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“NON ACCETTIAMO CRITICHE DI DISINFORMAZIONE’ DA UN PAESE CHE FA STRAGE DELLA VERITÀ”: L’EDITORIALE DEL DIRETTORE DELLA “STAMPA” DOPO LA DENUNCIA DELL’AMBASCIATORE RUSSO

Marzo 26th, 2022 Riccardo Fucile

“NON PRENDIAMO LEZIONI DA UN PAESE NEL QUALE VIENE ASSASSINATA UNA GIORNALISTA SCOMODA COME ANNA POLITKOVSKAJA, NEL QUALE SI VIENE ARRESTATI E IMPRIGIONATI SOLO PER AVER PRONUNCIATO LA PAROLA GUERRA”…“PER QUANTO IMPERFETTA, VOGLIAMO TENERCI BEN STRETTA LA NOSTRA DEMOCRAZIA“

Solo nel mondo alla rovescia di Vladimir Putin può accadere che un suo ambasciatore denunci per istigazione a delinquere un giornale italiano, responsabile solo di raccontare la guerra che Santa Madre Russia sta conducendo in Ucraina.
Una guerra sporca, che il Cremlino chiama “operazione militare speciale”, e che invece sta mietendo migliaia di vittime, sta distruggendo città, sta bombardando ospedali, scuole, teatri, palazzi. Com’era accaduto a Grozny e ad Aleppo. Sergey Razov accusa pubblicamente La Stampa, in una pseudo conferenza stampa improvvisa davanti alla Procura di Roma. Di cosa siamo colpevoli? Ricostruiamo i fatti.
Nei giorni scorsi siamo stati attaccati perché abbiamo pubblicato in prima pagina una foto che ritraeva una strage nel Donbass. Titolo: “La carneficina”. Senza ulteriori specifiche, né sul luogo esatto della strage né sui responsabili della medesima (ne avevamo scritto in una pagina intera il giorno prima, raccontando che russi e ucraini si rinfacciavano l’eccidio).
Quell’immagine-simbolo aveva un solo scopo: descrivere gli orrori della guerra. Chiunque li avesse perpetrati. Già in quell’occasione l’ambasciata russa, col supporto della solita ondata di fango digitale cavalcata dai putinisti da tastiera, ci aveva accusato di disinformazione. In modo del tutto falso e strumentale.
Martedì scorso abbiamo invece pubblicato uno splendido articolo del nostro grande inviato di guerra, Domenico Quirico, che ha smontato un’idea molto diffusa nelle cancellerie occidentali: ormai l’unico modo per fermare la guerra sarebbe uccidere Putin. Quirico articolava la “teoria”, inquadrandola nei precedenti storici.
La conclusione dell’articolo era chiarissima: chi segue questa corrente di pensiero si sbaglia e si illude. L’assassinio del Tiranno, oltre a essere immorale, sarebbe ancora più pericoloso. Potrebbe innescare processi incontrollabili in Russia. E addirittura peggiorare ulteriormente le cose.
Bastava leggere l’articolo, per rendersi conto che la tesi di Quirico è che questo apparente “rimedio” sarebbe peggiore del male. Ma l’ambasciatore Razov, con tutta evidenza, finge di non averlo letto. E per questo denuncia La Stampa per apologia di reato e istigazione a delinquere. Come se noi esortassimo non si sa bene chi ad assassinare il presidente della Federazione Russa. Cioè l’esatto contrario di quello che abbiamo scritto.
A questa clamorosa manipolazione della realtà, che rivela una visione del mondo e un’insidia che ci riguarda tutti, rispondiamo in modo fermo e sereno. Non accettiamo critiche di “disinformazione” da un Paese che fa strage della verità e della civiltà. Non prendiamo lezioni da un Paese nel quale viene assassinata una giornalista scomoda come Anna Politkovskaja, vengono chiusi giornali e radio sgraditi al Cremlino, vengono silenziati social network.
Nel quale vengono arrestati e condannati senza alcun motivo plausibile ex oligarchi come Khodorkovsky e dissidenti politici come Navalny.
Nel quale vengono fatti avvelenare all’estero ex agenti dei servizi segreti come Livtinenko e Skrypall. Nel quale si viene arrestati e imprigionati solo per aver pronunciato la parola guerra, e viene repressa in modo violento qualunque forma di resistenza al regime
Questa è la Russia di Putin, oggi. E a questa Russia, attraverso il suo ambasciatore, vogliamo dire che le sue querele non ci spaventano. Abbiamo ricevuto tantissimi messaggi di solidarietà. Dai nostri lettori, ma anche da buona parte della classe politica.
Ne siamo felici, e ringraziamo tutti, da Enrico Letta a Giuseppe Conte, da Luigi Di Maio alle ministre Carfagna e Gelmini. Ma in particolare siamo grati al presidente del Consiglio Mario Draghi, che in conferenza a Bruxelles non ha solo espresso tutta la sua “sentita solidarietà” verso La Stampa e i suoi giornalisti.
Ma ha anche dato una lezione di democrazia a Razov, spiegando che «lui è l’ambasciatore di un Paese in cui non c’è libertà di stampa, mentre in Italia c’è ed è garantita dalla Costituzione». «Da noi si sta meglio», ha concluso il premier. Ed ha perfettamente ragione. Per questo, oggi, siamo sereni su quello che facciamo, su quello che pensiamo e su quello che scriviamo, perché siamo un giornale libero in un Paese libero.
Anna Politkovskaja, nel suo ultimo saggio appena ripubblicato da Adelphi, scriveva questo di Putin: «Diventato presidente, figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese, non ha saputo estirpare il tenente colonnello del Kgb che vive in lui e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà… Non vogliamo più essere schiavi, vogliamo essere liberi, lo pretendiamo perché amiamo la libertà tanto quanto voi…»
Anna pagò con la vita il suo coraggio. Noi, come lei, continuiamo ad amare la libertà. E continueremo a difenderla, nonostante tutte le minacce e tutte le intimidazioni. Perché, per quanto imperfetta, vogliamo tenerci ben stretta la nostra democrazia. E sappiamo di stare dalla parte giusta della Storia.
(da La Stampa)

