è un caso che Matteo Salvini sia appena partito da lì, dopo una due giorni nelle quattro province.
O che Luigi Di Maio sia appena arrivato lì, per dare una mano alla sua candidata Sara Marcozzi.
Perchè, dopo mesi di sondaggi, le elezioni sotto la neve in Abruzzo rappresentano il primo test vero — numeri reali e persone in carne ed ossa — dell’era sovranista.
Politico, perchè ogni voto è un voto politico, che misura umori, tendenze, temperatura del paese. Ancora una premessa. Il punto di partenza è il voto dello scorso marzo, non certo le regionali del 2014, praticamente un’era geologica (e politica) fa.
Allora fu un plebiscito per i Cinque Stelle, che raggiunsero il 40 per cento. Il centrodestra, nel suo insieme, il 35 (con Forza Italia al 15 e la Lega al 14); il Pd al 14 (e il centrosinistra nel suo insieme al 17).
Dicevamo, attenzione all’Abruzzo, perchè qualcosa sta accadendo.
È già  in atto una dinamica nuova registrata dai sondaggi che circolano tra i candidati, che raccontano di un centrosinistra “tornato in partita” e di un “allarme tra i Cinque stelle”.
E di Salvini, attento più al risultato della Lega e alla sua capacità  di prosciugare il centrodestra che alla vittoria o meno del candidato comune. In parecchi hanno notato, in questa sua visita abruzzese, che il leader della Lega a stento lo ha nominato, di fronte a sale in cui ha pronunciato più la parola “Malta” e “porti” che la parola Abruzzo. Così come in molti hanno notato che la tardiva ufficializzazione del candidato ha concesso settimane preziose agli avversari.
La dinamica nuova, detta in modo un po’ brutale, è questa: il centrodestra, per come l’abbiamo conosciuto non negli ultimi vent’anni, ma fino al 4 marzo, non c’è più.
C’è la destra: il candidato Marco Marsilio, di Fratelli d’Italia, più romano che abruzzese, poco radicato sul territorio e sostenuto da una coalizione a trazione leghista (con grande malessere dentro Forza Italia, dove è in atto un disimpegno silenzioso). Lega che, in Abruzzo, è rappresentata sui territori dall’ala dura degli ex Msi-An dei bei tempi.
E c’è, invece, una nuova coalizione di centrosinistra, larga, civica, in discontinuità  col centrosinistra che ha governato finora in Abruzzo, attorno a Giovanni Legnini, ex sottosegretario all’Economia, ex vicepresidente del Csm, riformista mite: “È una rivoluzione copernicana — spiega Legnini — che parte dalla capacità  di ascolto e non dall’esercizio del potere autoreferenziale”.
Una coalizione, per la prima volta da anni, non più Pd-centrica. Anzi — absit inuiria verbis — che nasconde il Pd, nell’ambito di una più larga alleanza di liste di ispirazione civica: una lista di “amministratori”, una di “cattolici”, una lista del presidente dove compaiono parecchi under 30 di talento, una lista “Abruzzo insieme” di ispirazione moderata o meglio di moderati in fuga dal centrodestra sovranista.
Quattro, delle sei o sette liste che sosterranno Legnini e che saranno presentate il prossimo fine settimana.
È un approccio non dissimile rispetto a quello di Sergio Chiamparino. Il quale, una settimana fa, ha annunciato per le prossime regionali in Piemonte “un cantiere civico” come “baricentro della coalizione, che nascerà  in una assemblea pubblica alla quale invito tutti coloro che si riconoscono intorno al sì”: “Se i partiti vogliono, si adeguino”. Ecco.
Proprio questo civismo, in Abruzzo come in Piemonte, è la novità , ed è chiaro che la riuscita o meno dell’esperimento rappresenterà  — a sinistra — l’indicazione politica nazionale, per un partito che, da tempo, ha smarrito la sua vocazione maggioritaria e ne ha perseguita una minoritaria ma, che magari, può tornare ad essere l’artefice della costruzione di un campo più largo.
C’è, nell’operazione, forse la prima presa d’atto di quel che è successo e, dopo mesi di politica degli struzzi, il primo recupero del principio di realtà  e il tentativo di togliere la testa da sotto la sabbia: Legnini ha presentato la sua candidatura, prima di Natale, in un’assemblea con oltre 130 sindaci e amministratori, senza simboli di partito, bandiere o endorsement nazionali, e con una buona dose di umiltà  rispetto all’arroganza del centrosinistra di questi anni.
Sta rinnovando le liste, ponendosi non come il civilizzatore dei barbari che urla al pericolo, ma come colui che ha compreso le ragioni di chi ha affidato a loro le ragioni del cambiamento e ora è deluso. Un po’ come dire: abbiamo capito la lezione.

