Luglio 30th, 2021 Riccardo Fucile
MA SE NON RIESCE A SOPPORTARE NEMMENO UN DIBATTITO COME PENSA DI AMMINISTRARE ROMA?
“Oggi al Festival dell’Architettura ho illustrato alcune delle nostre idee per al primo confronto con gli altri candidati. Peccato che Michetti sia scappato prima della fine. Un bravo sindaco dovrebbe avere la capacità di dialogare con tutti”. Così Roberto Gualtieri ha riassunto quello che è successo ieri a Roma.
Come è andata?
“La rissa no”, scandisce alzando le braccia in segno di resa il candidato sindaco del centrodestra Enrico Michetti mentre il confronto abbandonava il confronto tra i candidati sindaci, alla Casa dell’Architettura, scendendo dal palco.
Michetti se ne è andato in polemica con il botta e risposta in corso tra gli altri due candidati Roberto Gualtieri e Carlo Calenda.
”Se si hanno cinque minuti per uno si rispettano le regole e ognuno esprime la sua posizione – ha poi spiegato ai cronisti prima di lasciare la Casa dell’Architettura – Se diventa un contraddittorio dal quale si è esclusi…”.
Cosa era successo? Tutto è iniziato quando Michetti ha detto “Tutto a Roma, nell’antichità, era costruita intorno al cittadino. La Roma di Augusto e di Cesare guardava al dialogo. Noi abbiamo bisogno di questo dialogo, abbiamo bisogno della Roma della Pax augustea. Una Roma della collaborazione perché al centro non ci sono le nostre carriere ma il destino del cittadino di Roma”.
Gualtieri gli ha risposto in modo ironico: “Non riporteremo Roma all’Impero romano Michetti, non abbiamo questa ambizione…”. Anche Calenda ha tirato una frecciata: “I cittadini romani non erano cittadini ai tempi dei Cesari ma erano cittadini ai tempi della Repubblica romana. Inoltre non possiamo parlare ai romani del sesso degli angeli, dei Cesari, di quanto siamo buoni e bravi. È una cosa ridicola. Sono discorsi buoni per un programma delle 8 del mattino non per un confronto politico”.
A dimostrazione che non fosse un attacco personale a Michetti ma solo un passaggio di un dibattito per sua natura acceso poi anche Calenda e Gualtieri hanno avuto un loro momento polemico. “Sei cerchiobottista nel dare colpa uguale a Comune e Regione”, ha attaccato Gualtieri facendo riferimento al tema dei rifiuti. “Trovo singolare l’atteggiamento – ha poi spiegato – nel dare la stessa responsabilità a Regione e Comune di Roma sul tema dei rifiuti, è una furbizia politico-elettorale”.
Calenda da parte sua ha ribattuto: “Io ho detto che la crisi dei rifiuti è responsabilità anche della Regione Lazio, che non ha sufficienti impianti. Poi Gualtieri si è innervosito perché ho detto che la Roma Lido ha avuto negli anni 180 mln e vanno chiarite le responsabilità di Comune e Regione”. “Mi hanno detto tante cose, ma cerchiobottista mai”, ha poi commentato ai giornalisti.
Virginia Raggi divertita commentava “Litigano”, ma anche lei è stata coinvolta nel botta e risposta: “Virginia i fatti parlano da soli e i soldi persi per l’imperizia e l’incapacità di progettazione” ha sbottato Gualtieri.
La stessa Raggi non ha risparmiato qualche stoccata ai due candidati ex ministri, Calenda e Gualtieri, ricordando che da parte loro a Roma non sono arrivate risorse. Insomma è stato un tutti contro tutti e dopo lo scambio di battute tra Calenda e Gualtieri Michetti si è alzato e ha lasciato il palco per protesta.
E infatti il suo abbandono è stato criticato e giudicato eccessivo da tutti: “Chi va via da un confronto perde sempre” ha spiegato Virginia Raggi. Carlo Calenda ha continuato con le ironie: “E’ un confronto da campagna elettorale, non un pic-nic”.
