Destra di Popolo.net

VERONA, CAPOGRUPPO DELLLA LEGA IN COMUNE SI DIMETTE DAL PARTITO: “CONGRESSO DELLA FAMIGLIA AGGHIACCIANTE, DERIVA INTEGRALISTA DEL PARTITO, TRA POCO DIRANNO CHE LE DONNE DEVONO FARE LE SCHIAVE DEGLI UOMINI”

Marzo 16th, 2019 Riccardo Fucile

MAURO BONATO   E’ STATO ANCHE DEPUTATO PER DUE LEGISLATURE: “LA LEGA E’ NATA PER OTTENERE L’AUTONOMIA DELLE REGIONI, NON PER SINDACARE SU TEMI FAMILIARI”

“Se va avanti così torneremo a tempi antichi dove le donne fanno solo le schiave degli uomini”, con questa motivazione Mauro Bonato, capogruppo leghista nel Consiglio comunale di Verona, ha comunicato le sue dimissioni.
Al consigliere, leghista della prima ora, non è piaciuta affatto l’idea di organizzare il Congresso della Famiglia nella città . “Verona non merita questo. I relatori del Congresso vanno oltre la parola imbarazzante”, spiega in un post su Facebook. Quanto al suo partito dice: “La Lega è nata per ottenere l’autonomia delle regioni, non per sindacare su temi etici o familiari”.
In un’intervista a Gaynews rincara la dose.
Bersaglio delle sue esternazioni il ministro per la Famiglia, il leghista Lorenzo Fontana: “Se voleva fare un convegno coi suoi fan lo poteva fare, ma senza il supporto delle istituzioni pubbliche e, in particolare, del Comune di Verona. Il Comune deve avere a cuore tutti e non soltanto una parte”.
Per Bonato “è inaccettabile che possa godere del patrocinio delle istituzioni un convegno con relatori a dir poco imbarazzanti. Ho letto le dichiarazioni di alcuni di loro e le trovo agghiaccianti”.
Il consigliere che è stato in due legislature deputato del Carroccio, parla di una “involuzione della Lega. Le nostre battaglie erano per l’autonomia – spiega – e per il miglioramento delle classi sociali. Questa deriva integralista è preoccupante”.

(da agenzie)

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PARIGI DEVASTATA DA 1500 DELINQUENTI PREZZOLATI, MANDATE IL CONTO DEI DANNI A CHI PAGA QUESTA TEPPAGLIA PER INDEBOLIRE L’EUROPA

Marzo 16th, 2019 Riccardo Fucile

PALAZZI INCENDIATI, NEGOZI SACCHEGGIATI, POLIZIOTTI FERITI … INNEGGIANO ALLA RIVOLUZIONE? AI SOVVERSIVI SI RISPONDE CON LA STESSA MONETA, NON CON I LACRIMOGENI E GLI IDRANTI

Il 18esimo atto della protesta è subito degenerato in guerriglia sugli Champs-Elysees. Gravissimi i danni, distrutto il cuore del lusso da Fouquet’s a Bulgari.
I gilet gialli, in settimana, tramite i loro leader – da Eric Drouet a Maxime Nicolle (ancora a peide libero) – avevano annunciato la mobilitazione «definitiva», quella che puntava all’Eliseo: «Tutti a Parigi», era la parola d’ordine.
I manifestanti erano poco più del minimo, ma la percentuale di casseur «ultraviolenti, professionisti del teppismo», come li ha definiti il ministro dell’Interno Christophe Castaner, era altissima: 1.500, secondo la prefettura.
Hanno avuto campo libero per ore, arrivando a devastare il celebre ristorante Fouquet’s stamattina, e tornare poi ad incendiarlo nel pomeriggio.
Mentre dense colonne di fumo nero si levavano dal ristorante, il premier Edouard Philippe scendeva in piazza a poche centinaia di metri per confortare poliziotti e gendarmi stremati. Il bollettino della guerriglia si conclude con 230 persone fermate, oltre 100 dei quali passeranno la notte in cella. Una sessantina i feriti, fra cui 17 poliziotti (uno più grave ha ricevuto un sampietrino sulla testa), un pompiere e 42 manifestanti.
Stridente il contrasto con l’altra piazza parigina, la Republique, dove una marcia per il clima con 45.000 persone (il triplo dei gilet gialli in tutta la Francia) si è conclusa pacificamente, con canti e concerti.
In serata il fumo si levava ancora dai tendoni rosso e oro del Fouquet’s, dalle edicole di giornali distrutte, dalla vetrina in frantumi della gioielleria Bulgari. E poi da Disney Store, Zara, persino la boutique del Paris Saint-Germain, decine di piccoli rivenditori di telefoni cellulari (i preferiti dai saccheggiatori), di ristoranti, di semplici caffè.
La scena che si presentava al visitatore di quello che resta della «più bella avenue del mondo» – come amano chiamarla i francesi – è impressionante.
Il bilancio poteva diventare drammatico anche sul piano umano, quando una delle tante agenzie di banca date alle fiamme ha incendiato un intero palazzo, che ha dovuto essere evacuato. «Sono solo assassini», ha tuonato Castaner, mentre i pompieri portavano in salvo una mamma che stringeva al petto il bimbo piccolo con il quale era rimasta bloccata dalle fiamme al secondo piano dell’edificio.
«Rivoluzione!», gridavano gruppi di manifestanti scatenati di fronte agli Champs-Elysees in fiamme, alzando trionfanti le braccia al cielo.
Le forze dell’ordine non sono apparse mai così in difficoltà , un video che mostra tre auto della polizia inseguite da teppisti con i bastoni e costrette a fare marcia indietro spiega la giornata di oggi meglio di tutti i bilanci.
Adesso la parola passa a Macron, il presidente si è recato direttamente alla cellula di crisi del ministero dell’Interno.

