Febbraio 8th, 2019 Riccardo Fucile
MEDICI SENZA FRONTIERE;: “ACCUSE PER FERMARCI AD OGNI COSTO”… MA NESSUNO METTE SOTTO INCHIESTA MAZZIERI E MANDANTI DELLA IGNOBILE CRIMINALIZZAZIONE DELLA ONG
L’Ufficio di sanità marittima competente nei diversi porti italiani “ha sempre rilasciato la libera
pratica sanitaria, escludendo espressamente che vi fossero malattie tali da comportare un rischio infettivo”.
Gli indumenti dei migranti non possono essere assimilati ai rifiuti sanitari pericolosi, ma sono potenzialmente infettivi e quindi andavano smaltiti in maniera differenziata. I rifiuti prodotti a bordo delle navi andavano smaltiti certamente in modo non indifferenziato, ma la violazione della normativa in materia non può far ipotizzare il “traffico illecito”, un reato contro le cosiddette ecomafie che agiscono per profitti con una struttura organizzata.
E’ solo uno dei passaggi della motivazione con la quale il tribunale del Riesame di Catania smonta l’inchiesta con la quale quattro mesi fa il procuratore Carmelo Zuccaro ha disposto il sequestro ( per altro mai eseguito perchè la nave era già ferma nel porto di Marsiglia) della Aquarius, utilizzata da Medici senza frontiere e Sos Mediterranèe per le missioni di soccorso nel Mediterraneo.
Un’inchiesta con la quale la Procura di Catania accusò i rappresentanti delle Ong di traffico e smaltimento illecito di rifiuti disponendo anche il sequestro di diversi conti correnti, tra cui quelli dei titolari dell’agenzia marittima che, di volta in volta, si occupava dello scarico e dello smaltimenti dei rifiuti prodotti dalle navi di soccorso.
Accusa che, secondo i giudici del tribunale del Riesame, è totalmente infondata. Accogliendo il ricorso dei difensori e disponendo il dissequestro dei conti dell’agente marittimo indagato, Francesco Gianino, i giudici smontano dunque l’assioma posto a fondamento dell’inchiesta secondo cui gli abiti dei migranti, le coperte e i materiali utilizzati sulle navi per il loro primo soccorso sarebbero stati “contaminati” da presunte malattie, dunque pericolosi per la salute pubblica, e da smaltire come rifiuti ospedalieri. Scrivono i giudici: ” Dalle relazioni sanitarie si evince che l’unica malattia infettiva riscontrata dalle autorità marittime era la scabbia, patologia in relazione alla quale il problema dei liquidi biologici non poteva porsi”.
E però “gli indumenti a rischio di contaminazione da agenti patogeni e gli scarti alimentari non potevano essere raccolti in modo indifferenziato”. Un illecito questo sanzionato con una contravvenzione.
Medici Senza Frontiere si dice “soddisfatta per la decisione del Tribunale del Riesame, che di fatto smonta l’impianto accusatorio proposto dalla Procura di Catania, ritenendo insussistente il reato di traffico illecito di rifiuti sulla nave Aquarius”.
“Ancora una volta accuse sproporzionate e infondate contro le navi umanitarie si rivelano per quello che sono: ostinati tentativi di fermare l’azione di soccorso in mare a tutti costi. Senza alcuna considerazione per le conseguenze di questa campagna di criminalizzazione sulla vita delle persone, oggi abbandonate a loro stesse in un Mediterraneo svuotato di navi di soccorso, con il rischio di naufragare senza testimoni o di essere riportate forzatamente nel circolo della detenzione in Libia”.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Febbraio 8th, 2019 Riccardo Fucile
DAI SOVRANISTI DEI CONFINI SIAMO PASSATI ALL’INVASIONE DI CAMPO E PRETENDIAMO DI DECIDERE IL PREZZO DELLE GALLETTE BRETONI
È fantastico vederli da fuori, se non fosse che su questa malridotta nazione alla fine ci siamo noi, i nostri figli, i nostri risparmi, la nostra casa e quindi si perde quel po’ di senso dell’umorismo che tornerebbe utile per superare il momento.
Dopo i sovranisti dei confini ora siamo passati al livello successivo e abbiamo i sovranisti con il culo degli altri.
I professori del fate come diciamo noi ma non fate come noi che improvvisamente, e non è la prima e non sarà l’ultima volta, tornano con la coda tra le gambe dopo essere stati bastonati da Macron, che ha infine deciso di ritirare il proprio ambasciatore.
Non accadeva dal 1940 e quella volta servì per annunciarci una dichiarazione di guerra.
Il governo del cambiamento, nonostante lo stizzoso Giuseppe Conte e Luigi Di Maio che da stamattina sembra essere appena uscito da un’accademia per maggiordomi, è riuscito lì dove non era mai riuscita tutta “la peggio politica che per decenni ha trasformato l’Italia in una barzelletta internazionale e ha impoverito gli italiani” (citazione del “Che 2″ Di Battista, anche lui ben lontano dallo splendore pre campagna elettorale).
Attenzione: stiamo parlando degli stessi che hanno passato tutti questi ultimi mesi a strepitare contro le “invasioni di campo” degli altri, quelli che “agli italiani ci pensiamo a noi e gli altri pensino ai loro”.
Solo per fare un esempio, Salvini il 22 maggio scriveva sulla sua bacheca Facebook: “Proseguono le invasioni di campo — scriveva il ministro — Dopo francesi e tedeschi, oggi è il turno del ministro degli Esteri del Lussemburgo Jean Asselborn. Confermo: all’estero siano sereni, agli italiani ci pensiamo noi”.*
Oppure l’altro vice premier, Luigi Di Maio, che sempre lo scorso maggio disse oltremodo arrabbiato in un video (sempre su Facebook, ovvio, che ormai è l’unico luogo dove si svolgono davvero i Consigli dei ministri): “Abbiamo attacchi continui, anche oggi da qualche eurocrate non eletto da nessuno. Il Financial Times parla di nuovi barbari, ma come vi permettete?”.
