“FARE IL GIORNALISTA IN RUSSIA È IMPOSSIBILE, SI RISCHIA DI ESSERE UCCISI”
IVAN KOLPAKOV, DIRETTORE DEL QUOTIDIANO ONLINE INDIPENDENTE “MEDUZA”, RIVELA COME SI VIVE SOTTO MINACCIA COSTANTE: “SE SI USA LA PAROLA GUERRA SI RISCHIA IL CARCERE, MA CI SONO PRESSIONI FUORI DALLA LEGGE. TELEFONATE DI AVVERTIMENTO, LA POLIZIA CHE FA TROVARE DROGA IN CASA TUA”
«Fare il giornalista in Russia, oggi, è impossibile. Si rischia concretamente di essere uccisi, e si è soggetti a ogni genere di pressioni». Ivan Kolpakov, direttore del quotidiano online in inglese e in russo Meduza , parla da Riga.
Meduza , tra le ultime testate indipendenti ancora attive dopo la stretta sui media dell’ultimo mese (anche la Novaja Gazeta di Anna Politkovskaja ha sospeso le pubblicazioni lunedì) è stato fondato lì. Era il 2014, e la redazione era fatta di fuorusciti da Lenta.ru , sito indipendente poi acquisito da un oligarca.
«Eravamo in quattro, oggi siamo una cinquantina in vari Paesi». Basato a Riga, Meduza ha potuto pubblicare l’intervista che il presidente ucraino Zelensky ha concesso a quattro giornalisti russi, nonostante il divieto di Mosca. Kolpakov era tra loro.
Che pressioni riceve un giornalista in Russia?
«Le leggi sono sempre più severe: se usa la parola “guerra” rischia il carcere. Se sta attento e non ne infrange nessuna, ma resta indipendente, ci sono poi le pressioni fuori dalla legge. Telefonate continue di “avvertimento”. La polizia fa trovare droga a casa tua. Il nostro Ivan Golunov è il caso più celebre: lo hanno arrestato con questo schema. Lo fanno spesso. Altrettanto spesso gli investitori sono spinti a non comprare più pubblicità».
Meduza è nella lista degli «agenti stranieri» dal 2021
«E quando ci siamo entrati tutta la pubblicità è sparita. Da allora ci finanziavamo col crowdfunding: dalla Russia avevamo 23 mila finanziatori regolari. Ora con le sanzioni si può donare solo dall’estero».
Avete ancora giornalisti in Russia?
«No, li abbiamo fatti uscire tutti. Informiamo da fuori: internet non è ancora stato chiuso dal governo, e credo che non lo sarà. Quindi siamo in contatto normalmente con le nostre fonti».
Ma il vostro sito in Russia è bloccato. Chi vi legge?
«Quando ci hanno bloccati, il 4 marzo, ci aspettavamo di perdere tra il 70 e l’80% dei lettori. Con la guerra erano aumentati. Temevamo il blocco, e avevamo avvertito i lettori di scaricare la nostra app, che nel codice ha un anti-blocco o di installare una Vpn (una connessione privata, che aggira i blocchi governativi, ndr ). Così abbiamo perso solo un quarto dei nostri utenti unici, che in momenti buoni arrivavano a essere 2,5 milioni al giorno».
È legale usare una Vpn?
«Sì, per ora. Il governo ne blocca alcune, ma altre funzionano. Chi vuole informarsi in modo indipendente ne ha più di una, e legge tutto».
Sono tanti?
«La mia impressione è che la maggior parte dei russi sia in una fase di negazione, e scelga di credere alla propaganda. È più comodo, più sicuro. E poi ci sono molte persone, e questo mi spezza il cuore e non lo capisco, che sono a favore della guerra. Ma credo comunque che i contrari siano tantissimi, anche se impauriti dalla repressione».
Il dissenso alla guerra potrebbe rovesciare il governo?
«Mah. Il 24 febbraio Putin ha perso molto consenso, sì. Ha perso le élite, un sacco di soldi, persino i conservatori. Il 24 febbraio è stato per lui l’inizio della fine. Ma non c’è da festeggiare: sarà una fine lunga e sanguinosa, che costerà alla Russia e al mondo migliaia di vite. Sarà una carneficina».
(da agenzie)
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