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LOBBY NERA: INDAGATA E PERQUISITA LA DONNA DEL TROLLEY CON I SOLDI PER FRATELLI D’ITALIA

Novembre 5th, 2021 Riccardo Fucile

A PROPOSITO, LA MELONI SI E’ DIMENTICATA DI ESPELLERE CARLO FIDANZA O ASPETTA L’ARRIVO DEI RE MAGI?

La donna del trolley dell’inchiesta di Fanpage è indagata dai magistrati di Milano.
La collaboratrice di Roberto Jonghi Lavarini, che nel filmato ritirava la valigia che doveva contenere soldi per la campagna elettorale di Fratelli d’Italia a Milano (e che in realtà aveva al suo interno libri sull’Olocausto e copie della Costituzione italiana) è stata perquisita dalla Guardia di Finanza nell’indagine dei pm Basilone e Polizzi.
La donna è di origine georgiana è il suo è il quarto nome a finire sul registro degli indagati.
Prima erano stati iscritti l’europarlamentare di Fdi Carlo Fidanza, lo stesso Jonghi Lavarini e il commercialista Mauro Rotunno.
Pubblicata il fine settembre, l’inchiesta Lobby Nera di Fanpage ha acceso i riflettori sulla figura di Roberto Jonghi Lavarini, un uomo vicino agli ambienti della destra milanese con nostalgie fasciste che ha collaborato alla campagna elettorale di Chiara Valcepina, candidata di Fratelli d’Italia poi eletta al consiglio comunale di Milano.
(da agenzie)

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LA UE RICHIAMA L’ITALIA SUI BALNEARI: “DEVE CONFORMARSI AL DIRITTO EUROPEO SULLE LIBERALIZZAZIONI”

Novembre 5th, 2021 Riccardo Fucile

DA 15 ANNI SI ASPETTA CHE L’ITALIA PONGA FINE ALLO SCONCIO DI SPIAGGE CONCESSE IN MONOPOLIO A PRENDITORI CHE PAGANO CANONI IRRISORI E NON VOGLIONO CONCORRENZA

