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IL DOSSIER DI 35 GRILLINI DISSIDENTI ALLA CAMERA: “LA NORMA SULLA LEGITTIMA DIFESA DELLA LEGA E’ INCOSTITUZIONALE”

Marzo 5th, 2019 Riccardo Fucile

I GRILLINI O SONO ASSENTI IN AULA PER PROTESTA O TACCIONO, INCAPACI DI DARE UN SEGNO DI VITA, PRONI AL SEQUESTRATORE DI PERSONE DI CUI AVREBBERO POTUTO LIBERARSI MANDANDOLO IN GALERA

Il Governo è ancora nello ‘stagno Tav’, l’ennesimo vertice mattutino ha rimandato ancora una volta la questione, ma incredibilmente Matteo Salvini continua ad incassare.
Eccolo alla Camera nel primo pomeriggio. Ci resta per un’oretta, in aula per assistere all’avvio dell’esame del provvedimento caro alla Lega e a tutto il centrodestra: la riforma della legittima difesa.
“Domani lo approviamo”, dice il vicepremier leghista prima di lasciare Montecitorio.
In aula per lui presidia il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni. Il testo è un altro fiore all’occhiello per la Lega. Per Forza Italia è un altro mattone della ricostruzione del centrodestra. Per il M5S è fonte di imbarazzo: in aula mancano i pentastellati dissidenti, 32 assenti, al netto delle missioni. E dei presenti nessuno interviene.
Nel Movimento gira un dossier critico del provvedimento
L’aula è strapiena, a parte le assenze ai banchi del Movimento. Il dibattito scorre in un brusio continuo. I toni sono concitati.
Ed è curioso che gran parte dello scontro avvenga tra Forza Italia e Pd: quasi che il combinato disposto tra la crisi del M5S e l’elezione di Nicola Zingaretti alla segreteria dei Dem abbia resuscitato anche in Parlamento una dinamica tra i due vecchi poli politici, entrambi all’opposizione tra l’altro.
Mentre i partiti di Governo sono divisi anche nell’umore.
Da un lato i leghisti, che non possono sbandierare troppo la loro ennesima vittoria, Salvini resta alla Camera per nemmeno un’ora. Dall’altro i cinquestelle, che masticano amaro.
Tra gli assenti, i deputati più a sinistra nel Movimento: Valentina Corneli, Yana Ehm, Riccardo Ricciardi, Doriana Sarli e Gilda Sportiello, che hanno già  manifestato perplessità  rispetto al provvedimento.
E poi c’è il dossier interno, dieci pagine preparate dalla pentastellata Rina De Lorenzo.
Il testo, pubblicato dall’Adnkronos, parla di provvedimento a rischio di legittimità  costituzionale. In quanto l’abolizione della proporzione tra offesa e difesa fa sì che la difesa sia “sempre” legittima anche in caso di “reazione difensiva sproporzionata”.
E “tale presunzione assoluta – prosegue il testo – è chiaramente costituzionalmente illegittima in quanto finirebbe con l’essere postulata come esistente sempre e quindi anche nei casi, pur se marginali, in cui una proporzione non esiste, derivandone una violazione del principio di uguaglianza considerato che verrebbero ad essere trattati in maniera eguale fatti difensivi diversi”.
Nel dossier, anche le critiche del segretario dell’Anm Francesco Minisci che a gennaio, in audizione presso la Commissione Giustizia, sottolineò che abolendo il principio di proporzionalità  tra l’offesa e difesa “non vi sarebbero più regole, non vi sarebbero più confini, non vi sarebbero più parametri e si legittimerebbe ogni forma di reato, anche l’omicidio”.
Ma questo dossier non dovrebbe modificare la tabella di marcia, almeno secondo i leghisti che confidano nell’accordo di governo sul testo sulla legittima difesa: accordo che va da Salvini al premier Giuseppe Conte fino a Luigi Di Maio e lo stesso Guardasigilli pentastellato Alfonso Bonafede, anche lui iper-silente oggi.
Dallo staff di Salvini insistono che domani ci sarà  il primo ok della Camera, pur sapendo che molto probabilmente sarà  un via libera dal sapore di centrodestra più che gialloverde.
E infatti in aula i deputati di Forza Italia intervengono a raffica per difendere il provvedimento, prendendosela col Pd
La tesi dei Dem è che le norme attuali garantiscono già  la legittima difesa, peraltro “di tutti i processi, solo 4 o 5 arrivano al rinvio a giudizio, lo dicono i dati”, dice in aula Alfredo Bazoli. “Questo è un testo di destra!”, attacca Emanuele Fiano.
“Questa è una battaglia che ha un colore di centrodestra!”, esulta Mariastella Gelmini.
Forza Italia e Fratelli d’Italia si predispongono al soccorso azzurro, pronti a passare all’incasso da Salvini. Mentre la questione Tav divide ancora M5s e Lega, anche la legittima difesa si va a inserire nella crisi tra i due partiti di maggioranza. A fronte di un Pd ringalluzzito dalla nuova leadership.
Sono scintille di crisi di governo?