Sorge spontanea una domanda: ma se Michetti non riesce a sopportare un dibattito che sale appena di qualche tono come pensa di poter amministrare Roma che di sicuro non è un paesino bucolico in cui non succede mai niente?
(da NextQuotidiano)
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Luglio 30th, 2021 Riccardo Fucile
LA BASE INSORGE SULLA GIUSTIZIA
Per il Movimento cinque stelle oggi è il day after, quello dell’addio alla Bonefede e
l’introduzione della riforma Cartabia. Un progetto normativo che per sua natura si scontra con quella che è stata la linea sulla giustizia che aveva portato il Movimento ad essere il partito di maggioranza relativa nel nostro Parlamento, la stessa che aveva reso la Bonafede una delle prime rivoluzioni pentastellate al governo.
Il governo era quasi caduto quando fu approvata la riforma secondo cui sarebbe stata eliminata la prescrizione, fu Matteo Renzi con la sua neonata Italia Viva a mettere fortemente in difficoltà l’esecutivo a cavallo tra il 2019 e il 2020. Oggi che la Bonafede è stata eliminata, gran parte del mondo della politica si ritiene soddisfatto. Ritenendo di aver portato a casa un grande risultato. Pari tristezza aleggia invece nel mondo del Movimento cinque stelle che tanto aveva puntato su una lettura differente della giustizia.
La bacheca dalla quale è possibile intercettare maggiormente il malessere è quella di Giuseppe Conte che da leader in pectore si è anche dovuto assumere la responsabilità della linea politica del Movimento, sempre più lontano dalle ragioni della campagna elettorale 2018.
“Ma che state facendo! non possiamo mediare anche sulla giustizia, manco il PD era mai caduto così in basso – scrive un utente sotto il profilo dell’ex premier – Non mi riconosco più in questo movimento. Ritiriamo la fiducia” e ancora, “Capisco… Sono in pericolo le garanzie costituzionali e queste sono le conseguenze. Però, patteggiare con il diavolo, non può che portare al disastro”.
Anche su Twitter le parole nei confronti del premier non sono tra le più dolci, reo lui di aver lasciato che la riforma promossa dal suo padrino politico fosse stracciata in favore di quella di Marta Cartabia che era stata definita necessaria dall’Europa per l’approvazione e l’utilizzo del Pnrr.
Anche il mondo dell’opinionismo politico ha constato il cambio di rotta del Movimento Cinque Stelle, giornali e commentatori oggi mettono in luce l’ennesima giravolta del partito fondato da Beppe Grillo e guidato ora dall’avvocato del popolo.
Tra i commenti più duri in risposta al tweet dell’ex premier, c’è quello di Maria Teresa Meli giornalista del Corriere della Sera. Da sempre avversa alla linea politica pentastellata, la Meli ha attaccato duramente Giuseppe Conte evidenziando come il suo partito non sia nuovo ad un cambio di rotta in corsa.
(da NextQuotidiano)
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Luglio 30th, 2021 Riccardo Fucile
UNA FAIDA FAMILIARE CHE DURA DA ANNI… LA PISTOLA AVEVA LA MATRICOLA ABRASA
Gaetano Aronica, 48 anni, è il consigliere eletto a Licata nel 2018 con la lista Lega Noi con Salvini, che ha sparato quattro colpi di pistola contro un suo socio di 71 anni. Dietro i fatti un contenzioso nelle gestione di un’attività di onoranze funebri.
Pino Caico è rimasto ferito da un proiettile al braccio sinistro. Prima di sparare al socio Aronica aveva presenziato alla seduta del consiglio comunale di Licata votando il nuovo regolamento sulla Tari. Poi è stato ripreso dalle telecamere di un negozio a pochi passi dal comune mentre inseguiva l’auto del socio impugnando la pistola. Un’ora dopo aver sparato, Aronica si è presentato con il suo avvocato dai carabinieri.
E ha fatto ritrovare la pistola, una calibro 22 con matricola abrasa. Il consigliere non ha spiegato come ne è venuto in possesso ma ha evitato l’arresto.