E continuò: “Io più vedo questi attacchi, più sono motivato, perchè vedo tanta paura del cambiamento da parte di un certo establishment. Ma chi ha paura del cambiamento oggi è nostro nemico, chi lo vuole invece lotti con noi”.
Attenzione, tanto per rinfrescarci la memoria: questi sono gli stessi che ci spiegarono (un po′ grossolanamente) che anche il presidente della Repubblica non doveva fare interventi politici.
Il presidente della Repubblica, capite? Doveva solo occuparsi di innaffiare i fiori del Quirinale e tenere in caldo il buffet in caso di visita di qualche componente del governo.
Insomma, la situazione è chiara, o almeno sembrava limpida: qua facciamo tutto noi, voi fatevi gli affari vostri, siamo sovranisti e quindi pretendiamo il diritto di decidere il prezzo delle gallette al cioccolato, stiamo in Europa solo per prepararci ad annetterci alla libera Repubblica di Macondo e in cambio noi non ci occuperemo di voi.
Sembrava così, no? E invece.
E invece Luigi Di Maio (insieme ad Alessandro Di Battista che ormai deve essere un optional dell’auto del ministro) ha incontrato Christophe Chalencon, uno dei referenti dei gilet gialli.
E chi è Christophe Chalencon? Presto detto: 52 anni, fabbro di professione, aveva dichiarato di comprendere la collera di quei suoi compagni che avevano minacciato di morte il ministro Edouard Philippe (tra l’altro poco prima di incontrarlo a Palazzo Matignon, pensa il tempismo).
Il 3 dicembre ha detto, testualmente, “io vedrei bene il generale de Villiers (licenziato da Macron nel 2017, dopo aver contestato il presidente francese, ndr) a capo del governo”.
Il 23 dicembre 2018 (anche lui sempre sul suo profilo Facebook) aveva scritto: “La guerra civile è inevitabile”. Auguri anche a lei e famiglia.
Di Maio e Di Battista sono andati tutti fieri da questo qui (che tra l’altro, raccontano i cronisti del posto, non gli ha dato nemmeno troppa corda).
Ora voi immaginate di avere un’attività . Un negozio di salumi e formaggi.
E all’improvviso un gruppo di ragazzetti viene a sfasciarvi allegramente il negozio e vi augura la morte.
Il giorno dopo il fiorista, il negoziante che sta vicino a voi sulla via, si fotografa e si complimenta con i ragazzetti devastatori. Voi ovviamente ve la prendete e lui vi dice “ma dai, ma come sei suscettibile!”.
Eccoli, i sovranisti con il culo degli altri.
(da “TPI”)
argomento: denuncia | Commenta »
Febbraio 8th, 2019 Riccardo Fucile
“DA DI MAIO E SALVINI SOLO IL TENTATIVO DI FERMARE L’EMORRAGIA DI VOTI”… “NON CI SARA’ UN 4 MARZO EUROPEO”
Enrico Letta, non la colpiscono le modalità extra-istituzionali di questa crisi con la Francia,
come se fosse uno scontro tra partiti, più che tra Stati?
Non mi colpisce perchè ci leggo uno scimmiottamento di Trump, che fa esattamente così: quando è in difficoltà a casa, tira una bomba internazionale dopo l’altra. Vedi il Messico, vedi la Cina. È la classica tattica di chi apre un fronte e si inventa un nemico, molti nemici, per sviare l’attenzione dai suoi problemi di politica interna. Lo hanno fatto con Junker, salvo poi dovergli essere grati perchè ha evitato all’Italia una deriva greca. Ora è il turno di Macron.
Lei si riferisce evidentemente ai Cinque Stelle. Ma le chiedo: la posizione di Macron le sembra proporzionata? Cioè è sufficiente la provocazione di Di Maio per accendere questa miccia?
Direi di sì. È la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sono settimane che i toni salgono, sempre sotto il segno della provocazione. E oggi la reazione proprio di una parte dei gilet gialli è la dimostrazione conclamata dell’errore. Vorrei che fosse chiaro ciò che è accaduto: il vicepremier del governo italiano, Luigi Di Maio, è andato a parlare, e a solidarizzare, con Christophe Chalenà§on, uno che è considerato dal grosso del movimento dei gilet gialli un mezzo golpista. E gli altri, infatti, gli hanno detto: “Statevene a casa vostra”. È tutto davvero incomprensibile.
Insomma, la Francia l’ha gestita bene?
Mi aspettavo una reazione. E forse è arrivata anche tardi. Quello che avviene è una follia. Per ragioni di opportunismo legate alla campagna elettorale – dall’Abruzzo alle europee – si stanno facendo danni seri al nostro paese. Perchè il punto è chiaro: non c’è alcun ragionamento di politica europea, alcuna strategia, solo il tentativo di frenare una emorragia di voti. Noto che financo Salvini – uno che è alleato con la Le Pen, insegue i leader di estrema destra di mezza Europa e costituisce un pericolo per la sua deriva nazionalista – sembra preparare una marcia indietro
Però, insisto. Lei è un profondo conoscitore della Francia, dove ha vissuto negli ultimi anni. Non vede un elemento, diciamo così, di campagna elettorale di Macron, anch’essa un’escalation: le frasi sulla lebbra nazionalista, la chiusura delle frontiere a Ventimiglia. È l’europeismo che dobbiamo scegliere?
Col governo francese si deve legittimamente discutere sul merito delle questioni, quando c’è da discutere. Immigrazione o cantieri navali, ad esempio. È giusto anche litigare, come ci si confronta anche duramente con gli altri paesi europei. Tuttavia, di qui a scegliere la strategia della provocazione continua ce ne passa. Insisto: quel che sta accadendo è molto preoccupante.