(da “Huffingtonpost”)

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FIDUCIA NEL FUTURO, LE FAMIGLIE ITALIANE: “SEMPRE PEGGIO”

Marzo 5th, 2019 Riccardo Fucile

SI INTACCANO I RISPARMI, ORMAI PIU’ DELLA META’ DEGLI ITALIANI NON RIESCE A FAR FRONTE ALLE SPESE CON LO STIPENDIO MENSILE

La sensazione di un Paese che generalmente fatica a risollevarsi non è solo nei dati strutturali, ma anche nell’immaginario collettivo, nel sentimento di fiducia che diminuisce come testimoniato anche dall’ultima rilevazione dell’Istat fra famiglie e imprese.
E ben sappiamo come le rappresentazioni sociali siano determinanti nel definire la realtà , ancor più dell’oggettività  dei fenomeni. La percezione delle condizioni economiche delle famiglie non è solo un indicatore astratto, perchè aiuta a definire i comportamenti reali nei consumi, nelle strategie di investimento. §
L’assenza di fiducia o uno scenario incerto limitano le capacità  di spesa, contengono i consumi, in attesa di un orizzonte più definito. Se ciò è vero per gli investitori, lo è parimenti per le singole persone e per le famiglie.
Come quest’ultimi intravedano la propria condizione economica oggi e in futuro è l’oggetto dell’ultima rilevazione del Centro studi di Community Group per La Stampa. La serie storica delle diverse rilevazioni mette in evidenza come mediamente, fra il 2013 e i primi mesi del 2019, il «sentiment» degli italiani circa la propria situazione economica rimanga invariato.
§La maggioranza (57,2%) percepisce un peggioramento delle condizioni generali, un terzo (31,7%) ritiene non siano sostanzialmente mutate, mentre soltanto un decimo (11,1%) ha vissuto un miglioramento negli ultimi 5 anni.
La questione è che tali quote risultano stabili nel tempo, come se il nostro sistema economico, ancora assai provato dalle crisi degli anni precedenti e con una possibile recessione alle porte, non trovasse la forza per dare quel colpo di reni utile se non a invertire, almeno a modificare la rotta di una stagnazione. O peggio, di un declino.
E va sottolineato, qui non si tratta esclusivamente degli indicatori strutturali legati alla produttività  del sistema, ma abbiamo a che fare con le visioni del futuro della popolazione. Dunque, con la fiducia.
Il dato medio nasconde situazioni diversificate. Una verifica per i diversi territori permette di affinare l’analisi. Pur rimanendo ovunque prevalente la quota di quanti sperimentano un peggioramento delle loro condizioni economiche, tuttavia il Nord Est è l’unica area dove chi peggiora è inferiore alla metà  degli intervistati (41,3%) ed è in calo, assieme agli abitanti del Centro (55,0%).
Quindi, sono i territori caratterizzati dalle piccole e medie imprese e dai distretti industriali, seppur oggi fortemente trasformati, a testimoniare una minor situazione di criticità  e una leggera (lenta) risalita.
