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IL DEFICIT URLA, LA CASSA E’ VUOTA E SU PALAZZO CHIGI SVENTOLA BANDIERA BIANCA: ALLA DUCETTA SONO NECESSARI 20 MILIARDI PER COPRIRE IL DEFICIT DELLA LEGGE DI BILANCIO

Gennaio 26th, 2024 Riccardo Fucile

LE VIE SONO DUE: TAGLIARE I COSTI O AUMENTARE LE TASSE MA LA MELONA SCEGLE L’ULTIMA SPIAGGIA: SVENDERE L’ARGENTERIA DI STATO. MA POSTE, ENI, FERROVIE NON BASTANO… DOVE LI PRENDIAMO GLI 80-100 MILIARDI PER L’AUTONOMIA?

L’arroganza parolaia di Giorgia Meloni ricorda quei poveretti che strepitano: “Dopo di me, il diluvio!” e poi sono costretti a limitarsi a tirare la catenella dello sciacquone.
Malgrado tutte le veline di Fazzo e i Bocchino in libera uscita su La7 che cianciano di un’Italia immaginaria dove tutto va ben Madame la Marchesa Giorgia, le casse dello Stato sono desolatamente vuote, come la testa di un Mollicone.
Dopo aver approvato la legge di bilancio in deficit da 28 miliardi, inclusivi dei 4,8 per il decreto fiscale, il Governo dovrà ricorrere a una manovra correttiva, anche in vista del ritorno nel 2025 del Patto di Stabilità e crescita.
Come scriveva Beda Romano sul “Sole 24 Ore” del 20 dicembre 2023, “Il risanamento dei conti pubblici prende avvio da un primo periodo di quattro-sette anni, concordato con Bruxelles. Nei fatti i paesi membri con un debito superiore al 90% del Pil saranno chiamati a perseguire un aggiustamento pari ad almeno l’1,0% del Pil in media annua.
”Nel caso di deficit eccessivo, l’aggiustamento strutturale dovrà essere di almeno lo 0,5% del Pil. Nel periodo transitorio 2025-2027 circostanze attenuanti, quali il costo del servizio del debito, permetteranno di limitare l’onere dell’aggiustamento.
‘Inoltre, è stato deciso di introdurre salvaguardie di bilancio che impongano deficit dell’1,5% del Pil in termini strutturali, in modo da avere spazio di manovra nel caso di shock economico”.
Altro che le roventi e demenziali polemiche che hanno accompagnato il rigetto italico della ratifica del Mes (che lascia libero ogni Stato dell’Unione Europea di avvalersi o meno del patto: infatti su 20 paesi, l’unico a rigettarlo è il governo Meloni); con tutte quelle scadenze da rispettare tassativamente, ha per una volta mille ragioni Giuseppe Conte a liquidarlo come “Pacco” di Stabilità.
Davanti alla necessità di reperire nuove risorse, le strade normalmente sono due: taglio della spesa corrente, altrimenti detta da chi ha studiato “spending review”, o aumento delle tasse. Terza via, non c’è. In entrambi i casi, il consenso popolare va a ramengo con annessi “vaffa”, “mortacci vostri” e “ve possino ammazzavve”.
Onde evitare di alienarsi le mutevole simpatie degli elettori ormai socialmente de-ideologizzati, a pochi mesi dalle europee, Giorgia Meloni ha scelto Coccia di Morto, l’ultima spiaggia: svendere l’argenteria dello Stato.
Il Cdm di ieri ha avviato il percorso per la privatizzazione di alcune quote di Poste Italiane (precisando che la maggioranza resterà in mano allo Stato: ma va!). Già annunciata la cessione del 4% di Eni e galleggia, come da tempo, l’ipotesi di una quotazione di Ferrovie (su Fs si potrebbe arrivare addirittura a vendere fino al 40%).
