Gennaio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
LE 157.652 PERSONE SBARCATE NEL 2023 SONO IL DATO PIÙ ALTO DAL 2016 … DEI 10 NUOVI CENTRI PER IL RIMPATRIO PROMESSI DA PIANTEDOSI NON C’È TRACCIA E I MIGRANTI RISPEDITI A CASA NEGLI ULTIMI 12 MESI SONO STATI APPENA 4.000… ACCORDI CON I PAESI DI ORIGINE? ZERO… E IL VIMINALE NON CHIEDE NEANCHE PIU’ LA CAUZIONE DOI 5.000 EURO DOPO LE BOCCIATURE DEI TRIBUNALI
I 157.652 sbarcati del 2023 (mai così tanti dal 2016) non sono l’unico
fallimento della politica migratoria del governo Meloni.
A parte gli accordi con Paesi che, calpestando i diritti umani, fanno il lavoro sporco per l’Italia contrabbandando come soccorsi in mare quelli che non sono altro che respingimenti vietati dalle convenzioni europee, tutti gli obiettivi annunciati sono stati mancati.
I Cpr al palo
Dei dieci nuovi centri per il rimpatrio, uno per regione, di cui il governo favoleggia da quando si è insediato, non c’è traccia. I 5,4 milioni di euro stanziati un anno fa nella legge di bilancio per la costruzione, acquisizione, ristrutturazione di immobili da adibire a Cpr sono rimasti nel cassetto e della lista di strutture che il ministero della Difesa è stato incaricato di individuare nelle varie regioni non si è saputo più nulla.
Qualche struttura, lì dove gli amministratori sono favorevoli, da Bolzano a Ferrara, da Albenga a Crotone, è stata sottoposta al Viminale, ma oltre ai sopralluoghi non si è andati.
Nel frattempo il governo prevede di investire per il 2024 nella gestione di quelli che ci sono, veri e propri lager come racconta la recente inchiesta su via Corelli a Milano, 32 milioni di euro.
I rimpatri
Circa 4.000 i migranti rimandati a casa nel 2023, nulla rispetto ai 157.000 sbarcati e agli espulsi che di fatto restano sul territorio italiano. Piantedosi vanta un aumento del 15% rispetto al 2022, ma appena il 50% delle persone rinchiuse nei Cpr poi viene rimpatriata. E questo a dispetto dell’allungamento dei tempi di detenzione amministrativa fissati dal decreto Cutro.
Le procedure accelerate
Ricordate la cauzione di 5.000 euro chiesta ai migranti provenienti dai Paesi sicuri per attendere in libertà l’esito delle procedure accelerate di frontiera, pilastro del decreto Cutro per rispedire entro 30 giorni a casa persone che non hanno diritto alla protezione?
Ovviamente nessuno li ha versati anche perché — dopo le ripetute bocciature dei giudici delle sezioni immigrazioni — il Viminale ha di fatto rinunciato ad applicare queste procedure in attesa che la Cassazione si pronunci il prossimo 30 gennaio.
Gli accordi con i Paesi d’origine
Neanche uno. La collaborazione con i Paesi di origine e transito citata ad ogni dichiarazione di intenti dalla premier e ministri competenti non ha prodotto assolutamente nulla. Eppure stringere patti con Paesi come Guinea, Costa d’Avorio e Bangladesh, da cui quest’anno sono arrivati quasi un terzo di tutti i migranti sbarcati, sarebbe l’unico modo per rendere effettive le espulsioni.
I diritti umani
Lo ha ricordato il presidente della Repubblica Mattarella nel discorso di Capodanno: «La tutela dei diritti umani è irrinunciabile per la Repubblica ». Ma nel 2023 sono state diverse le sentenze della Corte europea che hanno condannato l’Italia per la detenzione illegale di minori migranti, per trattamenti inumani e degradanti nei Cpr e nei centri di accoglienza.
(da agenzie)
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Gennaio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
L’AUTRICE HA PASSATO 30 GIORNI AL SEGUITO DI MATTEO SALVINI
Un mese con un populista (Tab edizioni, 2023, pp. 267, € 20) racconta un’esperienza estrema: l’autrice, Anna Bonalume, ha passato trenta-giorni-trenta (complessivi, a tutto c’è un limite) in tournée con Matteo Salvini, durante le Regionali emiliane e calabresi del 2020.
A che pro, direte voi? Per spiegarne il mistero: ossia, come un maschio lombardo senz’arte né parte, né bello né intelligente né simpatico né ricco, abbia potuto scalare i vertici della Lega nord di Bossi, prenderla al 4%, trasformarla in Lega per Salvini premier, portarla al 34% nel 2019 e, dopo averne combinate più di Bertoldo in Francia, restare comunque vicepremier di Giorgia Meloni, e condizionarne la politica al punto di imporle la recente rottura con la Ue sulla ratifica del Mes.
In Francia, dove il libro è uscito nel 2022, Salvini pare come l’ennesimo fenomeno da baraccone italiano: non siamo proprio noi, la patria del populismo? Con questa differenza, però: che mentre Berlusconi aveva tutte le doti che a Salvini mancano, e poteva dire ai propri fan “Un giorno sarete come me”, Salvini no, dio ce ne scampi, lui dice l’esatto contrario, “Io sono come voi”, anzi, pure un po’ peggio. Qui apparentemente il mistero s’infittisce, ma era già risolto nel mio Come internet sta uccidendo la democrazia (Chiarelettere, 2020, € 16, quattro euro di meno!): Salvini non è un populista, è il Populismo stesso, colui che ne ha portato le tecniche d’imbonimento al livello di un’arte.
Le immagino già, le reazioni dei professoroni più professoroni di me: ma che sarà mai questo populismo, quanto durerà ancora, un mese?, un anno? Bonalume risponde: Salvini, in campagna elettorale – dunque sempre, perché è sempre in campagna elettorale – va a dormire alle due e si alza alle sette del mattino, è continuamente in televisione e sui social, fa anche dieci-dodici comizi al giorno, parla un quarto d’ora e il resto è selfie, selfie infiniti, cambiando abito e slogan a seconda del pubblico. Una vita di melma (in inglese slime, cfr. p. 258), fra l’altro, sempre al servizio dell’uditorio, che però lo ripaga credendogli, oh se gli crede, anche contro i propri interessi, pure contro il buon senso…
Dissolto così il mistero Salvini, sorta di mago Houdini, che ha portato il populismo ai vertici dell’arte s’incontra il dilemma, forse il trilemma, sui modi per guarirne: perché ci sono almeno due terapie, forse tre, ma tutte insoddisfacenti.
La prima è far finta di niente, come i professoroni di cui sopra, tanto prima o poi il fenomeno si sgonfierà: ottimo, se non fosse che intanto la democrazia muore, e l’Italia va a donne di facili costumi, se si può dire. La seconda è demonizzarlo, pure lì pensando che prima o poi si darà la zappa sui piedi, come al Papete, o che la sua migliore allieva, Giorgia Meloni, lo smonti pezzo per pezzo. Ma, pure lì, quando? Prima o dopo il definitivo trasloco dell’Italia nel Terzo Mondo?
Ci sarebbe anche una terza terapia, proposta in Come internet, quando la democrazia già boccheggiava ma dava ancora segni di vita: fare come lui, anzi cercare di superarlo. Soluzione solo apparentemente facile, pure Crozza ci riesce, confesso che d’ogni tanto ci ho provato anch’io, ma poi il mio psichiatra me lo ha vietato, provoca delirio d’onnipotenza, e se è per questo anche il mio gastroenterologo, per via di tutta quella polenta con gli osei (al nord) e baccalà (al sud) di cui si è costretti a ingozzarsi per apparire più bulimici di lui.
Ma la vera controindicazione è un’altra: se tutti i politici diventassero populisti, certo, Salvini potrebbe anche perdere definitivamente, ma quel punto avrà vinto lui, cioè il Populismo in persona, e della democrazia finirebbe per parlarsi nei libri di storia, e qualche studente la confonderebbe con le crociate, o con le favorite di Luigi XV.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
LA RUSSIA USEREBBE IL PARTITO DI ESTREMA DESTRA FRANCESE PER DIFFONDERE LA PROPRIA PROPAGANDA… I 10 MILIONI DI EURO CHE L’ALLEATA EUROPEA DI SALVINI OTTENNE NEL 2014 DALLA BANCA RUSSO-CECA FCBR
A circa cinque mesi dalle prossime elezioni europee, sul
Rassemblement National di Marine Le Pen torna ad aleggiare lo spettro della Russia. Un legame, quello tra Mosca e il partito di estrema destra francese, che resta ben saldo secondo un’inchiesta del Washington Post, basata su dei «documenti del Cremlino ottenuti da un servizio di sicurezza europeo».