Viceversa, nel Nord Ovest un sentimento di peggioramento appare diffondersi in misura crescente passando dal 47,2% (2013) al 56,5% (2019) e, nello stesso tempo, quasi si dimezza chi ha percepito un miglioramento: dal 16,9% (2013) al 9,6% (2019).
Storia a sè fa il Mezzogiorno dove il livello di inasprimento delle condizioni economiche raggiunge sempre i livelli più elevati: dopo un miglioramento avvertito nel 2015 (62,5%, dal 72,8% del 2013), nel 2019 si registra una nuova recrudescenza (65,9%).
Così, in generale, nel Paese continua a prevalere un sentimento di erosione delle proprie risorse economiche.
Pur tuttavia, le aree di piccole e medie imprese sembrano reagire relativamente meglio, rispetto a un Nord Ovest che vive un progressivo declassamento. E soprattutto, a un Mezzogiorno che permane in una situazione di rilevante difficoltà  per gran parte della popolazione.
Un riverbero di tali condizioni si verifica considerando la capacità  di risparmio delle famiglie, che negli anni si va lentamente intaccando.
Se nel 2013 più della metà  della popolazione (56,1%) riteneva di poter far fronte alle spese mensili con il proprio reddito, nel 2015 tale quota rimaneva stabile (57,4%), ma per la prima volta nel 2019 cala significativamente (48,8%).
Tale andamento è peraltro confermato dalle stime della Banca d’Italia che segnalano come, a partire dalla crisi del 2008, le famiglie abbiano corroso i loro patrimoni per mantenere un livello di vita dignitoso.
Si tratta di un calo generalizzato in tutto il Paese, seppure con situazioni diversificate: se nel Nord Ovest (59,9%) e nel Nord Est (56,1%) la maggior parte degli interpellati ritiene di avere un’autosufficienza economica, nel Centro si scende al 50,4% e nel Mezzogiorno si arriva a un misero 36,1%.
Se guardiamo alle previsioni per il 2019, l’esito evidenzia un orizzonte futuro sostanzialmente immobile.
La maggior parte degli italiani ritiene che la situazione economica familiare non muterà , ma il novero di quanti intravedono un peggioramento è ben superiore a chi auspica un miglioramento.
E tale tendenza s’inasprisce guardando ad altre sfere, come il territorio di residenza, l’Italia e persino l’Europa. Al punto che l’indice di fiducia sul futuro vede ingrossarsi, nel tempo, le file dei pessimisti (16,9%) e dei preoccupati (38,0%), a scapito più che degli attendisti (36,8%), degli ottimisti (8,3%).
L’incertezza e le continue schermaglie governative, la non chiarezza nella direzione intrapresa ingessano ancor di più un Paese bloccato e erodono ulteriormente una fiducia già  messa a dura prova da una lunga fase di difficoltà  economica, che peraltro non è assolutamente conclusa.
L’Italia per tornare a crescere ha bisogno di investimenti a favore di imprese e lavoratori. Ma se non si alimenta parimenti il sentimento di fiducia — che solo una visione definita del futuro può offrire — il rischio del declino è dietro l’angolo.

