Destra di Popolo.net

SPIE CONTRO GENERALI: A MOSCA E’ REGOLAMENTO DI CONTI TRA CORTIGIANI DEL CRIMINALE E SERVIZI SEGRETI

Marzo 30th, 2022 Riccardo Fucile

GUARDIA NAZIONALE E TAGLIAGOLE CECENI CONTRO FSB E SVR

«Hasaviurt»: la parola viene sussurrata nei canali Telegram considerati un megafono dei falchi del Cremlino, evocata nei talk show propagandistici, e Ramzan Kadyrov si ferma a un passo dal pronunciarla quando invoca una battaglia per Kiev «fino alla fine».
Hasaviurt è il nome del villaggio daghestano dove, nell’estate del 1996, il generale russo Aleksandr Lebed’ firmò con i comandanti degli indipendentisti ceceni una tregua che avrebbe dovuto aprire la strada alla secessione della Cecenia dalla Federazione Russa. Un processo interrotto dalle bombe russe lanciate su Grozny nel 1999 dal neopremier Vladimir Putin, ma rimasto nel vocabolario politico moscovita come sinonimo di “tradimento”, almeno per i falchi, e di ammissione della sconfitta in una guerra ingiusta per gli ormai quasi estinti liberali.
I segni del tradimento sarebbero la dichiarazione del negoziatore russo Vladimir Medinsky sulle condizioni di pace proposte dagli ucraini, e nell’annunciato ritiro delle truppe russe da Kiev promesso da Sergey Shoigu, che sostiene che l’obiettivo della guerra fin dall’inizio fosse “soltanto” il Donbass.
È curioso che a ridimensionare gli obiettivi russi in Ucraina, almeno in pubblico, sia proprio quel ministro della Difesa la cui sparizione di dieci giorni – attribuita, secondo insistenti voci, a un attacco di cuore successivo a una strigliata al Cremlino – abbia preoccupato perfino il Pentagono.
Se i falchi dell’esercito si trasformano davvero in colombe, il motivo sarebbe l’impossibilità fisica di proseguire la guerra.
Un bagno di realtà offerto dall’esercito ucraino, dopo che gli ufficiali russi in partenza per il fronte si erano messi in valigia le alte uniformi da sfoggiare il 9 maggio alla parata a Kiev, come ha rivelato Zelensky.
Il 9 maggio è una data che per Putin ha una «importanza religiosa», dice il politologo di opposizione Abbas Galyamov: è l’anniversario della vittoria su Hitler, ed entro quel giorno il presidente russo deve presentare al suo Paese una vittoria, una vittoria qualunque, se non a Kiev, a Mariupol, o almeno a Donetsk.
Resta ovviamente senza risposta l’interrogativo su chi, e perché, abbia promesso a Putin una vittoria impossibile.
Esperti di servizi segreti russi come Andrey Soldatov indicano da settimane l’esistenza di un conflitto tra militari e intelligence, con l’ex Kgb – cioè la polizia politica Fsb e lo spionaggio estero Svr – tagliati fuori dai preparativi per la guerra. Una teoria in parte contraddetta dall’arresto (peraltro smentito) di Sergey Bededa e Anatoly Bolukh, i generali dell’Fsb responsabili dell’Ucraina, possibili capri espiatori del fallimento sul campo.
Ma altre fonti, come la talpa “Wind of Change” che comunica da mesi con il dissidente Vladimir Osechkin, insistono che i piani di guerra siano stati covati in segreto altrove, da qualcuno che prometteva una rapida vittoria.
Questo potrebbe spiegare anche l’evidente imbarazzo e paura del capo dell’Svr Sergey Naryshkin, interrogato da Putin davanti alle telecamere su cosa fare del Donbass, così come la rivelazione di Zelensky che a informare degli attentati contro di lui siano stati ufficiali dei servizi russi. Pur essendo un uomo dell’ex Kgb, il presidente russo parrebbe essersi allontanato dagli ex compagni.
L’economista Anders Aslund, che ha lavorato con il governo russo negli anni ’90, sostiene che a scontrarsi a Mosca sono, da un lato, i servizi, Fsb e Svr, e dall’altro la Guardia nazionale, i ceceni di Kadyrov e l’Fso, il servizio segreto personale di Putin, le sue guardie del corpo che controllano tutto e tutti.
Sarebbero loro la “corte putiniana”, i pretoriani ai quali il presidente si è affidato sempre di più, fino a promuovere gli uomini della sua scorta a governare intere regioni o corpi d’armata.
Privilegiare la fedeltà rispetto alle competenze, una logica che ha coinvolto anche le forze armate: nonostante la sua sontuosa uniforme da generale, Shoigu non è un militare, viene dalla protezione civile, e la sua ascesa nella classifica delle simpatie di Putin negli ultimi anni è probabilmente dovuta più all’essere uno “yes-man”, mal visto dai generali di carriera.
Voci, fughe di notizie, depistaggi dentro altri depistaggi, in fiumi di disinformazione funzionale a scaricare le colpe, o a seminare dissidi in campo avverso: d’altra parte, solo la vittoria ha tanti padri, la nuova Hasaviurt, il giorno che si compisse, potrebbe trovarsi subito orfana.
Quello che è sicuro è che a Mosca è in atto uno scontro non tra buoni e cattivi, ma soltanto tra pragmatici dotati di maggior realismo rispetto ai cortigiani per i quali accontentare il dittatore è più importante che sacrificare altre decine di migliaia di soldati, e affamare decine di milioni di russi.
Dover confidare nella vittoria dei falchi dell’ex Kgb rispetto ai “cortigiani” offre già la misura del compromesso possibile, e della sua durata: «Ogni volta che Putin ha annunciato il ritiro dalla Siria, il contingente russo non ha fatto che aumentare», tranquillizza il suo pubblico spaventato dalla “nuova Hasaviurt” il propagandista televisivo Vladimir Solovyov.
(da “La Stampa”)

