Marzo 21st, 2022 Riccardo Fucile 
			
					“NON VOLEVO RESTARE A GUARDARE. AVREI IMMAGINATO DI FARE TUTTO NELLA VITA MA MAI DI TORNARE A METTERMI L’UNIFORME. COMBATTIAMO DA ORE, I RUSSI SONO DAPPERTUTTO”
«Ivan Luca sta bene. So solo questo: che sta bene. Ma preferisco non aggiungere altro…».  Clic.
Clic.
Pietro Vavassori, 70 anni, titolare dell’Italsempione, importante azienda lombarda nel settore della logistica, al telefono ha una voce risollevata ed è inutile stare a chiedergli di più.§
Suo figlio è uno degli italiani andato a combattere in Ucraina, volontario. Da tre giorni non c’erano più notizie di questo trentenne giramondo, manager e portiere di calcio arrivato a giocare in Lega Pro
Ma poi in qualche modo è riuscito a far sapere al padre «di essere vivo», seppure «circondato dalle truppe russe – è il racconto aggiunto sul suo profilo TikTok – arrivate a un chilometro da noi. Abbiamo avuto diversi scontri, abbiamo dei feriti. Loro contano due morti»».
Ivan Luca è il figlio adottivo, di origine russa, di Pietro e di sua moglie Alessandra Sgarella, sequestrata dalla ‘ndrangheta. Era la sera dell’11 dicembre 1997 e la donna, allora quarantenne, venne rapita nel cortile di casa a Milano.
Restò nelle mani dei banditi per circa dieci mesi, nella Locride. Se trovò le forze per aggrapparsi alla vita fu anche per le lettere, «anzi le favole», che scriveva per Ivan Luca, il bimbo che stava per adottare, in arrivo da Elektrostal, vicino a Mosca.
A dirlo durante il processo che portò alla condanna di quasi tutti i rapitori, fu proprio suo marito Pietro: «Credo che sapere che sarebbe diventata mamma, e lo seppe proprio il giorno prima del rapimento, le abbia dato la forza di resistere».
Alessandra morì poi il 27 agosto 2011 per una malattia. Quel giorno, mentre stava chiudendo gli occhi, fecero a tempo a raccontarle che l’ultimo componente della banda, il latitante Francesco Perre, era stato arrestato poche ore prima in Aspromonte durante un blitz dei carabinieri.
Sino a qualche settimana fa suo figlio Ivan Luca (ha raccontato il Giorno) era in Bolivia, dove stava allenandosi con il Real Santa Cruz, sperando in un ingaggio come portiere di calcio.
Però, «non volendo stare a guardare», ha preso la decisione di partire per l’Ucraina, comunicandola con un video su TikTok, il 28 febbraio. «Avrei immaginato di fare tutto nella vita ma mai di tornare a mettermi l’uniforme» ha scritto accompagnando le parole con immagini di soldati, dai volti pixelati, della Legione straniera francese.
In un successivo video, il 3 marzo, racconta di essere abile e arruolato: dall’ambasciata di Kiev in Italia è arrivato il «via libera» per entrare nella «Legione di difesa internazionale ucraina» che avrebbe già raccolto – stando a numeri forniti dal Paese invaso dai russi – «20.000 richieste da veterani e volontari di 52 Paesi».
Gli aggiornamenti sui social postati da Ivan Luca sono un diario dal fronte. C’è la partenza per la Polonia, poi una trattativa con l’Esercito ucraino che pretende una ferma sino alla fine della guerra.
I volontari scuotono il capo ma partono lo stesso per Kiev, in treno e su un bus che si fa largo tra la fiumana di profughi diretti a Ovest. Ci sono le armi da recuperare, «qualcosa troveremo o ci venderanno».
Però recuperano ben poco, vecchi kalashnikov e «arnesi della Seconda guerra mondiale». Nei primi video, uno con la colonna sonora del film Platoon, il suo volto è fiducioso. Ma nell’ultimo, già scaraventato in prima linea e «con cinque dei nostri che hanno abbandonato», è un indurito veterano: «Combattiamo da ore, i russi sono dappertutto».
(da Il Fatto Quotidiano)
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				Marzo 21st, 2022 Riccardo Fucile 
			
					UNA RIPULITA AI PROFILI FACEBOOK DEGLI ESPONENTI DEL PARTITO, L’ABBANDONO DEL SOVRANISMO E UN MESSAGGIO CONTRO IL NAZISMO: LA LUNGA CORSA VERSO IL GOVERNO E’ PARTITA
 L’ultima volta che si è confrontata col gruppo dirigente del suo partito – una Direzione a porte chiuse di Fratelli d’Italia – Giorgia Meloni è stata chiara: «Lo sapete: io con me stessa sono implacabile, ma credo debba esserlo anche con voi. Mi raccomando, dobbiamo essere perfetti, a cominciare dai profili su Facebook».
L’ultima volta che si è confrontata col gruppo dirigente del suo partito – una Direzione a porte chiuse di Fratelli d’Italia – Giorgia Meloni è stata chiara: «Lo sapete: io con me stessa sono implacabile, ma credo debba esserlo anche con voi. Mi raccomando, dobbiamo essere perfetti, a cominciare dai profili su Facebook».
Qualche giorno dopo, parlando alla presentazione di un libro, la leader dei Fratelli d’Italia è stata altrettanto esplicita: «Io penso che chi sostiene che l’Italia non aveva le forze di opporsi ai nazisti dice il falso: la Bulgaria lo fece, si poteva fare e non si è fatto».