Il giorno dopo il consiglio dei ministri che ha varato un ddl concorrenza “dimezzato”, in cui non si affronta il nodo delle concessioni balneari prorogate fino al 2033 in violazione della direttiva Bolkestein, Bruxelles si fa sentire.
Una portavoce della Commissione europea ha spiegato che “è una prerogativa italiana decidere come procedere sulla riforma”, ma per la Ue è “importante che le autorità italiane mettano rapidamente in conformità la loro legislazione, e le loro pratiche relative alle attribuzioni delle concessioni balneari, con il diritto europeo e la giurisprudenza della Corte di Giustizia“.
Richiamo inevitabile, considerato che il sistema italiano è nel mirino dal 2009, che nel 2016 l’Italia è stata condannata per il mancato rispetto delle norme Ue e che due anni dopo, invece che rimediare, il governo Conte 1 ha ulteriormente prorogato le autorizzazioni vigenti fino al 2033.
Non solo: lo scorso aprile il tema è stato tra quelli che hanno ritardato la presentazione ufficiale del Recovery plan. Perché nel piano le spiagge non sono mai nominate. Per risolvere l’impasse è servito l’intervento di Mario Draghi in persona, che si è fatto garante con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
Lo stesso premier a giugno, incontrando von der Leyen a Cinecittà durante la cerimonia per l’ok della Ue al piano, aveva poi garantito che la legge sulla concorrenza – una delle “riforme abilitanti“, in cui avrebbe dovuto essere inserita anche la soluzione sui balneari – sarebbe stata presentata a luglio.
Invece, tra la faticosa messa a punto estiva della riforma Cartabia e le elezioni amministrative di ottobre, il provvedimento è slittato di quattro mesi.
E per non scontentare la Lega turbando gli equilibri della maggioranza si è deciso di rimandare le decisioni sulle spiagge a dopo la messa a punto di un “sistema informativo” che dovrà garantire trasparenza sui rapporti concessori e i relativi canoni pagati.
Che sono per la stragrande maggioranza irrisori (nel 70% dei casi meno di 2.500 euro all’anno) soprattutto se confrontati con gli incassi dei gestori. Draghi lo ha rivendicato, sostenendo che è meglio procedere così piuttosto che promettere misure ambiziose impossibili da attuare in assenza del necessario consenso politico.
Ma quali saranno i tempi? Sei mesi per l’adozione del decreto legislativo che dovrà creare il sistema. Poi occorrerà riempirlo con i dati.
Facile prevedere che la prossima estate sui litorali italiani trascorrerà tranquilla, senza che nulla cambi. Le associazioni dei balneari già ieri hanno festeggiato il risultato raggiunto
Peccato che l’Italia sia nel frattempo stata di nuovo messa in mora perché lo scorso luglio “ha prorogato ulteriormente le autorizzazioni vigenti fino alla fine del 2033 e ha vietato alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l’assegnazione di concessioni, che altrimenti sarebbero scadute, violando il diritto dell’Unione”. Il Consiglio di Stato, il 20 ottobre, ha esaminato varie questioni legate alla possibilità per gli enti locali di disapplicare le proroghe, ma il pronunciamento non è ancora stato reso pubblico.
Ieri a ricordare i “privilegi intoccabili” di stabilimenti come “il Twiga di Briatore e della Santanchè che pagano allo stato 17mila euro a fronte di un fatturato di 4 milioni di euro, oppure il Papeete che paga 10 mila euro anno ma fattura 3,2 milioni di euro” era stato il co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli
Ora Bruxelles fa presente che il problema va risolto rapidamente. Del resto a febbraio, pochi giorni dopo l’insediamento di Draghi a Palazzo Chigi, il commissario Ue per il mercato unico Thierry Breton aveva ricordato che “le norme italiane vigenti” sulle concessioni balneari “non solo violano il diritto dell’Ue, ma compromettono anche la certezza del diritto per i servizi turistici balneari. La Commissione, in quanto custode dei trattati, continuerà ad adottare le misure necessarie per garantire il pieno rispetto del diritto dell’Ue in questo settore”.
(da Il Fatto Quotidiano)

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AVANSPETTACOLO: A SCANSO DI EQUIVOCI, IL LEADER DEGLI ULTRAS DELLA LAZIO CI TIENE A RIBADIRE CHE SAREBBE FASCISTA

Novembre 5th, 2021 Riccardo Fucile

LE IDEOLOGIE NON C’ENTRANO UNA MAZZA CON IL TIFO, SE POI SERVONO A QUALCHE SFIGATO PER SENTIRSI IMPORTANTE LEGGA QUALCHE LIBRO ED EVITI DI RIDICOLIZZARE LA STORIA

Non sia mai che qualcuno potesse sbagliarsi: nelle more della vicenda dei tifosi della Lazio a cui è stata vietata la trasferta a Marsiglia in occasione del match di Europa League si inseriscono le mirabolanti dichiarazioni di un leader ultras che ai microfoni di Zona Bianca ribadisce di essere fascista.
All’inviata della trasmissione il capo tifoso spiega: “È risaputo, noi siamo una tifoseria di destra, ma nello stadio non regna la dittatura, io sono fascista, ma questo non vuol dire che voglio fare la marcia su Roma nel 2021 o pretendo che quando entri la Lazio la tribuna faccia il saluto romano. Questo è quello che fa comodo pensare alla gente”. E molto polemicamente aggiunge: Ci chiudono le frontiere della Francia perché siamo fascisti e violenti? Il mondo ultras è questo. Cosa c’entra metterci questa etichetta?”.
In ogni caso la tifoseria del Marsiglia ieri ha allestito una coreografia molto significativa: “No fascism, no racism”, sono le poche ma chiarissime parole del messaggio.
(da agenzie)

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RENZI E LE INTERCETTAZIONI SULLA FONDAZIONE OPEN: “LA MOGLIE DI NARDELLA DICEVA “CI FA PERDERE”