(da “La Stampa”)

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DI MAIO INGOIA PURE LA LEGITTIMA DIFESA DEI PISTOLERI PUR DI CONSERVARE LA POLTRONA

Marzo 5th, 2019 Riccardo Fucile

MA ALL’INTERNO DEL MOVIMENTO AUMENTA IL DISSENSO ALLA SUA LINEA POLITICA SUICIDA

“Dobbiamo assolutamente definire il perimetro”. Sono giorni concitati per Luigi Di Maio.
I mal di pancia sulla legittima difesa da far ingoiare ai suoi per avere migliori margini di trattativa sul Tav (“Riaggiorniamoci, vediamo come va domani”, il messaggio nemmeno troppo in codice inviato dalla Lega all’alleato), la riorganizzazione interna da avviare subito dopo aver messo un punto sull’alta velocità , la dissidenza interna che punge come fastidiosa spina nel fianco.
Il tutto in un quadro politico in cui l’elezione di Nicola Zingaretti a segretario del Partito democratico promette di dare sembianze certe alla marmellata che è stata il principale soggetto di sinistra in questi mesi.
Nella war room del capo politico sono ore complicatissime.
Il Movimento, con una robusta dose di iper critici al suo interno, sta per dare il via libera al provvedimento “più di destra” che la Lega abbia in canna. E nell’area di Roberto Fico c’è chi già  guarda con serio interesse al nuovo frontman del Pd. È in quest’ottica che il leader ha avvertito i suoi: “Il perimetro è quello del contratto di governo, niente maggioranze alternative”. Raccontano che in questi ultimi giorni più d’una sia stata la telefonata tra il capo politico e Fico. Un tentativo di serrare le fila e prevenire fughe in avanti dei suoi uomini più fidati.
Il momento è complicato e non ci si può permettere scivoloni.
“Ma con Zingaretti cambia tutto – spiega un dirigente di rango vicino al presidente della Camera – abbiamo molte cose più in comune con quella parte lì che con la Lega”.
Immigrazione, sicurezza, legalità : sono solo alcuni dei temi sui quali le sensibilità  sono più affini. Senza contare i sussidi per la povertà  e il salario minimo garantito, tema sul quale lunedì Di Maio ha stuzzicato il nuovo segretario Pd. “Fino a oggi ci siamo connotati come la sinistra del governo – spiega un dirigente vicino al vicepremier – non potremo più continuare così”.
Eccola la grande difficoltà , elettorale anzitutto.
Perchè i sondaggi danno i Democratici in lieve ma costante risalita e i 5 stelle in costante calo.
.È in questo preciso punto che si materializzano i contorni di un doppio passo, per dirla in gergo calcistico, per tentare di ripartire in un complicatissimo contropiede e uscire dall’assedio della propria area. I
colonnelli vicini al capo politico in queste ore usano sorprendentemente termini finiti nel cassetto. “Adesso possiamo tornare a essere davvero il terzo polo tra destra e sinistra”, dice uno.
Un altro, con una certa dose di raffinatezza politica, si spinge al paradosso: “Hai presente la centralità  di Craxi. Ecco, in uno scenario come quello che ci si prospetta difficilmente il centrodestra avrà  mai la maggioranza. E Lega e Pd non si alleeranno mai. Possiamo a tornare a essere l’ago della bilancia”.
Discorsi che stupiscono, dettati anche dalla voglia matta di uscire dall’angolo in cui si è ficcata la più grande forza parlamentare del paese, un filo che sembra riannodarsi alla notte delle elezioni politiche, quando la prima opzione che circolava nel comitato elettorale del Movimento vittorioso per andare al governo era quella del “Pd derenzizzato”.
Sembra essere tornati lì, oggi che il ruolo di Matteo Renzi nel Pd è sicuramente più sfibrato, ma anche dopo mesi di crisi di governo e con un esecutivo gialloverde in piedi da mesi.
Impossibile tornare al punto di partenza. Di Maio lo sa, come sa pure di avere più cose in comune ai Dem che alla Lega, come ha confidato a qualche suo collaboratore.
E spera che ammiccare ai temi in comune con il Pd gli dia un po’ di aria per tornare a respirare dopo mesi complicatissimi: “Il 22 il reddito minimo va in aula, vediamo chi ci sta”, il pizzino inviato oltre cortina.
Un’operazione spericolata. Perchè sa bene che difficilmente Zingaretti si presterà  al gioco. E perchè sa benissimo tra i suoi parlamentari c’è già  chi parla serenamente di maggioranze alternative, almeno sui singoli temi.
“Ma noi su reddito e salario minimo non dobbiamo fare nessun passo indietro” ha detto il leader ai suoi. A costo di mettere a rischio l’esecutivo. Anche per questo vuole accelerare su quella che sempre più si configura come una segreteria politica, per temi, che verrà  sottoposta al voto di Rousseau subito dopo aver chiuso in qualche modo la grana tav. Per poi rilanciare la sfida, al Pd come alla Lega, per uscire da quello che oggi parrebbe un abbraccio mortale. Con una carta, forse, da giocare.
Perchè in ambienti vicini al capo politico inizia a circolare una voce che fino a ieri era tabù: Alessandro Di Battista starebbe, per la prima volta, valutando la possibilità  di candidarsi alle europee.

(da “Huffingtonpost“)

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ALTRO CHE COSTI-BENEFICI, SULLA TAV DECISIONE POLITICA: E ALLORA TANTO VALEVA DECIDERE SEI MESI FA

Marzo 5th, 2019 Riccardo Fucile

LO CONFESSA ANCHE CONTE … L’ANALISI COSTI-BENEFICI E’ STATO SOLO TEMPO PERSO… I GRILLINI VICINI ALL’ENNESIMA FIGURA DA TREMEBONDI CIOCCOLATAI