Due esternazioni su questioni diverse ma attraversate dalla stessa ambizione alla quale Giorgia Meloni sta lavorando: trasformare Fratelli d’Italia in un partito di governo. Da unico partito del centro-destra mai entrato in un esecutivo, a «partito-guida» della coalizione alle prossime elezioni politiche, oramai vicine: mancano 10 mesi all’inizio della campagna elettorale.
Meloni ha deciso: oltre a «consolidare i guadagni» elettorali, è ora di provare a fare il «grande balzo». Di qui una campagna di primavera in due passaggi. Una Convention di tre giorni, dal 6 all’8 maggio: non più a Palermo (come immaginato nelle settimane scorse), ma invece a Milano, per «parlare» ad una parte del Paese sinora sorda al messaggio dei Fratelli.
Una Convention che abbia come obiettivo la definizione di un «programma di governo», con alcuni strappi rispetto al «politicamente corretto» della destra. Una sorta di «Fiuggi 2» ma programmatica e non ideologica, come fu invece lo storico congresso dell’Msi del 1995, che assieme al varo di Alleanza nazionale archiviò i nostalgismi della Fiamma tricolore.
Secondo passaggio, sulla scia del primo: in tarda primavera si svolgerà un turno di amministrative, la cui data non è stata fissata ma da Fratelli d’Italia scommettono sul 12 e 26 giugno, una «previsione» che a palazzo Chigi non smentiscono.
Di quel test ciò che conta sono i Comuni nei quali si voterà: tra questi anche alcune roccaforti leghiste (Verona, Asti, Gorizia) nelle quali i Fratelli d’Italia («senza lanciar sfide preventive», sorride un fedelissimo di Giorgia) proveranno il sorpasso sulla Lega.
Una mission all’apparenza impossible: alle Europee 2019 a Verona la Lega era al 37,1% e i Fratelli all’8,7, ad Asti il rapporto era 37,3-5,9, mentre a Gorizia era 36,4-6,9. Due sfide strategiche per Giorgia Meloni, che alla domanda su quale sia il suo vero obiettivo, risponde: «Andare al governo».
Risposta quasi ovvia per quasi tutti i leader, non del tutto per chi viene da una storia, quella dell’Msi, che aveva interiorizzato il valore dell’opposizione.
Giorgia Meloni sa di avvicinarsi ad un passaggio decisivo nella sua vita politica. Ha 45 anni ma è già una veterana, il logoramento da sovraesposizione è sempre incombente. Meloni è diventata ministra 14 anni fa, è entrata in Parlamento nel 2006, ha preso la sua prima tessera politica (Fronte della Gioventù) nientedimeno che 30 anni fa.
Certo, in questo momento il vento tira sulle vele e un dato fresco è eloquente: nella classifica dei follower su Facebook, nell’ultima settimana mentre Matteo Salvini ha perso 3.321 amici, Giorgia ne ha guadagnati 1.517, risultando al primo posto tra tutti i leader politici.
E negli ultimi mesi la leader dei Fratelli è convinta di averle azzeccate tutte: il posizionamento strategico sulla vicenda Ucraina (all’ambasciata Usa a Roma è ricevuta con rispetto) ma in precedenza quello europeo: da leader dei Conservatori europei ha parlato (in buon inglese) alla Convention dei Repubblicani americani, mentre ai militanti spagnoli della destra estrema di Vox, aveva riservato la versione del suo tormentone in lingua locale: «Yo soy Giorgia!».
Ma ora inizia l’ultimo miglio. Certo, a cinquanta giorni dalla Convention è prematuro accampare certezze sulla profondità dello strappo. Di certo le novità non riguarderanno la «questione fascista», che pure è riaffiorata anche ai vertici dei Fratelli ma viene considerata archiviata.
Novità si annunciano sui temi del lavoro, della giustizia, della politica estera, delle imprese. Anche se l’attesa maggiore riguarda il gruppo dirigente – politici, consiglieri, intellettuali – che circonderà Giorgia Meloni.
Oltre a non tollerare dissensi, la leader attorno a sé ha fatto il vuoto: l’unico colonnello che ha la sua piena fiducia è Francesco Lollobrigida (ascoltato anche Giovambattista Fazzolari), l’unico «ambasciatore» a tutto campo è Guido Crosetto, mentre tra i «notabili» di An solo in tre sono rimasti sulla breccia: Adolfo Urso, Ignazio La Russa, Fabio Rampelli.
Ma Giorgia sostiene di aver capito l’antifona: «I nostri parlamentari hanno fatto tutti la gavetta, ma dobbiamo saper attrarre energie anche tra chi ne sa più di noi».
(da La Stampa)
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				Marzo 21st, 2022 Riccardo Fucile 
			
					ABBIAMO PAGATO NOI LA SISTEMAZIONE IN HOTEL DEL PERSONALE E I COMANDANTI DELLA MISSIONE RUSSA CHIESERO CHE FOSSIMO NOI A PAGARE LE SPESE DI VOLO E CARBURANTE DEGLI AEREI (TRA I 700MILA EURO E IL MILIONE) … E NELLA DELEGAZIONE C’ERANO PIU’ MILITARI CHE MEDICI
Il 5 marzo scorso, diciannove giorni prima dell’inizio ufficiale dell’invasione russa in  Ucraina, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, che era stato testimone diretto dell’operazione degli “aiuti russi in Italia per il Covid” (i russi operarono a Bergamo e provincia), scrisse sui social: «Col senno di poi è inevitabile tornare alla missione russa in Italia della primavera 2020. Sono testimone dell’aiuto prestato a Bergamo dai medici del contingente, ma va ricordato che a Pratica di Mare arrivarono più generali che medici. Fu aiuto, propaganda o intelligence?».
Ucraina, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, che era stato testimone diretto dell’operazione degli “aiuti russi in Italia per il Covid” (i russi operarono a Bergamo e provincia), scrisse sui social: «Col senno di poi è inevitabile tornare alla missione russa in Italia della primavera 2020. Sono testimone dell’aiuto prestato a Bergamo dai medici del contingente, ma va ricordato che a Pratica di Mare arrivarono più generali che medici. Fu aiuto, propaganda o intelligence?».
Sabato scorso, dopo le minacce della Russia all’Italia e al ministro Lorenzo Guerini, il segretario del Pd Enrico Letta ha scritto: «Il ministero degli Esteri russo piega a propaganda di guerra anche il dramma Covid, attaccando con farneticazioni inaccettabili il ministro Lorenzo Guerini. Il nostro sostegno è ancora più convinto e diventa legittimo dubitare delle reali intenzioni di quelle missioni di aiuto sanitario».
Ieri invece il M5S era irritato per le «strumentalizzazioni e dietrologie» sulla missione “Dalla Russia con amore”, fatte «solo per attaccare il governo Conte e il suo operato in pandemia»: «Lo stesso Copasir – sostiene il M5S – ha potuto accertare che quella missione russa si è svolta esclusivamente in ambito sanitario, sempre sotto il controllo dei mezzi militari italiani»
Tuttavia agli atti del Parlamento c’è un’interrogazione parlamentare dei radicali, firmata da Riccardo Magi nell’aprile del 2020, che ottenne una risposta fin troppo esplicita, a rileggerla adesso, da parte del governo Conte: il 12 ottobre 2020, toccò alla viceministra degli Esteri, la grillina Emanuela Del Re, darla. Il testo è assai importante, adesso che i russi rinfacciano quegli “aiuti” all’Italia per esercitare una qualche forma di improbabile pressione sul governo Draghi, e spingerlo a non procedere con altre sanzioni a Mosca.
La prima cosa che Del Re mise agli atti del Parlamento fu che, appunto, la cosa era stata trattata direttamente da Putin e Conte, proprio come aveva scritto La Stampa: «A seguito di colloqui tra il Presidente Conte e il Presidente Putin e tra il Ministro della difesa Guerini e l’omologo russo Shoygu, è stato convenuto l’invio in Italia di materiali e personale sanitario». In pratica fu proprio il governo Conte a dire che i colloqui avvennero al più alto livello (l’allora premier italiano e Vladimir Putin), e dunque il contatto Guerini-Shoigu fu di natura attuativa di quanto deciso dai due leader.
Basterebbe già questo a smentire le accuse russe a Guerini. Ma nella risposta di Del Re sono contenute altre due cose rilevanti.
La prima e più clamorosa è questa: «Al personale russo impegnato nell’attività di supporto è stato fornito vitto e alloggio presso strutture alberghiere nel bergamasco, con oneri a carico della Protezione civile regionale».
Traduzioni: i russi fecero passare il tutto come doni, ma l’Italia ha pagato anche la sistemazione in alberghi del personale.
Si trattò, scrive Del Re, di «104 unità, nello specifico 32 operatori sanitari (tra medici e infermieri), 51 bonificatori e altro personale di assistenza e interpretariato a supporto». Tutti a spese dell’Italia, non della Russia: «Il team sanitario russo è rimasto in Italia dal 22 marzo al 7 maggio 2020». A ciò va aggiunto, come scrisse allora La Stampa senza essere mai smentita, che quando i primi grandi aerei Ilyushin arrivarono a Pratica di mare, i comandanti della missione russa chiesero che fossero gli italiani a pagare le cospicue spese di volo e carburante degli aerei.
Qualcosa che si aggirava (calcolo per difetto) tra i 700mila euro e il milione. Il governo Conte comunicò infine al Parlamento l’entità dei famosi “aiuti”, e qui dobbiamo correggerci: riferimmo di 600 ventilatori (cifra che sarebbe stata comunque modesta), ma il governo Conte ci dice che fu molto meno: «Per quanto riguarda le donazioni ricevute, la Protezione civile ha riferito di aver ottenuto e distribuito sul territorio nazionale: 521. 800 mascherine, 30 ventilatori polmonari, 1. 000 tute protettive, 2 macchine per analisi di tamponi, 10. 000 tamponi veloci e 100. 000 tamponi normali».
La viceministra degli Esteri comunicò poi al Parlamento che «il rientro in Russia dei componenti della delegazione è stato completato il 15 maggio e il flusso degli invii di aiuti è stato sospeso, di comune accordo con la controparte russa, in considerazione del progressivo miglioramento della situazione sanitaria nel nostro Paese e del contestuale peggioramento della situazione sanitaria in Russia». La missione russa fu insomma chiusa anzitempo, e precipitosamente.
(da la Stampa)
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				Marzo 21st, 2022 Riccardo Fucile 
			
					L’ARTICOLO DENUNCIA DEL WASHINGTON POST
 In una squallida aula russa con tappeti logori, gli studenti della scuola elementare si sono allineati per formare la forma della lettera Z: il simbolo usato su gran parte dell’equipaggiamento militare della Russia in Ucraina e un emblema di sostegno in patria, che appare ovunque, dalle fermate degli autobus agli adesivi delle auto ai loghi aziendali.
In una squallida aula russa con tappeti logori, gli studenti della scuola elementare si sono allineati per formare la forma della lettera Z: il simbolo usato su gran parte dell’equipaggiamento militare della Russia in Ucraina e un emblema di sostegno in patria, che appare ovunque, dalle fermate degli autobus agli adesivi delle auto ai loghi aziendali.
Scrive il The Washington Post.
Ora è diventato parte delle lezioni in classe, mentre il Cremlino espande la sua propaganda anti-Ucraina agli studenti fin dall’asilo. Si tratta di un altro fronte del presidente Vladimir Putin per criminalizzare il dissenso e imporre un marchio indiscutibile di patriottismo, anche se la Russia è sempre più isolata
Nel corso delle ultime tre settimane, migliaia di post sono apparsi sui social media russi con gli scolari – fino all’età delle scuole superiori – che frequentano speciali “lezioni patriottiche” o posano per le foto formando i segni Z e V-per-vittoria.
“Sono per il presidente. Sono per la Russia!”, esclama un insegnante in una clip pubblicata sabato da una pagina ufficiale della regione di Nizhny Novgorod, circa 250 miglia a est di Mosca.
“Siamo uniti e quindi invincibili!” urla un coro di bambini nella telecamera, tenendo in mano palloncini nei colori bianco-blu-rosso della bandiera russa.
Il ministro dell’istruzione russo, Sergey Kravtsov, ha apertamente descritto le scuole come centrali nella lotta di Mosca per “vincere la guerra informativa e psicologica” contro l’Occidente. Allo stesso tempo, la Russia ha imposto leggi contro la diffusione di notizie “false” o di “discredito” delle forze armate russe – spingendo molti giornalisti e attivisti a lasciare la Russia.
Il regolatore di Internet del paese, Roskomnadzor, ha anche ordinato ai media di cancellare i reportage che utilizzano le parole “invasione” o “guerra” e basarsi solo su fonti ufficiali del governo, che chiamano la guerra in Ucraina una “operazione speciale”. La TV di stato russa ha rimosso tutti gli spettacoli di intrattenimento dalla sua programmazione, riempiendo le trasmissioni con talk show pieni di propaganda e notizie controllate dallo stato.
Il 3 marzo, Kravtsov ha detto che più di 5 milioni di bambini in tutta la Russia hanno guardato una lezione chiamata “Difensori della pace”. Fa parte di una serie prodotta dal governo e trasmessa online nelle scuole o data agli insegnanti sotto forma di slide show per le lezioni obbligatorie. La serie comprende altri episodi, tra cui “Conversazione adulta sul mondo”, tutti che spingono i discorsi storici revisionisti di Putin che giustificano l’invasione dell’Ucraina. (Le registrazioni di queste lezioni sono state esaminate dal Washington Post).
Ai bambini viene detto che l’Ucraina non è mai esistita veramente come paese e che una volta era solo un piccolo pezzo di terra chiamato Malorossiya. Segue una proiezione di diapositive di mappe, sostenendo che l’Ucraina moderna è una costruzione dell’Unione Sovietica e aree come la penisola di Crimea – che la Russia ha annesso con la forza nel 2014 – cadde accidentalmente nelle mani di Kiev dopo il crollo sovietico nel 1991.
La lezione si sposta all’epoca della seconda guerra mondiale, notando una verità storica che alcune fazioni in Ucraina hanno collaborato con i nazisti, anche se molti ucraini hanno combattuto contro l’Asse. Ma poi la lezione continua a riecheggiare la propaganda di Putin di usare calunnie “naziste” contro l’attuale governo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Gli eventi delle ultime settimane, come gli attacchi russi contro obiettivi civili tra cui un reparto maternità a Mariupol e una scuola vicino alla città occidentale di Kharkiv, sono presentati come fake news. La narrazione dei tentativi “creati da Washington” di “imbiancare l’Ucraina” è particolarmente enfatizzata nelle sessioni per i liceali e gli studenti universitari, che sono più propensi a evitare la TV di stato e ottenere la maggior parte delle loro informazioni online.
Le principali piattaforme occidentali come Instagram e Facebook sono state vietate in Russia, costringendo le persone a utilizzare reti private virtuali, o VPN, per aggirare i blocchi. A sua volta, le autorità russe hanno bloccato più di 20 dei servizi VPN più popolari.
In una presentazione scolastica ottenuta dal Dossier Center di Londra, un outlet investigativo finanziato dall’oligarca russo auto-esiliato Mikhail Khodorkovsky, i tentativi russi di spostare la colpa per gli attacchi alle aree residenziali di Kharkiv.
“Falso: L’esercito russo sta attaccando aree residenziali a Kharkiv. Vero: le armi russe di alta precisione colpiscono solo obiettivi militari e non colpiscono i civili, cosa che il Ministero della Difesa ha detto molte volte”, si legge.
La presentazione esorta anche i bambini a fidarsi solo delle fonti ufficiali, come i siti web del Ministero della Difesa russo, Putin e i media di stato.
Alcuni genitori, indignati dall’indottrinamento politico che coinvolge i bambini, hanno cercato di cancellare i servizi fotografici con le immagini della Z.
Alla figlia di Igor Kostin, che frequenta la scuola superiore nella zona di Krasnodar, a est della Crimea, è stato detto di “vestirsi bene e di essere carina” per un evento di venerdì.
“Ha detto che le avrebbero detto cos’è solo per il giorno dopo”, ha detto Kostin in un’intervista. “Anche ai bambini non è stato detto a cosa avrebbero partecipato”.
Kostin ha mandato un messaggio all’insegnante e ha appreso che la scuola doveva partecipare alla “Primavera della Crimea” – una celebrazione degli otto anni da quando la Russia ha annesso la penisola dopo la rivoluzione Maidan dell’Ucraina, che ha spodestato un presidente pro-Mosca.
Putin ha anche usato la data per organizzare un raduno pro-guerra a Mosca per esaltare i “valori cristiani” della Russia e ritrarre la lotta come una misura necessaria per fermare “neonazisti e nazionalisti estremi” in Ucraina dal commettere “genocidio”.
Kostin ha detto alla scuola che sua figlia non avrebbe partecipato alla celebrazione, citando le leggi sull’istruzione che vietano di portare la politica in classe.
“Su 22 studenti della classe, solo cinque genitori hanno mandato i loro figli a scuola quel giorno”, ha detto.
Ma ha affermato che non ci sono state manifestazioni pubbliche di opposizione da parte di altri genitori. “Forse erano tranquillamente d’accordo con me … ma la gente è terrorizzata”, ha detto Kostin. “Quelli a favore del presidente possono dirlo apertamente, ma tutti gli altri sono molto intimiditi”.
In un video che Kostin ha mostrato al Post, si vedono decine di studenti di altre classi marciare e ballare con bandiere russe su una canzone di guerra patriottica, con segni Z sul petto fatti con nastri di San Giorgio, un simbolo della seconda guerra mondiale in Russia
“Questo è ciò di cui mia figlia avrebbe dovuto far parte?”, ha detto. “Alla fine, hanno messo in fila anche i bambini per formare la Z”.
Una madre di un giovane figlio di Gatchina, circa 30 miglia a sud di San Pietroburgo, ha detto al Post che era preoccupata che la propaganda di guerra si insinuasse nella scuola del figlio
“Così ho chiesto attentamente a mio figlio se erano costretti a partecipare a qualcosa”, ha detto la madre, che ha parlato in condizione di anonimato per evitare di attirare l’attenzione delle autorità.
“E venerdì [18 marzo], ha detto che a diversi bambini della sua classe che avevano magliette bianche è stato chiesto di formare la lettera V e di indossare nastri di San Giorgio”, ha detto. “[Mio figlio] non ha partecipato alla foto, ma mi sono comunque arrabbiata”.
Dopo una denuncia collettiva all’insegnante, la foto è stata tolta dalla pagina del social network della scuola.
“[L’insegnante] era terribilmente arrabbiata con noi”, ha detto la madre. “Dice che l’amministrazione l’ha rimproverata a causa nostra e che l’abbiamo delusa”.
Kamran Manfly, un insegnante di geografia di 28 anni di Mosca, ha rifiutato di tenere “le lezioni patriottiche”. Mentre l’invasione andava avanti, la scuola ha ordinato alla facoltà di usare solo il linguaggio approvato dallo stato quando si discuteva dell'”operazione speciale” con gli studenti, ha detto
L’8 marzo, Manfly ha scritto su Instagram: “Recentemente a scuola, mi è stato detto che non potevo avere altre prese di posizione oltre a quella ufficiale e statale. Sapete una cosa? Ne ho una! Non voglio essere lo specchio della propaganda statale”.
Manfly ha detto all’emittente in lingua russa Meduza che l’amministrazione scolastica lo ha licenziato il giorno dopo. Ha affermato che una delle guardie della scuola lo ha attaccato quando è tornato a prendere i suoi effetti personali
“Gli insegnanti sono fuggiti immediatamente nei loro uffici, per non aiutare e non partecipare, che è la parte più triste. Tutti tengono la bocca chiusa, o hanno paura o sono solidali”, ha detto a Meduza, aggiungendo che su 150 dipendenti della scuola, solo un insegnante lo ha chiamato ed ha espresso il suo sostegno.
(da Washington Post)
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				Marzo 21st, 2022 Riccardo Fucile 
			
					LA CACCIATA DEI PRETORIANI GERASIMOV E BESEDA
«Bisogna ricordare che la vittoria si raggiunge sempre non solo con la forza materiale di  un singolo Stato, ma anche dalle risorse spirituali del suo popolo, dall’unità e dal desiderio di opporsi con tutta la sua volontà all’aggressione».
un singolo Stato, ma anche dalle risorse spirituali del suo popolo, dall’unità e dal desiderio di opporsi con tutta la sua volontà all’aggressione».
Nel marzo del 2017, Valerij Gerasimov, a quel tempo capo di Stato maggiore da otto anni, scrisse un articolo su come il suo esercito si stava trasformando «per fare una guerra moderna». Sembrano uno scherzo del destino, queste parole che si applicano in modo perfetto a quanto sta accadendo in Ucraina, con una completa inversione di ruolo. Perché finora non è certo mancata la «forza materiale», ma tutto il resto.
La Lubianka Le informazioni sul campo sono di competenza del Quinto servizio, il settore esteri dell’Fsb, il servizio segreto russo erede del Kgb che ne ha mantenuto il quartier generale nell’enorme palazzo della Lubianka. L’espansione del ruolo dell’ex Kgb oltre i confini nazionali venne decisa alla fine degli anni Novanta dal suo capo di allora, un certo Vladimir Putin. Ma a partire dal 2004, questo nuovo ramo così strategico ha avuto al vertice Sergey Beseda, che fino ad allora aveva guidato il dipartimento dell’Fsb addetto alla sicurezza del presidente.
Era un uomo di fiducia. Come Gerasimov, sopravvissuto alla rimozione del precedente ministro della Difesa Anatolij Serdyukov proprio per portare a termine la riforma dell’esercito russo.
L’ultima apparizione in pubblico del generale risale allo scorso 27 febbraio, quando non diede l’impressione di essere entusiasta dell’ordine di mettere in stato d’allerta le forze di deterrenza nucleare. Da allora, è sparito dai radar. A Beseda è andata anche peggio. Agli arresti domiciliari, come hanno rivelato i giornalisti Andrei Soldatov e Irina Borogan, che da anni si occupano dei servizi di sicurezza russi.
Le interferenze Esiste un filo comune che lega questi due destini. Il Quinto servizio, spiegano Soldatov e Borogan, nasce per «spingere» i candidati graditi al Cremlino nelle elezioni dei Paesi confinanti, e ha sempre avuto l’Ucraina come priorità assoluta. Nel giugno del 2010 alcuni documenti rivelarono come questo settore indirizzasse i suoi report direttamente a Putin, circostanza che Beseda rivendicava con orgoglio. Nell’aprile del 2014, il ministero degli Esteri di Kiev chiese addirittura di poterlo interrogare, per conoscere i motivi della sua presenza durante la rivolta filoccidentale di piazza Maidan.
Beseda se la cavò motivando la sua presenza con la necessità di garantire la sicurezza dell’ambasciata russa. I primi a non credere a questa versione furono l’Unione Europea e gli Usa, che lo inserirono tra le persone fisiche colpite dalle sanzioni dell’epoca. Ma da allora apparve chiaro come fosse lui l’uomo di Putin addetto alla raccolta di notizie sull’Ucraina. Al presidente sono bastate due settimane per capire che il suo amato Fsb non ci aveva capito poi molto. Quelle informazioni non corrette costituiscono però la base dell’intervento armato.
La riforma mancata Ma Gerasimov non è certo una vittima del suo collega. La dottrina che porta il suo nome prevedeva una modernizzazione, cominciata nel 2009 con l’abbandono dell’impostazione «sovietica» dell’esercito, che si basava su un alto numero di soldati e scontava l’arretratezza delle sue strutture, a favore di forze armate dai numeri più ridotti composte da militari di professione. I 34 miliardi di dollari messi a disposizione ogni anno dal Cremlino a partire dal 2009 sono stati spesi nel settore tecnologico delle cyber guerre e in parte nell’aviazione.
«Esistono ormai strumenti di natura non militare più efficaci della semplice forza delle armi» scriveva Gerasimov. Secondo l’intelligence americana, anche lui avrebbe fornito una rappresentazione della realtà falsata. In questo caso sullo stato di salute dell’esercito russo, ormai impantanato in una guerra da combattere con le forze di terra, sulle quali si è scelto di disinvestire.
Le prime crepe Il capo dell’esercito e quello del Fsb sono entrambi Siloviki, termine che indica «gli uomini della forza» e in senso esteso identifica la colonna vertebrale del sistema di Putin. Erano garanti di quel potere di Stato considerato un contrappeso al crescente potere economico rappresentato dagli oligarchi. L’intelligence ucraina, certo non una fonte imparziale, sostiene che le élite della società russa tramano per eliminare il presidente il prima possibile e ripristinare così i legami economici con l’Occidente.
Sono informazioni da prendere con le molle. Ma se confermate, queste due rimozioni dimostrano che Putin sta divorando i suoi figli. E che il vincolo di fedeltà con esercito e servizi segreti potrebbe non essere così stretto come viene descritto. Alla fine, sia Beseda e Gerasimov sono colpevoli di aver dato a Putin le risposte che lui desiderava sentire. Peccato che fossero tutte sbagliate.
(da Il Corriere della Sera)
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				Marzo 21st, 2022 Riccardo Fucile 
			
					MANGIA SOLO CIBO CHE VIENE DALLE AZIENDE AGRICOLE DEL PATRIARCA DELLA CHIESA ORTODOSSA, SI SERVE DI UN’APPARECCHIATURA MISTERIOSA PER SCOPRIRE TRACCE DI VELENO NEL PIATTO E HA LICENZIATO MILLE PERSONE TEMENDO CI FOSSE UN INFILTRATO
 Il presidente russo Vladimir Putin potrebbe essere vittima nei prossimi giorni di un avvelenamento, di un incidente o di qualche malattia improvvisa. Lo sostengono fonti anonime del ministero della Difesa ucraino, secondo le quali l’economia della Russia è un uno stato talmente precario che l’élite imprenditoriale, politica e militare sarebbe pronta a cogliere la prima occasione per liberarsi di un leader che non sembra più rendersi conto della realtà.
Il presidente russo Vladimir Putin potrebbe essere vittima nei prossimi giorni di un avvelenamento, di un incidente o di qualche malattia improvvisa. Lo sostengono fonti anonime del ministero della Difesa ucraino, secondo le quali l’economia della Russia è un uno stato talmente precario che l’élite imprenditoriale, politica e militare sarebbe pronta a cogliere la prima occasione per liberarsi di un leader che non sembra più rendersi conto della realtà.