Adesso è indagato per tentato omicidio e porto abusivo di arma da fuoco. La Lega di Licata in un comunicato ha fatto sapere che Aronica non è tesserato con il Carroccio, né ricopre o ha ricoperto altri ruoli all’interno del partito.
Nella dichiarazione la Lega invitava chi lo aveva fatto a «voler rettificare quanto erroneamente affermato, attribuendo ad Aronica un’appartenenza politica non corrispondente alla realtà dei fatti».
Sui social network ieri però circolava una dichiarazione del leghista Alessandro Pagano in cui questi si congratulava con Aronica per l’elezione definendolo uno dei due «primi consiglieri eletti in Sicilia sotto il simbolo Lega Salvini Premier».
Il ferito è stato medicato in ospedale e giudicato guaribile in 20 giorni. A permettere la ricostruzione della dinamica dell’accaduto la visione di immagini registrate da impianti di videosorveglianza attorno alla zona del Municipio, dove è avvenuta la sparatoria. In uno di questi si vede Aronica, in camicia bianca e blue jeans, inseguire di corsa armato la Fiat Panda guidata dal socio ed esplodere diversi colpi di pistola contro l’autista della vettura dal lato del finestrino del guidatore.
Dietro la lite, secondo quanto racconta oggi Repubblica Palermo, c’è una vera e propria faida familiare, in un crescendo di liti, su cui adesso vuole fare luce la procura di Agrigento diretta da Luigi Patronaggio. La settimana scorsa, qualcuno ha sparato dei colpi di pistola contro l’agenzia di Caico. Aronica è cresciuto con Caico mentre il fratello è rimasto nella società.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2021 Riccardo Fucile
“SE INVENTASSERO OGGI LA PENICILLINA, I NO VAX DIREBBERO CHE LA MUFFA NON SE LA INIETTANO”
Sui vaccini sta saltando il patto sociale. In questo clima se inventassero la
penicillina la gente sui social network direbbe che la muffa non se la inietta.
E i leghisti che vanno in piazza contro il Green Pass non danno la linea al partito.
Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia in un’intervista rilasciata oggi al Corriere della Sera va all’attacco dei no vax ma anche di quegli eletti nel Carroccio che hanno parlato alle manifestazione dei Comitati per la Libera Scelta, che contestano i vaccini, l’obbligo vaccinale e la Certificazione Verde Covid-19. Aprendo così una frattura ancora più sostanziosa in un partito che fino a ieri era graniticamente con il segretario Matteo Salvini.
Zaia se la prende prima di tutto con i no vax: «Siamo passati da una sanità pubblica che faceva profilassi a scuola a un punto in cui è difficile fare un tampone perché veniamo accusati di infilare microchip nel naso dei bambini. Fare il nostro dovere sta diventando un problema».
Secondo il presidente della Regione Veneto «se invochiamo la libertà per qualsiasi cosa stiamo perdendo di vista il bene comune. Oggi riguarda i vaccini, domani riguarderà qualunque scelta di sanità pubblica».
E a chi dice che il vaccino è arrivato troppo in fretta risponde così: «Le conoscenze per preparare un vaccino non sono più quelle di 50 o 60 anni fa. Ma il problema vero è che in questo clima se inventassero la penicillina avremmo i social pieni di gente che dice che la muffa non se la inietta. Qui sta saltando il patto sociale. E presto ne pagheremo le conseguenze».
Zaia se la prende con la gente che sostiene che per Covid-19 «gli ospedali non servivano, bastavano le cure domiciliari. In Veneto 22mila persone hanno avuto bisogno di essere ricoverate. Sostenere che tutti si possano curare a casa significa non dire la verità».
Poi, la stoccata finale ai vari Siri, Borghi e Bagnai: «La Lega è sempre stata un partito dalla composizione sociale variegata, ci sta che qualcuno non la pensi come te. Detto questo, non mi risulta che il partito abbia deciso di rinnegare l’attività dei propri sindaci, amministratori, presidenti e sindaci. Un discorso è discutere legittimamente sull’obbligatorietà, come fa il segretario Salvini. Altra cosa è farsi portatori di una linea in cui io assolutamente non mi identifico. E mi rifiuto di pensare che sia quella del partito».