Quale è la cosa che la preoccupa di più?
La corsa verso l’isolamento del nostro paese, perchè avviene alla vigilia del momento in cui si danno le carte in Europa, con le elezioni europee. È un errore di strategia. L’abbaglio è ritenere che possa accadere in Europa quello che è successo il 4 marzo in Italia. Per la serie: più duri siamo, più otteniamo successo. Sbaglia chi fa questo calcolo, perchè in Europa ci sono 27 paesi, ci sarà un risultato globale che non sarà un 4 marzo europeo. Loro si stanno autoescludendo e stanno escludendo l’Italia.
È colpito dall’afonia del governo?
È una situazione sconcertante. Salvini gioca addirittura la parte del moderato oggi; il che è tutto dire. E il governo nel suo complesso tace o balbetta. Imbarazzante.
Ritiene che questo cambio di fase questo scontro investa anche i dossier economici al centro delle relazioni tra Italia e Francia?
Io spero che non crei conseguenze durature. Ma è evidente che investe la questione Fincantieri o la TAV e anche Alitalia ci va di mezzo. Vede, in passato l’intesa costruttiva tra Italia e Francia ha consentito al nostro paese, per dirne una, di guidare con Draghi la politica monetarie europea. Ricordo che la Francia scelse allora l’Italia contro la Germania nella partita per la nomina del presidente della BCE. Quella vicenda è la dimostrazione che avere alleanze in Europa serve eccome.
Aquisgrana però racconta l’opposto. Non è quello una sorta di ritorno dell’Europa a due velocità , assai poco “comunitaria” nello spirito?
No, anche tutta questa polemica su Aquisgrana è mal posta. Nessuno lo ricorda, ma la Francia ha impostato con l’Italia lo stesso negoziato. Esiste un comitato misto tra il governo italiano e il governo francese che avrebbe dovuto elaborare un’intesa in grado di porre per la prima volta le relazioni tra Italia e Francia al livello di quelle tra Francia e Germania. Ebbene, prima di Aquisgrana si stava appunto negoziando questo trattato, si sarebbe chiamato “trattato del Quirinale”. Il nuovo governo, invece, prima ha rallentato i lavori, poi ha bloccato tutto. E ora ci si lamenta. Ciò chiaramente rivela dove sta la mala fede. Prima si è cercato lo scontro, poi ci si lamenta dell’asse franco-tedesco.
Le chiedo: la Francia di Macron, in sintesi, è un esempio di crisi e di disorientamento o un esempio di come fronteggiare con successo il populismo europeo?
È evidente che la Francia vive una fase di grande difficoltà , ma è anche vero che lì l’alternativa a Macron è la Le Pen, non ce ne sono altre. È legittimo che Macron possa stare antipatico, ma in Francia alternative al momento non ce ne sono.
E, considerata la crisi dei socialisti europei, nemmeno in Europa.
Ahimè, nemmeno in Europa.
Lei nel suo libro “Ho imparato”, dedica ampio spazio all’analisi del populismo. E sostiene che Renzi, Grillo e Salvini sono tre variabili del populismo. Anche Macron è populista?
Lui ha certamente un rapporto complesso con i corpi intermedi. E prova ad avere un rapporto diretto col popolo. Ma resta comunque dentro una evoluzione della politica tradizionale.
Per lei è un modello?
Per me uno dei limiti del tempo che stiamo vivendo è la distruzione dei corpi intermedi. Io credo piuttosto, e sempre più convintamente, alla costruzione di movimenti che in forme moderne consentano e valorizzino il confronto con i corpi intermedi, senza distruggerli o svilirne la funzione. Una funzione irrinunciabile nel raccordo con parti della società altrimenti senza rappresentanza o interlocutori.
Tornando ai dossier che rischiano di essere investiti dalla crisi. La provoco: anche l’approccio francese mi pare “sovranista”.
Non c’è dubbio che sia sulla vicenda dell’immigrazione, sia sui cantieri navali la sua politica abbia delle profonde lacune. Le scelte sulla cantieristica sono un errore di prospettiva. Peraltro, i francesi protestano sul caso Siemens, ma la questione dei cantieri ha implicazioni simili. E se salta l’accordo, non è che gode l’italiano o il francese, gode il coreano. In tutta questa storia non bisogna mai perdere di vista che tutta l’Europa è diventata più “piccola”, cioè meno influente sullo scenario geoeconomico, e bisogna fare accordi, non la guerra. In caso contrario, ogni nostra guerra fa esultare i coreani, i cinesi, i giapponesi. Qui sta il vero strabismo.
Come giudica questa roba che Air France valuta di ritirarsi dalla trattativa con Alitalia?
Lo considero tra i dossier a rischio. Abbiamo tutto da perdere dal punto di vista commerciale.
Ma secondo lei criminalizzare i gilet gialli non è commettere lo stesso errore commesso dal centrosinistra di questi anni, non capire la rabbia? Si può rispondere con la chiusura totale?
Più o meno dall’inizio il governo non solo ha tentato di dialogare ma ha ceduto dieci miliardi di euro, di fronte alle rivendicazioni. Il punto è che questo caso dimostra tutta la debolezza di una forma di protesta non canalizzabile. Qualunque sindacato avrebbe negoziato e portato a casa il risultato. I gilet gialli, invece, non sono in grado di negoziare e si sfocia nella violenza.
Il che rende li rende oggettivamente diversi dai Cinque Stelle.
Che rappresentano una protesta che si istituzionalizza. La mia analisi è da sempre favorevole alla via italiana. E questo è dovuto anche al fatto che la nostra democrazia è più accogliente della democrazia francese. Noi, come avvenuto in altri momenti della nostra storia nazionale, siamo in grado di rendere la protesta più istituzionale, il che consente di evitare lo sbocco violento.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: governo | Commenta »
Febbraio 8th, 2019 Riccardo Fucile
LE TANTE VOCI IN CORO RESPINGONO AL MITTENTE LA PROPOSTA DI ALLEANZA… DI MAIO NON NE AZZECCA UNA
I gilet gialli fanno blocco contro l’intromissione del Movimento 5 Stelle nei loro affari interni e respingono al mittente la proposta di un’alleanza in vista delle prossime elezioni europee.
Una posizione chiara e netta, che arriva in coro dalle tante voci che compongono un movimento sempre più eterogeneo e frammentato, al cui interno convivono correnti diverse, ognuna guidata dal suo leader.
L’incontro avvenuto il 5 febbraio scorso a Montargis, a sud di Parigi, tra una delegazione pentastellata guidata dal vicepremier Luigi Di Maio e un gruppo di presunti rappresentanti della lista elettorale RIC capitanati da un certo Christophe Chalenà§on ha provocato parecchi malumori all’interno del movimento, che non sembra aver ben digerito l’intromissione di un politico straniero.
I gilet gialli sbattono così la porta in faccia a Di Maio, confermando la loro impermeabilità a qualsiasi intromissione politica. Una posizione che risuona quasi come un avvertimento, lanciato con l’obiettivo di dissuadere eventuali tentativi di strumentalizzazione.
Sebbene si sia ormai frammentata in diverse correnti, ognuna delle quali con il suo capopopolo, la protesta vuole continuare a svilupparsi sul territorio, tra i cittadini, mantenendo così fede alle sue radici.
Per questo oggi un gruppo composto da una quindicina di gilet gialli si è recato a Sanremo su iniziativa di Maxime Nicolle, un altro esponente di spicco del movimento conosciuto sui social network come Fly Rider.
Sebbene fosse stato annunciato come una manifestazione pacifica, nella città dei fiori la sparuta delegazione francese ha incontrato nei pressi del teatro Ariston un gruppo di omologhi italiani, in una sorta di mini-vertice che ha fatto da contraltare alle tensioni diplomatiche che sono emerse nelle ultime ore tra Parigi e Roma.
Una scelta strategica quella di scegliere la cittadina ligure nel bel mezzo del Festival, che per un paio d’ora ha visto i riflettori spostarsi sull’insolito raduno.
“Non c’è un partito dietro di noi, vogliamo solo dire quali sono i nostri problemi, chiediamo diritti, lavoro, dignità nella retribuzione”, ha spiegato Nicolle, ricordando che “il popolo italiano è nella stessa condizione di quello francese”.
“Chi ha incontrato Di Maio non ci rappresenta, non rappresenta il nostro movimento. Lui ha incontrato altre persone, rappresentanti di gruppi diversi dal nostro”, ha poi dichiarato Nicolle, spiegando che il ministro italiano è andato in Francia “per fare campagna elettorale”.
Quello che interessa veramente ai gilet gialli, dice il leader ai giornalisti, “sono i diritti sociali e l’aumento dei salari”, questioni che accomunano il popolo italiano e francese.
Ad insorgere contro la visita di Di Maio in Francia è stata anche la rappresentante di lista dei gilet gialli che si candideranno alle europee, Ingrid Levavasseur, che all’indomani dell’incontro si è detta “sbalordita”, spiegando di non essere stata informata dell’iniziativa. “Sapevo che c’erano contatti, ma avevo risposto che noi non incontriamo nessuno”, ha dichiarato Levavasseur a Le Monde, sottolineando che Chalenà§on “si è voluto mettere in mostra con gli italiani”.
Un’ulteriore dimostrazione delle tante fratture interne che minano una realtà disorganizzata e impreparata.
Più categorica è stata invece Jacline Mouraud, volto noto della protesta e fondatrice del movimento Les Emergents, cha ha bollato la visita del ministro italiano in Francia definendola una “grave” intromissione.
“Dopo questa telenovela ho solo voglia di dire una cosa: ma occupatevi di casa vostra. Non si fa politica con le ingerenze in altri paesi, non abbiamo bisogno di forze straniere in casa nostra”, ha detto Mouraud all’ANSA.
Tra le primissime ad indossare un gilet giallo in Bretagna, questa 51enne con la passione per la fisarmonica e una spiccata inclinazione per alcune teorie complottiste si è fatta conoscere sui social network grazie a una serie di video registrati all’interno del suo Suv. La pasionaria dei gilet gialli rappresenta l’ala più moderata del movimento, che nei mesi scorsi ha cercato di allacciare un dialogo con le istituzioni.
Il Movimento 5 Stelle non riesce quindi a fare breccia nell’animo dei gilet gialli, che rimangono diffidenti nei confronti di un partito che come loro è nato da un impulso popolare ma che oggi siede dall’altro lato della barricata.
Una brutta tegola per Di Maio, che dopo aver aperto una crisi diplomatica con la Francia riceve il benservito da quello che sperava potesse diventare il suo futuro alleato in Europa.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: elezioni | Commenta »
Febbraio 8th, 2019 Riccardo Fucile
CAOS IN CAMPIDOGLIO SULLA GESTIONE DEI RIFIUTI… E’ IL NONO ASSESSORE DELLA GIUNTA RAGGI CHE TOGLIE IL DISTURBO, RECORD MONDIALE
Caos in Campidoglio sulla gestione dei rifiuti. La giunta, dopo un acceso confronto al quale ha
preso parte anche la sindaca Raggi, ha bocciato il bilancio di Ama, l’azienda che si occupa della pulizia e della raccolta dei rifiuti a Roma.
L’assessore all’Ambiente, Giuseppina Montanari, ha accusato il colpo: dopo essersi dichiarata contraria alla bocciatura del bilancio di Ama si è dimessa.
“Ringrazio il meraviglioso staff che ha collaborato con me per l’impegno straordinario che ha profuso nel lavorare giorno e notte per il bene della città e tutte le cittadine e cittadini di Roma che hanno intrapreso con noi questo percorso. Spero che qualcun altro possa in futuro realizzare il nostro sogno”, ha affermato Montanari. L’ormai ex assessore ha sostenuto di non poter più condividere “le azioni politiche e amministrative di questa giunta”.
Nel corso del dibattito la sindaca Virginia Raggi ha puntato il dito contro la gestione di Ama: “Sono stufa. Sono dalla parte dei cittadini che hanno perfettamente ragione. È il momento di fare pulizia nel bilancio di Ama e soprattutto nelle strade. Su questo non accetto alcun compromesso. E non si torna indietro”.
L’opposizione Pd coglie l’occasione per attaccare la giunta Raggi e suggerisce alla sindaca di dimettersi: “Dovrebbe seguire con coraggio l’esempio dato dalla sua assessora – si legge in una nota del gruppo dem capitolino – aver messo al tappeto l’Ama è una sua decisione irresponsabile che avviene proprio nel momento cruciale delle decisioni per la chiusura del cicli dei rifiuti. Siamo all’ennesimo capitombolo di assessori e manager. Le liti all’interno del M5S lasciano ferite profonde nell’amministrazione cittadina e la prima responsabile della schizofrenia politico gestionale della macchina capitolina è Virginia Raggi. La sindaca smetta di fare due parti in commedia, si assuma le proprie responsabilità su nomine e deleghe e ammetta il fallimento, presenti quindi le sue dimissioni come massima artefice del disastro in cui versa la capitale”.
Con le dimissioni dell’assessore all’Ambiente sale a 7 il numero di persone che ha abbandonato la giunta Raggi di propria iniziativa, tra questioni giudiziarie, divergenze politiche e vicende personali.
Prima della titolare dell’Ambiente, l’ultimo ad aver rimesso il mandato era stato a maggio scorso Alessandro Gennaro, assessore alle Partecipate. In precedenza, avevano abbandonato Palazzo Senatorio Marcello Minenna, Paola Muraro, Paolo Berdini, Massimo Colomban e Adriano Meloni. Mentre ad Andrea Mazzillo e Raffaele De Dominicis sono state ritirate le deleghe al termine di controversie politiche ed amministrative.
In totale quindi sono 9 gli assessori ad esser transitati e già usciti dalla giunta di Virginia Raggi nel corso dei due anni e mezzo trascorsi dall’insediamento in Campidoglio, tutti tra l’altro con deleghe di peso.
Lo scontro che ha portato la Montanari a dimettersi viene da lontano. La scorsa estate il Campidoglio e l’Ama – la partecipata comunale dei rifiuti – hanno ingaggiato una disputa su una partita contabile da 18 milioni di euro per la gestione dei servizi cimiteriali reclamata dall’azienda.
A dicembre scorso era arrivata una schiarita con l’approvazione del bilancio Ama 2017 da parte dell’azienda, vista la possibilita’ concessa alla societa’ di chiudere il documento contabile nonostante la passivita’. Oggi pero’ la giunta di Virginia Raggi ha bocciato la proposta di bilancio di Ama ritenendola non corrispondente alle sue aspettative, con la Montanari ha votato contro l’atto, unica in tutta la giunta, e conseguentemente ha rassegnato le dimissioni.
Ora per Ama si apre il rischio che le banche non vogliano piu’ fare credito all’azienda, priva di un documento contabile approvato, con una potenziale ripercussione sul pagamento buste paga dei dipendenti.
La Montanari, amica di lungo corso di Beppe Grillo, era in carica da dicembre 2016, dopo il burrascoso avvicendamento di Paola Muraro, arrivava da due esperienze come assessore nelle giunte comunali di Genova e Reggio Emilia con competenze alla sostenibilità ambientale.
Nel corso del suo mandato l’ormai ex assessore ha puntato sulla diminuzione del quantitativo di rifiuti in città , la crescita della raccolta differenziata e la creazione di impianti di lavorazione e riciclo dei “materiali post consumo”.
Un esperimento che pero’ si e’ scontrato con il fragile ciclo dei rifiuti cittadini, non autosufficiente e soggetto a cicliche crisi di raccolta e smaltimento.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Roma | Commenta »
Febbraio 8th, 2019 Riccardo Fucile
IL GENERALE CONQUISTA TERRENO E POZZI PETROLIFERI ANCHE NEL FEZZAM… LA DIFFERENZA E’ CHE I FRANCESI HANNO UNA POLITICA ESTERA, L’ITALIA NO
La “partita del petrolio” tra Italia e Francia si gioca in Libia. Ed è una partita miliardaria che non prevede il pareggio o, per dirla in forma più dotta, non contempla una soluzione “win win”.
Per restare nella metafora calcistica, Parigi può contare su un centravanti di sfondamento che sta conquistando terreno, e pozzi petroliferi, non solo in Cirenaica, ma ora anche nel Fezzan: quel “centravanti” è il generale Khalifa Haftar.
La crisi diplomatica tra Parigi e Roma investe pesantemente lo scenario libico, mette in crisi il paziente lavoro di ricucitura portato avanti dalla Farnesina e dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, e rinsalda alleanze che sembravano essersi parzialmente incrinate, come, per l’appunto, quella tra l’uomo forte della Cirenaica e l’Eliseo.
Ma tra Roma e Parigi, Haftar ha scelto quest’ultima. E sul campo si muove di conseguenza.
Sono passati solo tre mesi dalla Conferenza per la Libia di Palermo, ma delle prospettive aperte da quell’evento poco o niente è rimasto in piedi.
Una in particolare è completamente naufragata, travolta dallo tsunami politico-diplomatico franco-italiano: il tentativo di trovare un punto d’incontro, un compromesso sostenibile, tra gli interessi italiani e quelli francesi nel Paese nordafricano.
A questo avevano lavorato Moavero e Conte, rimarcando, come un successo della nostra diplomazia, aver portato a Palermo il titolare del Quai d’Orsay, Jean-Yves Le Drian, unico ministro degli Esteri europeo presente alla Conferenza.
Tre mesi dopo, di quella politica rischiano di restare solo macerie. E in Libia, l’Italia rischia di pagare a caro prezzo il frontale politico anti-francese.
Perchè se salta, come sta accadendo, il tentativo di implementare il piano di stabilizzazione messo a punto dall’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Ghassan Salamè, che prevedeva un ricongiungimento istituzionale tra il governo di Tripoli e quello di Tobruk, piano sostenuto apertamente dall’Italia, allora la partita per Roma è persa.
Perchè molto più forte è il fronte degli sponsor esterni di Haftar (e di Tobruk); un fronte che annovera la Francia, la Russia, l’Egitto e gli Emirati arabi uniti.
A rendere ancora più impervia la strada di una ricomposizione ci si mettono anche le polemiche sulla guerra del 2011.
Per la Libia, l’Italia punta ancora sul piano-Salamè: mercoledì scorso, l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Buccino, ha incontrato a Tripoli l’inviato Onu per la Libia, si legge sull’account Twitter della missione Onu in Libia (Unsmil). “Salamè ha espresso il proprio apprezzamento per il costante sostegno dell’Italia agli sforzi Onu in Libia”.
La contrapposizione con Parigi finisce per ledere gli interessi nazionali dell’Italia in Libia: questa consapevolezza aveva mosso l’azione della nostra diplomazia, con il tentativo di realizzare un “matrimonio d’interessi” tra Eni e Total.
Discorso che dalla Libia si può estendere all’Egitto e all’Africa centrale. Competere è un discorso, guerreggiare con la Francia è altro. E qui davvero non c’è partita.
Anche perchè, in Libia e nella sponda Sud del Mediterraneo, l’Italia rischia di essere stritolata dal patto globale appena stretto tra la Francia e l’Egitto del presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi; una intesa, politica, militare, “energetica”, finanziata da Parigi con un miliardo di euro.
Ieri, l’autoproclamato “Esercito nazionale libico” (Anl) del generale Haftar ha annunciato di aver messo in sicurezza uno dei più grandi campi petroliferi del Paese, la cui produzione era bloccata da oltre due mesi.
I media locali riportano le dichiarazioni del portavoce dell’Anl, Ahmed Al Mismari, che ha precisato che i suoi uomini sono entrati nel sito di El Sharara, gestito dalla società Akakus, joint-venture tra la Compagnia statale libica Noc, la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil, dopo aver negoziato con dei gruppi armati locali. Secondo le stesse fonti, gli uomini di Haftar sono entrati anche nella città di Ubari, accolti pacificamente dai cittadini.
L’avanzata dell’esercito di Haftar viene accompagnata dai raid dei Mirage francesi.
Il sito petrolifero di El Sharara, nella regione di Ubari, a 900 km a sud di Tripoli, ha una capacità di produzione di circa 315.000 barili al giorno, quasi un terzo della produzione libica totale.
Il campo inoltre era precedentemente sotto il controllo del governo di Tripoli, quello guidato da Fayez al-Sarraj, riconosciuto come legittimo dall’Onu e appoggiato dall’Italia. “Il Sud è molto importante per la stabilità della Libia e non dovrebbe diventare l’arena dove risolvere dispute politiche”, si legge in un comunicato diffuso dal governo di Tripoli, in cui si ribadisce che solo elezioni parlamentari e presidenziali possono riportare stabilità nel Paese.
In un’altra nota, il comando militare occidentale di Sarraj ha dichiarato che gli scontri avvenuti nei giorni scorsi nella zona di Ghadwa, a Sud-Est di Sebha, e i bombardamenti aerei a Murzuk dimostrano che l’obiettivo dell’offensiva di Haftar è di “imporre una politica del fatto compiuto e di sconfiggere qualsiasi soluzione politica”.
Il colosso petrolifero libico, National Oil Corp (Noc), ha chiesto oggi di evitare ogni escalation militare e “politicizzazione” del sito petrolifero Sharara, nel Sud della Libia, precisando che “le normali operazioni non possono essere riprese fino a quanto non sarà ripristinata la sicurezza”.
“La Noc sta seguendo da vicino gli eventi al sito petrolifero Sharara — si legge in un comunicato diffuso oggi — la Noc invita tutte le parti a evitare un’escalation delle ostilità e delle azioni che potrebbero mettere in pericolo il personale o l’infrastruttura del più grande e più importante giacimento”.
Il presidente della Noc, Mustafa Sanalla, ha aggiunto nella nota:
“La sicurezza dei lavoratori rimane la nostra principale preoccupazione. Invitiamo tutte le parti a evitare il conflitto e la politicizzazione di questa importante infrastruttura. Ogni danno al sito potrebbe avere gravi conseguenze per il settore, l’ambiente e l’economia nazionale. Ovviamente, le normali operazioni non possono essere riprese fino a quando non sarà ripristinata la sicurezza”.
Dopo essersi assicurato il controllo del petrolio e dei terminali per l’export localizzati nell’est, Haftar ha intenzione di estendere la sua influenza nella regione meridionale: nei giorni precedenti alla “presa” di El Sharara erano infatti stati registrati dei movimenti di truppe da Bengasi a Sabha, la città più importante della Libia del sud che solo teoricamente rientrava nel territorio di Sarraj.
Movimenti supportati in cielo dai Mirage francesi.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: denuncia | Commenta »
Febbraio 8th, 2019 Riccardo Fucile
“SINGOLARE CHE DI MAIO TROVI TEMPO PER PARLARE COI GILET GIALLI IN FRANCIA ED EVITI DI INCONTRARE I SINDACATI IN ITALIA”
Domani, 9 febbraio, i sindacati saranno in piazza per chiedere al governo un confronto sulle
scelte da prendere in merito ai temi occupazionali.
Lo slogan è #Futuroallavoro e Maurizio Landini promette: “Se il governo continua a non ascoltarci, non è che ci fermiamo il 9”.
Con loro manifesteranno anche gli industriali. Confindustria Romagna ha aderito all’iniziativa nazionale. L’obiettivo è: “Contestare le politiche adottate dal Governo nel Dl Semplificazioni” ed in particolare lo stop alle trivelle: un “suicidio industriale”, dice il presidente di Confindustria Romagna, Paolo Maggioli; “Nessun imbarazzo” ad affiancare i sindacati: “In questa fase è assolutamente importante essere uniti, difendere insieme crescita e lavoro”.
Il segretario generale della Cgil chiama a raccolta ricordando che il “nostro interlocutore è il presidente del Consiglio Conte” e che “ad oggi ci sono stati due incontri” a Palazzo Chigi. Le sigle hanno presentato una piattaforma unitaria con le proposte dei sindacati, “noi vogliamo aprire un confronto, una trattativa e vogliamo portare a casa dei risultati”, rimarca parlando alla stampa estera.
Il leader Cgil attacca direttamente Di Maio quando dice: “È Singolare che un rappresentante del Governo incontri un movimento francese che contesta il governo francese mentre in italia non si confronta con i sindacati” e ribatte: “Se sono così attenti a chi contesta dovrebbero stare attenti anche a chi contesta loro”.
Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl, all’Avvenire conferma: “Le cose stanno andando male, nonostante l’ottimismo immotivato che abbiamo visto in questi giorni anche dal Presidente del Consiglio. Ma non è così. Bisogna svegliarsi, tornare con i piedi a terra. Per questo con la manifestazione di domani a Roma vogliamo dare una scossa al governo”.
La manifestazione, si legge nella nota congiunta, serve soprattutto a muovere dei dubbi su “la legge di bilancio, appena approvata” perchè: “ha lasciato irrisolte molte questioni fondamentali per lo sviluppo del Paese, a partire dai temi del lavoro, delle pensioni, del fisco, degli investimenti per le infrastrutture, delle politiche per i giovani, per le donne e per il Mezzogiorno. Temi sui quali Cgil, Cisl e Uil hanno avanzato indicazioni e proposte credibili e realizzabili che non hanno trovato riscontro nella legge di stabilità avanzata dal Governo”
(da agenzie)
argomento: sindacati | Commenta »
Febbraio 8th, 2019 Riccardo Fucile
I SEDICENTI “PATRIOTI” DELLA DOMENICA SI SONO GIA’ VENDUTI DA TEMPO AGLI INTERESSI DELL’IMPERIALISMO RUSSO
Tra i primi Paesi a cui i francesi avevano pensato, nel lanciare «L’Iniziativa europea d’intervento» promossa dal presidente Emmanuel Macron nel settembre 2017 c’era il gruppo dei fondatori, Italia in testa.
Un’iniziativa che avrebbe dovuto favorire una cultura strategica europea, e rafforzare la capacità degli europei ad agire insieme, creando le condizioni per azioni coordinate nei diversi scenari di guerra.
Un progetto di difesa, dunque, riguardante un tema che sembrava stare a cuore a molti governi europei, indipendentemente dal loro colore: la sicurezza.
Il condizionale però in questo caso non è corretto, perchè l’Iniziativa è partita, ed è stata firmata da nove Paesi : Germania, Belgio, Danimarca, Spagna, Estonia, Olanda, Portogallo, Gran Bretagna e Finlandia.
Perchè l’Italia no? Nelle scorse settimane, prima che il richiamo dell’ambasciatore Christian Masset spostasse l’asse dell’attenzione, e anche l’asticella dello scontro, la diplomazia francese ha cercato in più occasioni — e a vari livelli – di portare il governo italiano su questo punto, e chi ha avuto occasione di parlare con gli sherpa che avevano in mano il dossier ne racconta in primo luogo, lo smarrimento e la sorpresa: perchè gli italiani non partecipano?
Che cosa c’è dietro questa tendenza all’isolamento?
Una cosa sono le esternazioni politiche finalizzate a raccogliere il consenso interno, un’altra sono le questioni importanti, quelle che riguardano la protezione e la sicurezza dei cittadini.
Quale miope strategia può far prevalere le prime sulle seconde?, si chiedevano con insistenza a Parigi.
La cornice di governance dell’Iniziativa europea d’intervento (IEI) prevede incontri ogni sei mesi e delinea quattro i campi di azione: l’anticipazione strategica delle crisi, gli scenari d’intervento, il sostegno alle operazioni, lo scambio di informazioni e la condivisione degli orientamenti.
In questo modo — nell’intenzione degli ideatori — si accresce la capacità degli europei di cooperare insieme, si sviluppa nel lungo termine una cultura strategica comune, e senza voler entrare in collisione con la Nato o con gli altri progetti Ue, si promuove la credibilità militare dell’Europa e se ne rafforza l’autonomia strategica.
Con la firma del Trattato di Aquisgrana, il 22 febbraio scorso, Francia e Germania hanno siglato anche un’intesa sul tema della Difesa, di cui la IEI è un segmento.
In Italia, da più parti, sono state sollevate delle obiezioni, tutte ispirate a un generale risentimento, soprattutto nei confronti dei francesi, per essere stati esclusi dalle cooperazioni rafforzate, in particolare per ciò che riguarda i temi della Difesa.
È stata ricordata l’arroganza di Parigi nella vicenda degli Airbus, il comportamento nei confronti del lanciatore italiano Vega con Ariane, la storia Fincantieri-Snx e persino l’Agenzia Spaziale Europea.
Legittime preoccupazioni riguardavano le cooperazioni franco-tedesche su Fcas ed elicotteri.