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IL POLITOLOGO DELLA CATTOLICA DI MILANO, VITTORIO EMANUELE PARSI, SPIEGA PERCHÉ HA SFANCULATO LA BERLINGUER E ORSINI

Marzo 30th, 2022 Riccardo Fucile

“VENIVO INTERROTTO, NON ERA IL MIO POSTO. NON AVEVO NESSUNA VOGLIA DI CALARMI NELL’ARENA, COME SE FOSSIMO DEI GLADIATORI. C’ERA UN CLIMA DA OSTERIA, NON CI ANDRÒ MAI PIÙ ”

Premette che non lo ha fatto con supponenza. “Semplicemente, era impossibile discutere. E allora mi sono detto: ma perché devo prestarmi a queste buffonate? Per questo me ne sono andato da Cartabianca”.
Il professor Vittorio Emanuele Parsi insegna Relazioni internazionali alla Cattolica di Milano. È un accademico serio, trent’anni di aule, convegni, decine di pubblicazioni. Martedì sera ha abbandonato il collegamento con il programma di Bianca Berlinguer su Rai Tre quando i tre tenori della sparata ipersonica Alessandro Orsini, Andrea Scanzi e Donatella Di Cesare, contrapposti in studio alla ballerina ucraina Anastasia Kuzmina e a Guido Crosetto, hanno iniziato a deragliare dai binari della discussione e gli hanno impedito di formulare analisi di senso compiuto sulla guerra in Ucraina.
“Il mio errore è stato quello di non capire prima di andarci che tipo di trasmissione fosse”, racconta al Foglio. “Già da come venivo interrotto ho capito che non fosse il mio posto. Poi quando si è passati al dibattito da osteria ho realizzato che non c’era nient’altro da fare se non andarsene. Non avevo nessuna voglia di calarmi nell’arena, come se fossimo dei gladiatori”.
Eccolo, allora, lo show del martedì sera: che pur dando fondo al tridente delle presunte vittime del maccartismo ha perso ancora una volta la sfida dello share con Di Martedì, nonostante Floris conducesse dal salotto di casa con il Covid. E continuamente intervallato da spazi pubblicitari.
Quello di Parsi potrebbe sembrare l’atto d’accusa di uno snob del mezzo televisivo. Eppure il politologo torinese, che ha appena pubblicato un saggio con il Mulino (Titanic: naufragio o cambio di rotta per l’ordine liberale) e giustamente vorrebbe pure poterlo presentare, con il talk-show ha un rapporto di lunga data.
“Ho iniziato a partecipare alle trasmissioni quando avevo 35 anni. E sempre gratis. Credo che l’accademico così come l’intellettuale non debbano rinunciare a parlare a tutti: andare dove c’è la gente. E però questo livello così basso non lo avevo mai visto. Credo nel dibattito pubblico, non nella pubblica canea”, dice oggi.
Perché il format è diventato questo prodotto decotto che al libero contrapporsi delle idee preferisce la polarizzazione estrema?
“Forse perché è più attento alla costruzione di carriere televisive che al veicolare informazioni che siano utili al pubblico. Certo, cercare di acquisire notorietà in un momento come questo, mentre c’è gente che muore davvero, lo trovo sinceramente deprecabile. E anche fare i censurati ma stare sempre in tv non è proprio il massimo”.
Funziona così, lo abbiamo ripetuto in più occasioni: il circo prevede che ci sia il matto, l’influencer, l’indignato, la ballerina.