(da agenzie)

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PROGRAMMA “SCRITTO DAI CITTADINI”? IL M5S HA COPIATO IL PROGRAMMA DELLE REGIONALI IN BASILICATA DALLA FONDAZIONE DI D’ALEMA

Marzo 16th, 2019 Riccardo Fucile

ECCO LA PROVA DEL RICICLAGGIO: STESSO TESTO DI UN ARTICOLO DI UN EX CONSIGLIERE DEL PD PUBBLICATO SULLA RIVISTA DELLA FONDAZIONE DI D’ALEMA DIECI ANNI FA

Interi paragrafi copiati di sana pianta e ripresi pari pari, senza citazioni nè fonti, sul programma con cui il Movimento 5 Stelle si presenta alle elezioni regionali del prossimo 24 marzo in Basilicata.
Si tratta di due copia e incolla, di una trentina di righe complessive, tratti da una pubblicazione a firma Gianluca Busilacchi, consigliere regionale marchigiano ex capogruppo Pd, oggi tra le file di MDP, già  direttore dell’Ires Marche e docente di Sociologia all’Università  di Macerata.
In tutto sono due i passaggi incriminati, che fanno parte di un articolo divulgativo scritto da Busilacchi e pubblicato addirittura il 9 ottobre 2008 sul sito di Italiani Europei, la fondazione di Massimo D’Alema.
Ma tracce di quel breve saggio si ritrovano anche sul sito del comune di Rimini, di cui Busilacchi è stato per un anno consulente nel 2009, sotto la guida del sindaco Gnassi (Partito Democratico), prima di diventare consigliere regionale.
Altro che programma “scritto dai cittadini”, le proposte del Movimento 5 Stelle Basilicata in materia di economia e welfare (consulta qui il programma) arrivano nientemeno che dalla mente e dalla penna di un ex Pd, oggi dalemiano e vicino a Roberto Speranza, e per giunta scritte ormai oltre un decennio fa, quando la crisi globale era appena all’alba e in un contesto economico e occupazionale completamente diverso rispetto a quello attuale.
Raggiunto telefonicamente, Busilacchi conferma di non essere mai stato contattato nè dal candidato governatore M5S Antonio Mattia nè da nessun membro del suo staff, e di non avere mai avuto alcun rapporto con il Movimento 5 Stelle della Basilicata.
La vicenda assume contorni a dir poco imbarazzanti, alla luce delle recenti dichiarazioni dello stesso Mattia, che solo pochi giorni fa aveva accusato il candidato della lista civica Basilicata Possibile, Vincenzo Tramutoli, proprio di avergli copiato il programma.
Oggi a finire nel mirino per plagio è proprio Mattia, con tanto di screenshot che non lasciano spazio a dubbi e interpretazioni. Non è la prima volta che il Movimento 5 Stelle finisce nella bufera per un caso analogo.
Nel febbraio 2018, a un mese dalle Elezioni Politiche, “Il Post” aveva scoperto che numerosi passaggi del programma pubblicato sul Blog delle Stelle erano stati copiati da studi scientifici, dossier, articoli di giornale, pagine di Wikipedia o addirittura da un’interrogazione parlamentare di un senatore Pd.
Se negli ultimi mesi i 5 Stelle hanno assunto posizioni sempre più smaccatamente di destra, quando si tratta di programmi elettorali sembrano prediligere l’impostazione teorica e politica della sinistra.
In pochi anni siamo passati dal mantra di Beppe Grillo “nè di destra, nè di sinistra” alla nuova interpretazione di Casaleggio Jr. e Di Maio: “Sia di destra, sia di sinistra”. Dipende dal momento.

Lorenzo Tosa
(da TPI)

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REGIONALI BASILICATA, CENTRODESTRA IN TESTA GRAZIE AI MOLTI EX FEDELISSIMI DI PITTELLA PASSATI AL CAMPO AVVERSO

