Marzo 4th, 2021 Riccardo Fucile
NEL 2020 SONO 335.000 LE FAMIGLIE IN PIU’
La povertà assoluta torna a crescere e tocca il record dal 2005. Le stime preliminari Istat del 2020 indicano valori dell’incidenza di povertà assoluta in crescita sia in termini familiari (da 6,4% del 2019 al 7,7%), con oltre 2 milioni di famiglie, sia in termini di individui (dal 7,7% al 9,4%) che si attestano a 5,6 milioni.
Nell’anno della pandemia si azzerano i miglioramenti registrati nel 2019. Dopo 4 anni consecutivi di aumento, si erano infatti ridotti in misura significativa il numero e la quota di famiglie (e di individui) in povertà assoluta, pur rimanendo su valori molto superiori a quelli precedenti la crisi del 2008.
Secondo le stime preliminari, nel 2020 le famiglie in povertà assoluta sono oltre 2 milioni (il 7,7% del totale, da 6,4% del 2019, +335mila) per un numero complessivo di individui pari a circa 5,6 milioni (9,4% da 7,7%, ossia oltre 1milione in più rispetto all’anno precedente).
A eccezione delle famiglie unipersonali, che presentano un’incidenza di povertà stabile (5,7%), una più ampia diffusione della povertà assoluta riguarda tutte le famiglie, ma in misura più rilevante quelle con un maggior numero di componenti. Se, infatti, fino a quattro componenti l’incremento si mantiene sotto i due punti percentuali o poco più (per le famiglie di due persone passa dal 4,3% al 5,7%, per quelle con tre dal 6,1% all′8,6%, per quelle con quattro dal 9,6% all′11,3%), per quelle con almeno cinque persone peggiora di oltre quattro punti, passando dal 16,2% al 20,7%.
A veder peggiorare la propria condizione sono soprattutto le famiglie mono-genitore (l’incidenza passa dall′8,9% all′11,7%), le coppie con un figlio (da 5,3% a 7,2%) e quelle con due (dall′8,8% al 10,6%). La presenza di figli minori espone maggiormente le famiglie alle conseguenze della crisi, con un’incidenza di povertà assoluta che passa dal 9,2% all′11,6%, dopo il miglioramento registrato nel 2019.
L’incidenza di povertà tra gli individui minori di 18 anni sale, infatti, di oltre due punti percentuali – da 11,4% a 13,6%, il valore più alto dal 2005 – per un totale di bambini e ragazzi poveri che, nel 2020, raggiunge 1 milione e 346mila, 209mila in più rispetto all’anno precedente. La situazione peggiora anche tra gli individui nelle altre classi di età , ad eccezione degli ultra sessantacinquenni per i quali l’incidenza di povertà rimane sostanzialmente stabile.
Anche nell’anno della pandemia, la presenza di anziani in famiglia – per lo più titolari di almeno un reddito da pensione che garantisce entrate regolari – riduce il rischio di rientrare fra le famiglie in povertà assoluta. La percentuale di famiglie con almeno un anziano in condizioni di povertà è pari al 5,6% (sostanzialmente stabile rispetto al 2019 in cui era pari al 5,1%); quelle dove gli anziani non sono presenti l’incidenza passa invece dal 7,3% al 9,1%.
L’incremento della povertà assoluta registrato nel 2020 è poi maggiore nel Nord del Paese e riguarda 218mila famiglie (7,6% da 5,8% del 2019), per un totale di 720mila individui. Peggiorano anche le altre ripartizioni ma in misura meno consistente. Il Mezzogiorno resta l’area dove la povertà assoluta è più elevata: coinvolge il 9,3% delle famiglie contro il 5,5% del Centro.
In generale l’incidenza di povertà assoluta, spiega l’Istat, cresce soprattutto tra le famiglie con persona di riferimento occupata (7,3% dal 5,5% del 2019). Si tratta di oltre 955mila famiglie in totale, 227mila famiglie in più rispetto al 2019.
Tra queste ultime, oltre la metà ha come persona di riferimento un operaio o assimilato (l’incidenza passa dal 10,2 al 13,3%), oltre un quinto un lavoratore in proprio (dal 5,2% al 7,6%).
Nel 2020 si è poi registrato un calo record della spesa per consumi delle famiglie. L’aumento della povertà assoluta si inquadra nel contesto di un calo record della spesa per consumi delle famiglie (su cui si basa l’indicatore di povertà ). Secondo le stime infatti, nel 2020 la spesa media mensile torna ai livelli del 2000 (2.328 euro; -9,1% rispetto al 2019). Rimangono stabili solo le spese alimentari e quelle per l’abitazione mentre diminuiscono drasticamente quelle per tutti gli altri beni e servizi (-19,2%).
(da agenzie)
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Marzo 4th, 2021 Riccardo Fucile
“L’INCREMENTO DEI NUOVI CASI SUPERA IN UNA SETTIMANA IL 33%, SERVE TEMPESTIVITA’ SULLE ZONE ROSSE”
Parte la terza ondata, le zone rosse locali arrivano in ritardo e la campagna vaccinale non decolla. E per
accelerare per la Fondazione Gimbe è meglio non prendere in considerazione l’ipotesi di somministrare una sola dose di vaccino Pfizer o Moderna. Intanto, mentre il dibattito si concentra su produzione e forniture, il virus continua a correre, incrementato dalle varianti, e i contagi aumentano.