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2021 Riccardo Fucile
L’ALLARME EMERGE DA UN RAPPORTO INTERNO DEL CDC
La variante Delta del CoronavirusSars-CoV-2 causa una malattia più grave delle altre variazioni scoperte in precedenza e si diffonde facilmente come la varicella.
Non solo: i dati mostrano come possono trasmetterla le persone completamente vaccinate così come quelle non vaccinate.
L’allarme viene da una presentazione interna dei Center for Disease Control and Prevention diffusa dal Washington Post e dal New York Times. Rochelle P. Walensky, direttore dei CdC ha riconosciuto che la Delta è più trasmissibile dei virus che causano Mers, Sars, Ebola, il raffreddore, l’influenza stagionale e il vaiolo. Per questo, sostiene l’agenzia, la guerra al Coronavirus è cambiata e si attende un nuovo report per venerdì.
I CdC raccomandano quindi a tutti l’uso della mascherina in ambienti pubblici e in determinate circostanze.
Lo studio evidenzia, inoltre, che con la variante del virus in circolazione il rischio per gli anziani di finire in ospedale o morire rispetto ai più giovani è maggiore indipendentemente se si è vaccinati o meno.
Un’altra stima dello studio afferma che ci sono 35.000 infezioni sintomatiche a settimana tra i 162 milioni di americani vaccinati. I nuovi dati sembrano evidenziare che le persone vaccinate stanno diffondendo il virus come i non vaccinati, anche se in misura minore. La trasmissione dagli immunizzati, secondo Walensky, è un evento raro ma secondo altri scienziati potrebbe essere più comune di quanto si pensasse una volta.
Per questo secondo i CdC anche i vaccinati devono indossare le mascherine al chiuso dove la trasmissione del virus è maggiore. E le persone con un sistema immunitario debole dovrebbero invece metterle sempre.
Così come bisognerebbe vaccinare quella fetta di popolazione che è a contatto quotidianamente con bambini, anziani o persone vulnerabili. L’infezione provocata dalla Delta è 10 volte superiore a quella della Alpha, che è comunque altamente contagiosa. Il documento si basa sull’analisi di un focolaio a Provincetown nel Massachussets, iniziato dopo il 4 luglio e cresciuto fino a 882 casi: il 74% dei positivi al test del tampone era stato vaccinato.
I sintomi della variante Delta
Nello studio si afferma che le persone infettate dalla variante Delta hanno enormi quantità di virus nel naso e nella gola, indipendentemente dalla vaccinazione. E l’infezione con la Delta ha maggiori probabilità di portare a malattie gravi e ricoveri in ospedale, anche in terapia intensiva. Ma la vaccinazione protegge ancora dagli esiti peggiori: i vaccini sono altamente efficaci nel prevenire malattie gravi, ospedalizzazione e morte.
Ieri anche Anthony Fauci, consigliere della Casa Bianca sulla pandemia di Covid, ha detto che i vaccini non proteggono al 100% dal contrarre l’infezione. La protezione è infatti stimata all’88,5% dopo due dosi dall’Istituto superiore di sanità. I vaccini prevengono però altamente le forme gravi della malattia.
«Nessun vaccino è efficace al 100%, perché il virus è cambiato – ha spiegato Fauci in un’intervista -. I dati sulla mutazione Delta che abbiamo a disposizione oggi mostrano che il livello di infezione nelle mucose in una persona vaccinata è lo stesso di quello in una persona non vaccinata» ma in chi è vaccinato «il rischio che la malattia si manifesti in forma grave è più basso. È estremamente raro che una persona vaccinata, se pur contagiata, finisca in ospedale».