E poi anche l’esperto, “ma solo da noi il criterio di competenza viene tenuto completamente al riparo dall’oggetto della discussione. Come se l’accademico in se avesse il potere di dire qualsiasi cosa, avesse la verità assoluta in tasca. E poi c’è un meccanismo francamente insostenibile”, sostiene Parsi.
Quale? “L’utilizzo delle metafore, delle analogie, come se la complessità dello scenario internazionale fosse semplificabile con le dinamiche del quotidiano. Già Giovanni Sartori ci aveva avvertiti. Ecco, quando noi accademici andiamo in tv dobbiamo stare molto attenti a distinguere il livello delle analisi dalle reazioni di pancia”.
In pratica ci vuole una sorta di Aventino degli esperti dalle trasmissioni urlate? “Fortunatamente non tutto è governato con queste regole. Ci sono programmi più pacati, seppur popolari, in cui è ancora possibile discutere: penso a Tagadà, ItaliaSì. Sulla tv svizzera italiana c’è un format che si chiama ’60 minuti’. Sei esperti scelti con criterio discutono, moderati da un conduttore che non ti parla continuamente sopra. Condividendo le regole del gioco, il metodo, che è centrale. Perché se contesti quello salta tutto, è impossibile far confrontare idee contrapposte. Lì si fa vero servizio pubblico”.
Ma allora perché, pur con un continuo dissanguamento di ascolti, da noi il talk si porta sbracato, selvaggio?
“È una tv vecchia, fatta con idee vecchie e per i vecchi”. E quindi difficilmente potrà avere un futuro, parrebbe di credere. “Io credo che il pubblico alla fine si stancherà della riproposizione costante di queste dinamiche da arena. Non serve a comprendere le cose ma a prendere una parte”.
Dopo l’esperienza a Cartabianca ha smesso con la tv?
“No, ci torno oggi stesso. Ripeto, gli accademici non devono rinunciare a parlare al grande pubblico. Servono però confini e cornici precise. Una cosa è certa: a Cartabianca non ci metterò mai più piede”.
(da il Foglio)

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DOMENICA UNGHERIA AL VOTO CON ORBAN IN VANTAGGIO DI SOLO DUE PUNTI

Marzo 30th, 2022 Riccardo Fucile

I SONDAGGISTI: IL PARTITO DI ORBAN AL 41%, L’OPPOSIZIONE UNITA AL 39% , MA TUTTO E’ POSSIBILE

L’istituto Zavecz Research segna un 41% di preferenze per Fidesz, il partito del primo ministro Orban, contro il 39% per l’alleanza. E anche altri sondaggisti vedono il leader ungherese in vantaggio.
L’affidabilità dei sondaggi viene però messa in dubbio dagli analisti, in quanto si fanno su un campione molto ristretto (circa 1000 persone). Inoltre molti sono restii nel dichiarare le intenzioni reali di voto.
“Potrà esserci anche una sorpresa”, dice Endre Hahn, direttore dell’istituto Median, fra i più affidabili.
L’incertezza proviene dal fatto che è molto difficile misurare l’effetto della guerra in Ucraina. Orban, grande amico di Putin per 12 anni, ha cambiato registro da un giorno all’altro in una posizione neutrale, compiendo un esercizio di equilibrismo. “L’Ungheria deve rimanere fuori dal conflitto, non è la nostra guerra, non permetterò che passino armi attraverso il nostro territorio in Ucraina”, ha ripetuto molte volte, attirando dure critiche da parte del presidente ucraino Zelensky.
(da agenzie)

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PUTIN HA GIÀ PERSO TRE VOLTE, NON RAGGIUNGERÀ I SUOI OBIETTIVI

Marzo 30th, 2022 Riccardo Fucile

LA RUSSIA È DIVENTATA UNA SORTA DI SECONDA COREA DEL NORD ,
GLI OCCIDENTALI SI LIBERARANNO DALLA DIPENDENZA DEL GAS DI MOSCA E IL CLAMOROSO FALLIMENTO MILITARE PORTERÀ A UN’INEVITABILE RAFFORZAMENTO DELLA NATO

Una parte del futuro dei rapporti tra Europa e Russia sarà scritta nell’accordo di pace che Kiev e Mosca, prima o poi, firmeranno. Altre scelte fondamentali, però, sono state prese in queste settimane e non cambierebbero nemmeno se la guerra finisse oggi. Vanno tutte in direzione opposta ai tre obiettivi “storici” di Vladimir Putin.
Il primo è politico. Lui stesso lo aveva spiegato nel marzo del 2000, intervistato dalla Bbc: «La Russia fa parte della cultura europea. E non posso immaginare il mio Paese isolato dall’Europa e da quello che spesso chiamiamo “il mondo civilizzato”».
L’annessione della Crimea, nel 2014, non aveva compromesso questa ambizione. Le proteste del “mondo civilizzato” erano state flebili e il ruolo internazionale della Russia e del suo leader ne era uscito intatto.
Otto anni dopo, è una storia tutta diversa. Agli occhi degli europei, il Paese di Dostoevskij e Tolstoj è diventato una sorta di seconda Corea del Nord.
Multinazionali che investivano e creavano lavoro sono scappate, per non vedere la loro immagine accostata a quella di un regime con le mani insanguinate. L’isolamento che Putin temeva è avvenuto, ed è destinato a durare.
Il secondo obiettivo del presidente russo era economico: continuare a vendere petrolio e gas, che rappresentano il 52% del valore delle esportazioni di Mosca, ai migliori clienti possibili. Ossia gli europei, che saldano i conti in valuta pregiata, anche ai prezzi altissimi imposti dalla piazza finanziaria di Amsterdam.
Pure in questo caso, tutto è cambiato nel giro di poche settimane. Ci vorrà qualche anno, ma il distacco dalle forniture russe è nei programmi di tutti i governi dell’Unione.
Pur di riuscirci, sono disposti a potenziare e costruire gasdotti alternativi e a creare nuovi terminali di rigassificazione, in grado di accogliere le navi metaniere che partono dagli Stati Uniti.
Ma il fallimento maggiore Putin lo sta incassando nel perseguimento dell’obiettivo al quale, da sempre, tiene di più: quello militare, che consiste nell’impedire il rafforzamento e l’allargamento ad est della Nato.
Un mese e mezzo fa, l’Alleanza atlantica era ridotta a poco più di un guscio vuoto.
Era priva di una missione strategica, ossia di una ragione di vita, e i continui richiami dei presidenti statunitensi ai governi del vecchio continente, affinché stanziassero almeno il 2% del Pil nazionale nelle spese per la Difesa, venivano regolarmente ignorati.
L’invasione dell’Ucraina, rapida, brutale e non prevista dagli europei, ha restituito alla Nato un nemico, cioè una ragion d’essere.
Che le ha imposto, innanzitutto, una nuova “postura”: uomini e mezzi sono spostati e ammassati lungo il confine orientale, come implorano, terrorizzati, i governi di Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania.
Per la prima volta nel dopoguerra, gli Stati europei che non aderiscono alla Nato riflettono su quanto sia conveniente non avere l’ombrello americano sopra la testa. Sono gli stessi elettori, davanti alle immagini di Kiev bombardata, che chiedono un ripensamento ai loro governanti.
Succede in Finlandia: cinque anni fa, solo il 19% della popolazione avrebbe voluto che il proprio Paese si legasse al Patto atlantico. A fine febbraio la loro quota era salita al 53% e adesso è pari al 62%. Il governo di Helsinki ha già annunciato che porterà la questione in parlamento.
Ragionamenti simili si fanno in Svezia: anche lì, sondaggi alla mano, gli elettori favorevoli all’ingresso nella Nato hanno superato i contrari.
Ad ambedue i Paesi, il Cremlino ha fatto sapere che ci sarebbero «gravi conseguenze politico-militari» se l’alleanza strategica con Washington andasse in porto. Ma la domanda, per quei governi e quei popoli, è se non rischino di più adesso, nella loro situazione di neutralità, che non schierandosi.
Nei Paesi che già appartengono all’Alleanza, la guerra di Putin è stata un formidabile argomento in favore dell’aumento delle spese militari chiesto da Washington.
Ha rotto il tabù il governo progressista e pacifista del cancelliere tedesco Olaf Scholz e gli altri, incluso quello italiano, lo hanno seguito. Ora il 2% del Pil è il traguardo di tutti.
Il problema militare di Putin potrebbe non limitarsi all’Europa. Complice il sonno degli americani, negli ultimi anni la Russia ha allargato la propria sfera d’azione in Africa. Mosca oggi gioca un ruolo importante in Siria, a sostegno di Bashar al-Assad, e per il controllo della Libia, dalla parte del generale Khalifa Haftar.
In Niger e nel Mali, dove operano anche soldati italiani e francesi, il Cremlino agisce tramite i mercenari del gruppo Wagner. «Ma se il nuovo compito della Nato è contrastare la Russia», spiega una fonte diplomatica, «diventa possibile anche un coinvolgimento diretto dell’Alleanza in questi teatri. Se dall’altra parte c’è Putin, i problemi italiani e francesi divengono problemi della Nato».
(da Libero)

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IL TAGLIAGOLE CRIMINALE CECENO KADYROV PASSA LE SUE GIORNATE A CONDIVIDERE FUFFA E PROPAGANDA SUL SOCIAL CINESE. CON ESITI IMBARAZZANTI: HA POSTATO UN VIDEO DA MARIUPOL MA SI È SCOPERTO CHE ERA UN FAKE (IN SOTTOFONDO SI SENTIVA DIRE IN RUSSO “SPARATE, SPARATE. STO FILMANDO”)

Marzo 30th, 2022 Riccardo Fucile

E NON È MAI STATO A KIEV. IL “FINANCIAL TIMES” LO HA PRESO PER IL CULO PERCHÉ AL FRONTE INDOSSAVA STIVALI PRADA DA 1.500 EURO

Il presidente ceceno Ramzan è il leader che ha pacificato la Cecenia per conto di Mosca. L’ha fatto non ancora trentenne versando ettolitri di sangue. Ora che si avvicina ai 46 anni, tiene il controllo della repubblica caucasica con il terrore e a Kadyrov piace che tutti lo sappiano, alimenta la sua leggenda nera a forza di video, come un influencer.
Né Kadyrov né i suoi uomini, i kadyrovzky, hanno però mai fatto la guerra con cannoni e carri armati. Sono una forza anti sommossa, di controllo interno. Dai loro un prigioniero e sapranno torturarlo fino a farlo parlare.
«Sono un soldato di fanteria di Putin» ha ripetuto modesto per anni. In questo mese di guerra, a Kadyrov non basta più. In Ucraina sembra che i suoi uomini abbiano compiti di polizia militare («plotone di contenimento», cioè chi spara ai disertori) e di rastrellamento.
Sanno entrare nei palazzi, setacciare un quartiere e sono quindi utilissimi per «ripulire» Mariupol
Il presidente ceceno ama esibirsi. Due settimane fa era al fronte di Kiev: «Siamo a 20 chilometri da voi nazisti ucraini, arrendetevi o vi finiremo». La settimana scorsa, era già a Mariupol.
Prima ha annunciato che i suoi ragazzi avevano preso il municipio. Poi pregava rivolto alla Mecca, nella piazzola di un benzinaio RosNeft. Domenica, abbracciava il comandante dell’8a armata russa, tenente generale Andrei Mordvichev. «Pochi giorni e ripuliremo la città».
Un’altra clip mostra l’assalto dei suoi kadyrovzky allo scheletro di un palazzo di Mariupol: infernale fuoco di sbarramento, schieramento compatto dietro un blindato che spara col cannoncino.
Sembrava un film con la telecamera in linea tra i coraggiosi ceceni e le finestre sventrate da dove avrebbe dovuto sparare il cecchino. In linea? I kadyrovzky acquattati dietro al blindato e il cameraman totalmente esposto? Infatti era un film. Nei primi fotogrammi si sente urlare in russo: «Strilayte, strilayte. Snimayu». Che vuol dire: «Sparate, sparate. Sto filmando».
Ci fosse un timbro «fake» bisognerebbe bollare così tutte le apparizioni del presidente ceceno fino ad oggi: falsi. Si tratta di video montati mescolando immagini reali ad altre vecchie o in luoghi diversi.
Un espediente consueto per i kadyrovzsky che infatti si sono guadagnati il poco marziale soprannome di tiktoker per la loro smania di apparire sui social. Al fronte di Kiev il presidente ceceno potrebbe non esserci mai stato. Persino il ministero della Difesa russo ha detto «non ci risulta». Lui era probabilmente ancora a Grozny, la sua capitale, in una cantina.
Il Financial Times ha ironizzato su un guerriero che sfoggia al fronte stivali Prada da 1.500 euro, bellissimi per carità, ma poco adatti per correre. Il municipio di Mariupol catturato dai suoi era un distaccamento periferico e anche la preghiera era un bluff: in Ucraina non ci sono distributori RosNeft.
Quanto all’abbraccio con il tenente generale Mordvichev, il poveretto è stato ucciso 10 giorni prima del presunto saluto con Kadyrov. Il fact checking potrebbe continuare. Il leader ceceno è probabilmente nei pressi di Mariupol, da un paio di giorni.
Ha incontrato il presidente della repubblica indipendentista di Donetsk e ha visitato in ospedale il suo kadyrovzky più fidato, ferito proprio ieri a Mariupol, quel Ruslan Geremeyev sospettato dell’omicidio di Boris Namtzov, ex sfidante di Putin.
Nella trasferta al fronte, Kadyrov si è fatto accompagnare da guerrieri rotti ad ogni violenza e da un ragazzino con la faccia imberbe. La telecamera dei tiktoker della guerra si ferma a lungo sul suo primo piano. È il figlio Adam, 14 anni. Già vittima prima ancora che qualcuno gli spari.
(da il Corriere della Sera)

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IL PROBLEMA DI PUTIN È CHE NESSUNO HA IL CORAGGIO DI DIRGLI CHE STA ANDANDO TUTTO MALE: SECONDO L’INTELLIGENCE AMERICANA, “MAD VLAD” È “INFORMATO MALE” SULLA DISASTROSA SITUAZIONE DELL’ESERCITO

Marzo 30th, 2022 Riccardo Fucile

LO ZAR BOMBAROLO STAREBBE CAPENDO SOLO ORA COSA STA DAVVERO SUCCEDENDO. ECCO SPIEGATA LA “SPACCATURA” CON I VERTICI DELLA DIFESA, GUIDATA DAL POVERO SHOIGU (CHE HA AVUTO UN INFARTO DOPO UNA STRIGLIATA DEL CAPO DEL CREMLINO)

Gli Stati Uniti ritengono che il presidente russo Vladimir Putin sia “informato male” dai suoi consiglieri su quanto male si stia comportando l’esercito russo in Ucraina e sull’impatto delle sanzioni sull’economia russa, ha detto alla CNN un funzionario statunitense.
Ma ora Putin avrebbe capito la situazione e questo sta portando a una “spaccatura” tra lui e i vertici della difesa russa. “Riteniamo che Putin sia stato disinformato dai suoi consiglieri su quanto male si stia comportando l’esercito russo e su come l’economia russa sia paralizzata dalle sanzioni, perché i suoi consiglieri principali hanno troppa paura di dirgli la verità”, ha detto un funzionario statunitense.
Il funzionario ha affermato che la valutazione si basa su risultati declassificati dell’intelligence statunitense.Il funzionario ha aggiunto che gli Stati Uniti hanno informazioni che indicano che Putin è venuto a conoscenza della disinformazione, portando a una spaccatura tra Putin e i suoi alti funzionari della difesa.”Abbiamo informazioni che Putin si è sentito fuorviato dall’esercito russo.
Ora c’è una tensione persistente tra Putin e il (Ministero della Difesa), derivante dalla sfiducia di Putin nella leadership del MOD”, ha affermato il funzionario statunitense.Il funzionario ha detto che Putin non sapeva che i suoi militari stavano “usando e perdendo coscritti in Ucraina, mostrando una chiara interruzione nel flusso di informazioni accurate al presidente russo”.
(da agenzie)

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“FARE IL GIORNALISTA IN RUSSIA È IMPOSSIBILE, SI RISCHIA DI ESSERE UCCISI”