L’operazione privatizzazioni, che il ministro dell’Economia Giorgetti ha quantificato in 20 miliardi in due anni, non sarà una festa di gala: da un lato, attraverso la cessione di quote pregiate, allo Stato entreranno ovviamente meno dividendi dalle aziende partecipate, che fanno molti utili (Esempio: il 4% dell’Eni, che il governo vuole vendere, ha prodotto 125 milioni di proventi, a fronte dei 94 milioni di prevedibile onere del debito che verrebbe ridotto attraverso il collocamento sul mercato. Poste nel 2022 ha staccato, solo al Mef, 250 milioni di euro di cedola, a cui va aggiunta quella di Cdp).
Dall’altro lato, secondo alcuni analisti la cifra prevista dalla ”svendita” dei gioielli di Stato, detta educatamente privatizzazione, può raggranellare al massimo a 8 miliardi: ammontare che non è sufficiente per coprire la manovra correttiva.
La via Crucis continua: la presentazione del Def alle Camere è prevista ad aprile ma occorre tempo per portare in Borsa il ramo Ferrovie. A via XX Settembre, i funzionari del Mef sono in fibrillazione per trovare la quadra ai conti pubblici, tanto che l’annunciata riforma fiscale, carissima tanto a Meloni che a Salvini, è diventata una mera ipotesi. Il taglio del cuneo fiscale per alleggerire il costo del lavoro è varato solo per il 2024, e non reso strutturale.
Che il piatto pianga è evidente anche a molti osservatori economici, che hanno iniziato informalmente e non, vedi l’affondo dell’Ocse, a ipotizzare la necessità di una “patrimoniale”.
Un tema elettrico per il centro-destra, che non vuole, secondo il vecchio adagio di Silvio Berlusconi, “mettere le mani nelle tasche degli italiani”.
A Palazzo Chigi non possono stare sereni neanche per i soldi che entrano nelle casse dello Stato, cioè le rate del Pnrr arrivate dall’Europa e annunciate in pompa magna per certificare la “bravura” del ministro Fitto.
Peccato che non solo parte di quei soldi sono presi in prestito (e dunque sono nuovo debito), ma nei prossimi mesi gli ispettori di Bruxelles arriveranno in Italia per verificare la “messa a terra” dei progetti e lo stato di avanzamento dei lavori: ahò, che c’avete fatto co’ ‘sti sòrdi? Li avete spesi bene? Altrimenti…zac!, vi tagliamo le erogazioni.
Nella penuria di pecunia, a pagare dazio è soprattutto il Sistema sanitario nazionale, vista anche la mai nascosta simpatia del centrodestra per le cliniche private, a partire da quelle del deputato “abusivo” della Lega, il meloniano Antonio Angelucci.
Se gli ospedali pubblici italiani sono al collasso, l’autonomia differenziata, in cantiere in Parlamento, rischia di peggiorare la situazione. A proposito di costi, dove troverà il Governo gli 80-100 miliardi di euro necessari a finanziare i Lep, i “livelli essenziali delle prestazioni”, prevista dalla riforma cara alla Lega? Ah, dimenticavamo: ci resta l’oro alla patria.
(da Dagoreport)

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“TANTO CI PENSA MATTEO”: IN UNA CHAT DEL 4 AGOSTO DEL 2021 TOMMASO VERDINI E IL SOTTOSEGRETARIO LEGHISTA ALL’ECONOMIA, FEDERICO FRENI, DISCUTONO DELLA POSSIBILE CONFERMA DI MASSIMO SIMONINI COME AD DI ANAS.

Gennaio 26th, 2024 Riccardo Fucile

IL ”COGNATO” DI SALVINI MANIFESTA IL SUO INTERESSE: “È ROBA NOSTRA”. E FRENI RISPONDE: “COME PRES O CONSIGLIERE?”… LA GUARDIA DI FINANZA NON FA COMMENTI, MA DAL CONTESTO SEMBRA CHIARO CHE SI TRATTI DI SALVINI (NON INDAGATO NELLE INDAGINI SUGLI APPALTI CHE HANNO PORTATO VERDINI JR AI DOMICILIARI)

“Poi ci pensa Matteo”. Parlavano di lui, sbandieravano la parentela e facevano il suo nome in chat. Lui, Matteo Salvini, non è neanche stato sfiorato dalle indagini che riguardano la Inver targata Denis e Tommaso Verdini, rispettivamente suocero e genero del ministro.
Lui, Matteo Salvini, con gli appalti ottenuti dagli amici della Inver grazie ai pubblici ufficiali dell’Anas adesso indagati non ha nulla a che fare. Tuttavia gli indagati e i loro amici erano particolarmente interessati agli incontri istituzionali del Ministro.
La vicenda emerge mettendo in fila chat e informative redatte dalla guardia di finanza di Roma. È il 5 agosto del 2021 quando Tommaso Verdini parla con il sottosegretario del Mef Federico Freni.
I due si conoscono bene, talmente bene che nel dicembre 2021 lo avrebbe anche invitato in un palco per la prima al teatro della scala di Milano. Si conoscono e chiacchierano. Di tutto, anche di lavoro. C’è Verdini che da tempo ha un obiettivo in testa. L’amico Massimo Simonini in quei giorni è “sulla graticola”, come dice lui.
Sta cercando “appoggi politico-istituzionali finalizzati alla propria riconferma nel ruolo di ad di Anas”. E spera che la Inver possa fare qualcosa. Crede che “possano intervenire a proprio vantaggio presso il Gruppo Fs”, da cui dipende Anas. E gli uomini della Inver infatti si adoperano.
Quindi quel 5 agosto del 2021 la conversazione tra Verdini e Freni verte sull’argomento. “Inoltre ti dico se confermassero Simonini…l’attuale Ad”, dice Verdini spiegando che “è roba nostra”. “Freni sembra chiederne il ruolo”, annotano i finanzieri che analizzano le chat tra i due. “Come Pres o consigliere”, prosegue il sottosegretario. E aggiunge: “Poi al resto pensa Matteo”. Analizzando il contesto della conversazioni gli investigatori sono convinti che si tratti proprio di Matteo Salvini.
Ma perché spendersi per Simonini? Perché è un amico, l’uomo giusto al posto giusto. Fa anche parte del “Team Pileri”, della chat che l’allora vertice dell’Anas aveva con i soci della Inver […]. Quindi Simonini va difeso, tutelato. […] nel dicembre 2021 Verdini […] Vuole informazioni di un incontro “programmato tra Ferraris (Luigi Ferraris Ad di FS Spa) e Matteo (non si esclude l’attuale ministro delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili)”, si legge negli atti.
Il tono è scherzoso, Freni “si riserva di comunicare ulteriori dettagli e sembra ammonire Tommaso Verdini di essere l’interlocutore privilegiato sull’argomento trattato nell’interesse di Massimo Simonini”. “Ferraris 9 o 10 da Matteo”, scrive. “A me dovete chiedere ste cose”, prosegue.
(da La Repubblica)

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IL MODELLO DELLA MELONA È VIKTOR ORBÁN. IL PRIMO A PARTIRE DAL 2010, A SOFFOCARE LA LIBERTÀ DI INFORMAZIONE

Gennaio 26th, 2024 Riccardo Fucile

QUANDO POI IN POLONIA È ARRIVATO AL POTERE L’ALLEATO EUROPEO DELLA DUCETTA, IL PIS DI KACZYNSKI, PER OTTO ANNI IL PIÙ IMPORTANTE QUOTIDIANO, LA GAZETA WYBORCZA, HA VISSUTO IN TRINCEA: “VIA TUTTE LE PUBBLICITÀ. BANDITI DALLE TRASMISSIONI PUBBLICHE. IN OTTO ANNI ABBIAMO RICEVUTO 130 QUERELE”