Nel mirino di quella che sembra essere una strategia concepita su scala europea ci sarebbe il sostegno occidentale all’Ucraina e le sanzioni alla Russia, da scalfire agli occhi dell’opinione pubblica attraverso una campagna di comunicazione portata avanti sui social network con l’aiuto di partiti di estrema destra.
La testa d’ariete scelta per scardinare in Francia sarebbe proprio il Rassemblement National. Ma per la formazione, oggi guidata dal presidente Jordan Bardella, si tratterebbe solo di un “complotto”. «Il nostro obiettivo è che l’Ucraina ritrovi la sua indipendenza, la sua sovranità e le sue frontiere», ha reagito ai microfoni di Sud Radio il portavoce, Laurent Jacobelli.
Marine Le Pen aveva preso le distanze da Vladimir Putin due anni fa subito dopo l’aggressione all’Ucraina, cercando di scrollarsi di dosso le accuse che la volevano connessa al Cremlino, soprattutto per il prestito da circa 10 milioni di euro ottenuto nel 2014 dalla banca russo-ceca Fcbr, rimborsato a settembre ad Aviazapchast, società specializzata in componenti per aerei che aveva acquisito il debito.
Critiche riemerse dopo l’inchiesta del Washington Post: Renaissance, partito della maggioranza macroniana, in una serie di tweet ha evocato il «ruolo preponderante» svolto dagli avversari per «diffondere la propaganda di Putin». Che potrebbe emergere nei prossimi mesi di campagna elettorale in vista delle europee di giugno.
(da agenzie)
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Gennaio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
L’ORIGINE E’ SERIA, ORA E’ DIVENUTA UN PRIVILEGIO E UNA GARANZIA DI IMPUNITA’
L’origine è seria. Poi, però, nel corso degli anni una garanzia è diventata un privilegio. L’immunità parlamentare, infatti, è un principio fondamentale in molte democrazie che mira a proteggere i membri del parlamento dall’arresto o dalla persecuzione legale per le loro opinioni politiche o per le azioni compiute nel corso del loro mandato parlamentare.
Questo principio ha una storia lunga e complessa che affonda le radici nel desiderio di garantire l’indipendenza del potere legislativo rispetto a quello esecutivo e giudiziario, così come nel tentativo di preservare la libertà di espressione e il dibattito politico.
Gia nell’antica Roma e nell’antica Grecia c’erano meccanismi e pratiche che offrivano una certa forma di protezione per i membri dell’assemblea o dei consigli decisionali.
Nelle poleis come Atene, gli strateghi (comandanti militari) e alcuni altri funzionari pubblici potevano godere di un certo grado di inviolabilità durante il loro mandato. Questo privilegio era principalmente finalizzato a garantire che potessero agire senza interferenze o rappresaglie politiche durante la loro gestione.
In Italia le cose cambiarono con l’avvento del fascismo. E Antonio Gramsci, ad esempio, il 27 novembre fu arrestato dalla polizia fascista e condannato a 20 anni di carcere dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato in piena violazione dell’immunità parlamentare in quanto deputato. Quindi Mussolini non rispettò l’immunità per disfarsi degli oppositori politici,
Su volontà di Erdogan il 20 maggio 2016, il Parlamento turco approvò un emendamento costituzionale che rimuoveva l’immunità parlamentare per i deputati sotto inchiesta per reati di terrorismo. L’emendamento fu proposto dal partito di governo Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan e fu approvato con una maggioranza superiore ai 2/3 dei seggiL’emendamento era stato fortemente criticato dall’opposizione, che lo vedeva come un tentativo di Erdogan di silenziare i suoi oppositori politici. L’Hdp, il principale partito di opposizione in Turchia, aveva 59 deputati sotto inchiesta per reati di terrorismo. L’emendamento apriva la strada all’arresto di questi deputati, tra cui il leader dell’Hdp, Selahattin Demirtas.