Marzo 30th, 2022 Riccardo Fucile

IVAN KOLPAKOV, DIRETTORE DEL QUOTIDIANO ONLINE INDIPENDENTE “MEDUZA”, RIVELA COME SI VIVE SOTTO MINACCIA COSTANTE: “SE SI USA LA PAROLA GUERRA SI RISCHIA IL CARCERE, MA CI SONO PRESSIONI FUORI DALLA LEGGE. TELEFONATE DI AVVERTIMENTO, LA POLIZIA CHE FA TROVARE DROGA IN CASA TUA”

«Fare il giornalista in Russia, oggi, è impossibile. Si rischia concretamente di essere uccisi, e si è soggetti a ogni genere di pressioni». Ivan Kolpakov, direttore del quotidiano online in inglese e in russo Meduza , parla da Riga.
Meduza , tra le ultime testate indipendenti ancora attive dopo la stretta sui media dell’ultimo mese (anche la Novaja Gazeta di Anna Politkovskaja ha sospeso le pubblicazioni lunedì) è stato fondato lì. Era il 2014, e la redazione era fatta di fuorusciti da Lenta.ru , sito indipendente poi acquisito da un oligarca.
«Eravamo in quattro, oggi siamo una cinquantina in vari Paesi». Basato a Riga, Meduza ha potuto pubblicare l’intervista che il presidente ucraino Zelensky ha concesso a quattro giornalisti russi, nonostante il divieto di Mosca. Kolpakov era tra loro.
Che pressioni riceve un giornalista in Russia?
«Le leggi sono sempre più severe: se usa la parola “guerra” rischia il carcere. Se sta attento e non ne infrange nessuna, ma resta indipendente, ci sono poi le pressioni fuori dalla legge. Telefonate continue di “avvertimento”. La polizia fa trovare droga a casa tua. Il nostro Ivan Golunov è il caso più celebre: lo hanno arrestato con questo schema. Lo fanno spesso. Altrettanto spesso gli investitori sono spinti a non comprare più pubblicità».
Meduza è nella lista degli «agenti stranieri» dal 2021
«E quando ci siamo entrati tutta la pubblicità è sparita. Da allora ci finanziavamo col crowdfunding: dalla Russia avevamo 23 mila finanziatori regolari. Ora con le sanzioni si può donare solo dall’estero».
Avete ancora giornalisti in Russia?
«No, li abbiamo fatti uscire tutti. Informiamo da fuori: internet non è ancora stato chiuso dal governo, e credo che non lo sarà. Quindi siamo in contatto normalmente con le nostre fonti».
Ma il vostro sito in Russia è bloccato. Chi vi legge?
«Quando ci hanno bloccati, il 4 marzo, ci aspettavamo di perdere tra il 70 e l’80% dei lettori. Con la guerra erano aumentati. Temevamo il blocco, e avevamo avvertito i lettori di scaricare la nostra app, che nel codice ha un anti-blocco o di installare una Vpn (una connessione privata, che aggira i blocchi governativi, ndr ). Così abbiamo perso solo un quarto dei nostri utenti unici, che in momenti buoni arrivavano a essere 2,5 milioni al giorno».
È legale usare una Vpn?
«Sì, per ora. Il governo ne blocca alcune, ma altre funzionano. Chi vuole informarsi in modo indipendente ne ha più di una, e legge tutto».
Sono tanti?
«La mia impressione è che la maggior parte dei russi sia in una fase di negazione, e scelga di credere alla propaganda. È più comodo, più sicuro. E poi ci sono molte persone, e questo mi spezza il cuore e non lo capisco, che sono a favore della guerra. Ma credo comunque che i contrari siano tantissimi, anche se impauriti dalla repressione».
Il dissenso alla guerra potrebbe rovesciare il governo?
«Mah. Il 24 febbraio Putin ha perso molto consenso, sì. Ha perso le élite, un sacco di soldi, persino i conservatori. Il 24 febbraio è stato per lui l’inizio della fine. Ma non c’è da festeggiare: sarà una fine lunga e sanguinosa, che costerà alla Russia e al mondo migliaia di vite. Sarà una carneficina».
(da agenzie)

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I RUSSI SPARANO SULLA CROCE ROSSA: A MARIUPOL I BOMBARDAMENTI DI PUTIN HANNO COLPITO L’EDIFICIO DEL COMITATO INTERNAZIONALE DELLA CROCE ROSSA