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CHE FA LA LUISS CON ORSINI? ALL’INTERNO DELL’UNIVERSITÀ DI CONFINDUSTRIA C’È UNA FRONDA DI PROFESSORI STANCHI DELLE SPARATE PUTINIANE DEL DOCENTE, DIVENTATO UN IDOLO DELLA PROPAGANDA RUSSA

Marzo 26th, 2022 Riccardo Fucile

IN MOLTI VORREBBERO UNA PRESA DI POSIZIONE DELL’ATENEO, QUANTOMENO LA RIMOZIONE DI ORSINI DA CAPO DELL’OSSERVATORIO SULLA SICUREZZA INTERNAZIONALE

L’eco della grancassa russa è regolarmente on air anche qui da noi, un’ospitata dietro l’altra. Non è un caso che la Tass, l’agenzia di stampa del governo di Mosca, abbia appena celebrato Alessandro Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della Luiss, che da un mese sostiene che “per ogni battaglia persa da Putin siamo obbligati a preoccuparci di più”.
Per la Tass, è “l’esperto italiano che accusa l’Ue di intensificare il conflitto invece di cercare la pace”. E per pace, si intende naturalmente la resa degli ucraini.
Posizioni che anche all’interno dell’università intitolata a Guido Carli creano imbarazzi e accese discussioni fra accademici. Con una fronda piuttosto nutrita di prof, nel cui novero spiccano personalità illustri come Sabino Cassese, decisamente turbati dal fatto che il collega Orsini si fregi in tv del brand Luiss, “la casa di tutti”, per esprimere punti di vista personali, giudicati “gravi”
Da qui la richiesta di una presa di posizione, cioè quantomeno la rimozione di Orsini da capo dell’osservatorio, consegnata nei conversari di questi giorni ai vertici del dipartimento dell’ateneo. Che però al momento non sono intenzionati a procedere, nel nome della libertà assoluta di pensiero.
C’è anche chi fa notare le contraddizioni del professore neo-ingaggio Rai a Carta Bianca (ma con contratto azzerato post-polemiche), che in un articolo sul Fatto di ieri ha denunciato la “compenetrazione tra il potere politico-economico e i centri di ricerca”.
Dimenticando forse che l’Eni, forza economica di primo livello, finanzia proprio il suo osservatorio, tramite uno studio sulla geopolitica dell’energia attivo da qualche anno, che l’università ha poi affidato a Orsini.
(da agenzie)

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LA MERKEL HA CONSEGNATO LA GERMANIA E L’EUROPA A PUTIN SIGLANDO GLI ACCORDI CHE CI HANNO RESO DIPENDENTI DAL GAS RUSSO

Marzo 26th, 2022 Riccardo Fucile

NEL 2014, QUANDO PUTIN SI PRESE LA CRIMEA, AUTORIZZÒ IL GASDOTTO NORD STREAM 2, E NON HA MAI VOLUTO AGGANCIARE L’UCRAINA IN MODO STABILE ALL’OCCIDENTE

Dov’ è Angela Merkel? Cosa fa? E soprattutto, cosa pensa della crisi in Ucraina? Un fantasma si aggira per la Germania.
Mentre il governo federale, sull’onda della guerra di aggressione di Vladimir Putin, getta alle ortiche 70 anni di cautele, riluttanze e comode ambiguità in politica estera, un dubbio improvvisamente attanaglia il Paese. E se non fosse stato tutto oro quello che luccicava nei sedici anni dell’eterna cancelliera?
Sono passati appena quattro messi dall’addio al potere di Merkel, quando fiumi di lodi e rimpianti accompagnarono la sua uscita di scena: «Ci mancherà», fu la parola d’ordine di quei giorni. Ma il 24 febbraio, il giorno in cui Putin ha cambiato il corso della Storia europea, ha segnato uno spartiacque anche per l’ex cancelliera e il suo lascito.
D’un tratto, i tedeschi si guardano indietro, chiedendosi se forse qualcosa non funzionasse nel dolce letargo in cui Angela Merkel li ha cullati così a lungo. La crisi ucraina è stata per la Germania una sorta di mezzo di contrasto che sta evidenziando i lati oscuri di tutto quello che ha rappresentato l’era Merkel: la dipendenza energetica, l’uscita affrettata dall’energia atomica, lo scarno bilancio per la difesa, la sovranità europea, perfino la pandemia.
Nell’arco di pochi giorni le scelte della cancelliera non hanno più retto la prova del tempo. «Come siamo arrivati a questa situazione?», si chiede sul settimanale Die Zeit Tina Hildebrandt, secondo cui la guerra «ha reso Merkel come prigioniera in una terra di nessuno politica, lost in transition per così dire».
Le domande fioccano: perché sotto Merkel l’Ucraina non è stata agganciata in modo stabile all’Occidente? Perché la cancelliera ha permesso che la Germania diventasse così dipendente dalle importazioni di gas dalla Russia? Sin dall’inizio delle ostilità, Merkel si è appalesata soltanto con una dichiarazione di «netta condanna» dell’aggressione russa, definita «un taglio profondo nella storia dell’Europa», senza tuttavia pronunciare il nome di Putin.
Il resto è stato silenzio. Ma di lei si parla molto. Sui media, nei talkshow, nei colloqui confidenziali con ex ministri e collaboratori, nelle interviste degli analisti politici. Secondo Martin Koopman, della Fondazione Genshagen, un think tank che promuove il dialogo europeo, il problema è che le decisioni di Merkel furono raramente l’esito di un pensiero politico strategico: «Non perdere il filo del dialogo, tenere insieme l’Europa, tenere insieme tutto: questo era il metodo Merkel.
Chi modera sempre forse dura a lungo, ma non imprime una direzione alle cose». Il capitolo d’accusa più forte riguarda naturalmente il rapporto con Vladimir Putin e la Russia. Non si è mai fatta illusioni, Angela Merkel sul leader del Cremlino, che ha sempre considerato un furfante e non ha esitato a criticare. «Ma un furfante del quale si poteva fidare e col quale doveva dialogare», chiosa Hildebrandt. A questo contribuivano anche la passione di Merkel per la Russia e la sua cultura.
L’errore più grande, dicono i critici, fu di autorizzare il Nord Stream 2 nel 2014, lo stesso anno cioè in cui Putin si annesse la Crimea, contro il parere del suo consigliere per la Sicurezza nazionale, Christoph Heusgen, che l’aveva messo in guardia dai rischi geopolitici del gasdotto.
C’è tuttavia molto senno di poi e un po’ di ipocrisia, in questa lettura revisionista dell’età di Merkel. Perché le sue scelte furono condivise in pieno dall’industria tedesca, dal suo partito, la Cdu, e soprattutto dagli alleati della Spd, che fino al 24 febbraio hanno considerato una «vacca sacra» il dialogo e la cooperazione economica con Mosca, in nome della Ostpolitik. Lo stesso Olaf Scholz è stato più volte ministro e da ultimo anche vicecancelliere sotto di lei.
Perfino i Verdi, che pure si sono sempre opposti al Nord Stream 2 e che erano all’opposizione, non sono in una posizione impeccabile, avendo sempre visto di buon occhio gli scarsi fondi per la difesa. Insomma, se Merkel porta la colpa principale, nessuno è innocente se la Germania negli ultimi venti anni si è legata mani e piedi al gas russo ed ha rifiutato di assumersi responsabilità geopolitiche.
(da il “Corriere della Sera”)

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PUTIN COME GLI ACCATTONI: ORA ASSOLDA PURE 800 MILIZIANI HEZBOLLAH A 1.500 DOLLARI AL MESE

Marzo 26th, 2022 Riccardo Fucile

IL SECONDO ESERCITO DEL MONDO CHE SUBAPPALTA LA GUERRA A MERCENARI ARABI E DELINQUENTI CECENI PERCHE’ I MILITARI RUSSI SI CAGANO ADDOSSO

Arriva un contingente di Hezbollah a combattere a fianco dei russi.
Il “partito di Dio” ha concordato l’invio di 800 miliziani per combattere in Ucraina dietro un compenso di 1.500 dollari al mese ciascuno.
Lo riferisce il quotidiano di opposizione russo Novaya Gazeta
Hezbollah è un movimento militare e politico islamista libanese. È nato come milizia paramilitare nel 1982 grazie al supporto economico e politico dell’Iran ed è divenuto successivamente anche un partito politico islamista sciita.
Secondo alcune fonti ucraine, la trattativa per il reclutamento dei miliziani di Hezbollah è stata condotta dai mercenari russi del gruppo Wagner.
In particolare sono stati reclutati uomini dei battaglioni al-Abbas e al-Radwan, ovvero quelli con la maggiore esperienza di combattimento.
(da agenzie)

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LEON PANETTA (EX CIA): “PUTIN RISCHIA IL GOLPE, SE RESTERA’ AL POTERE SARA’ PIU’ DEBOLE“

Marzo 26th, 2022 Riccardo Fucile

“SE CAPISCE CHE RISCHIA LA SOPRAVVIVENZA APRIRA’ AL NEGOZIATO“

“Putin rischia davvero il golpe, ma se sopravviverà politicamente, verrà messo in una condizione di debolezza”. A dichiararlo, in un’intervista a ‘Repubblica’, è Leon Panetta, ex capo della Cia e del Pentagono.
“Putin è un bullo, ma non stupido. Se capirà che deve scegliere tra sopravvivere come leader, o mettere se stesso e il paese a rischio annichilimento, farà la scelta pragmatica che include una soluzione negoziata”, afferma poi rispondendo ad una domanda sulle possibilità di successo del negoziato.
“Ci sono possibilità. Una forse riconosce la Crimea come qualcosa che la Russia può mantenere, il referendum nelle altre aree contese, una dichiarazione di neutralità di Zelensky con garanzie di sicurezza da futuri attacchi russi”.
Quanto a presunte trame nei servizi di intelligence per deporre Putin, “in circostanze normali sarebbe difficile arrivare alla conclusione che siano disposti al golpe, ma considerando la situazione in Russia, i soldati morti, l’incapacità dell’esercito, forse c’è abbastanza risentimento. È chiaro però che se Putin resta, sarà un leader indebolito. È il risultato più probabile”.
(da agenzie)

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“LA STATUA DI PUTIN È DA DEMOLIRE”: A VAGLI DI SOTTO, IN PROVINCIA DI LUCCA, C’È UN ENORME MONUMENTO DEDICATO AL PRESIDENTE RUSSO

Marzo 26th, 2022 Riccardo Fucile

LA STATUA È STATA INSTALLATA NEL 2019 DALL’ALLORA SINDACO, MARIO PAGLIA, ALL’INTERNO DEL “PARCO DELL’ONORE E DEL DISONORE”. E ORA LA MAGGIOR PARTE DEI CITTADINI CHIEDE DI BUTTARLA GIU’

Al centro della bufera Vagli di Sotto, il paesino di 844 abitanti immerso nell’Alta Garfagnana lucchese, in Toscana.
Polemiche infuocate, quelle che stanno portando avanti la maggior parte dei cittadini – anche dei paesi limitrofi – a causa della grande statua raffigurante Vladimir Putin, installata nel 2019 sulle sponde del lago.
A volerla l’allora primo cittadino, Mario Puglia, che decise di posizionare l’effige del Presidente russo all’interno del “Vagli Park”, un complesso destinato principalmente a famiglie e gruppi e che negli ultimi anni ha attirato un grandissimo numero di turisti.
Nel complesso naturalistico c’è infatti il cosiddetto “Parco dell’onore e del disonore” dove spiccano le rappresentazioni in marmo non solo di Vladimir Putin, ma anche dell’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, del Comandante della Costa Concordia Francesco Schettino, di Alexander Prokhorenko, soldato russo che morì durante una missione in Siria e molte altre.
La controversa statua di Putin si trova, simbolicamente, al confine tra “l’onore e il disonore” e, come affermano i cittadini: “E’ l’ultima dal lato del disonore e molto vicina alle figure che rappresentano l’onore. In ogni caso, visto ciò che sta succedendo, è da demolire”.
Gli abitanti, infatti, non ci stanno a vedere identificato il proprio paese nell’attuale presidente russo, ora volto della discordia dopo gli attacchi in Ucraina e, “anche se si tratta di una raffigurazione, è una mancanza di rispetto per tutti coloro morti sotto le bombe di Putin”.
L’effige è l’unica in Italia, insieme a un’altra targa dedicata sempre all’oligarca russo a Bari dove, anche lì, ci sono importanti mobilitazioni per rimuoverla.
A metterci la faccia e a puntare il dito, senza se e senza ma, a Mario Puglia – che oggi è consigliere comunale di maggioranza – è stato il Segretario del Pd Enzo Coltelli che, facendosi portavoce dei cittadini, ha chiesto pubblicamente la distruzione e, quindi, rimozione della statua.
Coltelli, infatti, ha invitato il Sindaco attuale, Giovanni Lodovici, a muoversi in questa direzione in quanto, “se già non aveva senso averla installata in passato, oggi più che mai il minimo che possiamo fare è eliminarla, considerando ciò che sta succedendo”.
Se da una parte il consenso della città è massimo, con proteste dei cittadini che invocano ogni giorno la demolizione, dall’altra l’Amministrazione comunale non ha accolto con entusiasmo la richiesta.
Le motivazioni sono che la raffigurazione del Presidente Vladimir Putin è inserita in un contesto neutro, non trovandosi esplicitamente dalla parte dell’onore del parco, ed è quindi parte dell’arredo urbano.
Seppur Lodovici si ponga “assolutamente contrarioalla guerra”, sostiene allo stesso tempo che non sia arrivata una richiesta ufficiale in Comune.
In quel caso, comunque, l’idea di demolirla non sembrerebbe essere nelle sue intenzioni: “Se dovesse arrivare una richiesta protocollata porteremo la discussione in Consiglio e decideremo, si potrebbe spostare dalla parte del disonore, in caso”.
A gettare altra benzina sul fuoco l’ex sindaco Puglia che ha risposto alle polemiche sul suo profilo facebook: “La statua è solo un pretesto di becera politica perché è stata donata per la valorizzazione del marmo e la pubblicità al materiale.
Proprio per questo becero oscurantismo che certe menti hanno della storia, dico che la mia amministrazione ha in vent’anni fatto di Vagli una perla turistica”.
“Non sono le statue a fare danni, mi sembra assurdo pensare di fare una guerra alla statua”, conclude l’attuale primo cittadino. Ma la diplomazia del Sindaco in carica e le giustificazioni dell’ideatore dell’effige non placano gli animi arrabbiati dei cittadini, coalizzati con tutti i paesi vicini che non accettano questa superficialità su una questione di estrema importanza. Sostengono infatti di non voler essere rappresentati da chi decide di non demolire una statua che oggi è, inevitabilmente e sotto gli occhi di tutti, l’identificazione del disastro che sta spazzando via l’Ucraina.
(da il Giornale)

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LO ZIO SAM NON PERDONA LE SBANDATE PUTINIANE: LA DIPLOMAZIA AMERICANA CONSIDERA CONTE E SALVINI INAFFIDABILI

Marzo 26th, 2022 Riccardo Fucile

L’INCARICATO D’AFFARI USA, THOMAS SMITHAM, HA INCONTRATO TUTTI I LEADER ITALIANI. L’UNICO A NON AVER AVUTO UNA PHOTO OPPORTUNITY È STATO IL SEGRETARIO DELLA LEGA

“E’ dissonante”. Dalle parti della diplomazia americana chiosano così la posizione di Giuseppe Conte sul dibattito che il M5s ha aperto sulla Nato e sull’incremento delle spese militari fino al 2 per cento del pil.
I commenti che trapelano da fonti Usa nella capitale sono molto felpati rispetto alla politica italiana. Quasi impalpabili.
Le accuse di ingerenze sono dietro l’angolo. Di fatto, da quando è scattata l’invasione russa in Ucraina l’incaricato d’affari Thomas Smitham ha ricevuto in ambasciata tutti i principali leader.
L’ultimo, martedì scorso, è stato Matteo Salvini. L’unico a non avere avuto una photo opportunity. Dettagli? No.
L’ambasciata americana, con il presidente Biden in Europa, continua a essere più che mai attiva.
Ma al momento l’agenda di Via Veneto non prevede altre consultazioni ufficiali, anche se gli sviluppi parlamentari della prossima settimana sono seguiti con molta attenzione.
Conte è stato ricevuto – con tanto di foto diffusa dai profili social dell’ambasciata – lo scorso 10 marzo. Quando il tema dell’incremento della spesa per la difesa militare non era ancora centralissimo.§L’ex premier del M5s ha fatto parte di una lunga serie di incontri che si sono registrati in ambasciata: iniziati con Giorgia Meloni, proseguiti con Enrico Letta, Antonio Tajani e terminati con Matteo Salvini (ma senza testimonianza fotografica da condividere, appunto).
In mezzo: i presidenti delle commissioni parlamentari di Difesa ed Esteri, ma anche Nicola Zingaretti, governatore del Lazio ed ex segretario del Pd. Gli americani vogliono capire cosa ne pensi la politica italiana di quanto sta accadendo praticamente in Europa.
Allo stesso tempo, fonti Usa fanno capire di essere rassicurati da “due fari”: Mario Draghi e Sergio Mattarella. L’ordine di citazione è alfabetico.
Non è la scoperta dell’America: ecco dunque il link che unisce gli atlantisti Giancarlo Giorgetti (con il quale “le interlocuzioni sono assidue, anche in presenza”) e Luigi Di Maio, titolare della Farnesina. Sono i due ministri verdegialli che provano a bilanciare certe pulsioni che sembrano accomunare Salvini e Conte.
Il capo del M5s – che ieri ha telefonato al direttore della Stampa Massimo Giannini per esprimergli solidarietà dopo gli attacchi di Sergey Razov – continua a insistere: “Siamo a ridosso di una severa recessione. Non è stato fatto uno scostamento di bilancio sul caro energia e ora ci ingegniamo a realizzare un sostanzioso incremento delle spese militari? Il governo sia responsabile di fronte al Paese e ci ascolti”. Dunque: giammai.
A dire il vero però, proprio l’allora premier Conte nel dicembre 2019, in occasione del vertice Nato a Londra, sottoscrisse con gli altri leader l’impegno “ad aumentare investimenti per rispettare le soglie del 2 per cento investendo in nuove capacità e fornendo più forze per missioni e operazioni”. La situazione dei grillini, e questa non è una notizia, è abbastanza tesa.
I sondaggi non aiutano e nemmeno le pastoie dei tribunali in cui si è ficcato il Movimento. La settimana prossima il dl Ucraina approderà in Senato, bunker del contismo. C’è l’odg di Fratelli d’Italia che dice di aumentare la spesa militare fino al 2 per cento. Una mina per la maggioranza. Non a caso lunedì sera alle 20 il ministro per i Rapporti con il Parlamento convocherà i capigruppo per cercare “il dialogo”.
Altrimenti il governo porrà la fiducia, e buona notte. Intanto, gli ex grillini che ora formano il gruppo duro e puro L’Alternativa c’è sono pronti a presentare un odg in senso opposto a quello del partito di Meloni: stop all’aumento della spesa per le armi. Alla Camera il M5s si è astenuto.
“Vedremo se Conte farà il Ponzio Pilato – dice Mattia Crucioli – finora i veri valori grillini li stiamo portando avanti noi. Conte a volte ci segue e altre meno”. Ora spiegate agli americani queste dinamiche, please.
(da “il Foglio”)

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LA GRANDE STORIA D’AMORE DI LEGA E MOVIMENTO 5 STELLE CON PUTIN NEGLI ULTIMI ANNI PASSA DA ACCORDI COMMERCIALI, FINANZIAMENTI A ONLUS AMICHE E INTERROGAZIONI PARLAMENTARI CONTRO LE SANZIONI

Marzo 26th, 2022 Riccardo Fucile

NEL GENNAIO 2016, I GRILLINI DICHIARAVANO ESAURITE “LE MOTIVAZIONI DELL’ADESIONE ITALIANA ALLA NATO”, IN UN DOCUMENTO FIRMATO DA MANLIO DI STEFANO … TOSATO, PILLON: I LEGHISTI CON UN OCCHIO DI RIGUARDO PER MOSCA

Gli ultimi anni di pezzi di Lega e 5 Stelle sembrano una continua dichiarazione di amore al governo di Putin. Accordi commerciali, finanziamenti a onlus amiche.
E ancora: interrogazioni parlamentari per aiutare la Russia a uscire dalle sanzioni. Fino al cortocircuito che portò l’attuale presidente della delegazione italiana presso la Nato, Luca Frusone, a presentare una mozione per chiedere l’uscita dell’Italia dall’Alleanza.
I finanziamenti
E’ ormai storia il dialogo all’Hotel Metropol di Londra il 18 ottobre del 2018 quando Gianluca Savoini, presidente dell’associazione Lombardo- Russia ed ex portavoce di Matteo Salvini, parlò con tre russi di un presunto finanziamento da 65 milioni di dollari alla Lega in una trattativa mai conclusa.
Per questo Savoini è indagato per corruzione internazionale in un’indagine che, spiegano fonti della procura di Milano, difficilmente avrà uno sbocco: l’uscita di Mosca dal Consiglio d’Europa blocca infatti ogni collaborazione giudiziaria. E dunque la possibilità di ottenere una risposta alla rogatoria.
E’ già agli atti, invece, la storia di Novae Terrae, fondazione di cui il senatore leghista Simone Pillon è dirigente dal 2015. Si tratta della onlus su cui l’ex parlamentare Udc, Luca Volontè, fa transitare tra il 2012 e il 2014 poco meno di due milioni e mezzo di fondi azeri, oggetto di un’inchiesta della procura di Milano.
Fra il 2015 e il 2016 solo in Senato sono nove gli atti ispettivi (mozioni, interrogazioni, interpellanze) presentati per chiederne la revoca all’esecutivo.
Tre portano la firma di esponenti dei 5S, due sono depositati dalla Lega. Un’interrogazione è di Paolo Tosato e ha la data dell’8 luglio 2015. (…) A chiedere lo stop alle sanzioni è pure un’altra interrogazione leghista quasi contemporanea – è del 15 luglio 2015 – e con parole pressoché identiche: la prima firma, in questo caso, è dell’attuale sottosegretario Gian Marco Centinaio. (…) «Ogni accusa nei miei confronti è priva di fondamento», dice Tosato che minaccia querele. «Su Paolo metto la mano sul fuoco», sibila il collega Candiani.
Il paradosso pentastellato
Emblematica è però anche la mozione con cui, nel gennaio del 2016, i grillini dichiaravano esaurite «le motivazioni dell’adesione italiana alla Nato».