Per otto anni il più importante quotidiano polacco, la Gazeta Wyborcza , ha vissuto in trincea. Negli anni in cui l’alleato europeo di Giorgia Meloni, il Pis di Kaczynski, è stato al potere, il mitico giornale fondato da Adam Michnik è stato violentemente attaccato dal governo, sepolto di querele e prosciugato economicamente.
Una persecuzione che ha lasciato profonde ferite, ammette il condirettore Roman Imielski. Che a proposito degli attacchi di Meloni a Repubblica non ha dubbi: chi attacca la stampa, attenta alla democrazia. E il modello, per la premier come per il Pis, sembra essere uno solo: Viktor Orbán.
Cos’è successo nel 2015, quando il Pis è arrivato al governo?
«La prima mossa è stata quella di tagliarci tutte le pubblicità: quelle delle aziende pubbliche come Orlen, quelle delle istituzioni, dei ministeri, eccetera. Il secondo passo è stato quello del sabotaggio totale: non ricevevamo più inviti alle conferenze stampa, non ci davano più interviste, e rispondevano dopo settimane anche alle richieste più semplici. Terzo, hanno iniziato a scatenarci contro tv e radio pubbliche, chiamarci ‘bugiardi’, ‘traditori della patria’. Per 8 anni siamo stati banditi dalle trasmissioni pubbliche».
Qualche passaggio suona familiare. Ma non siete stati sommersi anche da querele?
«Abbiamo ricevuto 130 querele in otto anni, il ministero della Giustizia si è scatenato contro di noi. Ma le denunce sono arrivate un po’ da tutti, ministri, parlamentari, aziende pubbliche. Del resto era una strategia ampiamente annunciata dal Pis. E il senso era quello di intimidirci e farci smettere di scrivere la verità. Noi abbiamo sempre sostenuto incondizionatamente i nostri giornalisti, ma è stato faticoso per loro doversi difendere in tribunale, assorbiva molto del loro tempo».
Giorgia Meloni ha attaccato Repubblica, ha attaccato l’editore, a Palazzo Chigi producono veline quotidiane contro di noi. Cosa significa secondo lei?
«Somiglia in parte a quello che è successo a noi. Del resto Meloni è stata la migliore amica in Europa del Pis. Fanno parte entrambi dello stesso gruppo, i Conservatori. Ed evidentemente, giudicando in base agli attacchi che state subendo, hanno in comune la brutta tendenza a bullizzare la stampa libera. Sono insofferenti verso ogni forma di dissenso. Il modello, ovviamente, è Viktor Orbán, è stato lui il primo, a partire dal 2010, a soffocare sistematicamente la libertà di informazione. E dal 2015, quando in Polonia è arrivato al potere il Pis, la stessa cosa è accaduta da noi».
A parte la repressione del dissenso, se non ricordiamo male nel 2015 il Pis ha lottizzato tutto brutalmente, ha cacciato i vecchi dirigenti e direttori e trasformato i media pubblici in strumenti di propaganda del governo.
«Esattamente. Anche in questo senso mi pare che Meloni sia un’ottima allieva di Orbán. E un altro che non ama essere contraddetto è il premier slovacco Robert Fico, divenuto anche il nuovo alleato fedele di Orbán in Europa. Tutto si tiene».
Come reagire al ‘bullismo’ del potere?
«Ottima domanda. All’inizio il comportamento del governo fu uno shock per tutti noi. Quegli insulti “traditori”, “bugiardi”, “avvelenatori di pozzi” – erano incredibili e ingiustificati. L’unica cosa che potevamo fare era informare i lettori su tutto e difendere il nostro diritto a informare. Il Pis stava danneggiando anzitutto i cittadini, li stava privando del loro diritto a un’informazione libera. Stava attaccando l’essenza stessa della democrazia: la libertà di parola ».
(da La Repubblica)

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GIORNATA DELLA MEMORIA, PIANTEDOSI CHIEDE (INVANO) IL RINVIO DELLE MANIFESTAZIONI PRO PALESTINA

Gennaio 26th, 2024 Riccardo Fucile

COLLETTIVI E GIOVANI PALESTINESI NON LO SEGUONO: “SAREMO IN PIAZZA CONTRO I DIVIETI”

