Novembre 22nd, 2019 Riccardo Fucile
IL GOVERNO E’ BLOCCATO PERCHE’ IL CAPO POLITICO DEL M5S PENSA SOLO A FARE IL GUASTATORE… L’ERRORE DI FONDO: NON AVERLO CACCIATO A PEDATE DOPO AVER FATTO DIMEZZARE I VOTI ALLE EUROPEE… SE FAI UN ACCORDO CON IL PD NON PUOI FARLO GUIDARE DALLA STESSA PERSONA CHE HA GARANTITO L’IMMUNITA’ A UN SEQUESTRATORE DI PERSONE
Ormai si può parlare di “trappola”. È così che viene percepito il governo nel lungo autunno dello scontento democratico. Trappola, perchè è la classica situazione in cui avanti non si riesce ad andare e indietro non puoi tornare.
Questo è il quadro che emerge, senza tante reticenze, da una serie di colloqui con alti dirigenti del Nazareno e qualche ministro del Pd: “Come si fa ad andare avanti in queste condizioni?” è la domanda che, al momento, resta senza risposta.
E questo dà l’idea della crisi politica in atto: “Il governo non sembra nelle condizioni di governare”.
È lungo l’elenco dello scontento. Qualche elemento: sulla manovra ha presentato più emendamenti la maggioranza (4500) che l’opposizione, caso unico nella storia di una coalizione che vuole cambiare una manovra appena varata e frutto di una complicata mediazione tra le istanze dei partiti; mai si era visto che, dopo tre mesi di governo, parecchie deleghe ministeriali, come quella alla Comunicazione per citarne un caso, non sono state ancora assegnate.
E poi l’Ilva, la prescrizione, l’Emilia Romagna, la distanza che si è manifestata al tavolo convocato da Conte questa mattina tra Gualtieri e Di Maio al vertice sulla riforma del fondo salva-Stati.
Tutti dossier dove la divisione politica è accompagnata da un crescente clima di sfiducia tra i partner di governo.
La fotografia è questa, accompagnata da un corollario non banale, che forse è la vera notizia. L’assenza di un “piano B”.
Solo qualche settimana fa anche il segretario del Pd coltivava l’idea che, in fondo, se il quadro fosse precipitato — per colpa di Renzi, per un incidente, per qualunque ragione — si sarebbe potuto andare “al voto con Conte”.
L’ipotesi adesso non sembra essere più in campo. Per tutta una serie di ragioni. La prima è che c’è pur sempre un paese, con le sue emergenze, la sua agenda di priorità : è immaginabile andare al voto, anche dopo l’approvazione della manovra, con due bombe sociali come Ilva e Alitalia che rischiano di esplodere?
È immaginabile che il capo dello Stato possa concedere a cuor leggero le urne, oppure è più sensato interpretare lo spiffero quirinalizio – “l’alternativa a questo governo è il voto” — come un modo per dare una mano a tenere su il fragile edificio del Conte due? La sensazione è questa.
Così come sensazione diffusa è che Salvini, proprio perchè consapevole della delicatezza del momento, dell’enormità dei problemi sul tavolo del governo e dell’impatto economico e sociale, non abbia tutta questa fretta di andare a palazzo Chigi.
Dice una fonte qualificata: “La spina la staccherà lui, ma sceglierà il momento propizio. In fondo gli basta portare con sè una quindicina di senatori dei Cinque Stelle che, se vuole, si prende in un minuto per poi aprire la crisi il minuto dopo”.
Dicevamo, il piano B, che non c’è. La seconda ragione è che è naufragato nella foto di Narni, invecchiata d’un colpo nella notte elettorale umbra. E naufragato soprattutto nella crisi che attanaglia in Cinque stelle.
Anche colui che più di tutti ha scommesso sull’operazione governo è apparso sfiduciato: “Sono stanco”, sono queste le parole che Dario Franceschini ha consegnato a più di un interlocutore. “Stanco” non significa “arreso”. Significa che percepisce che si è arrivati a un punto in cui è complicato riacchiappare il bandolo della matassa.
Non c’è solo un problema di “anima”, parola molto usata. C’è un problema di “guida”, di determinazione, di tenuta.
Il voto di Rousseau segna un salto di qualità . La vulgata, alimentata dalle dichiarazioni ufficiali, vuole che sia stato un vaffa della base contro i vertici, subito da Di Maio che avrebbe voluto non presentare la lista, secondo una logica di “desistenza”.