A firmare quel documento Manlio Di Stefano, oggi sottosegretario agli Esteri e, fra gli altri, Luca Frusone, oggi presidente della delegazione italiana presso l’Alleanza. Chi oggi rappresenta il nostro Paese nella Nato, quindi, sei anni fa voleva che ne uscissimo.
D’altronde lo stesso Di Stefano nella passata legislatura aveva sostenuto, da relatore di minoranza, un progetto di legge che aveva gli stessi obiettivi della mozione. Dopo una battaglia in commissione e in aula portata avanti dall’ex presidente della commissione Esteri Fabrizio Cicchitto e da Andrea Manciulli, relatore di maggioranza del Pd, l’iniziativa legislativa è stata bloccata.
(da “la Repubblica”)

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NEL GOVERNO SI CHIEDONO COSA CI SIA DIETRO ALL’INSOLITO ATTIVISMO DEI RUSSI (LE MINACCE CONTRO GUERINI, L’ESPOSTO PER L’ARTICOLO DI QUIRICO SULLA “STAMPA”).

Marzo 26th, 2022 Riccardo Fucile

IL SENATORE GAETANO QUAGLIARIELLO: “SE IL PARLAMENTO ITALIANO È PARTICOLARMENTE ATTENZIONATO, EVIDENTEMENTE C’È TRA NOI QUALCUNO CHE HA DEGLI SCHELETRI NELL’ARMADIO”

Sono molte le stranezze che si succedono in Italia da quando Putin ha attaccato Kiev. E nel governo s’ interrogano sull’attivismo dei russi: la lettera minatoria inviata ai parlamentari che hanno votato l’invio di armi all’Ucraina; le dichiarazioni minacciose verso il ministro della Difesa; l’esposto alla Procura per un articolo della Stampa
Strano, «perché Mosca non si comporta così in altri Paesi», dice un rappresentante dell’esecutivo. Che ovviamente lì si ferma, mentre il senatore Quagliariello va oltre e spiega a Radio Radicale che «se il Parlamento italiano è particolarmente attenzionato dalla diplomazia russa, evidentemente c’è tra noi qualcuno che ha degli scheletri nell’armadio. La lettera ai parlamentari è un atto d’ingerenza.
I pizzini sono invece un modo per tenere sotto pressione le figure istituzionali che tengono l’Italia ancorata al fronte pro-ucraino». Se questo è il contesto, appare scontato il fatto che da Roma i diplomatici dei Paesi alleati trasmettano da giorni alle loro cancellerie dispacci preoccupati.
Nei quali si evidenzia come il pacifismo si sia trasformato in uno strumento popolare per stare dalla parte di Putin: sulla falsariga di quanto accadde in Italia ai tempi delle proteste per l’installazione degli Euromissili, mentre l’Unione Sovietica aveva già puntato gli SS 20 contro l’Europa.
Ecco perché il dibattito su un ordine del giorno parlamentare per le risorse alla Difesa finisce per avere riflessi internazionali. C’è un conflitto in atto. E sebbene i governi di unità nazionale siano caratteristici dei tempi di guerra, proprio la guerra sta mostrando le crepe nella larga maggioranza.
(da il “Corriere della Sera”)

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