L’ABRUZZO È UN TEST PER TUTTI: REGIONALI IL 10 FEBBRAIO
SALVINI GUARDA ALLA SUA PARTITA PERSONALE, IL M5S IN ALLARME PER UN PASSO FALSO NEL SUO FEUDO, IL CENTROSINISTRA LARGO E CIVICO POTREBBE ESSERE LA SORPRESA …A MARZO 2018: M5S 40%, CDX 35%, CSX 17%
Attenzione all’Abruzzo, dove si vota il prossimo 10 febbraio. E non è un caso che Matteo Salvini sia appena partito da lì, dopo una due giorni nelle quattro province.
O che Luigi Di Maio sia appena arrivato lì, per dare una mano alla sua candidata Sara Marcozzi.
Perchè, dopo mesi di sondaggi, le elezioni sotto la neve in Abruzzo rappresentano il primo test vero — numeri reali e persone in carne ed ossa — dell’era sovranista.
Politico, perchè ogni voto è un voto politico, che misura umori, tendenze, temperatura del paese. Ancora una premessa. Il punto di partenza è il voto dello scorso marzo, non certo le regionali del 2014, praticamente un’era geologica (e politica) fa.
Allora fu un plebiscito per i Cinque Stelle, che raggiunsero il 40 per cento. Il centrodestra, nel suo insieme, il 35 (con Forza Italia al 15 e la Lega al 14); il Pd al 14 (e il centrosinistra nel suo insieme al 17).
Dicevamo, attenzione all’Abruzzo, perchè qualcosa sta accadendo.
È già in atto una dinamica nuova registrata dai sondaggi che circolano tra i candidati, che raccontano di un centrosinistra “tornato in partita” e di un “allarme tra i Cinque stelle”.
E di Salvini, attento più al risultato della Lega e alla sua capacità di prosciugare il centrodestra che alla vittoria o meno del candidato comune. In parecchi hanno notato, in questa sua visita abruzzese, che il leader della Lega a stento lo ha nominato, di fronte a sale in cui ha pronunciato più la parola “Malta” e “porti” che la parola Abruzzo. Così come in molti hanno notato che la tardiva ufficializzazione del candidato ha concesso settimane preziose agli avversari.
La dinamica nuova, detta in modo un po’ brutale, è questa: il centrodestra, per come l’abbiamo conosciuto non negli ultimi vent’anni, ma fino al 4 marzo, non c’è più.
C’è la destra: il candidato Marco Marsilio, di Fratelli d’Italia, più romano che abruzzese, poco radicato sul territorio e sostenuto da una coalizione a trazione leghista (con grande malessere dentro Forza Italia, dove è in atto un disimpegno silenzioso). Lega che, in Abruzzo, è rappresentata sui territori dall’ala dura degli ex Msi-An dei bei tempi.
E c’è, invece, una nuova coalizione di centrosinistra, larga, civica, in discontinuità col centrosinistra che ha governato finora in Abruzzo, attorno a Giovanni Legnini, ex sottosegretario all’Economia, ex vicepresidente del Csm, riformista mite: “È una rivoluzione copernicana — spiega Legnini — che parte dalla capacità di ascolto e non dall’esercizio del potere autoreferenziale”.
Una coalizione, per la prima volta da anni, non più Pd-centrica. Anzi — absit inuiria verbis — che nasconde il Pd, nell’ambito di una più larga alleanza di liste di ispirazione civica: una lista di “amministratori”, una di “cattolici”, una lista del presidente dove compaiono parecchi under 30 di talento, una lista “Abruzzo insieme” di ispirazione moderata o meglio di moderati in fuga dal centrodestra sovranista.
Quattro, delle sei o sette liste che sosterranno Legnini e che saranno presentate il prossimo fine settimana.
È un approccio non dissimile rispetto a quello di Sergio Chiamparino. Il quale, una settimana fa, ha annunciato per le prossime regionali in Piemonte “un cantiere civico” come “baricentro della coalizione, che nascerà in una assemblea pubblica alla quale invito tutti coloro che si riconoscono intorno al sì”: “Se i partiti vogliono, si adeguino”. Ecco.
Proprio questo civismo, in Abruzzo come in Piemonte, è la novità , ed è chiaro che la riuscita o meno dell’esperimento rappresenterà — a sinistra — l’indicazione politica nazionale, per un partito che, da tempo, ha smarrito la sua vocazione maggioritaria e ne ha perseguita una minoritaria ma, che magari, può tornare ad essere l’artefice della costruzione di un campo più largo.
C’è, nell’operazione, forse la prima presa d’atto di quel che è successo e, dopo mesi di politica degli struzzi, il primo recupero del principio di realtà e il tentativo di togliere la testa da sotto la sabbia: Legnini ha presentato la sua candidatura, prima di Natale, in un’assemblea con oltre 130 sindaci e amministratori, senza simboli di partito, bandiere o endorsement nazionali, e con una buona dose di umiltà rispetto all’arroganza del centrosinistra di questi anni.
Sta rinnovando le liste, ponendosi non come il civilizzatore dei barbari che urla al pericolo, ma come colui che ha compreso le ragioni di chi ha affidato a loro le ragioni del cambiamento e ora è deluso. Un po’ come dire: abbiamo capito la lezione.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply