INTERVISTA A ENRICO LETTA: “LA REAZIONE DI MACRON E’ ARRIVATA FIN TROPPO TARDI”
“DA DI MAIO E SALVINI SOLO IL TENTATIVO DI FERMARE L’EMORRAGIA DI VOTI”… “NON CI SARA’ UN 4 MARZO EUROPEO”
Enrico Letta, non la colpiscono le modalità extra-istituzionali di questa crisi con la Francia, come se fosse uno scontro tra partiti, più che tra Stati?
Non mi colpisce perchè ci leggo uno scimmiottamento di Trump, che fa esattamente così: quando è in difficoltà a casa, tira una bomba internazionale dopo l’altra. Vedi il Messico, vedi la Cina. È la classica tattica di chi apre un fronte e si inventa un nemico, molti nemici, per sviare l’attenzione dai suoi problemi di politica interna. Lo hanno fatto con Junker, salvo poi dovergli essere grati perchè ha evitato all’Italia una deriva greca. Ora è il turno di Macron.
Lei si riferisce evidentemente ai Cinque Stelle. Ma le chiedo: la posizione di Macron le sembra proporzionata? Cioè è sufficiente la provocazione di Di Maio per accendere questa miccia?
Direi di sì. È la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sono settimane che i toni salgono, sempre sotto il segno della provocazione. E oggi la reazione proprio di una parte dei gilet gialli è la dimostrazione conclamata dell’errore. Vorrei che fosse chiaro ciò che è accaduto: il vicepremier del governo italiano, Luigi Di Maio, è andato a parlare, e a solidarizzare, con Christophe Chalenà§on, uno che è considerato dal grosso del movimento dei gilet gialli un mezzo golpista. E gli altri, infatti, gli hanno detto: “Statevene a casa vostra”. È tutto davvero incomprensibile.
Insomma, la Francia l’ha gestita bene?
Mi aspettavo una reazione. E forse è arrivata anche tardi. Quello che avviene è una follia. Per ragioni di opportunismo legate alla campagna elettorale – dall’Abruzzo alle europee – si stanno facendo danni seri al nostro paese. Perchè il punto è chiaro: non c’è alcun ragionamento di politica europea, alcuna strategia, solo il tentativo di frenare una emorragia di voti. Noto che financo Salvini – uno che è alleato con la Le Pen, insegue i leader di estrema destra di mezza Europa e costituisce un pericolo per la sua deriva nazionalista – sembra preparare una marcia indietro
Però, insisto. Lei è un profondo conoscitore della Francia, dove ha vissuto negli ultimi anni. Non vede un elemento, diciamo così, di campagna elettorale di Macron, anch’essa un’escalation: le frasi sulla lebbra nazionalista, la chiusura delle frontiere a Ventimiglia. È l’europeismo che dobbiamo scegliere?
Col governo francese si deve legittimamente discutere sul merito delle questioni, quando c’è da discutere. Immigrazione o cantieri navali, ad esempio. È giusto anche litigare, come ci si confronta anche duramente con gli altri paesi europei. Tuttavia, di qui a scegliere la strategia della provocazione continua ce ne passa. Insisto: quel che sta accadendo è molto preoccupante.
Quale è la cosa che la preoccupa di più?
La corsa verso l’isolamento del nostro paese, perchè avviene alla vigilia del momento in cui si danno le carte in Europa, con le elezioni europee. È un errore di strategia. L’abbaglio è ritenere che possa accadere in Europa quello che è successo il 4 marzo in Italia. Per la serie: più duri siamo, più otteniamo successo. Sbaglia chi fa questo calcolo, perchè in Europa ci sono 27 paesi, ci sarà un risultato globale che non sarà un 4 marzo europeo. Loro si stanno autoescludendo e stanno escludendo l’Italia.
È colpito dall’afonia del governo?
È una situazione sconcertante. Salvini gioca addirittura la parte del moderato oggi; il che è tutto dire. E il governo nel suo complesso tace o balbetta. Imbarazzante.
Ritiene che questo cambio di fase questo scontro investa anche i dossier economici al centro delle relazioni tra Italia e Francia?
Io spero che non crei conseguenze durature. Ma è evidente che investe la questione Fincantieri o la TAV e anche Alitalia ci va di mezzo. Vede, in passato l’intesa costruttiva tra Italia e Francia ha consentito al nostro paese, per dirne una, di guidare con Draghi la politica monetarie europea. Ricordo che la Francia scelse allora l’Italia contro la Germania nella partita per la nomina del presidente della BCE. Quella vicenda è la dimostrazione che avere alleanze in Europa serve eccome.
Aquisgrana però racconta l’opposto. Non è quello una sorta di ritorno dell’Europa a due velocità , assai poco “comunitaria” nello spirito?
No, anche tutta questa polemica su Aquisgrana è mal posta. Nessuno lo ricorda, ma la Francia ha impostato con l’Italia lo stesso negoziato. Esiste un comitato misto tra il governo italiano e il governo francese che avrebbe dovuto elaborare un’intesa in grado di porre per la prima volta le relazioni tra Italia e Francia al livello di quelle tra Francia e Germania. Ebbene, prima di Aquisgrana si stava appunto negoziando questo trattato, si sarebbe chiamato “trattato del Quirinale”. Il nuovo governo, invece, prima ha rallentato i lavori, poi ha bloccato tutto. E ora ci si lamenta. Ciò chiaramente rivela dove sta la mala fede. Prima si è cercato lo scontro, poi ci si lamenta dell’asse franco-tedesco.
Le chiedo: la Francia di Macron, in sintesi, è un esempio di crisi e di disorientamento o un esempio di come fronteggiare con successo il populismo europeo?
È evidente che la Francia vive una fase di grande difficoltà , ma è anche vero che lì l’alternativa a Macron è la Le Pen, non ce ne sono altre. È legittimo che Macron possa stare antipatico, ma in Francia alternative al momento non ce ne sono.
E, considerata la crisi dei socialisti europei, nemmeno in Europa.
Ahimè, nemmeno in Europa.
Lei nel suo libro “Ho imparato”, dedica ampio spazio all’analisi del populismo. E sostiene che Renzi, Grillo e Salvini sono tre variabili del populismo. Anche Macron è populista?
Lui ha certamente un rapporto complesso con i corpi intermedi. E prova ad avere un rapporto diretto col popolo. Ma resta comunque dentro una evoluzione della politica tradizionale.
Per lei è un modello?
Per me uno dei limiti del tempo che stiamo vivendo è la distruzione dei corpi intermedi. Io credo piuttosto, e sempre più convintamente, alla costruzione di movimenti che in forme moderne consentano e valorizzino il confronto con i corpi intermedi, senza distruggerli o svilirne la funzione. Una funzione irrinunciabile nel raccordo con parti della società altrimenti senza rappresentanza o interlocutori.
Tornando ai dossier che rischiano di essere investiti dalla crisi. La provoco: anche l’approccio francese mi pare “sovranista”.
Non c’è dubbio che sia sulla vicenda dell’immigrazione, sia sui cantieri navali la sua politica abbia delle profonde lacune. Le scelte sulla cantieristica sono un errore di prospettiva. Peraltro, i francesi protestano sul caso Siemens, ma la questione dei cantieri ha implicazioni simili. E se salta l’accordo, non è che gode l’italiano o il francese, gode il coreano. In tutta questa storia non bisogna mai perdere di vista che tutta l’Europa è diventata più “piccola”, cioè meno influente sullo scenario geoeconomico, e bisogna fare accordi, non la guerra. In caso contrario, ogni nostra guerra fa esultare i coreani, i cinesi, i giapponesi. Qui sta il vero strabismo.
Come giudica questa roba che Air France valuta di ritirarsi dalla trattativa con Alitalia?
Lo considero tra i dossier a rischio. Abbiamo tutto da perdere dal punto di vista commerciale.
Ma secondo lei criminalizzare i gilet gialli non è commettere lo stesso errore commesso dal centrosinistra di questi anni, non capire la rabbia? Si può rispondere con la chiusura totale?
Più o meno dall’inizio il governo non solo ha tentato di dialogare ma ha ceduto dieci miliardi di euro, di fronte alle rivendicazioni. Il punto è che questo caso dimostra tutta la debolezza di una forma di protesta non canalizzabile. Qualunque sindacato avrebbe negoziato e portato a casa il risultato. I gilet gialli, invece, non sono in grado di negoziare e si sfocia nella violenza.
Il che rende li rende oggettivamente diversi dai Cinque Stelle.
Che rappresentano una protesta che si istituzionalizza. La mia analisi è da sempre favorevole alla via italiana. E questo è dovuto anche al fatto che la nostra democrazia è più accogliente della democrazia francese. Noi, come avvenuto in altri momenti della nostra storia nazionale, siamo in grado di rendere la protesta più istituzionale, il che consente di evitare lo sbocco violento.
(da “Huffingtonpost”)
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