Per questo, è l’appello più volte ribadito dall’immunologo, «è necessario che la maggioranza delle persone si vaccini». Fauci, in un intervento successivo del 27 e uno del 28 luglio, ha dichiarato comunque che tale circostanza è da considerare come “evento raro”.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2021 Riccardo Fucile
FORSE NON HANNO ANCORA CAPITO CHE NON HANNO LA LIBERTA’ DI INFETTARE IL PROSSIMO… VADANO A FARSI CURARE A PSICHIATRIA
La struttura annuncia su Facebook che si potrà entrare solo con la Certificazione
Verde Covid-19. E parte la ribellione di chi non è d’accordo
«Caro museo egizio non ci vedrete più avete perso tre clienti»; «Potete chiudere e il Green Pass infilarvelo nel…»; «Ma questi sono scemi»: sono solo alcuni dei commenti ricevuti sulla sua pagina Facebook dal Museo Egizio di Torino nel post in cui annuncia che per entrare e visitare la struttura sarà necessaria la Certificazione Verde Covid-19 e l’esibizione di un documento di identità.
Il tutto in ottemperanza del decreto legge 23 luglio 2021 (quello che istituisce il Green Pass). «Le disposizioni non si applicano ai bambini di età inferiore ai 12 anni e ai soggetti con certificazione medica specifica», aggiunge il museo che però poi fa sapere anche che i biglietti di chi si presenterà senza certificazione non saranno rimborsati.
Nei commenti c’è anche chi spiega che si tratta di regole che dovranno osservare tutte le istituzioni culturali d’Italia. Ma i No Pass non sentono ragioni: «Voi trattate di storia, ma di quella storia che parla di lasciapassare, discriminazione e apartheid non ci avete capito nulla. Peccato, era un mio appuntamento fisso venire da voi. Vuol dire che da oggi in poi farete a meno dei miei soldi!», dice Alice.
«Evito anche di entrarci con il tampone, non vorrei farmi contagiare dai vaccinati come in Israele…», sostiene Marica.
Mentre per Barbara c’è qualcosa che ancora non è chiaro: «Come fate a chiedere questo lasciapassare discriminatorio se deve ancora essere tutto confermato? Mi pare sia in alto mare la questione».
Poi ci sono quelli che invece vorrebbero spiegare come funzionano queste regole. «Queste disposizioni saranno adottate in tutti i musei nazionali, inutili le rimostranze…salvo acclarati problemi di salute, ognuno è responsabile delle proprie scelte», dice Margherita. «Per vostra informazione ho contattato il Museo e mi è stato detto che il Green Pass momentaneo che viene rilasciato a che si sottopone al test antigenico o al tampone valido per 48 ore… viene riconosciuto per poter accedere al Museo», fa sapere Giovanni.
Infine c’è chi, come Thomas, ha molto chiara la situazione: «Il livello dei commenti è IMBARAZZANTE. Tutti ad augurare la chiusura di uno dei più importanti musei al mondo. Il tutto per partito preso. Siete disgustosi».
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2021 Riccardo Fucile
PIU’ COLPITE LE REGIONI DEL SUD… I CONTAGI SETTIMANALI SONO PASSATI DA 41 A 58 OGNI 100.000 ABITANTI
Sale ancora l’indice Rt nazionale, ovvero il parametro che misura la trasmissibilità del Coronavirus. Nel monitoraggio dell’Istituto superiore di sanità di oggi, 30 luglio, il suo valore risulta essere pari a 1,57. Tradotto? Un infetto contagia, potenzialmente, più di una persona e mezza. La rilevazione della scorsa settimana aveva fissato il parametro a 1,26, quella di due settimane fa a 0,91.
Cresce anche il dato relativo all’incidenza, passato dai 41 contagi settimanali ogni 100 mila abitanti ai 58 segnalati negli ultimi sette giorni. La crescita dei parametri inizia a destare allarme, ma dall’Iss sottolineano anche che nessuna Regione e Provincia autonoma supera la soglia critica di occupazione dei posti letto in terapia intensiva o area medica, nonostante i ricoveri siano aumentati.
Il tasso di occupazione delle terapie intensive è stabile al 2%, con una lieve crescita del numero dei pazienti degenti: il 20 luglio erano 165, oggi sono 189.