Putin ovviamente lo teme, e ha già preso qualche contromisura. Gli oppositori del leader del Cremlino si tengono ancora nascosti, ma secondo l’intelligence di Kiev avrebbero già individuato il successore in Alexander Bortnikov, il direttore dei servizi di sicurezza russi, recentemente silurato da Putin per «fatali errori di calcolo nella guerra contro l’Ucraina»: gli aveva fatto credere che la popolazione avrebbe accolto festante gli invasori e che l’esercito di Kiev non valeva nulla.
La propaganda, anche in questa guerra, svolge una funzione importante e ogni informazione che arriva da entrambi i fronti va attentamente valutata. Ma sono giorni ormai che, non solo in Ucraina, si parla di un possibile attentato contro Putin. Persino il senatore repubblicano della Florida Marco Rubio, ha recentemente detto che «sarebbe fantastico se qualcuno internamente lo eliminasse». La dichiarazione ha scatenato i cronisti americani, che sono subito andati a chiedere ad ex agenti segreti quale sarebbe il sistema migliore per farlo.
Secondo la maggioranza, il modo più efficiente sarebbe il veleno, un metodo però del quale Putin è diventato grande esperto, visto che molti dei suoi oppositori sono stati eliminati così. Il leader del Cremlino mangia solo cibo che viene dalle tenute agricole del suo grande amico, il patriarca della Chiesa ortodossa di Mosca Cirillo I, quello che ha auspicato che «Dio fermi e rovesci i piani di coloro che parlano lingue straniere e desiderano essere in guerra e combattere contro la Santa Russia».
Ora che c’è la guerra le abitudini di Putin sono forse cambiate, ma di solito si sveglia a mezzogiorno e si fa portare uova di quaglia, ricotta, frittata e una spremuta di frutta. Non ha, come avevano gli zar, prigionieri di guerra che assaggiano il cibo, ma si servirebbe di una misteriosa apparecchiatura in grado di scoprire tracce di sostanze velenose. Quando è all’estero, beve sempre e solo da una tazza bianca che si porta dietro. In ogni caso, nel febbraio scorso ha licenziato circa mille persone dallo staff delle cucine, temendo forse che ci fosse qualche infiltrato.
Nel 1950, Mao Tse-tung mandò un cuoco cinese a Mosca con l’incarico di uccidere Stalin, ma il KGB uccise prima lui piantandogli in testa un coltello da cucina. Secondo gli esperti Putin potrebbe anche essere eliminato con qualche tonnellata di esplosivo nascosta sotto l’asfalto. Per questo, il leader del Cremlino, ha di molto ridotto i suoi spostamenti in auto, che avvengono sempre per brevi percorsi con cecchini appostati sui tetti.
Eliminare Putin non sarebbe in ogni caso facile e gli ex agenti dicono che solo i russi potrebbero farlo. La routine delle giornate del presidente russo al Cremlino è quasi sempre uguale e offre dunque qualche appiglio a chi gli sta vicino per tentare un golpe.
Dopo la colazione nuota per due ore, nelle quali pensa alle cose da fare. Finiti gli esercizi fisici, riceve finalmente generali e funzionari che aspettano a volte per ore in una sala arredata con boiserie laccata. Lavora su una scrivania in legno senza computer in vista: teme intercettazioni online e tutti i documenti che esamina e invia all’esterno sono su carta.
Anche i rapporti sul fronte interno e gli affari internazionali gli arrivano dentro cartelle rilegate in pelle. Per le comunicazioni di servizio non usa cellulari, ma apparecchi dell’era sovietica.
Legge i quotidiani ogni giorno, soprattutto i tabloid russi e gli articoli dell’amico Andrey Kolesnikov, omonimo di un generale ucciso in Ucraina, che parlano sempre bene di lui e che divora da cima a fondo.
Se qualcuno davvero sta pensando di ucciderlo dovrà conoscere bene le sue abitudini, condizione indispensabile in ogni eliminazione di un despota. E Putin, per salvarsi, dovrebbe non solo licenziare i cuochi, ma anche rileggere qualche libro di storia: molte delle guerre combattute dalla Russia, dal Giappone all’Afghanistan, sono cominciate con un roboante sfoggio di muscoli e sono finite con una rivoluzione.
(da il Messaggero)
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				Marzo 21st, 2022 Riccardo Fucile 
			
					DIVERSI I FERITI, UN MANIFESTANTE RAPITO
«Kherson è ucraina», «Andate a casa»: a questi slogan, gridati dai manifestanti di Kherson in Piazza della Libertà, i soldati russi hanno risposto con il fuoco.
 in Piazza della Libertà, i soldati russi hanno risposto con il fuoco.
Per la prima volta da quando è iniziata l’occupazione lo scorso 2 marzo la manifestazione pacifica è stata repressa con la forza.
Si parla di quattro feriti, di cui due portati via con l’ambulanza, tra cui un anziano, e uno dei manifestanti sarebbe stato preso dai soldati russi.
A diffondere uno dei primi video è stato un esponente del consiglio regionale Yurii Sobolevskij che ha preso parte alla manifestazione. «Oggi hanno provato a disperdere i manifestanti pacifici di Kherson con la forza. Ci sono stati spari, hanno lanciato lacrimogeni e granate stordenti», ha spiegato Sobolevskij.
«Almeno un manifestante è stato rapito dai russi, ci sono feriti. Il più grave è un pensionato, ha una ferita profonda su una gamba, ha perso molto sangue», ha aggiunto sempre Sobolevskij che ha concluso dicendo che dopo una prima fuga, molti manifestanti sono tornati in piazza davanti ai soldati.