A maggior ragione, che strategia è quella di tirarsi fuori dall’unico tavolo in cui queste cooperazioni sono chiamate a un confronto multilaterale, tanto che persino gli inglesi in odore di Brexit hanno pensato di aderirvi?
Se l’Italia sceglie una « Sonderweg » sulla Difesa, oltre che sulla politica, gli altri certo non smetteranno di lavorare: proprio ieri i due ministri della Difesa tedesco e francese hanno ufficializzato l’inizio del progetto dello Scaf (Sistema di combattimento aereo del futuro), che consiste nella concezione di un nuovo caccia militare di ultima generazione.
Le implicazioni di quest’intesa non sono semplici, tanto che anche gli americani stanno seguendo gli sviluppi con qualche perplessità (in quel segmento la leadership spetta ancora agli F35 di Lokheed Martin).
Sicuramente se ne parlerà al tavolo dell’Iniziativa Europea d’Intervento. E l’Italia non sarà lì a dire la sua.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »
Febbraio 8th, 2019 Riccardo Fucile
DA BNP-PARIBAS A CREDIT AGRICOLE, DA BULGARI A GUCCI… PIU’ DEBOLE L’INFLUENZA ITALIANA SULLE IMPRESE D’OLTRALPE
Francia e Italia sono legate da una relazione economica oltre che politica molto stretta e di
antica tradizione ma che si è fatta più intensa negli anni recenti.
Nel 2017 gli scambi commerciali fra i due Paesi sono stati pari a 76,6 miliardi; se si guarda agli investimenti diretti, la Francia è fra i primi paesi impegnati in Italia, dove controlla oltre 1.900 imprese in cui lavorano 250 mila dipendenti.
L’Italia è invece all’ottavo posto fra gli investitori stranieri nelle imprese francesi: uno squilibrio, si legge nella relazione del ministero degli Esteri francese sulle relazioni bilaterali, che dipende dalle “specificità economiche strutturali di ogni paese”.
Secondo l’analisi del Quai d’Orsay, in particolare, “l’Italia ha un settore manifatturiero più importante (16% del Pil contro l’11% in Francia) che sostiene il suo saldo commerciale”.
Il settore in cui gli investitori francesi sono maggiormente presenti in Italia è quello dei servizi bancari ei assicurativi.
Non solo gli amministratori delegati di due colossi come Generali e Unicredit sono francesi (rispettivamente, Philippe Donnet a Trieste e Jean Pierre Mustier a Milano), ma i due più grandi gruppi bancari francesi, Bnp-Paribas e Credit Agricole, hanno una significativa presenza in Italia.
I primi, nel 2006, con un’opa hanno conquistato Bnl, l’ex Banca Nazionale del Lavoro; i secondi, per lungo tempo fra i principali azionisti di Intesa, in occasione della fusione di quest’ultima con il Sanpaolo, hanno acquisito Cariparma e Friuladria, per poi comprare anche Carispezia e salvare tre piccole casse di risparmio.
Amundi, di cui Credit Agricole è azionista di controllo, ha infine comprato da Unicredit la società del risparmio gestito Pioneer, battendo la concorrenza di Poste. Bnp-Paribas e CreditAgricole, inoltre, sono fra i principali attori italiani del credito al consumo, rispettivamente con Findomestic e Agos Ducato.
L’imprenditore bretone Vincent Bollorè è il secondo azionista di Mediobanca (con circa l’8% del capitale), e attraverso Vivendi è il primo socio di Telecom Italia (24% circa) e il secondo di Mediaset (28,8%). Groupama ha acquistato Nuova Tirrenia da Generali.
Nel lusso, il gruppo Lvmh guidato da Bernard Arnault controlla Bulgari, Fendi, Emilio Pucci, Loro Piana, Acqua di Parma, Cova, Cipriani a Venezia, Splendid a Portofino, mentre Kering (ex Ppr) di Francois-Henri Pinault ha fra le sue controllate Gucci, Bottega Veneta, Brioni, Richard Ginori, Brioni, Pomellato.
Nell’industria alimentare, due fra i principali marchi del settore lattiero sono in mano francese: Lactalis della famiglia Besnier controlla infatti Galbani e Parmalat, mentre anche la società Eridania è controllata al 100% dal colosso francese Cristal Union dal 2016.
Quanto all’energia, Edison fa capo alla francese Edf, e il secondo socio di Acea, con il 23,33%, è Engie (ex Suez-Gaz de France).
Anche la grande distribuzione d’oltralpe è presente in forze in Italia con i marchi Carrefour, Auchan, Decathlon, Leroy Merlin. Storica è poi la partnership italo-francese di St Microelectronics.
Molto più contenuta la presenza di azionisti italiani in imprese francesi: poco più di un migliaio, per meno di 100 mila dipendenti.
Generali è presente con 7.500 dipendenti, Fiat con 7 mila, Autogrill con 3.500 e poi ci sono Campari che ha acquisito il controllo di Grand Marnier e Lavazza che ha comprato Carte Noir.
Atlantia ha la quota di maggioranza (75%) del consorzio che ha acquistato il 60% dell’aeroporto di Nizza (il restante 25% è di Edf).
L’anno scorso, Fincantieri ha acquisito i cantieri di Saint-Nazare ma l’operazione deve ancora passare al vaglio dell’Antitrust europeo.
Due importanti operazioni sono state infine realizzate negli ultimi anni dall’imprenditore Leonardo Del Vecchio. La più famosa riguarda senza dubbio Luxottica, che si è fusa con Essilor, creando un gigante il cui primo azionista è italiano ma che sarà per ora quotato soltanto alla Borsa di Parigi, dove sarà anche la sede sociale della società .
Più recentemente poi, Beni Stabili e Foncières des Règiones si sono fuse per formare Covivio.
(da agenzie)
argomento: economia | Commenta »