C’è invece un incremento di un punto percentuale del tasso di occupazione delle aree mediche Covid, passate al 3% dal 2% della settimana precedente. Il 17 luglio i ricoverati non in rianimazione sono 1.611, sette giorni fa erano 1.194.
Secondo le valutazioni dell’Iss, sono 20 le Regioni e Province autonome classificate, adesso, a rischio moderato. Solo il Molise, in Italia, viene considerato a rischio basso. Nella bozza del monitoraggio, si legge che 17 Regioni e Province autonome riportano allerte di resilienza.
Nessuna, invece, riporta molteplici allerte di resilienza. Sono le Regioni del Sud ad avere i parametri ospedalieri più elevati al 27 luglio. Sicilia, Calabria e Campania hanno un tasso di occupazione nelle aree mediche rispettivamente dell’8%, del 6,6%, e del 4,9%. Sicilia, Sardegna e Lazio hanno, nello stesso periodo, un valore di occupazione delle terapie intensive rispettivamente del 4,7%, del 4,2% e del 3,7%. Per quanto riguarda, invece, l’incidenza su 100mila abitanti nella settimana del 23-29 luglio, sono Sardegna, Toscana e Lazio le regioni in testa, rispettivamente con 136,2, 94,5 e 87,5.
Nella bozza del monitoraggio settimanale dell’Iss viene sottolineata la necessità di accelerare i tempi per raggiungere una elevata copertura vaccinale e di completare i cicli di vaccinazione.
Al momento, il farmaco biologico è l’arma migliore per prevenire ulteriori recrudescenze nella circolazione del virus, sostenuta dalle varianti. La Delta, ormai, è diventata prevalente in Italia e continua a essere in un aumento tra la popolazione. Poiché ha portato a una crescita dei contagi anche nei Paesi con alta copertura vaccinale, l’Iss evidenzia l’opportunità di riprendere un’attività di tracking capillare dei casi e di procedere al loro sequenziamento.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2021 Riccardo Fucile
VIAGGIO NEL PALAZZO, MALUMORI DOPO LA GESTIONE DELLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA CHE LASCIA STRASCICHI
Partiamo dalla fine, perché le giornate fatali non finiscono mai. Senato, esterno
notte, appena dopo l’approvazione della riforma sulla Giustizia, trionfo apparente dalla ministra Marta Cartabia.
Esce Loredana De Petris, capogruppo di Sinistra italiana: “È inaudito, una roba del genere non si è mai vista. Chiedere di ritirare un emendamento votato, dicendo che lo chiede anche il Colle. Il Quirinale oggi se l’è giocato”.
L’antefatto (dell’“inaudito”), per poi arrivare al destino della Guardasigilli, frettolosamente insignita da parecchi osservatori del titolo di predestinata al Colle più alto.
Approvato in commissione un emendamento, a firma Gianluca Castaldi (M5s) una proroga per tenere aperti i tribunali abruzzesi delle zone terremotate, col parere favorevole del Tesoro e contrario della Giustizia.
Anzi, approvato all’unanimità, compresi i Fratelli d’Italia. In capigruppo però la presidente del Senato ne chiede il ritiro, perché la Cartabia è contraria e, per dare forza all’argomentazione, dice che, proprio così, anche il Quirinale ha dei dubbi.
Per farla breve, siccome è stato già votato e il Parlamento è sovrano, i gruppi, proprio tutti, rispondono picche. Morale della favola: la presidente del Senato lo stralcia, per estraneità di materia in merito al provvedimento in questione.
All’uscita sono tutti visibilmente alterati perché va bene tutto, ma addirittura chiamare in causa Mattarella è un po’ hard: “Ma come si fa – sbotta anche la dem Simona Malpezzi – a procedere in questo modo?!”.
E ci manca solo una manifestazione sotto il Ministero della Cartabia, minacciata dal Comune di Avezzano: “Siamo pronti a sfilare sotto il portone di via Arenula per convincere il ministro della Giustizia a non deludere le speranze della popolazione delle città di Avezzano, Lanciano, Sulmona e Vasto, che rischiano di perdere i tribunali, baluardi in difesa della criminalità in avanzata”. Boom.