Novembre 5th, 2021 Riccardo Fucile

LA STORIA DEL VOLO DI RENZI DAGLI USA PER TORNARE IN ITALIA CON AEREO PRIVATO DA 135.000 EURO, ADDEBITATO ALLA FONDAZIONE

Dopo la chiusura dell’inchiesta sulla Fondazione Open che vede tra gli indagati Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e Luca Lotti oggi La Stampa e il Fatto Quotidiano pubblicano alcune intercettazioni allegate al fascicolo dell’accusa.
La tesi della Procura è che la Fondazione Open fosse usata dalla «medusa» renziana come collettore di finanziamenti (7,2 milioni in 7 anni) e bancomat politico e personale a esclusivo uso del leader di Italia Viva.
In particolare si racconta un episodio che risale al giugno 2018. Renzi viene invitato a Washington per commemorare Bob Kennedy, ma in quei giorni deve anche essere a Roma per votare la sfiducia al governo Conte.
Parlare negli Usa per l’ex presidente del Consiglio è «una figata storica» anche se «non posso evitare di votare la sfiducia a queste merde».
Per questo ha necessità di tornare al più presto a Roma e chiede a Vincenzo Manes, imprenditore, se conosce qualcuno che possa affittare un aereo privato.
Nelle ore successive, racconta l’articolo, la Fondazione Open firma un contratto (poi trovato dalla Guardia di Finanza nella cartellina “Volo privato MR Washington”) con una società di noleggio.
L’aereo affittato è un Falcon 900 Ciampino-Washington. Il costo è di 134.900 euro. Ma la Fondazione ha in cassa solo 6mila euro. E qui l’avvocato Bianchi ne parla con Lotti: «134.900 euro???! Ma ha perso la testa?». La risposta dell’ex braccio destro: «Non ho parole. Io gli ho detto che senza copertura non si può».
Ma le lamentele non cambiano l’obiettivo. Renzi parte e la copertura si trova grazie a un giroconto della fondazione Eyu, nell’orbita del Pd, e alla generosità di Gianfranco Librandi, imprenditore e parlamentare renziano. Alla fine Matteo Renzi può arrivare a Roma per votare la sfiducia a «quelle merde».
Il Fatto Quotidiano invece parla di una serie di intercettazioni che risalgono al maggio 2019 e riguardano Chiara Lanni, moglie di Dario Nardella. A parlare sono l’ex portavoce di Renzi Marco Agnoletti e Patrizio Donnini:
“(…) Oggi si è sfogato… ieri di persona, stamani al telefono… Matteo (Renzi, ndr) (…) contro Chiara (Lanni, ndr) (…) Perché la Chiara è quella che ha parlato male in giro tutto il tempo di Matteo (Renzi, n dr) …dice va: ‘non deve venire a fare la campagna elettorale, non lo voglio vedere’, di qui e di là, ok? Una volta che Matteo gli ha portato un arabo e si è incazzato di lui… ieri me l’hanno già detto di persona… poi stamani davanti all’articolo, un articolo della Nazione , in cui Nardella sembrava pigliare le distanze da Matteo (Renzi, ndr). (…) Matteo lo ha chiamato, ha detto: ‘Oh! Mi son stancato… perché mi son rotto il cazzo’, e l’articolo era sbagliato nel titolo, fuorviante, l’articolo era giusto, bene… però già che c’era gli ho detto di tutto sulla Lanni ecc… e infatti poi m’ha chiamato Dario (Nardella, ndr) e m’ha detto… ‘Ma Matteo m’ha offeso pesantemente Chiara ’ e gli ho detto: Dario però… rendiamoci conto un po’… cioè lei… Chiara era ossessionata… da Matteo, ‘allontana Matteo… Matteo ci fa (perdere)….’, tutti noi vedevamo i sondaggi e sappiamo che quel problema c’era, alla fine l’ha capito anche Matteo, infatti è sparito, però lei lo trattava come un cane!… come un appestato!”.
La circostanza dell’«arabo» è stata smentita da fonti vicine all’ex premier
(da agenzie)

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LA GAFFE DELLA DEPUTATA DI FRATELLI D’ITALIA CHE NON SA NEANCHE CHE BUD SPENCER E’ ITALIANO