L’analisi costi-benefici sulla Tav non è più un totem. La presa d’atto piomba sulla scrivania del premier Conte durante il vertice con i due vice Salvini e Di Maio e il ministro dei Trasporti Toninelli.
Lo studio, fortemente a sfavore dell’Alta velocità  Torino-Lione, sventolato come un simulacro dagli M5s in queste settimane, inizia per ammissione di tutti a vacillare.
La decisione da prendere, se realizzare o no la grande opera, è più complessa e quindi la scelta finale sarà  politica, pur partendo dal dossier redatto dalla commissione guidata da Marco Ponti.
Un’ora di riunione a palazzo Chigi è servita a mettere in chiaro questo concetto e soprattutto a consegnare la questione nelle mani del presidente del Consiglio, che agirà  come un arbitro imparziale e la cui decisione non sarà  più messa in discussione.
Come è già  successo durante la trattativa con la commissione Europea quando veniva chiesto all’Italia di abbassare il deficit nominale in manovra di bilancio. E così, nonostante gli annunci di barricate che arrivavano dai due vicepremier, il deficit è passato dal 2,4% al 2,04%.
Mentre il sottosegretario grillino Stefano Buffagni e il viceministro ai Trasporti leghista Rixi discutevano a distanza l’uno contro l’altro sull’eventuale caduta del governo a causa della Tav, a Palazzo Chigi si è deciso di far parlare solo e soltanto il premier e soprattutto di tenere bassi i toni in un momento in cui gli M5s devono trovare il modo per comunicare senza troppi contraccolpi l’eventuale decisione di pubblicare i bandi di gara e quindi di non fermare l’opera, almeno nell’immediato.
Riservandosi sempre la possibilità  di annullarli entro i primi sei mesi.
La Lega dal canto suo ha la necessità  di portare a casa la legge sulla legittima difesa e teme una reazione grillina, quindi non ha alcun interesse di appesantire il dibattito.
Così a controbilanciare le parole forti di Rixi ci pensa il capogruppo del Carroccio alla Camera Riccardo Molinari: “Siamo fiduciosi che si risolverà  tutto per il meglio. La decisione è nelle mani di Conte”.
Circondato dalle telecamere in piazza Colonna il premier risponde alle domande per un quarto d’ora. Il messaggio è il seguente: “Adesso oltre al percorso di razionalità  tecnica c’è anche un percorso di razionalità  politica che è l’ultima fase. Siamo nel percorso finale, quello più squisitamente politico”.
E poi ancora: “Non accetto che sul tavolo pesino posizioni pregiudiziali di M5s e Lega”. Parole che sembrano superare il dibattito in corso tra i due partiti e guardare a tutto tondo anche agli accordi con l’Europa e con la Francia, pur precisando che per il momento non c’è un’interlocuzione in corso con il paese di Emmanuel Macron.
Il dossier di Ponti riguarderà  quindi sono una parte del ragionamento, come spiega anche il sottosegretario alla Pubblica amministrazione Mattia Fantinati: “La decisione sarà  politica, non una semplice ratifica dell’analisi costi benefici”.
La scelta di pubblicare o meno i bandi di gara sarà  ufficializzata entro venerdì, anche perchè lunedì 11 si riunirà  il consiglio di amministrazione di Telt, la società  metà  italiana e francese che si occupa della realizzazione della Tav e che entro quel giorno deve sapere cosa fare altrimenti l’Italia perderà  300milioni di finanziamenti europei e sarà  messa la parola ‘fine’ alla grande opera.
Il conto alla rovescia è partito. Oggi sono state gettate le basi per la discussione.
Prima però il premier ha voluto ascoltare le posizioni dei due vicepremier. Posizioni che rimangono distanti e inconciliabili.
Il Movimento 5 Stelle con Di Maio è contrario alla Tav, vorrebbe bloccare tutto per non perdere le proprie radici e puntare sull’ammodernamento della linea del Frejus.
La Lega con Salvini ha contestato i contenuti dell’analisi stessa sponsorizzando una mini-Tav. Alla fine una cosa potrebbe non escludere l’altra. Ognuno resterà  della sua idea e sul tavolo c’è la possibilità  di pubblicare i bandi e dire che si iniziarà  una trattativa con l’Europa per rivedere l’opera. In fondo è solo un modo per superare le elezioni europee.
Domani sera ci sarà  un altro incontro, questa volta con i tecnici, per esaminare punto per punto il dossier e gli esperti leghisti sono pronti a smontarlo.
A Palazzo Chigi appare chiaro che bisogna andare oltre l’analisi costi-benefici, che le distanze tra M5s e Lega sono siderali e nessuno dei due può permettersi di affrontare una campagna elettorale per le Europee incassando il colpo. Bloccare i bandi in via definitiva significa un ‘no’ alla Tav, indigeribile per l’elettorato leghista.
Gli esperti, a cui si sarebbe rivolto Di Maio, hanno chiarito che i bandi, una volta pubblicati, possono essere annullati entro sei mesi trattandosi di una fase di esplorazione di mercato.
Quindi sulla base di questo gli M5s stanno provando a convincere i duri e puri e, una volta pubblicati i bandi, se così sarà , continueranno a sostenere che i fondi destinati alla Tav potranno essere trasferiti alla realizzazione della seconda canna della linea storica del Frejus.
Unica carta che i pentastellati possono giocarsi per non ammettere il passo indietro rispetto a un’altra loro battaglia storica.