Il sospetto vero, dell’intero gruppo dirigente del Pd, è che Di Maio non lo abbia subito affatto, anzi ha usato il voto su Rousseau per smontare la svolta di Grillo: “Lì dentro — dicono le stesse fonti — Grillo e Conte vogliono stabilizzare l’alleanza con noi, Di Maio vuole farla saltare. È un caso che, a freddo e all’unisono con Salvini, ha aperto un fronte sul salva-stati, proprio nei giorni in cui si è pronunciata la piattaforma? È un caso che il voto su Rousseau sia stato organizzato in fretta e furia, senza la preparazione che fu dedicata ad esempio a quello sulla Diciotti, preparato e in qualche modo indirizzato dal dibattito pubblico quando gli stava a cuore salvaguardare il governo?”.
Ecco, è l’idea di un blitz l’analisi vera di quel che è successo. Confermata dalle reazioni del giorno dopo, col fondatore del Movimento che arriva a Roma e il leader che neanche si fa trovare.
Insomma, la crisi dei Cinque stelle sta facendo implodere il governo. Torniamo al punto: che fare, in una situazione in cui il destino non sembra essere nelle proprie mani?
Che fare, in una situazione in cui i partner internazionali comunque spingono affinchè si vada avanti con questo governo, perchè l’alternativa rappresenta la messa in discussione della tradizionale collocazione geopolitica del paese?
E chissà che anche il viaggio americano del Pd non abbia contribuito ad archiviare quell’ipotesi di ritorno al voto che qualche settimana fa era assai presente nei ragionamenti dello stato maggiore del Pd.
Che fare, oltre al portare la croce? Se, per un qualunque motivo, ci dovesse essere un incidente, la linea è di mettere su una coalizione pret a porter “da Calenda a Conte”: una gamba di centro e una con “quelli che ragionano dei Cinque Stelle” che, al dunque, saranno costretti a scegliere.
Senza Renzi, le cui basse percentuali elettorali consentono di sostituirlo col richiamo al voto utile. Nel frattempo aprire un confronto sulla legge elettorale con i partiti maggiori, perchè col Rosatellum non c’è storia: al centrodestra andrebbero tutti gli uninominali.
E aspettare che il “travaglio” dei Cinque stelle produca il parto di un chiarimento, anche sotto forma di una separazione tra le sue due anime: un pezzo di qua, uno di là . È poco, ma sono le condizioni date di una coalizione composta da un partito mai nato (Renzi), uno non pervenuto (Leu), uno in crisi identitaria (i Cinque stelle) e un unico partito comunque vivo, nonostante due scissioni subite (il Pd), ma autosufficiente col suo 20 per cento.
L’unico atto politico di tre mesi di governo è la manovra, col suo percorso a ostacoli. Oltre la manovra, da gennaio, c’è il buio.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 22nd, 2019 Riccardo Fucile
DI MAIO E’ PARTITO PER LA SICILIA… IL FONDATORE DEL M5S SI RITROVA UN LEADER SCONFESSATO E SOTTO ACCUSA… IN PROGRAMMA INCONTRI CON DIVERSI BIG
Uno arriva e l’altro va via. Luigi Di Maio sale le scalette di un aereo destinazione Sicilia mentre Beppe Grillo è in viaggio verso Roma.
Basterebbe questo per capire la distanza tra i due se non fosse che, nelle ore in cui circolava l’ipotesi di un incontro, il capo politico ha postato una foto pronto al decollo. Così da fugare ogni dubbio e marcare sfacciatamente la volontà di non vedere il garante del Movimento. Almeno per adesso, almeno fino a lunedì sera.
Nessun faccia a faccia nonostante l’intero mondo pentastellato, o almeno ciò che ne rimane, stia vivendo ore complicatissime. “Grillo è arrivato qui e si trova davanti un Movimento senza idee e senza leader”, uno dei parlamentari molto vicino ai vertici commenta così lo stato dell’arte. Commento amaro, molto diffuso tra i deputati e i senatori grillini. Per questo il garante incontrerà tanti esponenti grillini, tra cui forse anche Alessandro Di Battista.
Si confronterà con loro non solo sulla guida del Movimento, ma anche sull’alleanza con il Pd, di cui Grillo continua ad essere il maggiore sponsor al contrario di Di Maio, e sulle elezioni regionali. A questo proposito, giusto per citare un post, si è già espressa Roberta Lombardi: “Facciamo votare su Rousseau se andare in coalizione, il ruolo del capo politico singolo ha fallito”. Una nuova bomba è stata sganciata.
Il voto di giovedì sulla piattaforma Rousseau che ha sconfessato la linea del capo politico ha dato il colpo di grazia. Di Maio non aveva alcuna intenzione di presentare le liste elettorali in Emilia Romagna e in Calabria, avrebbe preferito un momento di riflessione, ma nei fatti c’è stato un vero e proprio plebiscito contro di lui. E ora è come se Grillo fosse corso a Roma al ‘capezzale’ della sua creatura per recuperare i cocci e provare in extremis a rimetterli insieme.