Novembre 5th, 2021 Riccardo Fucile

IN DIRETTA SU RAI LO SFONDONE DI AUGUSTA MONTARULI FA SGANASCIARE DALLE RISATE

Il tema è lo scontro tra il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e il leader della Lega Matteo Salvini. “Giorgetti dice che Salvini deve decidere se essere più Meryl Streep o più Bud Bud Spencer non so Giorgia Meloni che ruolo si riserva”, chiede la conduttrice.
La deputata ride, convinta, e afferma: “noi siamo italiani quindi né uno né l’altro”. Pronta la risposta del deputato di Italia Viva, Gennaro Migliore, “ma Bud Spencer era italiano”.
“Si certo però in ogni caso non ci prestiamo a queste figure televisive”, taglia corto Montaruli, arrossita per lo strafalcione.
“Matteo è abituato a essere un campione d’incassi nei film western. Io gli ho proposto di essere attore non protagonista in un film drammatico candidato agli Oscar. E’ difficile mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep. E non so che cosa abbia deciso”. Questa la dichiarazione di Giorgetti che esorta il leader del Carroccio a prendere una posizione più chiara in Europa.
E il riferimento è proprio alle posizioni altalenanti di Salvini e alla sua ormai scarsa credibilità, che si alterna tra svolte europeiste ma alleanze con Le Pen e Alternative für Deutschland. E ancora, sostiene il governo Draghi, portabandiera del green pass, ma accoglie a Pistoia il presidente del Brasile, negazionista no vax e tanto altro, Jair Bolsonaro.
(da agenzie)

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LUIGI CRUPI, IL POLIZIOTTO CHE HA SALVATO I BAMBINI MIGRANTI A CROTONE: “NON DIMENTICHERO’ MAI L’ABBRACCIO DEI BAMBINI, IL LORO STRINGERSI FORTE AL NOSTRO COLLO”

Novembre 5th, 2021 Riccardo Fucile

“HO DUE BAMBINE DELLA STESSA ETA’, SENTIVO LO STESSO ABBRACCIO”

Vi abbiamo raccontato ieri del salvataggio di 88 migranti in balia del mare in tempesta nelle acque vicino a Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Ora Luigi Crupi, che ha partecipato all’operazione, racconta cosa è successo.
“Al nostro arrivo la situazione era veramente difficile”, spiega l’ispettore Crupi. L’imbarcazione rischiava di ribaltarsi e il poliziotto racconta che lui e i suoi colleghi si sono tolti subito cinturone e anfibi per allegerirsi e calarsi in mare. “È stato davvero emozionante l’abbraccio dei bambini, il loro stringersi forte al nostro collo. Ci vedevano come l’unico mezzo per raggiungere la riva e un posto sicuro. Altrettanto bella è stata la fiducia riposta in noi dai genitori che ci hanno affidato i loro bambini stremati da una lunga traversata”.
Crupi spiega che così hanno vinto la paura di quella traversata che stava rischiando di trasformarsi in una tragedia. L’ispettore è non solo emozionato ma tradisce anche una stanchezza più che giustificata seppure piena della soddisfazione di chi è riuscito a portare a salvare tante persone.
Questo il comunicato della Polizia di Stato che racconta quanto successo:
Nella serata di ieri, in località Le Cannella del comune di Isola di Capo Rizzuto (KR) un’imbarcazione a vela che trasportava 88 stranieri, stremati dalla lunga traversata, iniziata dalle coste della Turchia all’incirca tre giorni fa, si è arenata a 150 metri dalla riva. Il mare in tempesta e le avverse condizioni metereologiche minacciavano non poco l’incolumità dei viaggiatori improvvisati, che rischiavano seriamente di essere catapultati in mare. Le urla di terrore dei migranti catturavano l’attenzione dei residenti che chiamando immediatamente il 113, fornivano informazioni dettagliate sulla posizione degli sventurati. Solo l’intervento degli operatori delle volanti, ha permesso di salvare la vita di tutti i malcapitati; gli agenti, infatti, non hanno esitato a buttarsi in acqua portando in salvo tutti i cittadini extracomunitari.
“Non dimenticherò mai come quella bambina si aggrappava a me – ha anche raccontato –. Io ne ho due della stessa età e sentivo lo stesso abbraccio, di una piccola che stretta al suo papà sente che non gli può accadere nulla di brutto. È stata una grandissima emozione portarla in salvo”.
(da NextQuotidiano)

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M5S, CASTELLONE CAPOGRUPPO: PRIMA SCONFITTA DI CONTE DA LEADER

Novembre 5th, 2021 Riccardo Fucile

IL PREDILETTO DELL’AVVOCATO, ETTORE LICHERI, COSTRETTO AL PASSO INDIETRO

E’ durato 24 ore lo stallo sull’elezione del nuovo capogruppo in Senato del Movimento 5 stelle. E’ stato lo stesso presidente del Movimento, Giuseppe Conte, ad annunciare l’avvenuta mediazione prima che si aprissero per la seconda volta le urne per eleggere il nuovo presidente del gruppo di palazzo Madama: Ettore Licheri, già con un mandato alle spalle, alla fine, si ritira e Mariolina Castellone gli succede, prima presidente donna di questa legislatura.
Licheri era la persona indicata da Conte, quindi non si va molto lontani dalla realtà se si dice che l’accordo sulla Castellone sia la prima vera sconfitta da leader del Movimento.
A guardare alla moviola gli ultimi eventi, un fifty-fifty aveva visto uscire dalle urne 36 voti a Licheri, e alla contendente Castelloni altrettante preferenze. E subito si era cercata una mediazione, mentre le voci di fratture fra i pentastellati diventavano sempre più insistenti e le ipotesi di soluzione si rincorrevano.
Da statuto, i 2 candidati si erano presentati ai senatori pentastellati con i nomi del direttivo già formato che li doveva affiancare. E sarebbe stato difficile, per le leggi interne del M5S, modificare questa regola con una scomposizione per dare luogo alla possibilità che le due squadre si mischiassero fra loro e che Licheri e Castellone diventassero presidente del gruppo e vicepresidente vicario (o il contrario).
Altrimenti, la candidatura di ognuno doveva essere ritirata e la corsa ricominciare daccapo. Una delle ipotesi circolata era, invece, che per non spaccare il gruppo, si potesse pensare ad un’alternanza: sei mesi di presidenza all’uno e sei mesi all’altro candidato, qualora le urne avessero continuato a dare un risultato uguale di voti. Ma i malumori erano cresciuti.
Secondo quanto appreso dall’Agi, se la Castelloni avesse accettato un compromesso avrebbe perso molti voti, voti di protesta e per una richiesta di cambiamento di metodo nella gestione del gruppo.
Anche gli esponenti che vengono definiti ‘contiani’ avevano ritenuto che l’esito della partita giocata in Senato dovesse essere un elemento di grande riflessione. Dietro si celerebbe il malcontento per una serie di ragioni, non solo la decisione di entrare nel governo Draghi, ma anche la gestione calata dall’alto senza coinvolgere i parlamentari.
E il pensiero è subito andato anche a quanto potrà accadere con l’elezione del capogruppo della Camera. Attualmente è Davide Crippa e se, come pare, si dovesse ricandidare, intorno a lui ci sarebbe un plebiscito di voti, mentre non sarebbe così per un candidato che fosse considerato “messo lì” da Conte: in una democrazia ci vuole interlocuzione interna, viene sottolineato.
A Conte, raccontano altre fonti, chi gli è vicino starebbe descrivendo un ‘mondo fatato’ del Movimento. Un mondo, è stata l’accusa, che non esiste perché non tutti sono ‘allineati’ su scelte che non vengono prima condivise, come ad esempio il caso della nomina senza elezioni dei cinque vicepresidenti.
In serata è stato lo stesso Conte a mettere la parola fine sulla ‘diatriba senatoriale’ e sull’unità del Movimento: “Questa è l’occasione per confermare con i fatti come chi ci vuole divisi, chi scrive fandonie sul Movimento non colga mai nel segno”. E ha premesso: “Abbiamo avuto un incontro con Mariolina Castelloni e con Ettore Licheri: è stato un incontro di grande armonia, come vedete si stanno abbracciando. C’è stata subito la disponibilità di Ettore Licheri a lasciare spazio a Mariolina, abbiamo valutato, preso atto di questa disponibilità e abbiamo convenuto che a questo punto conviene dare subito spazio a Mariolina e ovviamente con la piena fiducia di tutti”.
(da Huffingtonpost)