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha chiesto di rimandare le manifestazioni pro Palestina programmate per il Giorno della Memoria. La richiesta, dal Viminale, arriva in una circolare di pubblica sicurezza alle questure e chiede che gli eventi richiesti non avvengano in concomitanza alle commemorazioni «in ricordo delle vittime dell’Olocausto e di coloro che a rischio della vita si sono opposti al progetto di persecuzione e sterminio».
Piantedosi ha tenuto a precisare nel corso della conferenza stampa tenutasi ieri a palazzo Chigi dopo il Consiglio dei ministri che la scelta è stata fatta indipendentemente dalla situazione in corso a Gaza, «si tratta dei valori sanciti da una legge dello Stato, la commemorazione della Shoah». Posticipare «non significherebbe negare la libertà di manifestare» ha sottolineato il ministro. Una richiesta però che cade nel vuoto.
Il plauso della Comunità di Roma e il Collettivo della Sapienza che scenderà in piazza
«Siamo contenti che siano state riconosciute le nostre ragioni”, ha dichiarato il presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun. «Ringraziamo le istituzioni, a cominciare dal ministro Piantedosi e tutte le articolazioni del ministero dell’Interno, per la sensibilità che hanno dimostrato». Il presidente l’ha definita «una decisione giusta e di buon senso», specialmente dopo «canti e balli in strada che invitavano a uccidere gli ebrei, bandiere israeliane bruciate, applausi ad Hamas per il 7 ottobre. Grazie per avere evitato questo oltraggio alla Memoria, che sarebbe stata una sconfitta per tutti”.
Ma dal Collettivo Cambiare rotta della Sapienza fanno sapere che il corteo a Roma si terrà ugualmente. «Evidentemente la democrazia per i sionisti è censura e repressione» scrivono su Instagram. «Rilanciamo il corteo di sabato 27 che si terrà alle 15.30 a Piazza Vittorio, perché il nuovo genocidio è in Palestina».
Giovani studenti palestinesi: «Saremo comunque in piazza»
Gli studenti palestinesi e i collettivi universitari non fanno però un passo indietro. «Chi nega la storia non siamo noi. Volevamo commemorare le vittime della Shoah. Volevamo anche fare un minuto di silenzio. Ma la presa di posizione della Comunità ebraica, è una presa di posizione politica che si schiera con Israele. Quando dovrebbe prendere per le distanze. Oramai per noi sarà definita come Comunità Israeliana», ha dichiarato Maya Issa, presidente del Movimento degli studenti palestinesi, dopo il diniego della Questura per il corteo di domani.
I giovani palestinesi scenderanno in piazza comunque, sia nella Capitale che a Milano, Napoli e Cagliari. «Scendiamo in piazza contro i divieti perché abbiamo memoria – annunciano su Instagram – la repressione non ci fermerà». E ancora: «Rispetto a quello che sta pagando il nostro popolo per la propria libertà questo piccolo atto di disobbedienza civile è un rischio trascurabile, anche considerando che, fino a prova contraria, manifestare è ancora un diritto in Italia».
«Il ministro Piantedosi – si legge nel post dei Giovani Palestinesi – vieta i cortei del 27 gennaio perché “la commemorazione della Shoah è sancita dalla legge dello Stato». La legge dello Stato sancisce anche che l’Italia dovrebbe ripudiare la guerra e che dovrebbero essere vietate le commemorazioni fasciste come quelle per Acca Larenzia, perché lì sì, c’erano gli antisemiti veri; eppure non ci sembra che il Governo si sia mosso con la stessa solerzia per far rispettare queste leggi fondamentali”. «Chiaramente non è la legge il problema, visto che non si tratta di manifestazioni contro la commemorazione della Shoah, anzi. Chi veramente crede ed esercita la memoria, chi veramente ha vissuto profondamente nella coscienza l’esperienza della Shoah, certamente capisce perché si deve scendere in piazza per fermare il genocidio che sta avvenendo in Palestina. È la memoria – proseguono – che ci impone di scendere in piazza il 27 contro e nonostante i divieti, contro un Governo alleato dei criminali sionisti, contro un Governo fascista che però ha il coraggio di additare noi come antisemiti, solo perché lottiamo perché non si ripeta uno sterminio».
(da Open)

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POZZOLO E LE URLA DEL FERITO: “MI HAI SPARATO, ORA MUOIO E NEPPURE MI CHIEDI SCUSA”

Gennaio 26th, 2024 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DELLA VITTIMA: “E’ STATO IL DEPUTATO”