Quindi, come detto, l’immunità parlamentare prevista dall’ordinamento italiano all’articolo 68 della Costituzione come forma di garantia e tutela della libertà politica.
Poi i tempi sono cambiati e per qualcuno l’immunità parlamentare è diventata impunità parlamentare. Non senza atteggiamenti da casta che tanto indeboliscono la democrazia e rafforzano il populismo che, in quanto populismo, è sempre reazionario.
L’immunità nasce per poter fare liberamente e senza interferenze l’attività parlamentare. Finisce per proteggersi da reati comuni. Altro che Gramsci.
(da Globalist)
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Gennaio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
DA GIOVANE SI FINSE COMUNISTA PER SOSTITUIRE I CARTELLONI DI MAO CON LE FOTO DI D’ANNUNZIO… QUANDO DISSE DI VOLER PRENDERE A “CALCI NEL CULO” IL COMITATO TECNICO SCIENTIFICO E QUELLA VOLTA CHE SI BARRICÒ A MONTECITORIO CON IL TRICOLORE URLANDO CONTRO FICO: “NON L’AVRAI MAI”
Andrea Delmastro Delle Vedove, cognome chilometrico. La
tentazione di aggiungere Serbelloni Mazzanti Viendalmare è di una malignità gratuita che manco Lucignolo, perché nulla lo accomuna alla contessa di fantozziana memoria. Se non la sfortuna, la iella e quel malocchio che non se ne va nemmeno con il sale, con l’aglio e con le litanie in dialetto.
Sfortuna, che te lo eri orchestrato bene il giochetto con il tuo compagno di stanza. Te ne stai lì, in cucina, con Donzelli che fa il caffè e gli dici: «Dai, Giovanni, metticela un po’ di miscela, che sennò viene acqua acqua». E intanto, mentre aspetti che esca, gli racconti delle registrazioni di Cospito al 41 bis. Donzelli abbocca, o fa finta di abboccare, e le sciorina a Montecitorio. Apriti cielo, ti ritrovi le opposizioni che chiedono le dimissioni da sottosegretario alla Giustizia e un rinvio a giudizio per rivelazione del segreto d’ufficio.
Iella. Chiami «Capitan Fracassa» il procuratore della Corte dei conti che aveva aperto un fascicolo sull’assessora regionale di FdI, Elena Chiorino, che aveva deliberato l’acquisto di libri sulla storia di un martire delle foibe da donare alle scuole, poi bloccato per Covid, e ti tocca un processo per diffamazione.
La notte del cenone ti carichi due bustoni di cibo rimasto dal cenone da infilare in macchina ché, «ragazzi, io ve lo dico, il pranzo del primo dell’anno ve lo fate con gli avanzi». E in tua assenza un deputato di FdI […] si mette a mostrare una pistoletta con il colpo in canna. Piccola, sì, ma che spara proiettili veri, e non si sa come azzoppa un commensale. Ambulanza, polizia, carabinieri, bufera politica. E questo, scusate, è proprio malocchio.
(da agenzie)
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Gennaio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
MR TESLA HA ACQUISTATO IL SOCIAL PER 44 MILIARDI NELL’OTTOBRE 2022, ORA NE VARREBBE “SOLO” 12,5 – LA VALUTAZIONE È AVVENUTA DOPO CHE MUSK È STATO ACCUSATO DI ANTISEMITISMO E MOLTE AZIENDE HANNO SMESSO DI INONDARE DI SOLDI “X”
Il social media X, ex Twitter, ha perso oltre il 71,5% del suo valore da quando è stato acquistato da Elon Musk. Lo rivela il fondo comune Fidelity, che possiede una partecipazione in X Holdings, secondo una rivelazione del sito Axios. Musk ha acquisito Twitter per 44 miliardi di dollari nell’ottobre 2022 e ha ribattezzato la piattaforma X nel luglio 2023. La stima di Fidelity collocherebbe il valore di X a circa 12,5 miliardi di dollari.
La valutazione di Fidelity deriva da un documento datato fine novembre 2023, ha riferito Axios, relativo alle conseguenze di una serie di importanti aziende che hanno fatto retromarcia sulla pubblicità dopo che Musk ha appoggiato un post sulla teoria del complotto antisemita. L’imprenditore, in una intervista nel corso di un evento a New York, ha risposto al boicottaggio dicendo alle aziende di “andare a farsi fottere”.
Musk è l’uomo più ricco del mondo. Secondo la classifica di Forbes ha un patrimonio netto di 251 miliardi di dollari. Quando ha acquisito Twitter, l’imprenditore ha detto che il compito era “cercare di aiutare l’umanità”. Dopo l’acquisizione, Musk ha reintegrato un numero di persone precedentemente bandite dalla piattaforma, tra cui l’ex presidente Donald Trump e il teorico della cospirazione di destra Alex Jones.
(da agenzie)
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Gennaio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
DIMISSIONI DEL DIRETTORE OPERATIVO… DEI 1,2 MILIARDI ANNUNCIATI NON SE NE SA NULLA
Ieri è stato il presidente della Toscana, Eugenio Giani a lanciare
l’ultimo allarme, dall’edizione fiorentina di Repubblica. Il 23 novembre scorso la premier Giorgia Meloni aveva annunciato un ulteriore stanziamento di 1,2 miliardi di fondi attinti dal Pnrr a favore delle aree alluvionate della Romagna, delle Marche e della Toscana, dal 2 al 17 maggio, e poi dal 2 al 5 novembre. Ma da allora, nulla.
Non si sa se quei fondi siano aggiuntivi o sostitutivi di quanto già messo in campo. Né, dunque, se dovranno essere soggetti alla rendicontazione, complessa, prevista per tutti gli interventi finanziati con le risorse del Pnrr, con tempi molto più lunghi. “La parola alluvione sembra essere stata cancellata dal lessico del governo, il tema è stato derubricato”, dice il sindaco di Ravenna Michele De Pascale. A sua volta il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani ieri denunciava che da Roma fino ad ora sono arrivati solo 30 milioni di euro a fronte di 2 miliardi di danni. “Stiamo sopperendo all’assenza del governo – ha detto Giani – Abbiamo già stanziato 75 milioni per imprese e famiglie, altri 110 milioni per interventi di somma urgenza”. Tutto procede drammaticamente al ralenti. L’emiliano Galeazzo Bignami (FdI, vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti) ci ha messo la faccia garantendo che agli alluvionati della Romagna (qui i danni ammontano a 8,5 miliardi, coperti con nemmeno 4 dal governo) sarebbe arrivato anche il risarcimento dei beni mobili – auto, cucine, elettrodomestici, mobili e arredi – e non solo quello per gli immobili. Poi è stato il turno della sua collega di partito, la cesenate Alice Buonguerrieri, che ha impegnato il governo, con un ordine del giorno, ad assicurare indennizzi per tutti quei beni per i quali il commissario alla ricostruzione, il generale Francesco Figliuolo, ha dato il via libera alle perizie ma senza paracadute. Ma nulla, a tale proposito, è stato previsto nella legge di Bilancio. E gli indennizzi restano confermati solo per gli immobili e i macchinari delle imprese, in quanto beni strumentali.
Questa attesa Figliuolo la consuma senza il suo direttore operativo, colui al quale tutti si rivolgevano, quello che scriveva le ordinanze. Il generale Domenico Ciotti si è infatti dimesso in dicembre, all’improvviso. “Siamo rimasti tutti spiazzati”, dice Davide Baruffi, sottosegretario alla presidenza della Regione Emilia-Romagna, dando voce al timore che la dipartita di Ciotti possa rallentare la già lenta e difficile ricostruzione. Al suo posto, almeno per ora, c’è un altro generale, Gabriele Cosimo Garau, capo di gabinetto di Figliuolo. Quanto agli alluvionati, quelli romagnoli continuano ad aspettare, quasi ai nastri di partenza per quanto riguarda i risarcimenti. Fino ad ora hanno ricevuto solo i 5 mila euro del Cis, il contributo di immediato sostegno messo a disposizione dalla Protezione civile. Non hanno ancora visto nulla degli anticipi – 20 mila euro per i privati, 40 mila per le imprese – degli indennizzi, fino ad un massimo complessivo di 700 milioni di euro in totale, che saranno assicurati attraverso il credito di imposta spalmato su 25 anni. Non hanno visto nulla, però, nemmeno dei 48 milioni di euro per le auto danneggiate frutto di donazioni private: somma a disposizione della Regione e fruibile, secondo i comitati riuniti delle popolazioni alluvionate, già dal luglio scorso ma ferma a causa delle lunghe verifiche al Pra, il registro, sulle intestazioni delle automobili. “Ci stanno facendo morire di burocrazia”, protesta Danilo Montevecchi, del comitato di Faenza. Fino ad ora sono poco più di 1.900 le domande di risarcimento inoltrate attraverso la piattaforma Sfinge, la stessa – messa a punto dalla Regione – dopo il terremoto che ha colpito l’Emilia nel 2012. Poche, pochissime. “I tecnici degli ordini professionali non si assumono la responsabilità di fare le perizie perché le procedure disposte da Figliuolo non sono chiare – prosegue Montevecchi – e fanno domande alla struttura commissariale, che risponde attraverso le faq. Ma è complessa e macchinosa anche la piattaforma, che però la Regione difende perché è una sua creazione. E noi siamo nel mezzo di un rimpallo di responsabilità”.