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ROBERTO MARONI: “GIORGETTI HA RAGIONE, SALVINI FACCIA QUELLO CHE DICE LUI, LA LEGA DEVE ADERIRE AL PPE”

Novembre 5th, 2021 Riccardo Fucile

“IL SEGRETARIO ASCOLTA SOLO GLI YES MAN DI CUI SI CIRCONDA”

“Sarebbe bene fare quello che dice Giorgetti. Occorre che la Lega aderisca al Ppe. Giorgetti che è il più democristiano dei leghisti ha ragione. Converrebbe anche a Salvini, che potrebbe prendere il posto di Silvio Berlusconi. Diventare così il leader di un centrodestra moderato in Italia in grado di dialogare con le forze di centro che non hanno tanta forza. Lasciando a Giorgia Meloni il ruolo della destra”.
Così Roberto Maroni, tra i fondatori della Lega e presidente della Consulta contro il Caporalato, in un’intervista a ‘La Repubblica’.
“Mi sembra che Salvini dia troppo poco ascolto a quelli che non la pensano come lui. Ascolta solo gli yes man di cui si circonda. Sono convinto che su questo terreno si possa recuperare. A patto che Salvini si rimetta ad ascoltare le sezioni, gli imprenditori, la gente. E quelli come Giorgetti che lo criticano, ma sanno fare politica”.
Maroni poi dice la sua anche sulla corsa al Colle: “Draghi deve restare a fare il premier almeno fino alle Politiche del 2023. La sua salita al Quirinale farebbe perdere troppo tempo tra consultazioni e il resto. Ci costringerebbe a rinunciare all’utilizzo i fondi del Pnrr che poi dovremmo restituire. L’Europa non fa sconti”. Berlusconi? “Con tutto il bene che gli voglio, ed essendo uno che gliene vuole davvero tanto, gli consiglio di ritirare la sua candidatura per non cadere nella trappola”.
(da agenzie)

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NEL SALOON LEGHISTA NESSUNO SFIDA BUD SPENCER

Novembre 5th, 2021 Riccardo Fucile

UN PALLONE GONFIATO E TANTI PALLONI SGONFI: SALVINI DECLINANTE NEL PAESE INCASSA UN SOSTEGNO DA ISTITUTO LUCE, SI CONFERMA L’ASSENZA DI CORAGGIO DEI SUOI COMPETITOR