Marzo 16th, 2019 Riccardo Fucile

M5S IN AFFANNO, ALLE POLITICHE AVEVA IL 44%, FORZA ITALIA IL 12%, LA LEGA IL 6%

In vista delle regionali del 24 marzo in Basilicata, il centrodestra vola nei sondaggi: cinque le liste a sostegno dell’ex generale della Guardia di Finanza Vito Bardi, scelto da Forza Italia.
Per la prima volta il centrodestra sembrerebbe pronto a sfidare il centrosinistra in una terra rimasta democristiana da Emilio Colombo in poi. Perchè? Molti ‘capibastone’, ex fedelissimi di Marcello Pittella, l’ex governatore indagato nell’inchiesta giudiziaria per le raccomandazioni in sanità , hanno traslocato verso il centrodestra.
Il bipolarismo lucano è servito, laddove il M5s si prepara al tonfo dalla vetta altissima del 44 per cento raggiunta in regione alle politiche 2018: fu il 51 per cento solo a Matera.
Il caso Pittella, esponente della potentissima stirpe di Lauria nel potentino, pesa sul voto ma soprattutto ha pesato sulle liste.
Il vento cambia, qui la risolvono cambiando cavallo. Come ha fatto Nicola Benedetto, ex assessore ai Trasporti di Pittella, ora ispiratore della lista a sostegno del candidato presidente Bardi.
Oppure Carmine Cicala, fratello di Amedeo, sindaco nel ‘paese del petrolio’ Viggiano, famiglia vicinissima a Pittella: Carmine appunto è ora candidato con la Lega alle regionali. Oppure Franco Cupparo, sindaco di Francavilla, imprenditore candidato nelle liste di Forza Italia eppure uomo di fiducia di Guido Viceconte, che – anche lui – prima era con Silvio Berlusconi, alle ultime politiche candidato col centrosinistra.
E ancora: Piergiorgio Quarto, ex presidente della Coldiretti, vicinissimo alla candidatura alla presidenza per il centrosinistra in alternativa a Pittella, ora sta col centrodestra.
Si cambia così in Basilicata. Anche se non è detta l’ultima.
Lo stesso Pittella non si dà  per vinto, pur uscito sconfitto dal braccio di ferro per ricandidarsi governatore, di fatto ‘domato’ dalle primarie del Pd, con la vittoria di Nicola Zingaretti e la necessità  di cambiamento suggerita da Roma.
L’ex governatore si ricandida consigliere nella sua lista che evidentemente si misurerà  col Pd nelle urne: anche perchè, in tutta questa girandola, il Pd è quasi scomparso, simbolo piccolissimo nella lista ‘Comunità  democratiche’ a sostegno di Carlo Trerotola, farmacista potentino chiamato all’ultimo a guidare la coalizione, simpatie per Almirante, fama di generoso con chi non ha soldi per le medicine.
Con lui ci sono ben 7 liste: Avanti Basilicata, Comunità  democratiche, Basilicata Prima-Riscatto, Progressisti Basilicata, Verdi, lista Trerotola e Psi.
Nella regione di Matera città  europea della cultura 2019, terra dal paesaggio sempre diverso di mari e monti, dal Pollino ai calanchi ‘lunari’ di Carlo Levi, eppure terra disoccupazione ed emigrazione, vale di più battere il territorio casa per casa, voto per voto, lista per lista a penetrare ogni famiglia.
E’ lo schema su cui si muove il centrosinistra, in attesa di Zingaretti in visita in regione la prossima settimana. “Qui siamo di fronte a un ministro dell’Interno che si vuole occupare di Basilicata facendosi vedere in Regione ora solo per la campagna elettorale e un Movimento cinquestelle che, dall’alto della sua ispirazione ambientalista, non è riuscito a far nulla sulle trivellazioni petrolifere in Val d’Agri, che non vengono bloccate dal decreto semplificazioni…”, ci dice Piero Lacorazza, ex presidente del consiglio regionale entrato in rotta di collisione con Pittella e poi rimosso dall’incarico, ora nella lista di centrosinistra ‘Basilicata Prima-Riscatto’.
Ma ora anche il centrodestra cerca di usare questo stesso schema di ricerca dei voti coi candidati ramificati in ogni angolo del territorio.
Per loro, cinque liste: Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, Basilicata Positiva, Idea. In più, lo schieramento di Bardi ha il traino mediatico di Salvini, determinato a fare il pieno anche in Basilicata: nella coalizione regionale e a spese del solito M5s.
Anche se, in fondo, pure il vicepremier leghista (6 per cento alle politiche 2018 contro il 12 di Forza Italia) si muove in terra straniera, punta su ciò che sa e con i suoi candidati lucani si raccomanda: “Usate il marchio Lega, quello tira”.
Più che i volti, conta il brand per Salvini, che qui, tra militanti e curiosi in fila per i selfie, incrocia anche qualche contestazione: a Maratea lo striscione ‘No Lega’ e il coro “Viva i terroni”, a Potenza ‘Non tutto il sud dimentica’, riferito alle frasi pronunciate in passato dal vicepremier leghista contro il sud.
Invece, con un brand in affanno, Luigi Di Maio fa quello che può per difendere il suo Antonio Mattia, candidato presidente della lista unica M5s, 47anni materano, in corsa anche come consigliere. Non è un dettaglio ma un’indicazione di aspettativa.
La nuova legge elettorale, approvata l’anno scorso in piena estate e tra mille polemiche dall’amministrazione Pittella, oltre a blindare il candidato presidente eliminando il voto disgiunto, permette solo ai primi due classificati di entrare in consiglio: il presidente eletto e il miglior perdente. Evidentemente il M5s non pensa di arrivare tra i primi due.
Meno presente di Salvini, anche Di Maio si fa vedere in regione. Cerca di distinguersi dai leghisti in calcio d’angolo, si fa “garante della coesione nazionale” riguardo all’autonomia chiesta dal nord, si fa fotografare con due immigrati che lavorano in un’azienda del metapontino, promette di tornare la prossima settimana, chiede il voto per cambiare “da vecchia a nuova politica”.
Rocambolesco, dopo dieci mesi al governo nazionale. Ma in Basilicata il M5s riesce in extremis a mantenere il sostegno di due professori in prima linea sulle questioni ambientali: Albina Colella e Giambattista Mele. Lei voleva fare una sua lista, non è riuscita a raccogliere le firme e ora con l’area ‘Bene comune Basilicata’ ha lanciato un appello per il M5s: “Unica alternativa al disastro economico e ambientale della regione”.
Già , il petrolio. In media 140-150 milioni di royalties per la regione ogni anno. Poco: non è nemmeno il 15 per cento del costo del sistema sanitario lucano (un miliardo e rotti), ma tant’è. Il petrolio in Val d’Agri, oggetto anche di inchieste della magistratura per 400mila tonnellate di ‘sversamenti’ nell’ambiente dagli impianti lucani, è il convitato di pietra di questa campagna elettorale, tema affrontato da pochi.
Cerca di aggredirlo Valerio Tramutoli, fisico e docente di telerilevamento ambientale all’università  di Basilicata, il candidato presidente della lista ‘Basilicata possibile’, che raccoglie Sinistra italiana, altre aree di sinistra e anche gli ex pentastellati di ‘Altra Basilicata’, delusi dal Movimento.
“Ho deciso di andarmene a luglio, per le esclusioni ingiustificate di gente che aveva vinto le parlamentarie e poi le ‘regionarie’ l’anno scorso, per il governo con la Lega, le questioni ambientali e anche il reddito di cittadinanza: che non è ciò che avevano proposto in campagna elettorale”, ci spiega Arturo Raffaele Covella, consigliere comunale ex cinquestelle a Venosa, la città  di Orazio nel potentino.
“Insieme, stiamo cercando di spiegare alla gente che vuol dire la ‘autonomia differenziata’ voluta dalla Lega…”, ci dice Giuseppe Miolla di Si, senza nascondere le difficoltà .
Basilicata palcoscenico di leader politici come mai prima.
Eppure gli aventi diritto al voto sono sulla carta 460mila, cinque anni fa i voti validi furono 250mila, meno degli abitanti della sola Bari. Ma è il terzo test elettorale dell’era del governo giallo verde, dopo Abruzzo e Sardegna.
E, ca va sans dire, anche Silvio Berlusconi ci si tuffa, barcamenandosi tra l’attacco al governo e la difesa del ‘sogno’ del centrodestra unito: chi ancora crede in questo esecutivo è un “coglione”, sentenzia anche qui in terra lucana.