(da agenzie)
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Gennaio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
“IO SONO GIORGIA” VORREBBE EVITARE UN NUOVO DEFLAGRANTE SCONTRO CON BRUXELLES. MA TRATTERÀ CON LA COMMISSIONE UE SOLO SE IL CARROCCIO PROMETTE DI NON METTERE I BASTONI TRA LE RUOTE
Il vero messaggio di Capodanno al governo Sergio Mattarella lo invia per lettera. Sulle concessioni agli ambulanti contenute nella legge sulla Concorrenza il Capo dello Stato infligge uno schiaffo morale al governo Meloni, ravvisando «rilevanti perplessità di ordine costituzionale».
Un rilievo che ricalca quello esplicitato il 24 febbraio scorso, quando firmò la legge per le concessioni ai balneari accompagnandola però con un richiamo scritto. Anno nuovo, stessa storia. Medesima chiusura del governo, che difende con questi provvedimenti i suoi feudi elettorali. Lo scontro ora è sull’occupazione del demanio pubblico. Mattarella però non ci sta: «I criteri generali per il rilascio di nuove concessioni appaiono restrittivi della concorrenza in entrata e favoriscono, in contrasto con le regole europee, i concessionari uscenti», mette nero su bianco in una lunga e articolata nota.
Va in scena la replica dell’ennesima tensione Colle-governo sull’Europa. La destra pensa alla bottega elettorale. Il Quirinale chiede il rispetto delle regole. La destra ignora ogni consiglio. Non è un caso che ieri la Lega abbia reagito in maniera muscolare: «Siamo impegnati, anche in questi giorni, per garantire diritti e futuro alle migliaia di lavoratori e imprenditori del commercio ambulante e del settore balneare. Non ci arrendiamo a chi, nel nome dell’Europa, ha provato a svendere lavoro e sacrifici di migliaia di italiani», si legge in una nota diramata poco dopo la diffusione della lettera del Colle.
Non meno dura la reazione di Fabrizio Licordari, il presidente di Assobalneari Confindustria: «Sorprende davvero che il Quirinale, con tutti i problemi che attanagliano il Paese, non pochi, trovi il tempo per porre la sua attenzione sulla questione delle concessioni del commercio ambulante».
Ora al Quirinale si aspettano, «a breve», una modifica. Ovvero «ulteriori iniziative di governo e Parlamento». Giorgia Meloni e Matteo Salvini gli daranno finalmente retta, o faranno orecchie da mercante facendo prevalere l’istinto sovranista, come è avvenuto fin qui per i balneari? La reazione della Lega è già una risposta.
Se c’è un dettaglio che preoccupa Giorgia Meloni, forse ancora di più del già durissimo intervento di Sergio Mattarella su ambulanti e balneari, è la nota con cui la Lega ha stroncato la sortita del presidente della Repubblica. Una critica aspra al Colle, quasi sfrontata. Una sfida al Quirinale e alla Commissione europea. Il rischio, assai concreto, è che su questo terreno si consumi un nuovo deflagrante scontro con Bruxelles. Ordito, ormai è uno schema consolidato, da Matteo Salvini. E subìto dalla premier.
In quel passaggio dell’alleato, Palazzo Chigi ha intravisto lo stesso, pericolosissimo copione già seguito sul Mes: il segretario del Carroccio che cavalca la pancia della destra, Meloni che lo asseconda per non perdere consenso nel mondo sovranista, lo strappo finale con Bruxelles.
