Destra di Popolo.net

IL RITARDO DELLE MULTE PER I NO VAX E IL GARANTE DELLA PRIVACY: UN’ALTRA PRESA PER I FONDELLI

Febbraio 18th, 2022 Riccardo Fucile

OBBLIGO DAL 1° FEBBRAIO PER GLI OVER 50, MA NESSUNA MULTA EMESSA … GIA’ E’ RIDICOLA LA CIFRA, ALLA FINE NON PAGHERA’ NESSUNO

I cittadini over 50 che non sono vaccinati stanno aspettando che arrivino le multe previste. L’8 gennaio, infatti, il governo ha stabilito le sanzioni per chi (dai 50 anni in su) non dovesse rispettare l’obbligo vaccinale che è scattato il 1° febbraio scorso.
Al 18 febbraio ancora non risultano arrivate le multe previste: a partire da 100 euro per chi non è in regola con l’obbligo vaccinale e da 600 euro fino a 1500 euro per chi, dal 15 febbraio, si dovesse presentare sul luogo di lavoro privo di green pass.
Cosa sta succedendo? Ci sono alcuni fattori che stanno rallentando l’erogazione di queste misure: uno relativo al normale iter giuridico che solitamente si attiva nel caso di una sanzione contestata, l’altro relativo a un vulnus in sé dell’iter legislativo che mette in collegamento il Garante privacy e le multe.
Se il cittadino dovesse ricevere una multa per il mancato rispetto dell’obbligo vaccinale, potrebbe presentare ricorso che, stando alle norme in vigore, potrebbe rallentare l’erogazione della sanzione di diversi mesi (260 giorni).
Il problema è che non si tratta dell’unico ostacolo: quello più ostativo, al momento, sembra essere la mancanza della valutazione del Garante della Privacy sulla possibilità del ministero della Salute, l’ente che ha a disposizione i dati dei cittadini over 50 non vaccinati, di trasferire questo elenco all’Agenzia delle Entrate che dovrebbe – di conseguenza – comunicare le sanzioni ai cittadini stessi.
Su questo tema, Garante della Privacy, ministero della Salute e Sogei sarebbero ancora in una fase di discussione, come ha evidenziato il quotidiano Repubblica. Discussione che, evidentemente, era stata data per scontata in fase di approvazione della norma (o che ci si augurava potesse essere superata tra l’approvazione della norma – 8 gennaio – e l’inizio dell’obbligo – 1° febbraio).
In ogni caso, anche se dovesse essere dato il via libera a questo passaggio, prima della sanzione vera e propria dovrebbe partire un avvertimento. Altro tempo che si perde. Secondo alcune stime, gli over 50 non vaccinati e potenzialmente sanzionabili sarebbero 1,4 milioni.
(da agenzie)

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SUI REFERENDUM CONTRO I MAGISTRATI E A FAVORE DEI POLITICI CONDANNATI, SALVINI E’ RIMASTO SOLO

Febbraio 18th, 2022 Riccardo Fucile

ACCANTO A SE’ SOLO SEDIE VUOTE MENTRE SUI SOCIAL I LEGHISTI LO SOMMERGONO DI IMPROPERI: ”VUOI LASCIARE IN LIBERTA’ SPACCIATORI, SCIPPATORI E LADRI POLITICI; VERGOGNATI”

La solitudine di Matteo Salvini sulla giustizia diventa evidente di buon mattino quando si presenta in conferenza stampa alla Camera per annunciare l’inizio della campagna referendaria: accanto a sé il leader leghista ha solo sedie vuote.
Non ci sono gli (ex?) alleati di centrodestra: né Forza Italia che sosterrà il “sì” ma – come spiega Antonio Tajani – preferisce una riforma in Parlamento, né tantomeno Fratelli d’Italia che non ha sottoscritto due dei cinque quesiti ammessi – abolizione della legge Severino e limitazione della custodia cautelare – e potrebbe fare campagna per il “no” per fare lo sgambetto definitivo a Salvini.
Con un effetto che sfiorerebbe il comico: Lega e FdI potrebbero correre insieme per le Comunali, ma fare campagna opposta sui referendum.
Salvini lo sa e prova a sminare il campo da conflitti dentro la coalizione: “Evviva la libertà” risponde a chi gli chiede dell’opposizione di FdI. Ma lo scontro nella coalizione resta e i “no” non arrivano solo da Meloni.
Anche Forza Italia è scettica: se la ministra Mariastella Gelmini chiede comitati per il “sì” di centrodestra, Tajani convoca una conferenza stampa per dire che se il Parlamento migliorerà la riforma del Csm, dei referendum potrebbe anche non essercene bisogno. “I referendum spingono a fare in fretta, sono un messaggio di incitamento al Parlamento per fare una riforma a partire dalla separazione delle funzioni – dice Tajani – poi se si faranno, voteremo sì”. Il leghista, a costo di celebrare la consultazione, è pronto a rallentare l’iter della riforma Cartabia in Parlamento.
Un problema non da poco Salvini ce l’ha anche in casa.
Perché mercoledì, quando ha cantato vittoria sui social per l’ammissione di 5 su 6 quesiti da parte della Consulta, molti militanti e iscritti della Lega lo hanno attaccato ricordandogli le origini del Carroccio che all’inizio negli anni Novanta tuonava contro “Roma ladrona” e sventolava il cappio in Parlamento contro i politici finiti alla sbarra durante Mani Pulite.
E quindi il leader della Lega è stato subissato dai fischi su Facebook: il quesito sulla custodia cautelare, scrive Loredana, “significa che si butta la chiave delle carceri e si avrà meno giustizia e più immunità ai politici nella giurisdizione”.
Il referendum sulla carcerazione preventiva è quello che fa più arrabbiare la base leghista perché molti delinquenti potrebbero rimanere liberi.
“Davvero portate avanti una referendum per cui non potranno essere disposte le misure cautelari per i reati non violenti, andranno in giro ladri, scippatori, stalker, spacciatori?” ci va giù duro Giuseppe, mentre Walter attacca il segretario della Lega sull’abolizione della Severino: “I condannati potranno tornare in Parlamento – scrive – È questa la riforma? All’estero lasciano per aver copiato una tesi di laurea e noi portiamo i condannati”.
In molti sono scettici sul raggiungimento del quorum (“nessuno andrà a votare”), anche perché la giustizia non scalda parte della base leghista che gli chiede conto dei “tradimenti” su green pass e vaccini.
In mezzo a queste difficoltà, Salvini deve iniziare a imbastire la campagna referendaria. Ieri ha incontrato i vertici del partito Radicale, Maurizio Turco e Irene Testa, per mettere in piedi i comitati del “Sì”: non ce ne sarà uno del centrodestra e il leghista chiederà che i comitati siano sganciati dalle appartenenze partitiche, cercando appoggi trasversali dal M5S al Pd ai renziani.
La comunicazione del suo tour, che inizierà a marzo, sarà tutta incentrata sulla “malagiustizia italiana” a partire dal suo processo a Palermo passando per la retorica anti-pm “politicizzati”, contro “le correnti” e per tutelare le “vittime di ingiustizie in carcere o in attesa di processo”. Salvini, insomma, si “berlusconizzerà”.
Ma non sarà facile raggiungere il quorum e per questo il leghista ha chiesto un election day che accorpi referendum e Comunali per “far risparmiare 200 milioni allo Stato”: un modo per portare più gente al voto. Non sarà facile, sia perché, come prassi, si cerca sempre di trovare due date diverse ma anche perché né la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, né gli alleati di governo (Pd e M5S) vogliono fare un favore a Salvini.
(da Il Fatto Quotidiano)

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IL RETROSCENA DELLA SFURIATA DI DRAGHI: ”SE DOBBIAMO FARE UN ANNO DI CAMPAGNA ELETTORALE ALLORA TANTO VALE DIRE CHE ABBIAMO SCHERZATO”