Kherson è stata la prima città a cadere in mano russa dall’inizio dell’invasione dello scorso 24 febbraio. Di conseguenza è stata anche la prima città in cui la resistenza civile ha preso il posto della lotta armata. Da venti giorni gli abitanti di Kherson scendono in piazza per mostrare il loro dissenso davanti agli occupanti.
In alcuni casi i manifestanti sono diventati protagonisti di imprese esemplari, come la volta in cui un uomo è salito su un carro armato russo sventolando la bandiera ucraina oppure quando i manifestanti, a mani nude, hanno fatto arretrare mezzi militari russe. Già nella giornata di ieri 20 marzo, però, in alcune città dell’Ucraina meridionale, dove si sono svolte manifestazioni, c’è stata una percezione di un cambio di atteggiamento da parte degli occupanti russi verso i manifestanti. A Berdyansk alcuni manifestanti sono stati arrestati. A Kherson finora gli occupanti si erano limitati a sparare in aria per disperdere la folla.
(da agenzie)
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				Marzo 21st, 2022 Riccardo Fucile 
			
					LA BIMBA DI 7 ANNI DIVENUTA FAMOSA PER IL VIDEO IN CUI CANTA IN UN RIFUGIO
Da un rifugio anti bombardamenti di Kyiv alla Atlas Arena di Lodz, meno di 150  chilometri a ovest di Varsavia, in Polonia.
chilometri a ovest di Varsavia, in Polonia.
È la storia di Amelia Anisovych e della sua voce: la bambina di sette anni era diventata popolare circa due settimane fa per il video diventato virale della sua performance canora in uno scantinato, dove aveva allietato cantando “Leti t go” di Frozen” le persone presenti, che si rifugiavano in seguito al suono delle sirene antiaereo della Capitale ucraina.
Domenica sera si è esibita a un evento di beneficenza organizzato nella confinante Polonia per raccogliere fondi per sostenere gli aiuti umanitari nel suo Paese: ha intonato l’inno dell’Ucraina, emozionando i tantissimi presenti.
Amelia è scappata il 9 marzo, dopo essere fuggita dalle bombe di Putin insieme a sua nonna e ai suoi fratelli.
A rendere possibile tutto ciò è stata Tina Karol’, cantante che ha rappresentato l’Ucraina all’Eurovision Song Contest del 2006, che si è incaricata personalmente di organizzare l’evento, durante il quale ha affiancato la piccola Amelia.
L’artista ha raccontato al programma televisivo Snidanok di essere rimasta incredibilmente toccata dal coraggio della sua giovane connazionale.
In un’intervista alla Bbc, Anisovych aveva dichiarato: “Mi alleno a cantare tutti i giorni, mattina, pomeriggio e sera… cantare è sempre stato il mio sogno”.
Sua madre, dopo la pubblicazione del video virale, sostenne che fosse “una tragedia” che sua figlia fosse diventata nota “a causa di tanta morte e distruzione”. “Ho sempre saputo che Amelia era molto talentuosa e un dolce angelo e ora il mondo intero sa lo stesso”, aggiunse.
(da agenzie)
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				Marzo 21st, 2022 Riccardo Fucile 
			
					UCCISO A KHARKIV DA UN VIGLIACCO CHI DICE DI COMBATTERE I NAZISTI
 Un sopravvissuto all’Olocausto è stato ucciso nella sua casa nella città ucraina di Kharkiv, secondo un tweet tratto da un resoconto commemorativo del campo di concentramento di Buchenwald: “Boris Romantschenko – si legge – è sopravvissuto ai campi di concentramento di Buchenwald, Peenemünde, Dora e BergenBelsen. È stato ucciso venerdì scorso in un’esplosione nella sua casa di Kharkiv, in Ucraina. Aveva 96 anni. Siamo sbalorditi”
Un sopravvissuto all’Olocausto è stato ucciso nella sua casa nella città ucraina di Kharkiv, secondo un tweet tratto da un resoconto commemorativo del campo di concentramento di Buchenwald: “Boris Romantschenko – si legge – è sopravvissuto ai campi di concentramento di Buchenwald, Peenemünde, Dora e BergenBelsen. È stato ucciso venerdì scorso in un’esplosione nella sua casa di Kharkiv, in Ucraina. Aveva 96 anni. Siamo sbalorditi”
“Secondo sua nipote – è la ricostruzione – viveva in un edificio a più piani, colpito da un proiettile. Boris Romanchenko ha lavorato intensamente sulla memoria dei crimini nazisti ed è stato vicepresidente del Comitato internazionale Buchenwald-Dora”. Romanchenko ha lavorato intensamente sulla memoria dei crimini nazisti ed è stato vicepresidente del Comitato internazionale Buchenwald-Dora. Nel 2012 è intervenuto a una celebrazione dell’anniversario della liberazione del campo di concentramento di Buchenwald. Alla cerimonia ha letto un impegno scritto dai sopravvissuti come lui “a costruire un nuovo mondo di pace e libertà”.
La sua morte arriva dopo che i bombardamenti russi hanno distrutto Babyn Yar, un memoriale sul luogo di uno dei più grandi massacri dell’Olocausto. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky commentò così la vicenda: “Al mondo, che senso ha dire ‘mai più’ per 80 anni, se poi si rimane in silenzio quando una bomba cade sullo stesso sito di Babyn Yar?”.
(da NetQuotidiano)
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