(da “Huffingtonpost”)

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I DATI DI UN PARLAMENTO SVUOTATO: CON IL GOVERNO CONTE, CAMERA E SENATO SEMPRE PIU’ INUTILI E POCA TRASPARENZA

Gennaio 6th, 2019 Riccardo Fucile

REPORT OPENPOLIS: DUE TERZI DELLE LEGGI SONO DECRETI GOVERNATIVI, 95% DELLE PROPOSTE FERME

Una “appropriazione indebita” del potere legislativo a discapito del Parlamento, sempre più svuotato della sua funzione nell’architettura istituzionale.
Pochi numeri per capire: due terzi delle leggi approvate nei primi sei mesi del Governo Conte sono conversioni di decreti legge; una quantità  di emendamenti di natura parlamentare approvati inferiore di quasi tre volte rispetto al primo semestre della precedente legislatura; il 94% delle proposte di senatori e deputati ancora fermo al palo.
Sono i numeri di una analisi condotta da OpenPolis e Agi sull’attività  legislativa nei primi sei mesi del Governo Conte.
E il bilancio non è per nulla edificante, confermando la tendenza già  vista recentemente (da Letta a Renzi fino a Gentiloni) dell’esecutivo di scavalcare il Parlamento nell’esercizio della funzione legislativa.
Con una nota ancora più stonata: la poca trasparenza nella produzione legislativa da parte del Consiglio dei ministri. Memento: le ormai celebri “manine”.
Visto che gli esecutivi Renzi e Gentiloni hanno iniziato a lavorare a legislatura già  ben avviata, il report confronta principalmente l’operato dell’attuale Governo con quello di Enrico Letta, più simili nella genesi e per composizione, nascendo entrambi da accordi tra due gruppi politici avversari dopo complesse consultazioni.
Secondo lo studio OpenPolis/Agi sulla base dei dati di Camera, Senato e OpenParlamento, circa l’80% della ventina di leggi approvate in questa legislatura sono di iniziativa governativa. E ben due terzi sono decreti legge.
Si tratta della percentuale più alta dall’esecutivo Letta in poi: con quest’ultimo la quota “decreti” nell’insieme delle leggi approvate era il 50%nei primi sei mesi, il 30% con il Governo Renzi e il 16% con quello Gentiloni.
Insomma, con il premier Conte il decreto, che nasce come strumento legislativo del Governo per i casi di necessità  e urgenza, assume un ruolo predominante e contribuisce al forte ridimensionamento delle prerogative del Parlamento.
Anzi, in questa legislatura Palazzo Madama e Montecitorio risultano ancora meno influenti, se si va a guardare la quota di emendamenti di iniziativa parlamentare poi approvati in sede di conversione dei decreti.
In un contesto in cui il potere legislativo si accentra nelle mani del Governo, gli emendamenti di origine parlamentare risultano essere forse l’unico margine d’azione degli eletti di influire nel processo di produzione normativa.
Ebbene, nei primi sei mesi la media è di 44 emendamenti approvati per provvedimento, contro una media di circa 128 emendamenti parlamentari approvati durante l’esecutivo Letta: quasi tre volte in meno, un dato che riduce e sminuisce il ruolo di Camera e Senato.
Il trend non cambia se si analizza a che punto sono le proposte di legge di deputati e senatori (circa 2200). Si legge nel report:
Nel primo semestre della scorsa legislatura delle oltre 2.000 proposte legislative di deputati e senatori, il 14,88% erano già  in corso di esame in commissione. Durante i primi 6 mesi del governo Conte la percentuale di disegni di legge di iniziativa parlamentare che hanno avviato il proprio iter in commissione è ferma al 5,04%.
Vuol dire che circa il 95% delle proposte parlamentari sono ferme. Non solo: nel primo semestre della scorsa legislatura l’80% delle pdl era stato assegnato alla Commissione parlamentare di competenza, mentre oggi solo il 59% lo è.
Con un Governo che spesso e ben volentieri sostituisce il Parlamento nella produzione delle leggi, la trasparenza dovrebbe quindi essere ancora più ricercata e assicurata, dal momento che il ricorso alla decretazione d’urgenza accorcia di molto i tempi per l’esame (e il controllo) dei provvedimenti.
E invece l’esecutivo Conte, anche sotto questo profilo, delude: passano in media otto giorni dalla deliberazione delle leggi in Consiglio dei ministri alla loro effettiva pubblicazione (e quindi entrata in vigore) in Gazzetta Ufficiale.
Giorni in cui non si sa materialmente come sono scritti i provvedimenti. Con il Governo Letta la media era invece di 4 giorni. Per dire: il Decreto Dignità  è stato presentato il 3 luglio 2018 e pubblicato solo il 13 luglio; il Decreto Genova ufficializzato il 13 settembre è misteriosamente apparso in Gazzetta solo il 28.
Non certo un motivo di vanto per chi ha fatto della trasparenza il suo faro e poi si stupisce delle manine.

