PUTIN HA GIÀ PERSO TRE VOLTE, NON RAGGIUNGERÀ I SUOI OBIETTIVI
LA RUSSIA È DIVENTATA UNA SORTA DI SECONDA COREA DEL NORD ,
GLI OCCIDENTALI SI LIBERARANNO DALLA DIPENDENZA DEL GAS DI MOSCA E IL CLAMOROSO FALLIMENTO MILITARE PORTERÀ A UN’INEVITABILE RAFFORZAMENTO DELLA NATO
Una parte del futuro dei rapporti tra Europa e Russia sarà scritta nell’accordo di pace che Kiev e Mosca, prima o poi, firmeranno. Altre scelte fondamentali, però, sono state prese in queste settimane e non cambierebbero nemmeno se la guerra finisse oggi. Vanno tutte in direzione opposta ai tre obiettivi “storici” di Vladimir Putin.
Il primo è politico. Lui stesso lo aveva spiegato nel marzo del 2000, intervistato dalla Bbc: «La Russia fa parte della cultura europea. E non posso immaginare il mio Paese isolato dall’Europa e da quello che spesso chiamiamo “il mondo civilizzato”».
L’annessione della Crimea, nel 2014, non aveva compromesso questa ambizione. Le proteste del “mondo civilizzato” erano state flebili e il ruolo internazionale della Russia e del suo leader ne era uscito intatto.
Otto anni dopo, è una storia tutta diversa. Agli occhi degli europei, il Paese di Dostoevskij e Tolstoj è diventato una sorta di seconda Corea del Nord.
Multinazionali che investivano e creavano lavoro sono scappate, per non vedere la loro immagine accostata a quella di un regime con le mani insanguinate. L’isolamento che Putin temeva è avvenuto, ed è destinato a durare.
Il secondo obiettivo del presidente russo era economico: continuare a vendere petrolio e gas, che rappresentano il 52% del valore delle esportazioni di Mosca, ai migliori clienti possibili. Ossia gli europei, che saldano i conti in valuta pregiata, anche ai prezzi altissimi imposti dalla piazza finanziaria di Amsterdam.
Pure in questo caso, tutto è cambiato nel giro di poche settimane. Ci vorrà qualche anno, ma il distacco dalle forniture russe è nei programmi di tutti i governi dell’Unione.
Pur di riuscirci, sono disposti a potenziare e costruire gasdotti alternativi e a creare nuovi terminali di rigassificazione, in grado di accogliere le navi metaniere che partono dagli Stati Uniti.
Ma il fallimento maggiore Putin lo sta incassando nel perseguimento dell’obiettivo al quale, da sempre, tiene di più: quello militare, che consiste nell’impedire il rafforzamento e l’allargamento ad est della Nato.
Un mese e mezzo fa, l’Alleanza atlantica era ridotta a poco più di un guscio vuoto.
Era priva di una missione strategica, ossia di una ragione di vita, e i continui richiami dei presidenti statunitensi ai governi del vecchio continente, affinché stanziassero almeno il 2% del Pil nazionale nelle spese per la Difesa, venivano regolarmente ignorati.
L’invasione dell’Ucraina, rapida, brutale e non prevista dagli europei, ha restituito alla Nato un nemico, cioè una ragion d’essere.
Che le ha imposto, innanzitutto, una nuova “postura”: uomini e mezzi sono spostati e ammassati lungo il confine orientale, come implorano, terrorizzati, i governi di Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania.
Per la prima volta nel dopoguerra, gli Stati europei che non aderiscono alla Nato riflettono su quanto sia conveniente non avere l’ombrello americano sopra la testa. Sono gli stessi elettori, davanti alle immagini di Kiev bombardata, che chiedono un ripensamento ai loro governanti.
Succede in Finlandia: cinque anni fa, solo il 19% della popolazione avrebbe voluto che il proprio Paese si legasse al Patto atlantico. A fine febbraio la loro quota era salita al 53% e adesso è pari al 62%. Il governo di Helsinki ha già annunciato che porterà la questione in parlamento.
Ragionamenti simili si fanno in Svezia: anche lì, sondaggi alla mano, gli elettori favorevoli all’ingresso nella Nato hanno superato i contrari.
Ad ambedue i Paesi, il Cremlino ha fatto sapere che ci sarebbero «gravi conseguenze politico-militari» se l’alleanza strategica con Washington andasse in porto. Ma la domanda, per quei governi e quei popoli, è se non rischino di più adesso, nella loro situazione di neutralità, che non schierandosi.
Nei Paesi che già appartengono all’Alleanza, la guerra di Putin è stata un formidabile argomento in favore dell’aumento delle spese militari chiesto da Washington.
Ha rotto il tabù il governo progressista e pacifista del cancelliere tedesco Olaf Scholz e gli altri, incluso quello italiano, lo hanno seguito. Ora il 2% del Pil è il traguardo di tutti.
Il problema militare di Putin potrebbe non limitarsi all’Europa. Complice il sonno degli americani, negli ultimi anni la Russia ha allargato la propria sfera d’azione in Africa. Mosca oggi gioca un ruolo importante in Siria, a sostegno di Bashar al-Assad, e per il controllo della Libia, dalla parte del generale Khalifa Haftar.
In Niger e nel Mali, dove operano anche soldati italiani e francesi, il Cremlino agisce tramite i mercenari del gruppo Wagner. «Ma se il nuovo compito della Nato è contrastare la Russia», spiega una fonte diplomatica, «diventa possibile anche un coinvolgimento diretto dell’Alleanza in questi teatri. Se dall’altra parte c’è Putin, i problemi italiani e francesi divengono problemi della Nato».
(da Libero)
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