Febbraio 18th, 2022 Riccardo Fucile

PER ACCEDERE AL PNRR OCCORRE FARE LE RIFORME, ALTRIMENTI ELEZIONI IN PRIMAVERA

«O riuscite a garantire che i provvedimenti una volta approvati all’unanimità in Consiglio dei ministri passino in Parlamento o il Parlamento si trova un altro governo». Dopo lo stop al limite di mille euro per il contante approvato dal centrodestra unito Mario Draghi pone un ultimatum ai partiti della maggioranza.
E nell’incontro con i capigruppo per la prima volta pone il problema della durata dell’esecutivo. Lo fa dicendo che «non siamo qui per scaldare la sedia» e rimarcando la sua distanza dai “giochi di Palazzo”: «Quanto successo nelle ultime ore è grave. Un voto unanime in consiglio dei ministri non può essere sconfessato un minuto dopo in commissione. Così non si va avanti».
I retroscena
Il retroscena di Repubblica racconta oggi una situazione quasi esplosiva: «Ci sono delicate questioni internazionali. Dobbiamo approvare la legge sulla concorrenza, altrimenti perdiamo risorse. Abbiamo una delega fiscale ferma».
Poi la minaccia del voto: «Se dobbiamo fare un anno di campagna elettorale, allora tanto vale dirlo chiaramente: abbiamo scherzato. Tanto vale prenderne atto».
Il premier, spiega il quotidiano, evoca di fatto la fine del suo governo. E le urne anticipate in primavera.
Una mossa che Draghi ha fatto con l’avallo di Sergio Mattarella, con cui ha parlato prima della sfuriata. Che infatti viene chiamato in causa: «Questo governo esiste perché il presidente lo ha voluto per fare le cose». La Stampa spiega invece che il nervosismo di oggi parte dal Quirinale.
Qualcosa con i partiti si è rotto nella settimana della trattativa per il Colle, quando le sue ambizioni sono andate a cozzare con un emiciclo che non si fida più di lui. E infatti la risposta dei partiti è stata che manca la condivisione.
I presenti raccontano al quotidiano «la frustrazione» di deputati e senatori. Che si ritengono «costretti» da quattro anni a firmare decreti che nemmeno conoscono: «Gli incidenti succedono e purtroppo di ripeteranno». Anche i capidelegazione, presenti all’incontro, dicono che molti non li tengono ormai più. Draghi respinge l’accusa. Per la manovra, dice, tutti sono stati ascoltati. Ma gli attacchi al governo sono continuati.
Il casus belli
Il problema ora però è come andare avanti. Perché nelle prossime scadenze dell’esecutivo sono elencate molte, moltissime occasioni in cui possono scattare altre trappole. Per mandare sotto l’esecutivo. Ma anche per convincerlo a fare un passo indietro. I casus belli abbondano.
C’è da discutere sui balneari, sui quali il governo ha trovato il compromesso di far entrare in vigore le norme nel 2024 proprio per lasciar giudicare al prossimo parlamento la fattibilità della riforma. Anche questo è un segno di debolezza.
Poi c’è la riforma fiscale, che giace ancora al ministero dell’Economia. Con all’interno quella del catasto, sulla quale la battaglia sarà molto più aspra.
Con il rischio di trovarsi, su quello e altri temi, in campagna elettorale.
(da agenzie)

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SALVINI VUOLE ACCORPARE I REFERENDUM ALLE AMMINISTRATIVE ALTRIMENTI NON RAGGIUNGE IL QUORUM

Febbraio 18th, 2022 Riccardo Fucile

EUTANASIA E CANNABIS AVREBBERO INDOTTO GLI ITALIANI A VOTARE, MA DELLA SUA VENDETTA CONTRO LA MAGISTRATURA NON FREGA UNA MAZZA A NESSUNO

A caldo, subito dopo la pronuncia di “inammissibilità” del quesito referendario sull’eutanasia da parte della Corte costituzionale, la reazione di Matteo Salvini aveva sorpreso tutti. “Sono dispiaciuto, la bocciatura di un referendum non è mai una buona notizia”, aveva scritto. Poi è arrivato anche lo stop a quello sulla cannabis. “Mi spiace che alcuni referendum non sono stati ammessi – ha detto oggi in conferenza alla Camera – ma sia su eutanasia che su droghe avrei votato contro. La Corte avrà avuto i suoi motivi”.
Sincero rammarico o strategia politica?
Come riporta il Fatto Quotidiano, dopo aver appreso la notizia dal Palazzo della Consulta sulle chat della Lega qualcuno ha previsto un possibile impatto negativo sui 5 dei 6 quesiti proposti proprio dal Carroccio insieme ai Radicali per rifondare la giustizia: “Guardate che così al quorum non ci arriviamo”, e ancora: “Non riusciremo mai a portare metà degli italiani a votare sull’elezione dei componenti del Csm”.
Due argomenti maggiormente “sentiti” dalla popolazione, come il suicidio assistito e la coltivazione della cannabis, avrebbero trascinato molti più italiani al voto, soprattutto tra i giovani.
Esprimere un parere sull’abolizione della legge Severino o sulla separazione delle carriere dei magistrati potrebbe non appassionare abbastanza il Paese al punto da portare alle urne il 50% più uno degli aventi diritto, necessario per evitare che la consultazione venga invalidata.
Risulta difficile non leggere in questa ottica la richiesta avanzata oggi proprio da Salvini, che ha proposto un “election day” in primavera che accorpi i “suoi” referendum alle elezioni amministrative che coinvolgeranno a breve 25 capoluoghi tra i quali L’Aquila, Catanzaro, Palermo, Genova, Parma.
Alla stampa ha provato a venderla come un’idea per tagliare i costi logistici: “Se vogliamo risparmiare 200 milioni allora potremmo pensare a uno stesso giorno per le amministrative”. Ma è innegabile che la questione del quorum lo preoccupi
(da agenzie)

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ALEMANNO CONDANNATO IN APPELLO A UN ANNO E 10 MESI

Febbraio 18th, 2022 Riccardo Fucile

FINANZIAMENTO ILLECITO E TRAFFICO D’INFLUENZE

L’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno è stato condannato dai giudici della Corte d’Appello della Capitale a un anno e dieci mesi, in uno dei filoni dell’inchiesta Mondo di mezzo.
Le accuse nei confronti dell’ex sindaco di Roma sono quelle di finanziamento illecito e traffico di influenze illecite.
I giudici della quarta sezione penale della Corte d’Appello di Roma erano stati chiamati a ridefinire la pena dopo l’assoluzione dello scorso luglio dall’accusa di corruzione da parte della Cassazione.
Dopo la sentenza della Corte d’Appello, Gianni Alemanno ha osservato che «il ridimensionamento del fatto a seguito della sentenza della Cassazione è evidente ed è estremamente importante, ma rimane l’amarezza per una condanna che a mio avviso non è giustificata perché io continuo a proclamarmi innocente».
E l’ex primo cittadino della Capitale aggiunge: «Ritengo che il fatto di sollecitare i pagamenti di crediti dovuti da tempo dalla pubblica amministrazione non può essere una cosa che mi viene contestata. Attendo di leggere le motivazioni prima di fare ricorso in Cassazione».
(da agenzie)

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SULL’UCRAINA PARTITA INTERNA AL CREMLINO, L’ALA DURA E PURA VUOLE LA GUERRA MA GLI OLIGARCHI NO: PERDEREBBERO TROPPO DALLE SANZIONI

Febbraio 18th, 2022 Riccardo Fucile

ZAR VLAD VUOLE USARE LA CRISI CON KIEV PER ERGERSI A LEADER INSOSTITUIBILE IN VISTA DELLE ELEZIONI DEL 2024, PERÒ PERFINO I SUOI ELETTORI APPAIONO NEI SONDAGGI TERRORIZZATI DA UN’IPOTESI DI GUERRA