(da “Huffingtonpost“)

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GRILLINI PENTITI: “LI HO VOTATI, MA NON E’ COLPA MIA”

Gennaio 6th, 2019 Riccardo Fucile

SEDOTTI DAL SOGNO GRILLINO E RISVEGLIATI DALL’INCUBO DEL GOVERNO CON SALVINI

Mattia Feltri sulla Stampa oggi racconta in un gustoso articolo i sedotti dal sogno grillino e risvegliati dall’incubo del governo con la Lega.
Il popolo degli scontenti abbraccia attori, cantanti, militari e accademici, tutti accomunati da una caratteristica comune: cascano ognuno dal pero dicendo che non si immaginavano certo quello che ha fatto il M5S dopo le elezioni.
Questo perchè nessuno di questi signori, prima di consigliare di votare a destra e a manca, si è informato su chi stava votando e invitando a votare.
Un popolo di gente che fa (con alterni successi) altri mestieri che nulla c’entrano con la politica e però improvvisamente si risveglia prima Winston Churchill (alla vigilia delle elezioni) e poi Tonio Cartonio (dopo, quando la realtà  bussa alla porta):
“Sono stato strumentalizzato», dice Claudio Santamaria, attore di pregio per i film (fra i molti) di Bernardo Bertolucci, Ermanno Olmi, Pupi Avati. È stato strumentalizzato, dice, perchè salì sul palco di piazza del Popolo alla manifestazione di chiusura della campagna elettorale che avrebbe condotto Virginia Raggi al Campidoglio.
Aveva girato un paio di video preparatori con la stessa Raggi e Alessandro Di Battista («venite in piazza chè al mare piove»), e sul palco aveva cantato Nuntereggae più di Rino Gaetano (ruolo interpretato alla grande in una serie televisiva) inserendoci Renzi in Tv / con l’aereo blu, Bruno Vespa, Barbara D’Urso / nuntereggae più, e poi Renzusconi, il selfie di Salvini e Buzzi-Carminati / alla faccia degli immigrati.
E così, in effetti, era venuto il dubbio del l’infatuazione, consolidata in chiusura di performance da un «Evviva Virginia!».
Non mi piace quando mi etichettano come grillino, dice ora, e dunque non lo rifarebbe, piuttosto andrebbe al mare col brutto tempo, e la sua colpa è tutta lì: «Ho creduto in un sogno, ho sperato in un progetto».
Ovviamente Santamaria è la punta dell’iceberg:
Il sogno di Santamaria svanisce, l’onestà  e tanto basta a Fiorella Mannoia non basta più, come volevasi dimostrare l’onestà  è una prerogativa largamente insufficiente in politica, come sa chi abbia letto due manuali di storia: chi offre onestà  non ha niente da offrire.
Conterebbe già  di più l’onestà  intellettuale e, come ha detto un altro deluso, David Riondino, «chi ha votato cinque stelle non si sarebbe mai messo con la Lega», ed è vero, è vero probabilmente anche il contrario.
È la medesima obiezione di Ivano Marescotti, sopraffino attore bolognese, che aveva annunciato il voto ai cinque stelle per punire la sinistra (di nuovo) e per «rovesciare il tavolo».
Rovesciato. «Ritiro il voto», ha aggiunto Marescotti — con ironia, ci si augura, perchè il voto invece è ancora lì che pesa — dopo che Di Maio e Salvini ebbero firmato il contratto e innalzato Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. «Non rivoterei il Movimento, a meno che non prendesse le distanze dalla Lega».
E qui viene il dubbio: visto che il problema non è quello che hanno votato, ma quello che hanno detto in giro sul loro voto, invece di prendere impegni su chi non votare la prossima volta non potrebbero, semplicemente, farsi solo gli affaracci loro?