Il garante del Movimento, insomma, è determinato a far sentire la sua presenza, ma dribbla le domande dei cronisti che lo attendono fuori all’Hotel Forum e gli chiedono se non sia arrivato il momento di destituire Di Maio all’indomani del voto su Rousseau. Sono ore di impazzimento. All’interno della truppa parlamentare monta il malcontento e sale il pressing nei confronti di Di Maio affinchè faccia un passo indietro o condivida l’incarico con qualcun altro.
In questo contesto esplosivo, il capo politico fa visita ai comuni della Sicilia colpiti dal maltempo per far vedere che il governo è vicino non solo a Venezia. Dal Sud prova a ribaltare la narrazione dei dissidenti, plaudendo alla democrazia interna del Movimento, nonostante lo abbia sconfessato, e cogliendo al balzo la volontà degli attivisti per allontanarsi ulteriormente dall’alleanza con i dem.
Alleanza che Di Maio non ha scelto ma l’ha subita, in quanto voluta soprattutto e prima di tutti proprio da Beppe Grillo. Il quale non ha mai fatto passi indietro piuttosto, molto vicino negli ultimi tempo al premier Giuseppe Conte, vorrebbe consolidarla ancora di più.
Il capo politico sembra intenzionato a difendere la sua leadership mostrando come, in realtà , non sia lui a decidere. Eppure, lo strappo del M5S sulle Regionali rischia di essere un problema per il governo.
Il leader nega qualsiasi ripercussione ma a Palazzo Chigi l’aria che si respira è pesante. Fonti della maggioranza raccontano di frequenti contatti telefonici tra Conte e Grillo. Di un premier che qualcuno vorrebbe a capo di un suo partito ma che al momento attende, consapevole che solo un vero rilancio della coalizione di governo potrà evitare le urne.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 22nd, 2019 Riccardo Fucile
PECCATO CHE IN VENETO ESISTA ED E’ DELL’1,23%… SE MAGARI STESSE ZITTA PER DUE MESI CI GUADAGNEREBBE
Forse, a forza di decantare propagande che non corrispondo con la verità , si perde la
connessione con la realtà .
E così accade che Lucia Borgonzoni, nella faticosa corsa in vista della scadenza elettorale in Emilia Romagna del 26 gennaio 2020, racconta ai suoi futuri (prossimi e probabili) elettori su Facebook una storia che sembra essere una leggenda mitica.
Un romanzo che porta il nome ‘Il Veneto No Tax’. La candidata leghista ha detto di voler inseguire il modello creato da Luca Zaia, con l’abolizione delle addizionali Irpef. Ma, ovviamente, non è così.
«Progressivamente, negli anni, voglio ridurre le tasse regionali fino ad arrivare ad azzerare l’addizionale regionale Irpef. C’è riuscito il Veneto, governato dalla Lega, mi piacerebbe poterlo fare anche nella nostra Regione».
Scrive così Lucia Borgonzoni sul proprio profilo Facebook, forse mal consigliata dalla propaganda leghista che le ha raccontato questa vicenda omettendo alcuni dettagli.
Il Veneto dell’amico e collega di partito Luca Zaia è l’unica regione italiana ad avere una sola addizionale Irpef per qualsiasi tipo di reddito. Insomma nessuna variazione: tutti i cittadini pagano l’1,23%. Sia con un reddito alto, sia con uno molto basso.
Ma non è possibile abolire l’addizionale Irpef integralmente, perchè è regolamentata da una legge dello Stato. È data possibilità alle singole Regioni, invece, di stabilirne la percentuale e gli eventuali scaglioni. Ma la candidata leghista, non contenta, ha reiterato quel concetto sbagliato.
«Bonaccini mi chiede come farò a ridurre le tasse? Riducendo gli sprechi e prendendo esempio da esperienze virtuose, come quella Veneta, dove il governatore della Lega, Luca Zaia, oltre a non applicare l’addizionale regionale Irpef, riesce anche a realizzare un avanzo di bilancio rilevante in sanità », ha ribadito Borgonzoni continuando a raccontare una storia non vera.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 22nd, 2019 Riccardo Fucile
ROMA E’ LA CITTA’ CON MAGGIORE IMPRENDITORIA FEMMINILE E CON PIU’ AZIENDE GUIDATE DA RAGAZZE IMMIGRATE
Sono giovani. Sono straniere. Sono donne.
Di anno in anno, a Roma l’imprenditoria femminile cresce sempre di più. La tendenza è diffusa al livello nazionale. Ma qui, nella Capitale, non è un’eccezione. Bensì un elemento fondamentale per lo sviluppo del turismo, della ristorazione e del commercio. Merito, in parte, dei finanziamenti erogati e del supporto dato a chi decide di aprire una nuova attività .