Il “niet” russo alle proposte negoziali americane fa tremare la Borsa di Mosca, che torna a precipitare con i nuovi segnali di guerra, per poi sparire subito – letteralmente – dalla circolazione, con il sito del ministero degli Esteri russo che collassa immediatamente dopo e rimane inaccessibile per ore.
Dal grattacielo staliniano sulla piazza Smolenskaya arrivano sommesse giustificazioni su un «inconveniente tecnico», senza nemmeno tirare in ballo ipotesi di cyberwar e hacker ucraini.
Un momento imbarazzante per le ambizioni di un Paese che vuole tornare a venire riconosciuto superpotenza, che fa pensare a un disguido del server provvidenziale per prendere tempo: quando il sito della diplomazia russa torna online, ore dopo, il documento della «risposta» scende in basso nella lista delle notizie, e soprattutto cambia titolo: diventa un anonimo «Comunicato per i media», declassato da quello della risposta ufficiale a un commento su un testo ancora da pubblicare.
Forse una correzione «tecnica»: molti osservatori infatti erano rimasti subito colpiti da un linguaggio molto polemico, più giornalistico che diplomatico, con accuse agli Usa come quelle di aver «rigirato» (tra virgolette nel testo) le proposte russe per renderle più «comode».
O forse un tentativo di rimediare a una cartuccia sparata troppo presto, in una giornata che abbonda di segnali contraddittori provenienti dal Cremlino, dall’espulsione del viceambasciatore americano alle nuove accuse di «genocidio» dei russi contro gli ucraini, alla pioggia di mortai e bombe lungo la linea del fronte nel Donbass.
Casuale o voluto, il giallo del sito della diplomazia russa è sintomatico di questa guerra combattuto sul terreno mediatico ancora prima che nella neve e nel fango al confine con l’Ucraina. I canali russi mostrano carri armati portati via dalla Crimea e treni carichi di blindati che riprendono la strada di ritorno, a voler smentire le accuse del Pentagono sull’assenza di segni tangibili della ritirata promessa da Vladimir Putin.
Una promessa fatta anche quella dagli schermi della televisione, così come la scenografia meticolosamente organizzata dei preparativi: prima il ministro degli Esteri Sergey Lavrov che suggerisce di dare una chance al negoziato, e poi quello della Difesa Sergey Shoigu che comunica il rientro delle truppe alla base dalle «esercitazioni» a Ovest.
Il presidente russo si mostra preoccupato e dubbioso, esige rassicurazioni dai ministri, prima di rassicurare a sua volta – sempre davanti alle telecamere – Olaf Scholz, garantendo di «non volere una guerra in Europa».
Un’esibizione che non può occultare il segnale che, almeno a livello di escalation mediatica, è stato Putin a dover rassicurare e smentire, proprio il giorno prima della data dell’invasione dell’Ucraina annunciata ai giornali americani da «fonti occidentali bene informate». Non c’è dubbio che i suoi cortigiani l’hanno notato.
La «campagna ucraina» era infatti in buona parte diretta proprio a loro, per riproporre il leader russo come insostituibile in tempi di scontro «geopolitico», in vista delle elezioni del 2024. Infatti non è casuale che l’ultimatum sullo stop alla Nato era stato pubblicato sul solito sito del ministero degli Esteri in forma di bozza di trattato da firmare o respingere, un documento pensato per venire rifiutato, offrendo il pretesto per una di quelle escalation dalle quali il capo del Cremlino finora ha sempre guadagnato.
Oggi però perfino i suoi elettori appaiono nei sondaggi terrorizzati da un’ipotesi di guerra, mentre nei sondaggi ucraini i sostenitori dell’adesione alla Nato aumentano al 62%, un risultato opposto a quello che speravano a Mosca.
Il dilemma di Putin resta dunque irrisolvibile: la sua visione del mondo postimperiale non gli concede di rassegnarsi a un’Ucraina che fugge dalla Russia tra le braccia dell’Occidente, ma l’invasione ha un prezzo troppo alto per tutti, in primo luogo i suoi stessi seguaci.
Anche il testo pubblicato dal ministero degli Esteri ieri porta i segni della stessa ambivalenza: plaude al «potenziale per un accordo» con gli Stati Uniti sul disarmo, ma nello stesso tempo ribadisce testardamente tutte le posizioni russe su Crimea, Donbass e Nato.
Potrebbe essere un discorso fatto alla suocera perché nuora intenda, ma l’esistenza di un eventuale scontro all’interno del Cremlino si può intuire soltanto da segnali indiretti ancora più ambigui di quelli mandati dal Politburò dei tempi di Brezhnev. Il compromesso non è mai stato un’arte in cui il putinismo ha brillato. Raggiungerlo e/o imporlo non sarà facile.
(da “La Stampa”)

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MORIRE DI LAVORO COME UN CAVALLO DA TIRO

Febbraio 18th, 2022 Riccardo Fucile

LA GIOVANE INFERMIERA COSTRETTA A FARE TURNI ANCHE DI DICIOTTO ORE MORTA AL VOLANTE PER UN COLPO DI SONNO… E’ QUESTO IL MODELLO ULTRA-LIBERISTA CHE LA DESTRA SOCIALE RIFIUTA, A DIFFERENZA DEI SOVRANISTI SERVI DEI POTERI FORTI

Sono stanca morta, scriveva al fidanzato l’infermiera appena smontata dal secondo turno di notte consecutivo (dieci ore e dieci pazienti da accudire) prima di appisolarsi al volante e interrompere la sua giovane vita all’alba contro un palo della luce.
Non è morta sul lavoro, è morta di lavoro.
E noi, quasi obbedissimo a un riflesso condizionato, siamo alla ricerca di un capro espiatorio che plachi i morsi dell’ansia provocati da questa storia così ordinariamente assurda. Un primario bullo a cui intestare quella turnazione feroce – mattina, pomeriggio, pomeriggio, notte, notte – che era la settimana tipo di Sara Sorge.
Un paziente aggressivo a cui imputare i suoi nervi stremati. Un pirata della strada responsabile dell’incidente. Niente. Non ci sarà nessuna inchiesta perché non c’è nessun colpevole. O meglio, uno c’è, enorme e inafferrabile, ed è persino stucchevole continuare a chiamarlo «il sistema».
La storia di Sara è purtroppo identica a quella dei suoi colleghi e di migliaia di altri giovani e adulti che la pandemia ha catapultato in prima linea, nel suo caso direttamente dall’università, costretti a turni massacranti dalla mancanza di personale, di fondi adeguati e di una strategia alternativa all’ammassamento dei pazienti negli ospedali e degli anziani nelle case di riposo.
Ma più in generale si direbbe che il lavoro, ogni genere di lavoro, abbia ormai smarrito la logica della via di mezzo.
O non lavori per nulla oppure sgobbi, e talvolta muori, come un cavallo da tiro.
(da Il Corriere della Sera)