(da “NextQuotidiano”)

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SINDACO GRILLINO DI CARRARA CONTRO IL DECRETO SICUREZZA: “NON CI PIACE, CREERA’ SOLO PROBLEMI”

Gennaio 6th, 2019 Riccardo Fucile

DE PASQUALE: “CI SARANNO PERSONE SENZA TUTELA, BISOGNERA’ INVENTARSI UN SISTEMA PER I BISOGNOSI”

Carrara si interroga sull’adozione del Decreto Sicurezza. Il Comune è in mano ai 5 Stelle, guidato da Francesco De Pasquale, un amministratore che non riesce a nascondere in un’intervista al Corriere della Sera la sua contrarietà  per il provvedimento che a livello nazionale è stato adottato dal suo partito insieme alla Lega.
“Non ci piace, siamo contrari, ci creerà  un po’ di problemi. Comunque decideremo lunedì”.
È stata convocata a Carara una riunione della maggioranza – il Comune è un monocolore a 5 Stelle – per approfondire l’argomento e sciogliere le riserve.
“Però una cosa ce l’abbiamo già  chiara: questa legge ci creerà  evidenti difficoltà  e le assicuro che in una città  come la mia, dove esiste degrado sociale, non è cosa di poco conto”.
Sono preoccupazioni già  espresse da altri sindaci pentastellati, come Filippo Nogarin a Livorno.
Prosegue De Pasquale: “Ci troveremo persone senza tutela e ci dovremmo ivnentare un sistema di aiuto per i bisognosi, anche extracomunitari. Temo che il decreto aumenterà  la richiesta di aiuti e le risorse comunali sono già  insufficienti”.

(da “Huffingtonpost”)

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NELLA RUSSIA DI PUTIN LE CONDIZIONI DI VITA PEGGIORANO, ECCO IL BEL MODELLO SOVRANISTA DI SALVINI

Gennaio 6th, 2019 Riccardo Fucile

DA UN LATO IMPOVERIMENTO DE POPOLO, DALL’ALTRO CONCENTRAZIONE DELLE RISORSE NELLE MANI DI POCHI: L’1% DEGLI OLIGARCHI DETIENE IL 50% DELLA RICCHEZZA DEL PAESE, MENTRE LA GENTE SI AMMALA E RIDUCE LA SPESA