È la fotografia scattata dalla Fondazione di Bologna nel monitoraggio indipendente pubblicato come di consueto il giovedì. Nella settimana dal 24 febbraio al 2 marzo si rileva un netto incremento dei nuovi casi (123.272 da 92.571) e un modesto calo del numero dei morti (1.940 da 2.177). In forte rialzo i casi attualmente positivi (430.996 da 387.948), le persone in isolamento domiciliare (409.099 da 367.507), i ricoveri con sintomi (19.570 da 18.295) e e nei reparti di terapie intensive (2.327 da 2.146).
“Per la seconda settimana consecutiva – spiega il presidente, Nino Cartabellotta – si registra un incremento dei nuovi casi che negli ultimi 7 giorni supera il 33%, segnando l’inizio della terza ondata”. Rispetto alla settimana precedente, in 16 Regioni e nella Provincia Autonoma di Trento aumentano i casi attualmente positivi per 100.000 abitanti e in tutto il Paese sale l’incremento percentuale dei nuovi casi ad eccezione della Provincia Autonoma di Bolzano, Umbria e Molise già sottoposte a severe misure restrittive. Sul fronte ospedaliero, l’occupazione da parte di pazienti Covid supera in 5 Regioni la soglia del 40% in area medica e in 9 Regioni quella del 30% delle terapie intensive. Lo scenario dunque peggiora e la presenza sempre più diffusa delle varianti richiede decisioni rapide per fermare l’avanzata del virus.
“È fondamentale essere realmente tempestivi nell’istituzione delle zone rosse a livello comunale e provinciale”, precisa la responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione, Renata Gili. Invece, fa notare Cartabellotta “nonostante l’allerta lanciata da Gimbe già da due settimane, gli amministratori locali continuano a ritardare le chiusure se non davanti a un rilevante incremento dei nuovi casi, quando è ormai troppo tardi. Infatti, in presenza di varianti più contagiose, questa “non strategia” favorisce la corsa del virus, rendendo necessarie chiusure più estese e prolungate”.
Nè un contributo determinante a sbarrare il passo al virus arriva dalla campagna vaccinale. Delle dosi previste per il primo trimestre 2021, al 3 marzo ne sono state consegnate alle Regioni 6.542.260 e hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose 1.454.503 milioni di persone (2,44% della popolazione), con marcate differenze regionali. “L’avvio della campagna vaccinale fuori da ospedali e RSA – spiega Gili – ha determinato una frenata sul fronte delle somministrazioni, con quasi 2 milioni di dosi (pari al 30% delle consegne) ancora inutilizzate”. Tuttavia “la strada per accelerare la campagna vaccinale – rileva il Presidente della Fondazione – non deve certo portare ad avventurarsi in rischiosi azzardi, come l’ipotesi di somministrare un’unica dose di vaccino Pfizer o Moderna”.
Per Cartabellotta “le zone rosse locali arrivano quando la situazione ormai è sfuggita di mano. La campagna vaccinale, intanto, stenta a decollare non solo per i noti ritardi di produzione e consegna delle dosi, ma anche per difficoltà organizzative di molte Regioni che lasciano “in fresco” dosi di vaccino che potrebbero evitarericoveri e salvare vite, soprattutto tra le persone più a rischio di Covid severa”.
E il primo Dpcm a firma Draghi “non segna affatto il cambio di passo auspicato: il sistema delle Regioni “a colori” resta di fatto immutato, così come le misure per la maggior parte delle attività produttive e commerciali. E a pagare il conto più salato – conclude Cartabellotta – come sempre, è la scuola”.
(da agenzie)
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Marzo 4th, 2021 Riccardo Fucile
IL MICROBIOLOGO: “SE AVESSIMO DIECI MILIONI DI VACCINI NON SAPREMMO DISTRIBUIRLI”
Andrea Crisanti, il microbiologo che ebbe un ruolo di primo piano nel contenimento della pandemia in Veneto lo scorso marzo, critica in maniera decisa il nuovo commissario all’emergenza Covid, Francesco Paolo Figliuolo.
“Due mesi fa avevo detto che il Governo” per la distribuzione dei vaccini anti-Covid “doveva consultare quelli di Amazon. Non lo avevo detto a caso, Amazon è un gigante nella logistica. Con tutto il rispetto, il nostro generale del Genio, in confronto agli ingegneri di Amazon, è un apprendista”, ha affermato Andrea Crisanti intervenendo a ”ilcafFLEdelmercoledì”, rubrica settimanale della Fondazione Luigi Einaudi.
Amazon “è in grado di movimentare miliardi di pacchi al giorno e distribuirli capillarmente su tutto il territorio – ha argomentato il microbiologo – Il fatto che Figliuolo sia un Generale ha un grosso impatto mediatico e di comunicazione, ma vi assicuro che per distribuire i vaccini probabilmente ci volevano esperti in ingegneria e informatica che stanno in Amazon non nell’Esercito. Se avessero preso lo chief executive officer di Amazon sarei stato più tranquillo”.
Crisanti ha criticato in generale il piano vaccinale italiano: “Se oggi avessimo dieci milioni di dosi non sapremmo come distribuirle. Abbiamo iniziato la vaccinazione con quella “pagliacciata” del “vaccination day”, illudendo tutti gli italiani. Fino ad ora non si era fatto nulla ed era stato programmato pochissimo, senza rendersi conto delle difficoltà logistiche di una vaccinazione di massa con un vaccino come quello di Pfizer, che ha problemi giganteschi di logistica”.
(da agenzie)
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