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IL PALESE SALUTO NAZISTA DELL’EURODEPUTATO BULGARO PER IL TG2 IN MANO AI SOVRANISTI DIVENTA ”PRESUNTO”

Febbraio 18th, 2022 Riccardo Fucile

L’ENNESIMO INDEGNO SCONCIO DEL CANALE ORBANIANO CHE FA DISINFORMAZIONE CON I SOLDI DEGLI ITALIANI

Il saluto nazista fatto dall’eurodeputato bulgaro Angel Dzhambazki, iscritto al Gruppo Ecr (lo stesso di Fratelli d’Italia) è assolutamente inequivocabile, tanto che i giornali di tutto il mondo non hanno avuto dubbi nell’etichettare il gravissimo gesto per quello che è.
Tutti, tranne il Tg2: come fa notare Michele Anzaldi, “per il Tg2 il gesto è solo presunto: il servizio ne parla al condizionale. Incredibile e offensiva disinformazione. Intervengano Fuortes e il Cda” scrive su Twitter.
Dzhambazki, che prima di fare il gesto ha detto “lunga vita a Orban, Fidesz, Kaczynski, la Bulgaria. Lunga vita all’Europa delle nazioni”, ha rivolto il gesto a Sandro Gozi (Renew Europa) prima dell’intervento di quest’ultimo sullo Stato di diritto in Polonia e Ungheria e a Pina Picierno, che in quel momento presiedeva l’aula.
“Nella seduta che ho presieduto stasera l’eurodeputato bulgaro Dzhambazki ha esibito il saluto romano. Ho subito condannato l’accaduto e chiesto di sanzionare questo gesto ignobile e inaccettabile. Il Parlamento europeo è un monumento vivo della democrazia contro la barbarie del nazifascismo” ha dichiarato Picierno.
(da Globalist)

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E’ STATO OPERATO AL CUORE IL BAMBINO I CUI GENITORI VOLEVANO SOLAMENTE SANGUE DEI NO VAX PER LE TRASFUSIONI

Febbraio 18th, 2022 Riccardo Fucile

TUTTO BENE, A BREVE SARA’ DIMESSO

La sua storia è diventata di dominio pubblico per via della posizioni di suo padre e di sua madre che non volevano, per la sua delicatissima operazione cardiaca, trasfusioni effettuate con il sangue di persone vaccinate.
Una vicenda che ha chiamato in causa anche la giustizia che prima ha dato ragione al personale medico dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna e poi ha sospeso la patria potestà alla coppia. Ora il bimbo di due anni, figlio dei genitori fortemente no vax, è stato operato proprio nel nosocomio emiliano. E l’intervento al cuore è andato bene.
Come riporta Il Resto del Carlino, il bambino è stato operato martedì al Sant’Orsola di Bologna. L’operazione è andata bene, ma occorreva procedere il più rapidamente possibile vista la conclamata patologia cardiaca che metteva a repentaglio la vita del piccolo.
Per questo motivo il tribunale aveva accettato il ricorso presentato dal nosocomio nei confronti della decisione dei genitori che non volevano che il bimbo entrasse in contatto con sangue di persone vaccinate durante le eventuali e necessarie trasfusioni.
Tra pochi giorni il figlio dei genitori no vax sarà dimesso dall’Ospedale, in attesa di capire se potrà tornare con la sua famiglia.
La procura di Modena, infatti, ha deciso di sospendere la patria potestà dei genitori. Una decisione presa per accelerare i tempi per la sua delicata, necessaria e non rimandabile operazione cardiaca.
La coppia, vittima di una serie di convinzioni provocate da un’infinita quantità di fake news che circolano sui social, era (probabilmente ancora lo è) convinta che con la trasfusione di sangue di persone vaccinate, il loro bambino sarebbe entrato in contatto con sostanze nocive contenute nei vari prodotti (oltre ai feti).
Due bufale già smentite che, però, hanno messo a repentaglio l’operazione e la sopravvivenza del piccolo.
(da agenzie)

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