Il torpore delle vacanze d’inverno è stato interrotto giorni fa da un annuncio di Vladimir Putin. Il presidente russo l’ha definito «un bellissimo regalo al Paese per l’anno nuovo»: un missile che può trasportare testate nucleari, viaggia a venti volte la velocità  del suono, è in grado di eseguire manovre in volo e in un test ha centrato un bersaglio a 6.400 chilometri.
Sono performance da grande potenza, quale la Russia è. Ha un arsenale atomico in grado di annientare qualunque nemico, è il primo fornitore di gas all’Europa, ha un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Ciò che è sempre meno chiaro è però quanto sia permanente il modello putiniano, basato sulla proiezione della forza all’estero, la soppressione del dissenso interno, l’arricchimento di pochi fedelissimi e l’interferenza digitale nelle democrazie occidentali.
Sulla stabilità  di un sistema del genere, non esistono certezze. Solo dubbi crescenti.
Poco prima dell’annuncio sulla nuova arma, sui media russi aveva trovato meno spazio l’ultimo sondaggio Levada: quasi due terzi dei russi ritengono Putin responsabile dei problemi del Paese; è il dato peggiore da quando nel 2008 è partita questa serie di sondaggi.
La causa prossima resta la riforma delle pensioni, in stile Elsa Fornero, che il Cremlino ha cercato di far passare un po’ alla chetichella in piena euforia popolare per i Mondiali di calcio in Russia.
Per capire quali siano i problemi per l’opinione pubblica e quanto rischi di allargarsi l’incrinatura fra Putin e i suoi elettori, quella riforma va vista però nel contesto che l’ha resa inevitabile.
La Russia oggi è un caso a sè: una superpotenza temuta nel mondo e in condizioni terribili nei suoi confini. E non solo perchè la produttività  del lavoro stia crollando dal 2014. O perchè sia in calo costante dal 2013 anche il prodotto interno lordo per abitante stimato dal centro studi Ocse in parità  di potere d’acquisto, cioè per quanto ciascuno in media può permettersi grazie alla ricchezza generata nel Paese.
Anche indizi più granulari rivelano come il ventennio di Putin abbia tradito la speranza per cui i russi avevano accettato il ritiro incruento dalle loro colonie europee. Le maggioranze non hanno avuto più benessere personale in cambio di meno potere imperiale, non nella misura che sarebbe stata possibile.
Lo Human Mortality Database mostra per esempio che la longevità  dei russi è cresciuta in trent’anni di appena 17 mesi (a 70,9 anni), quella dei polacchi di sette anni: due popoli in condizioni simili e con la stessa speranza di vita una generazione fa oggi mostrano strutture profondamente diverse. E gli anni di Putin spiegano almeno parte di questa divaricazione dei destini.
È noto per esempio che l’Hiv sta dilagando in Russia in controtendenza con il resto del mondo: le nuove infezioni erano 25 mila all’anno quando Putin si insediò al Cremlino, sono quasi 40 mila oggi.
Potrebbe essere la spia di condizioni di salute pubblica in peggioramento evidenti anche in altre dimensioni.
Dal Duemila la popolazione è calata di due milioni di abitanti. Il tasso di suicidi è fra i più alti al mondo. La mortalità  infantile in Russia è ormai quasi tripla rispetto all’Estonia, benchè entrambe le Repubbliche fossero parte dell’Unione sovietica e dunque in condizioni simili trent’anni fa.
Conta senz’altro anche l’impoverimento generale della popolazione, testimoniato da un crollo del consumo di proteine di qualità  da carne di manzo o vitello: secondo l’Ocse, ciascun russo ne mangiava in media 14 chili l’anno dieci anni fa ma 10,7 chili nel 2017.
Le sanzioni dell’Occidente contro Mosca potrebbero aver accelerato il declino, ma pesa probabilmente di più un fattore interno al Paese: la concentrazione delle risorse nelle mani di pochi tipica di una cleptocrazia; un 1% di privilegiati controllava un terzo della ricchezza dieci anni fa, quasi la metà  oggi.
Sembra invece chiaro che l’arretramento sociale della Russia di Putin sia collegato a quanto si trova dietro quel missile «regalato» al Paese per l’anno nuovo.
Con un’economia dell’ordine di grandezza di Belgio e Olanda messi insieme, giusto due terzi di quella italiana, tredici volte più piccola degli Stati Uniti o dell’Unione europea, Putin è costretto a dissanguare il bilancio pubblico e gli investimenti civili per mantenere livelli di spesa militare che gli permettano di proiettare nel mondo un’immagine di forza.
Investe in difesa, in proporzione al reddito, più del doppio dei Paesi europei o della Cina e il 50% più degli Usa.
Anche così Mosca ha un bilancio militare di meno della metà  di Francia, Italia e Germania insieme, un terzo della Cina, un decimo rispetto ai 610 miliardi di dollari annui degli Stati Uniti.
Ogni anno, il sogno di grandezza globale di Putin impoverisce i russi. Se il Cremlino è un modello, resta da capire per quanto tempo ancora.