Accelera verso la conclusione l’inchiesta della procura di Biella sul veglione di Rosazza, ai piedi dei monti della Valle Cervo, che la notte di Capodanno ha rischiato di trasformarsi in tragedia per un colpo di pistola partito inavvertitamente dal revolver calibro 22 del deputato di Fratelli d’Italia (ora sospeso) Emanuele Pozzolo.
Il proiettile si è conficcato a pochi centimetri dall’arteria femorale della gamba destra del genero dell’allora (anche lui adesso ex) caposcorta del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, presente alla festa (ma non al momento dello sparo), organizzata dalla sorella sindaca e con una ventina di amici.
La procura di Biella, dopo aver confermato che il parlamentare vercellese resta l’unico indagato per lesioni colpose, accensioni pericolose e omessa custodia di armi, rincara la dose e aggiunge una nuova ipotesi di reato: il “porto illegale di arma da fuoco in luogo pubblico o aperto al pubblico”. Lo spiega lo stesso procuratore Teresa Angela Camelio: «Nell’ambito dei controlli amministrativi avviati dalla Prefettura per la revoca del porto d’armi nei confronti dell’onorevole Pozzolo, è emerso che la pistola dalla quale è stato esploso il colpo, seppur legittimamente detenuta, non poteva essere portata in luogo pubblico poiché detenuta esclusivamente in regime di collezione».
La «collezione» non è da intendersi legata alla storicità dell’arma, ma al numero di pistole detenute che possono essere anche recentissime. Non solo. In mano alla magistratura c’è il risultato dello stub, che conferma evidenti tracce di polvere da sparo sulle mani e sugli abiti di Pozzolo.
C’è pure la denuncia per lesioni di Luca Campana, il quale, trascorso qualche giorno di attesa in cui tutto sembrava potersi chiarire, alla comparsa di ricostruzioni strampalate compresa quella che prevedeva che si fosse ferito da solo, ha rotto gli indugi e ha denunciato Pozzolo: «È stato lui a spararmi».
Un’indicazione precisa, emersa già nell’immediatezza del fatto, sostenuta dal racconto di alcuni testimoni: «Campana era a terra, ferito e inveiva contro Pozzolo: “Mi hai sparato, sto rischiando di morire e nemmeno mi chiedi scusa”».
Parole di rabbia e dolore, pronunciate prima che il genero del caposcorta venisse caricato su un tavolaccio e, a fatica, trasportato fuori dall’ex asilo, lungo la scalinata in pietra fino ad arrivare all’unico piazzale raggiungibile dalle auto e quindi dai soccorsi.
A proposito dello stub: secondo la difesa di Pozzolo, «non è così significativo». La procura di Biella invece lo ritiene determinante: «Tali esiti, poiché positivi, confermano la prospettazione iniziale». E cioè che il parlamentare resterebbe l’unico responsabile tanto che, dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere, non sarebbe nemmeno necessario convocarlo una seconda volta a Palazzo di Giustizia.
Stando alle 60 pagine che costituiscono il risultato dell’esame sulle tracce di polvere da sparo sulle mani e sugli abiti del deputato, sono state riscontrate 15 particelle di piombo, bario e antimonio sulle mani e 43 sui vestiti (jeans, pile e giacca a vento, che in un primo momento Pozzolo si era rifiutato di consegnare ai carabinieri intervenuti intorno alle 2 di notte nell’ex asilo di Rosazza).
«Che ci siano queste tracce, non è una sorpresa. Lui era in quella stanza quanto è partito il colpo, non lo abbiamo mai negato» ha già avuto modo di spiegare l’avvocato sindaco Andrea Corsaro, che con il suo assistito ha sempre avuto uno stretto rapporto politico e di collaborazione. «Ma non sono stato io a sparare» ha sempre ribadito il parlamentare sotto inchiesta. Una tesi sostenuta fin dall’inizio, però senza mai specificare chi e come abbia potuto armare un piccolo revolver calibro 22 (di quelli che si possono nascondere quasi ovunque e quindi con precisi sistemi di sicurezza), premere il grilletto e far partire il colpo.
Sempre dai Ris, si attendono i risultati delle analisi dattiloscopiche e biologiche sulla pistola. Anche in questo caso, però, qualcosa già si conoscerebbe senza portare a colpi di scena. E cioè che sull’arma ci sarebbero anche le impronte dell’ex caposcorta. Pablito Morello dopo lo sparo avrebbe già spiegato (anche qui, con la conferma di chi era presente), di aver preso l’arma dal tavolo per riporla in sicurezza in un piano alto della cucina.
E ci sarà, una volta terminata, la perizia balistica a cui stanno lavorando i periti tra i quali quello nominato dalla procura, Raffaella Sorropago, che sembra già seguire una pista precisa: dai primi accertamenti, la ricostruzione di Luca Campana potrebbe essere compatibile. E cioè che a sparare senza volerlo sarebbe stato Pozzolo.
(da La Stampa)