Stavolta, però, la leader vorrebbe evitare nuove tensioni. Preferirebbe trovare un compromesso. Ma lo farà, dando mandato a Raffaele Fitto di siglare un’intesa che porti ad archiviare la rischiosissima procedura d’infrazione (e magari a garantire almeno un po’ i titolari storici degli stabilimenti), soltanto se riuscirà a siglare prima un patto politico con il vicepremier leghista.
Senza una tregua interna alla maggioranza, accetterà il rischio della procedura europea. Perché non intende consegnare all’alleato la bandiera della protesta. Il tempo stringe. E le parole di Mattarella non fanno altro che ricordarlo.
Una mossa, quella del Quirinale, che forse dimostra anche che lo strappo sul Salva Stati ha aperto una ferita tra i vertici delle istituzioni. Ma come detto la partita è soprattutto nel cuore della maggioranza. Già nel corso dell’ultimo Consiglio dei ministri Raffaele Fitto aveva stoppato la richiesta di Salvini di una proroga di sei mesi della mappatura delle spiagge, perché sarebbe stata interpretata come uno schiaffo alla Commissione, oltre che come una tattica dilatoria
La risposta italiana agli appunti europei dovrà essere fornita entro la metà del mese. In assenza di una replica esaustiva, la procedura andrà avanti. E potrebbe determinare sanzioni economiche pesanti per il Paese. Ecco perché Fitto ha già avuto modo di spiegare al resto del governo la sua posizione, che può sintetizzarsi così: scrivere al meglio con la Commissione una norma che permetta di evitare la procedura e fornisca alcune tutele ai balneari
Anche perché, è stata la linea illustrata anche a Salvini, i comuni continuano a procedere in autonomia i bandi di gara per gli stabilimenti. E nel frattempo la magistratura potrebbe disapplicare le regole traballanti sancite dall’esecutivo. Una tendenza destinata ad aumentare, come il caos che ne scaturirebbe. E che, soprattutto, potrebbe danneggiare ancora di più i gestori, che alla fine vedrebbero scadere le concessioni senza poter vantare alcuna tutela. Una bomba, anche in termini di consenso. Che Meloni vuole affrontare affidando a Fitto il compito della mediazione.
Ma, come detto, soltanto a patto che Salvini assicuri copertura politica all’operazione. E d’altra parte, è lo stesso ministro degli Affari europei ad aver espresso disponibilità a trattare in Europa, ma soltanto con la garanzia di un pieno mandato da parte della Lega.
Non intende insomma ritrovarsi nella condizione di Giancarlo Giorgetti, sconfessato sempre da Salvini sul Salva Stati, dato in pasto all’ira dei colleghi europei, indebolito. Senza intesa nella maggioranza, insomma, toccherà al ministro leghista, titolare di una fetta rilevante del dossier, gestire la partita con la Commissione. Libero di prorogare le concessioni e di scegliere lo scontro con Von der Leyen. Di certo, l’attacco frontale del ministro dei Trasporti a Mattarella non promette nulla di buono.
(da La Repubblica)
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Gennaio 3rd, 2024 Riccardo Fucile
SOLO METÀ DEI RUSSI APPOGGIA LA SUA GUERRA CHE COSTA UN MILIARDO DI EURO AL GIORNO: CRESCONO I PACIFISTI E MONTA LA RABBIA DELLE MOGLI DEI RISERVISTI
Insalata russa e missili. Vladimir Putin sta offrendo ai russi il menù
di Capodanno che preferiscono, l’unico che sa cucinare: alle cene degli avanzi dell’interminabile ponte festivo, tra uno sguardo a qualche concertone pop – dal quale sono state cautamente censurate prima le star contrarie alla guerra, e ora anche quelle leali, ma colte in festini troppo disinibiti per la rigida morale del dittatore – e vecchie commedie sovietiche, lo spettacolo dei razzi sparati dall’aviazione russa contro le città ucraine dovrebbe riempire gli spettatori di patriottico orgoglio.
Un orgoglio che tra due mesi saranno chiamati a trasformare in un voto per Putin, in procinto di farsi riconfermare per un quinto mandato al Cremlino, che ai russi promette esattamente quello che offriva alle sue prime elezioni, 24 anni fa: la guerra.