(da “Huffingtonpost”)

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ORA SI SCOPRE CHE IL CRIMINALE SOVRANISTA NEOZELANDESE HA FATTO DUE VIAGGI IN CROAZIA E IN BOSNIA

Marzo 16th, 2019 Riccardo Fucile

TRA FINE 2016 E INIZIO 2017 BRENTON TARRANT E’ STATO UN MESE NEI BALCANI: CHE CONTATTI HA AVUTO?

Da Zagabria e da Sarajevo è stato confermato ufficialmente che Brenton Tarrant, il killer che ieri ha compiuto l’attacco terroristico contro fedeli musulmani in due moschee nella città  neozelandese di Christchurch, è stato alla fine del 2016 e all’inizio del 2017 in Croazia e in Bosnia-Erzegovina.
Non è ancora chiaro cosa sia andato a fare. Un qualche tipo di preparazione in campi paramilitari?
Il primo ministro croato Andrej Plenkovic ha riferito che dal ministero degli Interni di Zagabria è stato confermato che Tarrant è stato in Croazia tra la fine del dicembre 2016 e l’inizio del 2017.
«All’epoca non era una persona di interesse per le nostre istituzioni», ha aggiunto Plenkovic. Secondo la stampa, Tarrant si sarebbe fermato in Croazia per circa due settimane e avrebbe visitato Zagabria e varie città  della costa adriatica, inclusa Dubrovnik.
La polizia di confine bosniaca ha da parte sua confermato alla stampa che Tarrant è entrato in Bosnia il 2 gennaio del 2017.
Ieri il procuratore generale bulgaro Sotir Tsatsarov aveva reso noto che Tarrant aveva visitato vari Paesi balcanici fra il 2016 e il 2018.

(da “La Stampa“)

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ZINGARETTI ALLA PROVA DELL’ASSEMBLEA CON UN DISCORSO CENTRATO SU LAVORO E AMBIENTE