Marzo 30th, 2022 Riccardo Fucile

NON SOLO: HANNO EVACUATO IN RUSSIA L’INTERO REPARTO MATERNITÀ DI UN’OSPEDALE DELLA CITTA’

I bombardamenti russi hanno colpito un edificio della Croce Rossa a Mariupol. Lo fa sapere una responsabile ucraina.
“A Mariupol gli occupanti hanno bombardato deliberatamente l’edificio del Comitato internazionale della Croce Rossa”, scrive su Telegram Lioudmyla Denisova, incaricata dei diritti umani presso il Parlamento ucraino.
“L’aviazione nemica e l’artiglieria hanno fatto fuoco su un edificio segnato con una croce rossa su uno sfondo piano, che indica la presenza di persone ferite o civili e materiale umanitarie”, aggiunge. “Al momento non abbiamo informazioni sulle vittime”, ha precisato Denisova, senza indicare quante persone si trovassero nell’edificio al momento dell’attacco.
“L’ufficio sul campo della missione consultiva dell’Ue in Ucraina è stato recentemente colpito dai bombardamenti russi, subendo gravi danni. Nessun membro della missione o collaboratore è rimasto ferito”. Ne dà notizia l’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, esprimendo una “ferma condanna” dell’attacco e “di qualsiasi attacco contro i civili e le infrastrutture civili”.
La città di Mariupol ha denunciato l’evacuazione forzata in Russia dell’intero reparto maternità di un ospedale di Mariupol, dove un’altra struttura analoga è stata bombardata il 9 marzo. Lo scrive il sindaco della città assediata su Telegram. “Più di 70 persone, donne e personale medico del reparto maternità numero due del distretto della riva sinistra di Mariupol sono stati presi con la forza dagli occupanti”, ha detto l’ufficio del sindaco.
Più di 20.000 residenti di Mariupol sono stati portati “contro la loro volontà” in Russia, dove i loro documenti di identità sono stati confiscati prima di essere trasferiti “in città russe lontane”, ha detto l’ufficio del sindaco. Un altro reparto di maternità a Mariupol era stato colpito dai bombardamenti russi il 9 marzo, nell’attacco erano morte tre persone tra cui un bambino.
(da agenzie)

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“SIAMO STATI BUTTATI NELLA MERDA, CON FUCILI DEGLI ANNI ’40 CHE NON SPARANO UN COLPO” : IL VIDEO DI UN GRUPPO DI 10 GIOVANISSIMI SOLDATI RUSSI CON ELMETTI PIU’ GRANDI DELLA LORO TESTA MENTRE BRANDISCONO DEI KALASHNIKOV DI 80 ANNI FA

Marzo 30th, 2022 Riccardo Fucile

“HO 18 ANNI. STANNO MANDANDO IN GUERRA FOTTUTI STUDENTI ORDINARI. VI CHIEDIAMO DI DIFFONDERLO”

Sta facendo il giro di Twitter un video in cui si vedono giovani soldati russi con elmetti enormi che brandiscono AAK-47 degli anni ’40 mentre si lamentano di essere stati «buttati nella merda».
Uno di loro esclama: «Devi sapere la verità! Il ministero della Difesa russo non ha idea di cosa stiamo facendo qui. Siamo stati buttati nella merda!».
Un compagno gli fa eco: «I nostri fucili sono degli anni ’40! Non sparano un fottuto colpo! Stanno mandando in guerra fottuti studenti ordinari».
I ragazzi, che secondo quanto riferito sono membri della 15esima brigata di fucilieri motorizzati separati, si sono filmati nel retro di un camion vicino a Sumy, nei pressi del confine con la Russia.
Uno di loro dice: «Ho 18 anni». Poi alza la sua mitragliatrice AK-47 rilasciata per la prima volta nel 1947 e si lamenta: «Ci sono stati dati fucili automatici per affrontare artiglieria e proiettili di mortaio. Vi chiediamo di diffondere questo».
Sumy è stata teatro di intensi combattimenti negli ultimi giorni, con filmati agghiaccianti di droni che mostrano la portata della distruzione. Putin aveva promesso di non inviare giovani coscritti non addestrati in prima linea in Ucraina, ma da allora ha infranto la sua promessa.
(da Daily Mail)

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