(da “Huffingtonpost“)

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TAV, DI MAIO NON SA CHE NEL TRATTO FRANCESE LAVORANO DITTE ITALIANE

Marzo 5th, 2019 Riccardo Fucile

A UNA DOMANDA DEGLI IMPRENDITORE RISPONDE: “NON LO SAPEVO”

Che il MoVimento 5 Stelle si trovi in una situazione disperata ma non seria sulla TAV è provato dall’aneddoto raccontato oggi su La Stampa a proposito della visita di Luigi Di Maio a Torino: nell’occasione industriali e imprenditori hanno chiesto ai tanti leader grillini presenti cosa stesse succedendo sull’Alta Velocità .
Chiara Appendino, che sul tema ha già  dimostrato di essere una vera M5S prima sostenendo che non si sarebbe impicciata del dossier quando era candidata sindaca perchè non le conveniva   e poi impicciandosi del dossier per dare un pannicello caldo alla sua maggioranza in Comune che la odia, ha deciso di tornare a fare la volpe in attesa della pellicceria: «Ora è il momento di decidere ma è inutile che continuiate a chiedere a me se la Tav si farà  o meno, io non sono un ministro».
Davide Casaleggio invece come al solito l’ha buttata in caciara:   «È incredibile come la vostra attenzione sia focalizzata su questo tema, di cui peraltro non si è discusso».
Ma il capolavoro è quello di Luigi Di Maio. Entra dal retro ed esce dal retro per non incontrare giornalisti che gli facciano domande sulla TAV, ma becca gli imprenditori che gli chiedono lo stesso dell’argomento. E qui, tutto a un tratto, arriva il capolavoro:
Di Maio glissa, non si sbilancia, nemmeno quando gli viene chiesto della cosiddetta miniTav (che poi mini non è), il progetto ridimensionato nella tratta italiana. Su una cosa però vacilla: succede quando un imprenditore gli racconta che nel cantiere francese, dove si sta continuando a scavare, lavorano diverse aziende italiane e che lo stop all’opera avrebbe effetti negativi su quelle ditte e su decine di posti di lavoro.
«Non lo sapevo», ammette.
A Di Maio non sfugge niente, insomma

(da “NextQuotidiano”)

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LO STATO SFRUTTATORE: IL MINISTERO DELLL’ECONOMIA CERCA CONSULENTI DI ALTO LIVELLO DISPOSTI A LAVORARE GRATIS PER DUE ANNI

Marzo 5th, 2019 Riccardo Fucile

I CANDIDATI DEVONO ESSERE ESPERTI IN DIRITTO SOCIETARIO E BANCARIO… E’ COSI’ CHE SI RISPETTA LA DIGNITA’ DI CHI LAVORA?

La richiesta è semplice: la terza direzione del dipartimento del Tesoro cerca consulenti esperti in materia di diritto bancario, societario e dei mercati finanziari.
E in cambio? Niente, nessuna retribuzione.
Il bando è stato pubblicato sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze il 27 febbraio e recita questa intestazione: “avviso pubblico di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito sul diritto – nazionale ed europeo – societario, bancario, dei mercati e intermediari finanziari”.
Scorrendo il documento, vengono chiariti i requisiti che il ministero guidato dal ministro Tria cerca da coloro che vorranno inviare una candidatura:
consolidata e qualificata esperienza accademica e/o professionale documentabile (di almeno 5 anni), anche in ambito europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario, bancario, pubblico dell’economia o dei mercati finanziari o dei principi contabili e bilanci societari;
lingua inglese fluente.
L’avviso scade il 14 marzo ma ha già  suscitato la reazione delle associazioni di categoria. “Se anche le istituzioni non rispettano la dignità  dei professionisti giustificando il lavoro gratuito, non sappiamo davvero più a chi rivolgerci”, ha commentato la presidente del Colap, Emiliana Alessandrucci.
“Sono richieste – spiega – professionalità  altamente qualificate per un impegno di durata biennale con l’esclusione di ogni onere a carico dell’amministrazione”.
Alessandrucci ha concluso: “La tutela dei compensi è garantita già  dall’articolo 36 della Costituzione. Ciò non bastasse, la legge di bilancio del 2018 ha introdotto una specifica norma che impone a clienti cosiddetti forti di corrispondere un compenso equo, commisurato alla quantità  e alla qualità  della prestazione offerta”.