Insomma, nel tanto atteso saloon leghista, alla fine nessuno sfida Bud Spencer (copyright di Giancarlo Giorgetti). Perché, si capisce, non è il luogo, non è il momento. E soprattutto perché, anche se la leadership di Salvini è declinante nel paese, nel partito resta (per ora) il dominus assoluto, ed è prematura la sfida, ammesso che ci sia un competitor pronto. Il consiglio federale di oggi – organo ormai raramente convocato, secondo lo stile dei partiti personali, e convocato, sempre lo stile dei partiti personali, solo per testare la fedeltà al capo – è però lo specchio di una crisi, confermata proprio dalle fanfare dall’unanimità di facciata.
E, senza offesa, anche da uno stile da Istituto Luce con cui vengono diramate le notizie, lancio di agenzia dopo lancio: “Giorgetti ribadisce fiducia”, “partito compatto sul segretario”, “i dirigenti confermano piena fiducia a Salvini e alla sua linea” e così via, precedute da un volitivo “ascolto tutti, poi decido io”, che fa molto Papeete o torso nudo su un campo di grano.
Facciamola breve: Salvini, appunto in perfetto stile Bud Spencer, ha fatto capire che comanda lui, almeno dentro la Lega: avanti col gruppo sovranista in Europa, conferenza programmatica per serrare i ranghi in vista del Quirinale, nessuna concessione in termini di linea, anche perché le questioni vere le ha evitate. La parola Draghi è rimasta il vero convitato di pietra. Ha pure incassato un mea culpa da Giorgetti per il modo, si sarebbe detto una volta, in cui ha espresso il dissenso nel libro di Vespa, e le sperticate lodi di Zaia verso il leader che “prende i voti” da dare in pasto ai cronisti. E c’è da dire che di ruggiti di leoni non se ne sono sentiti, da parte di chi è uscito dalla riunione con gli stessi pensieri e retropensieri con cui è entrato. Altro elemento da annotare sul taccuino perché tra l’applauso e il dissenso ci sono diverse grammature di attributi.
Ma se il primo incassa una vittoria di Pirro interna e gli altri si nascondono come dei Vietcong nella selva leghista sperando che il governo Draghi completi l’opera, alla fine del western non consumato resta l’impressione di un partito seduto, nel suo insieme, su una polveriera di contraddizioni. Perché non è costo a zero, lo si è visto in questi mesi, il carnevale che prevede il sostegno a Draghi in Italia e il gruppo con la Le Pen in Europa, europeismo di qua, sovranismo di la, ma vale per tutti: se Salvini ha l’imbarazzo di dire alla Le Pen che in Italia sta con Draghi, Giorgetti ha l’imbarazzo di dire a Draghi che in Europa sta con la Le Pen.
I vecchi titolisti avrebbero riassunto la vicenda, con un classico “tregua armata”, che presuppone la rimozione dei nodi e la pistola che resta nella fontina. In parte è vero l’elemento di racconto di un conflitto che non si è consumato nelle sedi di partito, però non è vera la cessazione del conflitto, perché le due linee, che ci sono e restano, cozzano oggettivamente, al di là delle maschere soggettive indossate alla bisogna. La linea di Salvini regge se, e solo se, riesce ad andare ad elezioni anticipate dopo il Colle.
La linea di Giorgetti, che ha come perno il governo, si fonda sul fatto che su questo terreno le contraddizioni sono destinate ad aumentare. Effettivamente, così è stato finora perché il governo guidato dall’ex presidente della Bce, scientista ed europeista, ha rappresentato uno stress test per chi non ha ritarato il proprio orizzonte nelle condizioni nuove, e ne ha subito ogni iniziativa, da Speranza al Green Pass, da Speranza alla Lamorgese.
In tal senso, si capisce in parte l’“obbedisco di Giorgetti” anche se colpisce l’assenza di sfumature della politica attuale, come cioè si possa passare dalla plateale contestazione alla rinuncia alla discussione vera.
Avrà pensato, l’uomo che è sopravvissuto a tutti i segretari, da Bossi a Maroni, consapevole dell’essere uomo di geometrie logiche più che di truppe: “Vuoi comandare? Prego, ne riparliamo più avanti”, certo che più avanti non c’è la conta ma un muro dove l’altro andrà a sbattere.
Non ci vuole Cassandra per dire che questo “più avanti” si chiama Quirinale, con l’ipotesi Draghi squadernata sul tavolo. La settimana che ai conclude racconta, non solo nella Lega, di leadership che non hanno “pieni poteri sui gruppi”. Guardate le ultime 24 ore: Conte che non riesce nemmeno a eleggere il capogruppo, la Malpezzi processata per quattro ore all’assemblea del Pd (dove Letta non si è neanche presentato) per come è stato gestito il ddl Zan, infine l’unanimità di facciata nella Lega che non muta di una virgola il quadro.
Ovunque i segni di una scomposizione, come effetto della fase che si è aperta con la nascita del governo Draghi, senza che nessuna leadership abbia la forza di un disegno di ricomposizione. I segnali di una crisi politica destinata a diventare crisi istituzionale ci sono tutti. Allacciate le cinture.
(da Huffingtonpost)

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