Marzo 16th, 2019 Riccardo Fucile

LE NOMINE DI GENTILONI E ZANDA… TRATTATIVE A OLTRANZA SUGLI ALTRI DIRIGENTI

Sarà  un festoso rito di passaggio, come sempre. Le trattative tra e dentro le correnti continueranno fino all’ultimo momento nelle salette adiacenti, come sempre.
La platea degli oltre mille delegati sarà  chiamata a ratificare decisioni prese altrove da altri, come sempre. Ma farà  sentire la propria voce e trasmetterà  ai dirigenti gli umori di una base in rapida evoluzione.
Il grande protagonista dell’Assemblea nazionale del Partito democratico, che si riunisce per la prima volta nella sua nuova composizione eletta dalle primarie del 3 marzo domani all’Hotel Ergife di Roma, sarà  comunque lui: Nicola Zingaretti.
Il nuovo segretario riceverà  la proclamazione ufficiale dal presidente della Commissione congressuale Gianni Dal Moro, che esaurisce così la propria funzione, svolta in maniera impeccabile pur in un contesto complicatissimo.
Poi Zingaretti prenderà  la parola per il tradizionale discorso di insediamento, la cui durata è prevista intorno ai 45 minuti.
Il nuovo leader dem lavora al suo intervento almeno dall’inizio della settimana e continuerà  a limarlo nelle prossime ore, anche grazie ai suggerimenti delle persone a lui più vicine. L’Europa, in vista del voto di maggio, sarà  certamente protagonista (e qui sarà  interessante notare quanto il segretario doserà  i riferimenti al Pse e a Macron, quest’ultimo gradito ai renziani). Quindi il lavoro e l’ambiente, messi non in contrapposizione ma come elementi da tenere insieme per disegnare un nuovo modello di sviluppo sostenibile per il Paese.
E, ovviamente, il nuovo Pd, che inizierà  a prendere forma con le liste aperte per le europee, ma si svilupperà  anche negli organismi dirigenti, in particolare con i forum tematici che vedranno la partecipazione di associazioni e movimenti.
Anche per questo, il discorso di Zingaretti non sarà  rivolto solo alla platea dei delegati, ma vorrà  già  parlare al Paese, o almeno a quella parte di Paese che si sente lontana o delusa dall’onda giallo-verde: dai giovani scesi in piazza ieri per la mobilitazione green sollecitata dalla sedicenne svedese Greta Thunberg alle donne che si sono schierate contro il ddl Pillon, dalle migliaia di persone che hanno sfilato con il corteo antirazzista People a Milano a quelle che a Torino hanno voluto esprimere il proprio sì alla Tav.
Ma il suo intervento non è l’unica preoccupazione di Zingaretti in queste ore.
Con l’aiuto dei fedelissimi Mario Ciarla e Marco Miccoli, il segretario è impegnato a sminare il percorso che dovrà  portare domani all’elezione di Paolo Gentiloni a presidente e Luigi Zanda a tesoriere del partito.
Le minoranze, infatti, non intendono concedere gratuitamente il loro appoggio per garantire l’elezione all’unanimità  dell’ex premier (per la scelta di Zanda le sacche di malumore sono più radicate e quasi certamente non rientreranno del tutto).
Lo si capisce anche dalle dichiarazioni di Matteo Renzi – che ha annunciato la sua assenza “per motivi familiari” – a proposito del voto su Gentiloni: “Se è la scelta di Zingaretti, va benissimo”. Una scelta “di Zingaretti”, quindi non condivisa, come avrebbero preferito lui e i dem che ancora lo seguono.
Su questa richiesta di condivisione delle nomine insiste molto l’area guidata da Luca Lotti e Lorenzo Guerini, come il banco di prova su cui costruire eventualmente un profilo di minoranza non pregiudizialmente ostile al nuovo segretario.
Giachetti, invece, appare intenzionato a smarcarsi in ogni caso. Zingaretti sa bene di aver ricevuto dalle primarie una forza tale da consentirgli di andare avanti sulla propria strada, ma se rallentare un po’, senza pregiudicare il risultato, può servire a migliorare i rapporti interni, è disposto a farlo.
Non è detto, ad esempio, che domani presenti all’Assemblea la candidatura dei due vicesegretari (una data per certa è Paola De Micheli), che potrebbero arrivare più in là . Per la segreteria c’è ancora un po’ di tempo, dato che questa dovrà  passare il vaglio solo della Direzione.
Per il resto, si tratta soprattutto di instaurare un dialogo con tutti, che dimostri la volontà  di una gestione inclusiva del partito. Zingaretti ha già  iniziato a tessere questa tela, ma — come fanno notare i suoi — l’operazione è più complicata del previsto, data la carenza di una leadership condivisa nella minoranza.
Le tensioni interne all’ormai ex mozione Martina stanno agitando infatti anche la vigilia di questa Assemblea.
In ballo ci sono i membri da portare in Direzione (il vero ?parlamentino’ politico del partito, quello che ad esempio approva le liste per le elezioni), da eleggere anch’essi domani.
La quota riservata a questa minoranza è di circa 32 delegati: l’area Lotti-Guerini ne reclama il 70%, mentre Martina, Richetti e Orfini vorrebbero spartirsi il 50%.
Se una mediazione sulle quote di 60-40 appare raggiungibile, sarà  importante spulciare anche i singoli nomi, dato che molti appartengono a un’area grigia di confine tra lottiani e martiniani.
Da decidere è anche uno dei due vicepresidenti dell’Assemblea: se per la mozione Giachetti dovrebbe entrare Anna Ascani, è ancora aperta la trattativa interna (in pole position, la martiniana Debora Serracchiani).
Ma l’assetto complessivo sarà  trovato, come d’abitudine, solo all’ultimo momento utile dietro le quinte, mentre i delegati saranno impegnati in un dibattito da prolungare o ridurre secondo necessità .
Ma i nuovi equilibri non si capiranno solo dai dirigenti. In questo caso, infatti, sarà  interessante domani misurare gli umori dell’Assemblea, che possono aiutare a capire ad esempio se la base di provenienza renziana tenderà  a ricompattare le componenti guidate da Lotti e Giachetti in una linea dura con il segretario, oppure a divaricarle ancora di più tra una minoranza dialogante e una intransigente.
Già  durante la riunione dei parlamentari lottiani di mercoledì scorso erano emerse due linee differenti, che applausi e mugugni domani potrebbero divaricare.
Soprattutto, però, si noterà  il cambio di rotta rispetto al passato: la sala fotograferà  in maniera plastica la fine del dominio renziano sul Pd e l’apertura di una nuova fase. Riuscirà  a rinnovare la classe dirigente? Apparirà  sbilanciata a sinistra? Riuscirà  a parlare a quel civismo spesso evocato da Zingaretti?
Domani avremo le prime, seppur parziali, risposte.