(da agenzie)

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LA RISPOSTA DELL’AZIENDA DI TRASPORTO PUBBLICO ASFALTA L’UTENTE CHE NON VUOLE “AFRICANI” SULLE PENSILINE DEL BUS

Marzo 5th, 2019 Riccardo Fucile

LA LAZIALE COTRAL SI AFFIDA AL SARCASMO: “POTREMMO METTERE DEL GRAZIOSO FILO SPINATO COLOR PASTELLO”

Cotral è l’azienda del trasporto pubblico extraurbano della Regione Lazio che, tramite un profilo Twitter, risponde e fornisce informazioni ai cittadini.
Ieri, in un post dedicato alle pensiline e alle panchine ubicate presso le fermate degli autobus, l’azienda ha voluto sottolineare che la responsabilità  della loro manutenzione non è responsabilità  di Cotral ma delle amministrazioni locali, pur fornendo il progetto ed un contributo economico per realizzarle.
Nulla di particolare se non fosse che, in risposta al tweet, è giunto il commento di un’utente, che si è scagliata contro nomadi e migranti, attribuendo a questi ultimi la colpa del degrado delle fermate.
Il commento dell’utente è stato il seguente:
Sperando che gli zingari e gli africani non ci fanno bisogni corporali come spesso accade. Tra bottiglie e siringhe. Metteteci anche telecamere nascoste controllate da voi in ufficio, almeno se vengono vandalizzate avete le immagini per le denunce. Sono graditi gli schermi tv.
A quel punto l’azienda di trasporto pubblico extraurbano ha replicato per le rime:
Ciao ****, come stai? È bello leggere un commento così, grondante di amore per l’umanità . Pensandoci bene potremmo anche scrivere “Il trasporto pubblico rende liberi” su ogni pensilina e adornarle con del grazioso filo spinato dai toni pastello.
Una presa di posizione ironica e anti-razzista che ha scatenato l’apprezzamento degli utenti e dell’utenza del trasporto pubblico della regione Lazio.

(da agenzie)

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IN CALABRIA ANCORA BRACCIANTI STRANIERI SCHIAVIZZATI, DUE DONNE VIOLENTATE DAI DATORI DI LAVORO ITALIANI

Marzo 5th, 2019 Riccardo Fucile

PAGHE IRRISORIE, ORARI DI LAVORO INSOSTENIBILI, ALLOGGI DI FORTUNA E VIOLENZE

Tre persone sono state arrestate dai carabinieri di Reggio Calabria per sfruttamento di braccianti stranieri, mentre altre due sono state sottoposte all’obbligo di firma.
I cinque, secondo i militari, negli ultimi due anni hanno impiegato gli immigrati in due aziende agricole retribuendoli con paghe irrisorie (meno di un euro l’ora).
Accertati anche due episodi di violenza sessuale su due braccianti romene.
Le indagini sono scattate dopo la denuncia di uno dei braccianti, presentata nel settembre 2017 alla stazione dell’Arma di Sant’Eufemia d’Aspromonte.
L’operazione Dominus, dei carabinieri della Compagnia di Palmi, ha fatto luce su una situazione di sfruttamento cui i datori di lavoro sottoponevano i romeni, costretti a lavorare anche 10-12 ore al giorno, compresa la domenica.
I migranti venivano ospitati in alloggi di fortuna, malsani e in precarie condizioni igenico-strutturali, in situazioni di grave promiscuità .
Le due donne violentate, entrambe impiegate nei lavori agricoli, sono state abusate da uno dei responsabili dell’attività  e da un altro bracciante.

