MORIRE DI LAVORO COME UN CAVALLO DA TIRO
LA GIOVANE INFERMIERA COSTRETTA A FARE TURNI ANCHE DI DICIOTTO ORE MORTA AL VOLANTE PER UN COLPO DI SONNO… E’ QUESTO IL MODELLO ULTRA-LIBERISTA CHE LA DESTRA SOCIALE RIFIUTA, A DIFFERENZA DEI SOVRANISTI SERVI DEI POTERI FORTI
Sono stanca morta, scriveva al fidanzato l’infermiera appena smontata dal secondo turno di notte consecutivo (dieci ore e dieci pazienti da accudire) prima di appisolarsi al volante e interrompere la sua giovane vita all’alba contro un palo della luce.
Non è morta sul lavoro, è morta di lavoro.
E noi, quasi obbedissimo a un riflesso condizionato, siamo alla ricerca di un capro espiatorio che plachi i morsi dell’ansia provocati da questa storia così ordinariamente assurda. Un primario bullo a cui intestare quella turnazione feroce – mattina, pomeriggio, pomeriggio, notte, notte – che era la settimana tipo di Sara Sorge.
Un paziente aggressivo a cui imputare i suoi nervi stremati. Un pirata della strada responsabile dell’incidente. Niente. Non ci sarà nessuna inchiesta perché non c’è nessun colpevole. O meglio, uno c’è, enorme e inafferrabile, ed è persino stucchevole continuare a chiamarlo «il sistema».
La storia di Sara è purtroppo identica a quella dei suoi colleghi e di migliaia di altri giovani e adulti che la pandemia ha catapultato in prima linea, nel suo caso direttamente dall’università, costretti a turni massacranti dalla mancanza di personale, di fondi adeguati e di una strategia alternativa all’ammassamento dei pazienti negli ospedali e degli anziani nelle case di riposo.
Ma più in generale si direbbe che il lavoro, ogni genere di lavoro, abbia ormai smarrito la logica della via di mezzo.
O non lavori per nulla oppure sgobbi, e talvolta muori, come un cavallo da tiro.
(da Il Corriere della Sera)
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