Ciascuno tende a ripetere il trucco che gli riesce meglio, e con le bombe il presidente russo sta cercando di mettere a tacere tutto: le voci sulla sua malattia o addirittura morte, sui suoi sosia, sui suoi figli illegittimi, sulle sue barche ormeggiate in Liguria, i pettegolezzi sui complotti nel suo cerchio magico e i rimpianti sulla rivolta fallita dei Wagner di Evgeny Prigozhin. Sta cercando di silenziare la rabbia delle mogli dei riservisti, richiamati al fronte 15 mesi fa senza speranza di tornare a casa e dei soldati che non possono pagare mazzette per evitare le trincee. Sta attaccando quei russi – pochissimi, ma coraggiosi – che si ostinano, nonostante il pericolo, a portare i fiori ai monumenti ucraini in segno di condoglianze – criptate, ufficialmente proibite – per le vittime dei bombardamenti russi dell’Ucraina.
Ma, soprattutto, Putin sta cercando di consolidare quei russi che, secondo i sondaggi, appoggiano al 52% la sua «operazione militare speciale» in Ucraina, e al 70% la sua interruzione e l’apertura di negoziati con Kyiv, quel «partito del silenzio» che la sociologa Elena Koneva definisce in una intervista a Radio Svodoba come «ambivalente», ma accomunato dal desiderio di tornare a una vita pacifica.
Non c’è alcun altro senso nell’improvvisa intensificazione degli attacchi russi, nei giorni della festa più amata dagli ex sovietici, dopo mesi in cui il comando di Mosca aveva messo da parte missili, bombe e droni, per battere tutti i record e far precipitare l’Ucraina in un inferno.
Il senso militare dell’operazione appare prossimo allo zero: i Patriot e gli altri sistemi di contraerea forniti dagli occidentali hanno abbattuto la maggior parte dei razzi russi, che non sono riusciti nemmeno ad arrecare un danno grave alle infrastrutture civili. A differenza di un anno fa, gli ucraini rimangono con la luce e il riscaldamento, grazie alla loro incredibile resilienza e agli aiuti del mondo intero. Il senso politico è semmai controproducente per Putin: nulla guarisce meglio le divisioni di un nemico comune, e la società ucraina che si avviava a entrare nel 2024 con un fardello crescente di dubbi, scoraggiamento, dolore, depressione e sfiducia, ha recuperato sotto la pioggia di bombe russe la rabbia e la solidarietà fieramente combattiva di due anni fa.
Il senso diplomatico è l’opposto di quanto il Cremlino sperava: cancellerie e opinioni pubbliche occidentali stanno mettendo da parte la famosa «stanchezza della guerra», che alla vigilia di Capodanno riempiva i titoli dei giornali. I commentatori ed esperti che soltanto una settimana fa ipotizzavano – chi con rassegnazione, chi con profondo allarme – il rischio di dover scendere a compromessi con Putin, ora constatano – chi con delusione, chi con sollievo – l’impossibilità di un negoziato di tregua con un leader che riempie il suo arsenale appositamente per bombardare le sue vittime a Capodanno.
È la visione del mondo putiniana, e putinista, quella che dopo due anni di invasione dell’Ucraina l’Occidente stenta ancora a volte a comprendere, cercando una logica razionale in quello che è un principio semplice e diretto come un missile. Volodymyr Zelensky prova a spiegarlo nella sua intervista all’Economist: «Putin è un animale, fiuta il sangue», colpisce dove sospetta una debolezza per mostrare la sua forza. In un Paese che, con gli zar come con i comunisti sovietici, per tradizione equipara la forza alle armi e considera la guerra la massima manifestazione di potenza, bombardare i vicini non è un orrore, non è nemmeno un errore.
Non è un caso che il leader russo non solo non nega più di colpire le città ucraine, ma se ne vanta, e promette di «aumentare gli attacchi». E non è un caso che lo faccia proprio nel giorno in cui la Russia assume la presidenza dei Brics, e in cui l’organizzazione si allarga a nuovi membri, tra cui alleati di Mosca come l’Iran e l’Egitto: uno sfoggio di “forza” con il quale il Cremlino forse spera di fare colpo sul “Sud globale”.
(da la Stampa )
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