(da agenzie)

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IL PASTICCIO “NAVIGATOR” SUL REDDITO DI CITTADINANZA E IL RUOLO DELLE REGIONI

Marzo 5th, 2019 Riccardo Fucile

“INSOSTENIBILE SELEZIONARE MIGLIAIA DI PERSONE CON UN QUIZZONE E IN MANIERA PRECARIA”

Il Governo prova a riaprire il dialogo con le Regioni sui navigator ma, per ora, la trattativa non avanza ed è ancora scontro.
A fare una nuova proposta questa volta è il ministero del Lavoro che in una prima bozza di accordo, messa sul tavolo della trattativa solo ieri sera, prevede una diminuzione dei navigator assunti da Anpal da 6.000 a 4.500 circa, destinati a rafforzare i centri per l’impiego delle sole Regioni che ne hanno più bisogno.
A dare la notizia per prima è l’assessore al Lavoro della regione Lombardia, Melania Rizzoli, in audizione alla Camera, e fonti di governo confermano all’HuffPost che la trattativa è ancora in atto e che si tratterebbe di destinare meno risorse all’Anpal per le assunzioni e sfruttare il resto dei fondi già  previsti per rafforzare in altro modo i Cpi. L’essenziale però è che le Regioni che dicono di potercela già  fare senza ulteriori risorse, poi sappiano affrontare il grande flusso di lavoro che porterà  la partenza del Reddito e della nuova macchina per le politiche attive del lavoro.
L’apertura del governo sulla riduzione dei navigator però non basta alle Regioni che parlano ancora di rischio “caos” negli uffici.
Nonostante il calo del nuovo personale previsto, si tratta comunque “di un esercito di persone che entrerebbe nei nostri centri per l’impiego” – ha dichiarato subito la coordinatrice degli assessori regionali al Lavoro Cristina Grieco – “la nostra posizione non è di chi si vuole mettere di traverso al Reddito, ognuno vuole fare la sua parte ma il caos che si creerebbe negli uffici con migliaia di persone selezionate con un quizzone, o un colloquio, e assunte in maniera precaria creerebbe una situazione non sopportabile dal punto di vista organizzativo.
Al di là  dei navigator poi, un altro problema è quello delle piattaforme informatiche che incrociano i dati tra domanda e offerta di lavoro: “Se non fossero interconnesse, si bloccherebbe tutta la macchina a prescindere dai navigator”, ha aggiunto Grieco.
Le Regioni non ci stanno a passare in secondo piano sulle politiche attive, prerogativa loro affidata dalla Costituzione.
“Vorremmo che fossero rispettate le nostre competenze, se così non fosse e se non si trovasse un accordo saremmo costretti a fare ricorso alla Corte Costituzionale”, ribadisce Grieco tornando alla questione che più brucia ai governatori ossia quella del solo parere – obbligatorio ma non vincolante – previsto sulla questione contenuta nel Decretone e che sarà  emesso giovedì prossimo in Conferenza unificata delle Regioni.
Le Regioni quindi cercano un’intesa ma soprattutto chiedono delle norme che mettano nero su bianco: competenze, regole e fondi.
La prima norma richiesta è quella per superare i vincoli alle assunzioni “visto che non abbiamo spazio nemmeno per assumere i 4.000 operatori dei Cpi già  previsti dalla legge di bilancio”.
Poi, continua Grieco, serve una legge sulle stabilizzazioni, qualcosa che permetta di scorrere le graduatorie e una norma per semplificare le procedure di assunzione.
E qui si parla finalmente di tempi, quelli che stanno più a cuore a tutti ma soprattutto al governo. Senza uno snellimento dei processi per le assunzioni “per fare un concorso pubblico servono 6-8 mesi”, fa notare Grieco che però prevede di riuscire a rafforzare i Centri per l’impiego che più ne hanno bisogno “anche in 2-3 mesi e in maniera corretta e tempestiva, se le procedure cambiassero”.
Inoltre, le Regioni chiedono che siano previste anche delle coperture per le spese di funzionamento.
Se ci fossero nuove deroghe e semplificazioni, gli enti territoriali assicurano che potrebbe arrivare da loro una valutazione sicuramente positiva del rafforzamento dei Cpi.
“Tutte le regioni hanno bisogno del rafforzamento e va fatto su diversi fronti: personale, strutture e infrastrutture, visto che ci saranno più operatori ma sempre negli stessi spazi”, ha aggiunto Grieco ricordando che per portare a termine un’operazione del genere in Germania ci sono voluti ben 4 anni.
“Facciamolo, facciamo nel modo giusto — ha concluso la coordinatrice – e con dei concorsi che ci rendano più semplice anche la stabilizzazione dei lavoratori negli anni futuri”. L’importante però “è che l’esercito dei navigator non abbia la pretesa di sostituirsi alle Regioni sulle politiche attive, questo non possiamo accettarlo”.

(da agenzie)

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