Nel 2018 in Italia si contavano un milione di imprenditrici (circa 6mila in più rispetto al 2017). Quelle che hanno scelto di aprire la propria azienda a Roma rappresentano il 7,6 percento.
“Cresciamo e continueremo a crescere”, commenta ad Huffpost Valeria Giaccari, presidentessa del Comitato per l’imprenditorialità femminile.
Un anno fa tra le Mura capitoline erano registrate più di 100mila imprese femminili: il 20 per cento del totale delle società presenti sul territorio. Nel 2017 erano quasi 2mila in meno.
Ogni 100 attività , quindi, 20 sono gestite da donne. Probabilmente 7 da under 35 e 5 da straniere. Roma infatti non è soltanto la città dove l’imprenditoria femminile si è diffusa maggiormente, ma è anche quella dove si sono registrate più aziende guidate da giovani o da ragazze emigrate. Categorie considerate fragili che oggi fanno fatica ad affermarsi nella comunità e sul mercato.
Se la parità dei sessi tanto agognata non fosse ancora un obiettivo da raggiungere, un dato come questo non dovrebbe suscitare clamore. Ma il percorso verso un’uguaglianza che riconosca diritti e doveri di entrambi i sessi è lungo. Nel 2017 l’Organizzazione internazionale del lavoro stimava che al livello mondiale soltanto una donna su 2 lavorasse attivamente. C’è anche molta strada da fare.
“Ho deciso di mettermi in proprio due anni fa. Dopo aver girovagato l’Italia per mesi, ho scelto Roma”, racconta ad Huffpost Chiara, proprietaria di una boutique vintage al Pigneto. Ha 31 anni e adora la sua professione.
Per aprire la sua attività , ha lasciato un contratto a tempo indeterminato come commessa. “Sono contentissima di aver fatto questa follia”, confessa. Rispetto al resto d’Italia tra le Mura capitoline sono molte le under 35, come Chiara, che decidono di cimentarsi aprendo una propria azienda. Nel 2018 un’impresa su 4 era amministrata da una ragazza.
Ciò che spinge migliaia di giovani a diventare delle imprenditrici non è solo la determinazione. Fondamentale per chi si approccia a questo lavoro è l’aiuto di un ente pubblico che insegni a gestire le questioni burocratiche.
Nella Capitale dal 2011 esiste il Comitato per l’imprenditorialità femminile, una struttura che dipende dalla Camera di Commercio e che è dedicata alla valorizzazione delle aziende rosa. “Mi sono rivolta al Comitato per aprire la mia boutique. Passo dopo passo mi hanno spiegato tutto. È anche merito loro se sono riuscita a ottenere il prestito in banca”, spiega ancora Chiara ad Huffpost.
Non essere soli è indispensabile. Soprattutto per chi non è nato e cresciuto in Italia. Parte integrante dell’economia capitolina sono le imprese straniere. Sul territorio se ne contano più di 68mila: il 21 per cento è gestito da una donna.
Sono ristoranti, negozi, parrucchieri o saloni estetici. Anche in questo per imporsi sul mercato ciò che conta è l’originalità delle proprie idee. “Volevo creare un negozio diverso che avesse come obiettivo la cura dell’immagine nella sua totalità : dall’estetica all’abbigliamento”, racconta ad Huffpost Neda Mokthari, designer iraniana 36enne che nel 2013 ha aperto lo store “Concept Image”.
È arrivata In Italia nel 2004 per studiare. Dopo aver frequentato l’Accademia delle Belle arti, ha aperto la sua attività : un salone di bellezza dove coniuga i trattamenti del corpo alla produzione di vestiti. Neda si occupa della sartoria. Nonostante per lo Stato non sia una cittadina italiana, lei si sente tale: “Oramai vivo e lavoro qui da anni”, spiega ad Huffpost. La sua azienda e il suo impegno le hanno permesso di integrarsi ancora prima che la burocrazia italiana (spesso troppo lenta) sia arrivata a certificarlo. “Aprire Concept Image è stata una salvezza”, confida.
A differenza di molte altre imprenditrici, Neda non ha usufruito di alcun aiuto economico da parte delle istituzioni. La formazione e il sostengo, infatti, non sono l’unico incentivo che la Camera di commercio e la Regione danno a chi decide di aprire una propria società . Altrettanto importanti per cementare la diffusione dell’imprenditorialità femminile sul territorio sono i finanziamenti. Dal 2014 la Giunta mette a disposizione dei progetti più creativi un milione di euro.