(da “Huffingtonpost”)

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REGIONE LOMBARDIA: L’UFFICIO STAMPA CON QUATTRO REDATTORI ASSUME DUE VICEDIRETTORI

Marzo 16th, 2019 Riccardo Fucile

E UNO E’ UN POLITICO DELLA LEGA PRESIDENTE DEL MUNICIPIO 4

Fosse un giornale, fallirebbe dopo poche settimane.
Un direttore e ben due vicedirettori alla guida niente meno che di due giornalisti a tempo pieno e due part time.
E’ l’ufficio stampa del consiglio regionale della Lombardia, che informa i media sulle attività  dell’aula, cura la rassegna stampa per i consiglieri e gestisce il notiziario Lombardia Quotidiano all’interno del portale del parlamentino del Pirellone.
Altro che proverbiale efficienza lombarda, se per far girare la struttura serve un numero di capi in sostanza uguale a quello dei dipendenti.
Ma a far discutere sono soprattutto le ultime nomine, in particolare quella a vicedirettore di Paolo Guido Bassi, leghista doc della prima ora che con Matteo Salvini ha condiviso l’esperienza nei Giovani padani, nonchè attuale presidente del Municipio 4 del comune di Milano.
Tutto parte dall’avviso pubblico per il conferimento dell’incarico di direttore dello scorso dicembre, quando la legislatura Maroni è ormai agli sgoccioli.
Superano la selezione basata sui requisiti di ammissione più di 20 candidati. Alla fine viene confermato l’attuale direttore dell’ufficio stampa, Paolo Costa. Ma visto che un direttore da solo non basta, l’Ufficio di presidenza del consiglio, maggioranza di centrodestra, decide di affiancargli come in passato due vice, da scegliere tra gli aspiranti direttori.
E questo nonostante nel frattempo i redattori sotto di loro siano passati da sette, già  un numero piuttosto modesto, a quattro, di cui due a metà  servizio.
Su chi è ricaduta la scelta, con il voto contrario solo di Pd e M5S?
Su Aurelio Biassoni, dipendente da quasi vent’anni del consiglio regionale e considerato vicino al vice governatore Fabrizio Sala, esponente di Forza Italia.
E, appunto, sul leghista Paolo Guido Bassi, scelto come dirigente esterno in virtù soprattutto della sua esperienza fino a un anno fa in Lombardia Notizie, l’altro ufficio stampa regionale, dedicato alla giunta, per il quale Bassi seguiva l’ex governatore Roberto Maroni.
Il suo pedigree giornalistico vanta anche un’esperienza ultra decennale per il quotidiano del Carroccio La Padania, e — si legge sul curriculum inviato per la selezione — un’esperienza nel settimanale Il federalismo dell’Alta Brianza Società  Cooperativa Giornalistica.
Ma il neo vicedirettore, che nel 2018 ha conseguito una laurea in Scienze dell’Educazione e Formazione all’università  telematica Pegaso, è anche un politico politico, visto che dopo anni da consigliere di zona nel 2016 è stato eletto presidente del Municipio 4.
Proprio a causa della sua carica politica, il capogruppo del Pd al Pirellone Fabio Pizzul parla di “brutto segnale per l’istituzione. Sarebbe stato molto meglio, nell’individuazione di un ruolo a tutela di tutti i consiglieri, preferire una figura non così esposta politicamente. Anche la scelta di indicare ancora due vicedirettori, in una struttura che oggi conta solo quattro redattori, desta ulteriori dubbi. Ora sta al direttore Costa garantire che l’ufficio stampa del Consiglio dimostri quella terzietà  rispetto alle parti politiche che deve essere propria della pubblica amministrazione”.
L’ex segretario metropolitano dei democratici Pietro Bussolati invita poi Bassi a “rinunciare quantomeno agli emolumenti come presidente di Municipio”.
Del resto gli resterebbero gli oltre 70mila euro lordi più 9mila di premio di risultato massimo garantiti dal ruolo di vicedirettore. Una somma che, unita agli altri 70mila e rotti del collega Biassoni e ai 90mila più premio di risultato del direttore Costa, fa dell’ufficio stampa del consiglio una struttura che un vero giornale con appena due giornalisti interi e due a metà  non potrebbe certo permettersi.
C’è poi un’ultima cosa. Nel bando per la scelta del direttore si legge che “il rapporto di lavoro è in via esclusiva ed è pertanto incompatibile con l’esercizio di altra professione, del commercio, dell’industria, con cariche in società  costituite a fine di lucro e con altro impiego pubblico o privato”.
Ora, perchè il direttore non può fare tutte queste cose, mentre uno dei suoi vice può fare da politico il presidente di municipio?
Bassi garantisce che organizzando bene le giornate lavorative riuscirà  a fare entrambe le cose: “Ho già  fatto il vice caporedattore di Lombardia Notizie per cinque anni e anche lì c’è stata una sovrapposizione col ruolo di presidente di Municipio, senza che abbia avuto ripercussioni nè in un senso nè nell’altro”.
Quella dei due vice non è stata però una semplice spartizione di poltrone? “Dovreste chiederlo a chi ha fatto le cose — risponde Bassi — non certo a me che sono il terminale della situazione”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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MARIA GIOVANNA MAGLIE: “GRETA? L’AVREI MESSA SOTTO CON LA MACCHINA”