(da “il Corriere della Sera”)

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COME WANNA MARCHI: IL REDDITO DI CITTADINANZA? FINO A ESAURIMENTO FONDI

Gennaio 6th, 2019 Riccardo Fucile

UN MODO CURIOSO DI ABOLIRE LA POVERTA’: SE ARRIVANO TROPPE DOMANDE, SI RIDUCONO LE RAZIONI… NE AVRANNO DIRITTO GLI STRANIERI DI AREA UE ALLA PARI DEGLI ITALIANI, MA NON VE LO DICONO

Sta scritto nero su bianco nella bozza del decreto legge che istituisce il reddito di cittadinanza e l’anticipo pensionistico con Quota 100 all’articolo 12 comma 6. «In caso di esaurimento delle risorse» — 6,11 miliardi nel 2019, 7,75 miliardi nel 2020, 8 miliardi nel 2021, 7,84 miliardi dal 2022 — un decreto interministeriale (Economia e Lavoro) «entro 30 giorni» dalla fine dei soldi «ristabilisce la compatibilità  finanziaria mediante rimodulazione dell’ammontare del beneficio».
Nel frattempo «nuove domande e erogazioni sono sospese».
E quando si riparte, da quel momento in avanti tutti incassano meno: chi prima aveva 500 euro al mese potrebbe scendere a 300.
Il reddito di cittadinanza è una misura fino a esaurimento fondi.
Se arrivassero maggiori richieste rispetto al milione e 400mila famiglie che il governo ha in programma di assistere, i fondi non verranno aumentati in base alle necessità  ma ripartiti e quindi ridotti.
Un modo curioso di abolire la povertà , così come c’è una bella differenza tra gli importi che vedevate scritti sui bannerini della campagna elettorale e i soldi che finiranno nelle Carte Acquisti targate ministero del Lavoro: il Reddito di cittadinanza — che il decreto abbrevia in RdC — va da un minimo di 500 euro a un massimo di 1.050 euro, se la famiglia vive in casa di proprietà , senza mutuo.
Sale a 650-1.200 euro, in presenza di mutuo. E a 780-1.330 euro, se in affitto.
Il RdC è un’integrazione al reddito: si incassa la differenza tra quanto già  si guadagna e un tetto calcolato in base alla numerosità  della famiglia, secondo una scala di equivalenza.
Intanto ieri Carmelo Barbagallo, numero uno della UIL, ha chiesto al governo di aprire un confronto sui rischi di lavoro nero con il reddito di cittadinanza: “Se non si crea lavoro — ha detto- le proposte a chi prende il reddito non arriveranno”.
Barbagallo è critico verso la possibilità  di chiedere fino a otto ore di lavoro alla settimana da parte dei comuni al beneficiario del reddito di cittadinanza: “Non abbiamo ancora finito di stabilizzare i vecchi Lsu — dice — e ricominciamo con i lavori di pubblica utilità ? Chiedo al Governo di incontrarci. Mi auguro che si possano togliere le incongruenze che portano danni al Paese”.
E insiste sulla necessità  di favorire gli investimenti pubblici e privati. “Bisogna creare lavoro — sottolinea — . Il problema più grande è l’evasione fiscale e il sommerso. Bisogna aggredire quello. Questo provvedimento rischia di favorire chi lavora in nero. Ci saranno i furbi che lo chiederanno e l’economia non riprenderà ”.
Intanto Stefano Feltri sul Fatto ci aggiorna riguardo i risultati concreti delle acrobazie linguistiche di un certo bisministro a caso: il decreto stabilisce che per poter chiedere il sussidio serve la cittadinanza italiana o di Paesi Ue (gli stranieri comunitari saranno trattati alla pari degli italiani), il diritto di soggiorno permanente oppure un “permesso di soggiorno di lungo periodo”.
Ma è nel secondo comma il vero limite: il beneficiario del reddito deve essere “residente in Italia in via continuativa da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda”.
Questa è una stretta notevole rispetto al Reddito di inclusione, la versione attuale di quello di cittadinanza, varato nel 2017 dal governo Gentiloni, che prevedeva una permanenza continuativa in Italia di 2 anni.
E gli effetti concreti? Spiega il Fatto:
Non si hanno notizie di abusi da parte di immigrati, mentre l’Istat certifica che l’incidenza della povertà  assoluta che è al 5 per cento tra le famiglie di soli italiani sale al 29 percento in quelle di soli stranieri che sono dunque i più bisognosi di strumenti anti-povertà .
Questo vincolo così stringente esclude di fatto dalla possibilità  di richiedere il reddito di cittadinanza anche i tanti italiani che hanno cancellato la residenza in Italia perchè hanno tentato fortuna all’estero: nel solo 2017 sono stati 155.000. Se tornassero, non potrebbero chiedere il sussidio.
D’altro canto chi è partito poteva aspettarselo: la fuga dei cervelli porta anche a questi risultati. Elettorali.