“Io ho vinto 5mila euro. Nonostante non sia stato un ricavo ingente, per la mia attività è stato fondamentale. Ricevendo quel riconoscimento ho iniziato a credere sul serio nel mio lavoro. Mi sono costruita un’identità ”, racconta Sonia, 47 anni, proprietaria dell’orto “Giardino di Proserpina”.
Insieme a suo marito, Fabrizio, ha aperto il loro piccolo angolo di paradiso un paio di anni fa. Lei maestra, lui tassista, volevano far in modo che chiunque lo desiderasse potesse coltivare a distanza i propri prodotti. “Da qui l’idea di prendere un terreno e di permettere alle persone di affittarne una parte”, spiega.
Lei e Fabrizio si occupano della coltivazione e di far arrivare la verdura a destinazione. Per adesso vivono ancora al centro di Roma e continuano a lavorare part time: “Facciamo avanti e indietro. Ma il nostro obiettivo è trasferirci qui per dedicarci completamente al nostro progetto”, dice speranzosa Sonia ad Huffpost.
Come lei, molte altre imprenditrici sperano di poter fare lo stesso. Ci vogliono impegno, costanza e determinazione affinchè quei dati dell’Eurostat che nel 2016 certificavano l’esistenza (o la persistenza) di un divario tra l’occupazione femminile e quella maschile siano superati. Oltre alla tenacia dei singoli, serve il sostegno delle istituzioni. Proprio per far sì che persone con storie e difficoltà diverse possano aspirare agli stessi traguardi.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 22nd, 2019 Riccardo Fucile
DAL SUDAMERICA AD HONG KONG, I GIOVANI SI METTONO IN GIOCO PER CONQUISTARSI UN FUTURO DI LIBERTA’
Cile, una ragazza, in piazza per la libertà e la democrazia, picchiata e bloccata dai carabineros in
completo anti sommossa.
La ragazza sanguina dalla testa mentre è trascinata verso una camionetta blindata per essere portata in carcere, o in una di quelle stanze di sicurezza dove in queste settimane, in questi giorni, accade di tutto, come nel Cile di tanti anni addietro.
La ragazza urla “Papà !!!!”, lo ripete con più forza tanto più si avvicina al portellone già aperto della camionetta bianca e verde: Papà !!!! Papà !!!!”.
In Cile da tempo è tornata la paura di altri tempi, la cronaca da quel Paese offre al mondo distratto la morte misteriosa di Daniela Carrasco, artista di strada 36enne.
La sua faccia mascherata, dipinta da clown oggi è diventata velocemente il volto delle proteste che da oltre un mese incendiano il Cile.
La sua immagine viaggia sui social, come di profilo in profilo, seguito dall’urlo di questa ragazzina che implora l’intervento del padre.
Daniela Carrasco, conosciuta in strada come El Mimo è stata trovata impiccata ad una recinzione alla periferia di Santiago del Cile lo scorso 20 ottobre.
Il giorno precedente Daniela era stata fermata dai militari, loro l’avrebbero violentata, torturata, quindi lasciata appesa per ore all’inferriata.
Un avvertimento ai tanti ragazzi che continuano a scendere in strada per la libertà , la democrazia e contro un carovita che sta strozzando le loro famiglie, soffocando il loro futuro.
La ragazza che implora il padre di non lasciarla nelle mani dei carabineros sa di Daniela, conosce le torture che le hanno inflitte, ha parlato con i suoi coetanei della violenze alla ragazza che in strada faceva sorridere la gente. E per questo ha paura, è piccola, urla “Papà !!”, e disperatamente.
Il padre della ragazza non è distante, pure lui era in strada, con la figlia, con tanti altri, per strappare il Cile dalle mani di chi la vorrebbe ancora una volta regalarla ad una dittatura.
L’uomo si fa strada tra i carabineros, qualcuno prova ad aiutarlo, vorrebbero strappare la ragazza dalle mani dei militari, restituirla alle braccia del padre. L’uomo urla, si fa largo con tutte le sue forze, implora gli uomini in divisa, che lascino la figlia.
I carabineros non mollano, e allora anche l’uomo non molla, non lascia la figlia, non la lascerà sola, costi quel che costi. Così, abbracciati, salgono sulla camionetta. Il padre si fa arrestare con la figlia, per non lasciarla sola.
L’uomo ha i capelli bianchi, ha impressa negli occhi un’altra storia, sempre in Cile.
Ricorda i rastrellamenti di ragazzi e di ragazze, ricorda quanti di loro finirono nel nulla. Ricorda quanto è stato difficile ricominciare, ricostruire.
In queste ore, dal Cile ad Hong Kong passando per tante altre piazze, c’è tanta cronaca come questa che ci arriva dal Cile.
Parla di ragazzi giovani, giovanissimi, che si mettono in gioco per quello che credono, contro quello che credono un attacco al loro futuro.
Non sappiamo dove andranno i nostri giovani ai quali si stanno accodando tanti uomini e donne coi capelli grigi e bianchi.
Non sappiamo se sapranno portarci in acque fresche e pulite.
Certo l’alternativa a questa scommessa appariva l’acqua putrida di una pozza dove cominciava a mancare l’ossigeno.
(da Tpi)
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Novembre 22nd, 2019 Riccardo Fucile
NELL’82% DEI CASI L’AUTORE HA LE CHIAVI DI CASA
Vittime e carnefici della violenza sulle donne sono soprattutto italiani. E l’82% delle volte l’autore non deve introdursi con violenza nell’abitazione, ha le chiavi di casa o gli si apre la porta. È infatti quasi sempre il compagno o un conoscente.
A raccontarlo è la Polizia di Stato che in vista della Giornata internazionale contro la violenza di genere del prossimo 25 novembre ha presentato a Milano il rapporto “Questo non è amore 2019” che fa il punto sul fenomeno.
Le vittime della violenza di genere sono italiane nell’80,2% dei casi e gli autori sono italiani nel 74% dei casi, viene spiegato durante la presentazione organizzata dalla Dac (Direzione Centrale Anticrimine).
Solo a titolo di esempio, nel mese di marzo 2019, in media, ogni 15 minuti è stata registrata una vittima di violenza di genere di sesso femminile.
Nonostante questo, nel complesso la violenza di genere appare in leggera diminuzione nel biennio 2018-19, se si parla dei casi denunciati: “Calano del 16,7% le violenze sessuali, -2,9% i maltrattamenti in famiglia, -12,2% gli atti persecutori. Rispetto al 2018, nel periodo gennaio-agosto 2019 diminuisce del 4% il numero di vittime di sesso femminile sul totale degli omicidi, si passa infatti dal 38% al 34%“.
In questo quadro, però, il femminicidio fa registrare un aumento in controtendenza: si passa dal 37% di femminicidi sul totale delle vittime di sesso femminile del 2018, al 49% nel periodo gennaio-agosto 2019. Il 67% di queste vittime è straniero e nel 61% dei casi l’autore è il partner. L’arma da taglio è la più utilizzata.
“Sul fronte della prevenzione, l’ammonimento del Questore appare un’arma efficace — commenta la Dac — Nel 2018 le recidive per i soggetti ammoniti per atti persecutori si attestano sul 20% mentre salgono al 30% per gli ammoniti per violenza domestica. Il ‘Protocollo Zeus’ sottoscritto nel 2018 dalla Divisione anticrimine della Questura di Milano con il Centro Italiano per la Promozione e la Mediazione è stato seguito dall’80% degli ‘ammoniti’ con una evidente ricaduta sulla recidiva: il 10% dei soggetti trattati dal Centro ha realizzato ulteriori condotte dopo l’ammonimento”.
Il ‘Protocollo Eva’, ha spiegato al Polizia di Stato, “nel biennio 2018-2019 ha registrato più di 9.550 interventi, consentendo negli ultimi 12 mesi di arrestare 106 soggetti autori di violenze domestiche e di adottare 76 provvedimenti di allontanamento da casa”.
Un paio di provvedimenti che farebbero crollare il numero delle vittime dei reati:
1) Accertamenti in 24 ore della veridicità della denuncia e immediato arresto e traduzione in carcere del violento in attesa del processo
2) Stanziamento immediato di 1500 euro al mese per almeno due anni alla donna/moglie vittima, in modo che possa avere un aiuto concreto per non dipendere dal coniuge, altrimenti non ha il coraggio di denunciarlo, come nella gran parte dei casi.
Invece che fare chiacchiere la politica dovrebbe aiutare realmente le donne vittima di violenza: se dopo il carcere il marito continua a molestare altri 5 anni di galera, così gli passa la voglia di rompere i coglioni.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2019 Riccardo Fucile
UN DIRIGENTE: “AD ORDINO’ LO STOP DI ORDINI E VENDITE, IL PIANO PREVEDEVA UNA SCORTA MINIMA”… UN MANAGER: “PREVISTE PERDITE PER 700 MILIONI”
Lo scudo penale è una scusa: ArcelorMittal vuole andare via da Taranto perchè non ha più soldi
da destinare all’ex Ilva.
Non solo: il contratto d’affitto è valido e la cordata francoindiana è tenuta a rispettarlo. Questa in sintesi la linea della procura di Milano che sostiene la posizione dei commissari straordinari nel ricorso d’urgenza contro il gruppo franco-indiano che vuole recedere dal contratto di affitto.
I pm hanno depositato un atto di adesione di dieci pagine al giudice Claudio Marangoni davanti al quale si discuterà il prossimo 27 novembre il ricorso d’urgenza.
Secondo la Procura di Milano “la vera causa della disdetta” è “riconducibile alla crisi di impresa” della multinazionale. Gli imprenditori aveva intenzione di disimpegnarsi e hanno usato “pretestuosamente” la vicenda dell’abrogazione dello scudo penale.
A sostegno di questa teoria, le parole di un dirigente ascoltato lo scorso 18 novembre: “In più riunioni tenute da settembre ad oggi sia il precedente amministratore delegato Mathieu Jehl, sia il nuovo amministratore delegato Lucia Morselli, hanno dichiarato che la società aveva esaurito la finanza dedicata all’operazione” di affitto con obbligo di acquisto dell’ex Ilva.
Uno dei passaggi del verbale fa riferimento alle affermazioni di un dirigente in merito alle scorte destinate alla produzione: “Nonostante la sospensione del piano di fermata, l’azienda non ha tutto quello che serve per proseguire l’attività in quanto l’approvvigionamento delle materie prime è stato cancellato”.
E ancora. “Il piano prevedeva di lasciare una scorta minima di materie prime solo per un altoforno per un mese”.
Anche l’amministratore delegato di Arcelor Mittal, Lucia Morselli, “ha dichiarato ufficialmente” in un incontro “ai primi di novembre” con “i dirigenti e i quadri” che erano stati fermati “gli ordini, cessando di vendere ai clienti”.
Dettagli sulla situazione economica dell’azienda emergono da altri stralci del verbale: “Stiamo pagando, ma con ritardo. Ad oggi abbiamo circa 130 milioni bloccati, ma, tra gli altri, ci sono anche problemi nella regolarità della documentazione dei fornitori”, ha detto il direttore Finance di Arcelor Mittal, Steve Wampach, sentito due giorni fa come teste dai pm di Milano.
Il manager ha aggiunto che “la previsione” di perdita per il 2019 è di “circa 700 milioni”. Stando alle dichiarazioni raccolte dai pm, l’ultima rata dell’affitto: “Il canone di affitto di ramo d’azienda è trimestrale anticipato per rate di 45 milioni di euro. L’ultima scadenza del 5 novembre non è stata onorata e stiamo quindi iniziando il processo di escussione della garanzia”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 22nd, 2019 Riccardo Fucile
LA COMPOSIZIONE DELLA SQUADRA DI GOVERNO RIVELA CHE SONO TORNATI I VECCHI NOTABILI TRASFORMISTI, COME PREVISTO
L’Umbria, ovvero una giunta regionale di politici riciclati e paracadutati. Se Matteo Salvini aveva promesso i fuochi d’artificio dopo la liberazione della regione “dai comunisti”, la composizione della squadra di governo a guida Donatella Tesei è un mix di vecchi arnesi, di re del trasformismo e di politici che, almeno in un caso, non c’entrano nulla con l’Umbria.
Resta insomma un ricordo la frase del Capitano di via Bellerio scolpita a ogni comizio: “L’Umbria agli umbri con politici autorevoli, fuori dalle vecchie logiche di sistema”.
E invece udite, udite, basta scorrere la lista degli assessori e incappare in cima nel profilo di Luca Coletto, che non è propriamente un autoctono, ma un veronese di 58 anni.
Coletto è stato a lungo assessore regionale della Sanità in Veneto di Luca Zaia, che ne tesse le lodi a ogni piè sospinto, poi presidente di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), ma soprattutto ha rivestito un ruolo all’interno del primo governo presieduto da Giuseppe Conte.
Ecco, fino allo scorso settembre Coletto è stato il sottosegretario alla Salute dei gialloverdi, salvo poi ritrovarsi spaesato, senza un incarico all’altezza del suo curriculum che annovera per l’appunto un diploma da geometra. E allora perchè non piazzarlo nella giunta Tesei, con la delega alla Sanità e perchè no, provare a privatizzarla?
Sia come sia l’altro campione che è stato scelto da via Bellerio rimanda al profilo di Enrico Melasecche. Quest’ultimo è una vecchia conoscenza della politica ternana, di anni 71, di formazione democristiana.
Quando crolla il sistema della Prima Repubblica, Melasecche non demorde, ma inizia a navigare nei partititi di centro, parenti della fu Balena Bianca. Eccolo prima fra le fila del Cdu (Cristiani democratici uniti), e poi ancora nell’Udc di Pierferdinando Casini, fino ad approdare in Forza Italia.