Marzo 16th, 2019 Riccardo Fucile

PIOVONO CRITICHE SUI SOCIAL: “BATTUTA CHE LA QUALIFICA”… LA CAMPAGNA PER DELEGITTIMARE LA GIOVANE CHE LOTTA CONTRO I CAMBIAMENTI CLIMATICI

Lei è un ex tutto. Una volta a l’Unità , dove tutti ricordano le sue note spese (i segretari di redazione dell’epoca sono ancora vivi) poi craxiana. Poi berlusconiana, poi alla Rai dove fu anche lì alle prese con qualche grana di rimborsi spese
Adesso ‘sovranista’ in quota Lega, con tanto di dichiarazioni sprezzanti e piene di luoghi comuni dopo la vittoria di Mahmood al festival di Sanremo.
E adesso quella che qualcuno avrebbe volentieri visto ad avere in eredità  lo spazio televisivo che fu di Enzo Biagi si è lasciata andare a frasi davvero sgradevoli
Così Maria Giovanna Maglie, intervenuta nella trasmissione Un giorno da pecora di Radio 1, ha risposto a chi le chiedeva cosa pensasse della giovanissima Greta Thunberg, la sedicenne svedese diventata il simbolo delle proteste ambientaliste studentesche: “Allora, adesso non si può più dire niente di male di Greta perchè mi hanno detto che ha la sindrome di, come si dice?”. Asperger. “Cioè che è malata di autismo. Allora a quel punto, il politically correct e anche il buonsenso mi vietano di dire quello che avrei detto se fosse stata sana. L’avrei messa sotto con la macchina“.
Il commento della Maglie — che se ne andò dalla Rai per le “spese pazze” quando era inviata negli Stati Uniti e di cui a gennaio si parlava di un ritorno in Viale Mazzini — arriva a pochi giorni dal tweet di Rita Pavone che sempre sulla 16enne svedese aveva scritto: “Quella bimba con le treccine che lotta per il cambio climatico, non so perchè ma mi mette a disagio. Sembra un personaggio da film horror…”.
Tanto quel tweet della cantante come il commento della Maglie hanno raccolto valanghe di critiche sui social.
La giornalista su twitter ha quindi replicato così alle polemiche: “Non posso fare una battuta durante una trasmissione di satira e di scherzo. L’esercito del #politicallycorrect è sempre #incinta“.
Ma nei commenti piovono altre critiche. “Non faceva ridere. È una cosa orrenda da dire visto quanto è attaccata questa ragazza e l’asperger non è una malattia”, scrive Donatella e c’è chi aggiunge: “La battuta era discutibile ma in fondo anche le battute servono a qualificare chi le fa quindi ben vengano per capire chi non apprezzare. Per il resto ha detto anche un’inesattezza quindi al prossimo intervento sul tema la insulti pure liberamente, Greta non ha una malattia“.
E Dr Fede le scrive: “Politically correct” è solo una scusa per dire stronzate a vanvera”.

(da agenzie)

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BRIATORE AMMETTE: “CONCESSIONI BALNEARI PAGATE POCO, VANNO TRIPLICATE”

Marzo 16th, 2019 Riccardo Fucile

IL PATRON DEL TWIGA: “RIVEDERE LE TARIFFE, IO DOVREI VERSARE ALMENO 100.00 EURO”… “MOLTI CONCESSIONARI HANNO AVUTO PEZZI DI TERRA DELLO STATO E PER DECENNI HANNO INCASSATO CIFRE DI PURA RENDITA”