(da “NextQuotidiano”)

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COSI’ L’AUTONOMIA DEL NORD DANNEGGIA LA SANITA’ DEL SUD

Gennaio 6th, 2019 Riccardo Fucile

IL SUD PERDEREBBE DUE MILIARDI DI EURO

Il Messaggero oggi racconta in un articolo a firma di Francesco Pacifico che l’autonomia del Nord, così come è stata concepita finora, rischia di far perdere tra uno e due miliardi alle regioni del Sud.
Basta guardare ai residui fiscali, cioè la differenza tra quanto si raccoglie di gettito e quanto si spende per i propri cittadini:
Stando all’ultimo monitoraggio realizzato con i Conti pubblici territoriali, riferito al 2016, la Campania registra un saldo negativo di 12 miliardi di euro, la Calabria di 10,8 miliardi, la Puglia di 10 miliardi, la Sicilia — a Statuto speciale — di 5 miliardi, l’Abruzzo di 3,1 miliardi, la Basilicata di 2,2 miliardi e il Molise di 1,2 miliardi di euro. Per la cronaca, il residuo fiscale della sola Lombardia supera i 56 miliardi.
Se si applicasse l’ipotesi più spinta di autonomia le principali regionali del Sud perderebbero ognuna tra gli unoeiduemiliardidieuroperla sanità .
Senza dimenticare che sotto il Liri Garigliano vive un terzo della popolazione nazionale, un terzo delle entrate è legato a “contributi sociali” e c’è un Pil procapite pari a poco meno della metà  di quello del Nord.
E questo è l’altro lato della medaglia.
Il CNR-Issirfa ha quantificato che con i nuovi poteri la spesa pubblica in Lombardia salirà  di circa 5,2 miliardi di euro all’anno, di 2,9 miliardi in Veneto e di 2,6 miliardi in Emilia-Romagna.
Partendo da questi numeri gli economisti Adriano Giannola e Gianni Stornaiuolo, in uno studio per lo Svimez, sono arrivati alla conclusione che questo surplus necessiterà  di «una copertura di 190 miliardi» da finanziare con una riduzione del residuo fiscale dell’Amministrazione Centrale pari a 162 miliardi» e una partein «deficit paria 17 miliardi sempre dell’Amministrazione Centrale».
Ma siccome lo Stato fa fatica a indebitarsi, si avrà  «una riduzione delle risorse a disposizione nelle altre Regioni».

(da “NextQuotidiano”)

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