Per dieci anni poi decide di appendere il consenso al chiodo. Poi però succede che Salvini trasforma la Lega secessionista in un partito nazionale. O almeno sembra così. E allora Melasecche è attratto dalle sirene di via Bellerio fino a candidarsi per il rinnovo del consiglio regionale dello scorso 27 ottobre. Risultato finale: Melasecche racimola 3.750 preferenze ed è il primo dei non eletti. Che peccato. Ma diccì, abile nelle trattative e forte del consenso ragrannellato, riesce a spuntarla e a ottenere la delega ai Trasporti pubblici.
Senza dimenticare Paola Agabiti, sposata Urbani. Quest’ultima è una famiglia regina nel campo dei tartufi tant’è che uno degli Urbani, il cognato di Paola Agabiti, è anche il presidente di Confindustria Terni.
Eppure qui il dettaglio è un altro: la nostra è stata infatti sindaca del comune di Scheggino, che, guarda caso, è lo stesso comune di origine di un pezzo del potere che rimanda all’ex segretario regionale del PD, Gianpiero Bocci, finito agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Perugia su presunti illeciti nelle assunzioni nel sistema sanitario umbro.
Ecco, le malelingue raccontano che la Agabiti Urbani avrebbe usufruito della macchina del consenso “bocciano” e da ora in avanti rivestirà la carica di assessore al Bilancio.
Ma non è finita qui. Roberto Morroni, oggi in Forza Italia, è una indimenticabile presenza della Prima Repubblica. Negli anni d’oro in cui dominava la scena la Democrazia cristiana, egli era un funzionario del Psi a guida Bettino Craxi.
Poi l’assunzione a Mediolanum, e ancora l’approdo naturale a Forza Italia, prima come sindaco di Gualdo Tadino, poi consigliere regionale. E ora questo eterno socialista avrà l’arduo compito di essere il vice di Donatella Tesei, ma anche di detenere due deleghe pesanti come l’Agricoltura e l’Ambiente.
Con un dettaglio: Morroni non intende dimettersi da consigliere regionale.
E che dire poi di Michele Fioroni, che non ha alcuna parentela con il popolare Beppe, ma in regione è stato ribattezzato “l’uomo magico”. Perchè, sibilano, “ottiene le cariche senza essere stato mai eletto”.
Fioroni appunto è stato già assessore due volte al comune di Perugia. Oggi l’upgrade ad assessore al Turismo e al Marketing. La ragione? Essere stato lo spin doctor della Tesei in campagna elettorale. E averla condotta alla vittoria.
Peccato che pensavamo si chiamasse Matteo Salvini lo stratega della comunicazione.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 22nd, 2019 Riccardo Fucile
ADESIONE SUPERIORE ALLE ATTESE: “QUESTA CITTA’ NON ABBOCCA”
“Palermo non si Lega” e “Fuori la Lega” da Palermo”. La città risponde al movimento delle
sardine con una piazza Verdi strapiena. Circa 10.000 persone, tra studenti, lavoratori, professionisti, pensionati, si sono ritrovati ai piedi del teatro Massimo, con cartelli, disegni e soprattutto sardine di cartone appese al collo, attaccate ai giacconi. “Questa piazza rappresenta una maggioranza silenziosa che si è svegliata e che afferma che i problemi dell’Italia non sono colpa del diverso – dice Leandro Spina, 29 anni, studente, uno degli organizzatori – vogliamo che finisca la politica che alimenta l’odio sui social e nelle tribune politiche, ma chiediamo a tutta la politica di svegliarsi e rispondere alle esigenze della gente”.
Non ci sono partiti e bandiere in piazza. A manifestazione in corso si fa vedere il sindaco Orlando che in giornata aveva aderito alla manifestazione.
L’unico vessillo lo abbozza il giovanissimo Luigi, appena 16 anni, studente del liceo scientifico Galilei, che porta in spalla una sardina gigante di colore blu con le stelle dell’Ue. “Sono nato nei primi del 2000 e sono preoccupato per l’unione e le democrazia del Vecchio Continente”.
E sfilano gli slogan delle sardine. “Palermo non abbocca”, “Palermo non si Lega”, “Meglio sardina che minchia marina”, “Sarda si nasce e io sicuramente lo nacqui”.
In piazza c’è anche la gente comune che si distribuisce sardine di carta.
“Sono qui perchè siamo assuefatti e ci aspettiamo un’altra direzione dalla politica”, dice Massimo. E gli organizzatori intervengono su una scala con il megafono: “Vogliamo dare un segnale forte ai ragazzi di Bologna e slegarci da una politica che si è svuotata di significato e contenuti e veicola solo messaggi di odio sui social e ogni giorni in tv”, dice Gabriele Scalia di Uniattiva, un altro organizzatore.
(da agenzie)
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