«Gli affitti delle concessioni balneari andrebbero rivisti tutti. E almeno triplicati». Bum! ù
Fatto il botto, Flavio Briatore, creatore e proprietario del Billionaire in Sardegna, del Twiga a Marina di Pietrasanta e altri poli turistici esclusivi in giro per il mondo, sorride.
Sa che le sue parole rischiano di scatenare un putiferio tra i suoi colleghi balneari e prende tutti in contropiede: «Parlo anche per me: per il Twiga, di concessione, dovrei pagare circa 100.000 euro».
E racconta: «Quando abbiamo preso quel posto, una quindicina di anni fa, non andava. Abbandonato a se stesso. Mi pare che avesse una ventina di dipendenti stagionali. Non c’era neanche più il “Bagno”. C’era una specie di discoteca sotterranea. Sa come funzionava?»
Lo spieghi
«All’inizio dovevamo dare al vecchio concessionario 110.000 euro più i 4.322 che lui pagava di canone allo Stato. Poi il nostro affitto è raddoppiato a 200.000 euro più i soldi della concessione, saliti a 14.000, da pagare sempre al posto suo».
Rendita parassitaria pura
«Esatto. Totale 214.000 l’anno. Senza che il titolare facesse niente. Ovvio che, dovendo salvaguardare gli investimenti che avevamo fatto, l’anno scorso abbiamo deciso di comprare tutto: concessione e strutture».
Nonostante incombesse l’ipotesi «Bolkestein»
«Al contrario. Proprio perchè, se fosse passata la direttiva europea che obbliga a mettere a gara le concessioni avremmo avuto un grande vantaggio: nel caso di un’asta saremmo stati sia concessionari sia operatori. Abbiamo investito cinque milioni di euro, sul Twiga. Moltiplicando per otto volte i dipendenti, passati da una ventina a 160. Facendolo diventare un posto conosciuto in tutto il mondo. Un punto di attrazione per Marina di Pietrasanta, Forte dei Marmi, tutta la Versilia… Il Twiga non porta solo soldi a noi. Chi viene da noi la sera esce, va al ristorante, spende in giro… Siamo il punto di riferimento per una certa clientela…».
Quella del lusso.
«Lusso, lusso… Ce ne vorrebbero di più di Twiga, in Italia, piuttosto che le tende piantate nei giardini. Vanno bene anche i campeggi, per carità . Ma ci vuole di più. Noi lavoriamo bene. Offriamo qualità . Eccellenze. Ora partiamo anche con “Sumosan” che è un marchio nostro di sushi già  introdotto a Londra e a Montecarlo. Dobbiamo attirare in Italia il turismo che porta soldi sul territorio».
Quelle che i cittadini faticano a capire sono certe rendite stupefacenti sui beni pubblici.
«Ma su questo sono d’accordo! Lo dico anch’io! I concessionari, o almeno tantissimi di loro, non hanno mai fatto un ca… Hanno avuto per grazia ricevuta dei pezzi di terra dello Stato e per decenni hanno incassato delle cifre così, di pura rendita».
Quindi le concessioni dovrebbero andare all’asta.
«L’ho detto e lo ripeto. Lo Stato dovrebbe rivederle tutte. E almeno triplicare le tariffe».
Lei ci rimetterebbe di più: la sua tariffa è ferma a 17.619
«Sì, credo che centomila sarebbe un prezzo giusto. Io credo che se lo Stato mettesse due omini a controllare le metrature degli stabilimenti balneari e facesse un prezzo equo incasserebbe molti, molti soldi».
Ha un’idea della cifra?
«Mah… Mi ero anche informato. Mi pare che in tutta la Versilia lo Stato prendesse milione e seicentomila euro. Più o meno. Facciamo anche due milioni. Io credo che potrebbero diventare quindici milioni».
Dieci volte di più
«Senta, io faccio l’operatore e le dico che i canoni sono quelli di quindici o vent’anni fa».
Sta dicendo che il ministro del turismo Centinaio e il governo giallo-verde hanno sbagliato a concedere una proroga fino a 2034?
«Dico che è ora di adeguare i prezzi».
Lei frequenta molto la Francia: «Paris Match» ha scritto che il Comune di Ramatuelle si era spinto ipotizzare che i ventuno stabilimenti di Pampelonne potessero fare nei prossimi dodici anni un fatturato complessivo di 660 milioni di euro.
«Lì siamo sulla Costa Azzurra, è tutta un’altra storia. Praticamente lo Stato ha revocato a sè tutte le licenze (tutte), ne ha emanate di nuove e le ha messe all’asta: chi ha lavorato bene può riaverla, pagando un canone adeguato ai prezzi di oggi. Chi ha lavorato male no, chi campava di rendita ciao: non gli hanno dato niente. Non so se mi spiego: ho dovuto tirare fuori, in Versilia, quasi quattro milioni per avere quella concessione…»
Quindi il sistema francese a lei andrebbe bene.
“Si è fatta chiarezza. Chi opera è anche concessionario. Così sono state ribaltate tutte le coste francesi. Io stesso, dopodomani, dopo aver mostrato che siamo all’altezza, sono a Saint Tropez per vedere la possibilità  di prendere una spiaggia importante. Non grandissima, centoventi ombrelloni, un po’ più grande del Twiga… Ma una bella spiaggia».
E quanto va a pagare di concessione?
«Non so ancora. Centotrenta, forse centoquarantamila euro».
A Pampelonne 225mila…
«Non so… Lì i “bagni” sono molto più grandi. Diciamo che ci sono tre blocchi di prezzi a seconda della grandezza: da 130 ai 225 che dice lei. Lo scandalo vero, bisogna avere il coraggio di dirlo, sono sempre stati i concessionari. Che non hanno mai portato valore aggiunto e mai assunto persone e hanno dato una proprietà  non loro in affitto un terzo».
Quanti pensa che siano questi i concessionari che subaffittano?
«Non lo so. Abbastanza, credo».
Quindi lei, al posto del governo, non avrebbe regalato questi 15 anni di proroga.
«Una proroga l’avrei data perchè capisco l’apprensione di tante famiglie: arriva un gruppo di stranieri, rastrella dieci spiagge e lì comanda. È ovvio che il lavoro italiano va difeso. Però, una volta data la proroga, le tariffe degli affitti che i “bagni” devono pagare al demanio vanno riviste sul serio. Vanno adeguate».
Ma i tempi? Centinaio dice che lui potendo avrebbe dato una proroga di trent’anni…
«Se fossi io al governo lo farei subito, l’adeguamento. E sarebbe giusto. Capisco che a far subito le aste, con tante famiglie che vivono di quelle rendite, ci sarebbe stato un caos. Dopo aver avuto questo regalone, però, i concessionari stessi devono ben capire che certi canoni vanno adeguati. Almeno il tre o quattro percento del fatturato…»
È la tesi degli ambientalisti e tanti altri che contestano da anni le rendite di posizione in perenne prorogatio a prezzi spesso stracciati.
Scommettiamo? Polemiche in vista.

(da “il Corriere della Sera”)

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