Dies signanda cum nigro lapillo, al netto delle celebrazioni ufficiali su una riforma che, a parole, ha soddisfatto tutti – Conte, Salvini, il Pd, evviva evviva – e a parole è stata un capolavoro di mediazione, ma in verità lascia parecchi strascichi, presenti e futuri, per il merito e per come è stata gestita dalla titolare del dossier.
Per carità, un curriculum di tutto rispetto, però, vuoi la pressione ambientale, vuoi l’inesperienza, vuoi anche il carico di aspettative che si è prodotto tutt’attorno, beh, insomma, la politica è la politica, e l’incertezza si paga.
Al punto che, nel Palazzo, i più maliziosi ci vedono un’operazione consapevole, perché “esporla così” equivale a “bruciarla” e “da oggi nel governo solo Draghi può ambire al Colle più alto, magari Lamorgese, ma fuori uno”.
Le antenne pentastellate registrano che, da quelle parti, la discussione è pressoché chiusa: “Non è questione di cattiveria, ma non penso che qualcuno la proporrà per il Quirinale, è palesemente inadeguata” si è lasciato scappare Stefano Buffagni che nel Movimento 5 stelle viene considerato una sorta di Cassandra perché, solitamente, ci prende. E viene spesso interpellato per capire le cose.
Perché in quel mondo, e non solo, un guardasigilli che prima nega in Parlamento qualunque effetto sui processi di mafia della sua riforma e poi è costretta ad accettare modifiche sul punto rinnegando sé stessa, non è più proponibile.
Per dirla con Marco Travaglio, autore di un editoriale definitivo: “O non sa quel che dice o ci ha provato ed è andata male, altro che Quirinale”.
E chissà quanta cattiveria o quanta verità c’è negli spifferi che raccontano quanto lo stesso Draghi, abituato a delegare in base alla competenza i singoli dossier, si sia sentito scoperto, proprio dall’assenza di un lavorio tutto politico che, al Consiglio dei ministri di ieri è stato fatto soprattutto da quelle vecchie volpi di Di Maio e di Giorgetti.
E deve essere stata una vera fatica se il ministro degli Esteri ha raccontato ai suoi che “ci mancava solo che facessimo i disegnini per far comprendere dove intervenire, sennò saltava tutto”.
La stessa fatica che ha fatto il ministro D’Incà, titolare dei rapporti col Parlamento, quando ha appreso qualche giorno fa che la ministra stava andando in commissione Giustizia, ed è scattato il panico perché nessuno ne sapeva niente.
Per chiedere lumi ha chiamato il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto. E si è sentito rispondere: “Non lo so, fammi verificare”.
È quel genere di lavoro politico che, non fatto o fatto male, ha maldisposto anche Matteo Renzi, il più draghiano dei soci di maggioranza, che davvero si è comportato bene, perché quando Lucia Annibali gli ha riferito della richiesta da parte della guardasigilli di non seguire Forza Italia sugli emendamenti, ha acconsentito, chiedendo in cambio una “condivisione” che al dunque non è arrivata.
Condivisione che, nella concitazione della giornata, non c’è pressoché stata. E, va bene la responsabilità, ma il ragazzo non ha gradito: “E menomale – ha detto poi ai suoi – che era quella brava. Se questo è lo stile di lavoro, andiamo bene. Mica puoi prendere in giro tutti in una volta sola”.
Effettivamente Forza Italia si è sentita presa in giro, Renzi si è sentito preso in giro, Giulia Bongiorno si è sentita presa in giro perché sull’appello si è tornati indietro da due a tre anni. Parliamoci chiaro, Conte e Salvini, vedendo le brutte, se la sono giocata da populisti, per rivendicare un successo a favor di telecamera perché “c’è la mafia” e “c’è la droga”.
Draghi, che populista non è, è stato costretto a prendere in mano la questione, perché ha capito che non era delegabile. Andatevi a rivedere la conferenza stampa con i due ministri. Quanto ha parlato Speranza e quanto ha parlato Cartabia. E si capisce tutto.
(da Huffingtonpost)
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