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IL CONSOLE “FASCIO-ROCK” HA FATTO CARRIERA: MARIO VATTANI È STATO NOMINATO AMBASCIATORE DI GRADO DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Gennaio 26th, 2024 Riccardo Fucile

UN COLPO DA MAESTRO PER “KATANGA”, COME SI FACEVA CHIAMARE QUANDO ERA FRONTMAN DEL GRUPPO “SOTTOFASCIASEMPLICE” … LA SOSPENSIONE NEL 2011, L’INCARICO A SINGAPORE E ORA QUELLO PER EXPO 2025 (PER CUI IL GOVERNO GLI HA AUMENTATO LO STIPENDIO)

Appena tre giorni fa a Roma magnificava Expo 2025 a Osaka – di cui è commissario italiano – come una “grande opportunità per l’Italia”. Ma di lì a 48 ore l’opportunità più ghiotta sarebbe arrivata per lui. La nomina a ambasciatore di grado. Il riconoscimento più ambito per un diplomatico; il top di carriera della Farnesina. In pratica: ambasciatore a vita.
Mario Andrea Vattani, 57 anni, noto come “Console fascio-rock”, è stato insignito della carica ieri grazie alla nomina approvata in Consiglio dei ministri. Il suo nome entra a far parte della rosa dei “magnifici” 24, tanti sono gli ambasciatori di grado italiani, e ci entra con un governo, diciamo, a cui Vattani può essere considerato assai vicino.
Un governo che, quando a febbraio 2023 lo nominò nuovo commissario italiano per l’Expo 2025 di Osaka in Giappone al posto del dimissionario Paolo Glisenti, lo fece sfornando anche un decreto legge. Che aumentò lo stipendio di Vattani: da 240 mila euro – il massimale della PA – a 360 mila (più rimborsi spese). 120mila euro in più
Un bel colpo per Katanga, il nome d’arte con cui il neo ambasciatore di grado firmava le canzoni del gruppo musicale di cui era front man, i SottoFasciaSemplice, nome inequivocabile. Ma il bello doveva ancora venire: e ieri si è materializzato.
Andiamo con ordine. E’ il 2011: l’allora console (a Osaka) Mario Vattani, figlio del potente ex segretario generale della Farnesina Umberto Vattani, già consigliere diplomatico di Andreotti, diventa famoso perché partecipa a una kermesse di CasaPound a Roma dove si esibisce sul palco tra saluti romani, simboli del ventennio e l’euforia dei camerati capitolini mentre canta alcune canzoni tra cui “Bandiera nera”.
Da quel concerto, finito su YouTube, lì il soprannome di “console fascio-rock”. Scoppia lo scandalo. Vattani, già consigliere diplomatico di Gianni Alemanno, viene richiamato in Italia dal ministro degli Esteri Giulio Terzi. La sua doppia vita gli costa una punizione, scie di carte bollate e un lungo stop. Sospeso per quattro mesi, accusato di antisemitismo e richiami al fascismo.
Si mette a produrre olio nella sua tenuta in Toscana, sta con la moglie giapponese; si candida senza successo con la Destra di Francesco Storace, scrive romanzi ambientati in Estremo Oriente e una guida sul “suo” Giappone. Il purgatorio […] finisce nel 2021. Il governo Draghi riabilita il console (fu Di Maio a caldeggiare) nero promuovendolo ambasciatore a Singapore, tra le polemiche di centrosinistra e Anpi. Ripulito, Katanga torna a indossare la grisaglia da diplomatico. A febbraio 2023 ecco l’incarico di commissario Expo a Osaka. Ieri, un’altra ciliegina. La più dolce. Nel pacchetto di nomine al grado di ambasciatore – una decina di nomi – c’è anche lui.
“Confermato nella posizione fuori ruolo”, è scritto nel provvedimento del Cdm. Significa che Vattani non ha una sede (attualmente). Ma diventa comunque ambasciatore. Curiosità: per il governo Meloni Katanga è stato ritenuto più meritevole di altri diplomatici in ruoli chiave: come il nostro rappresentante presso l’Ue, quello a Mosca e quello alla Nato.
Congiunture favorevoli? Così pare. Sta di fatto che da ieri l’Italia ha un ambasciatore dalle dichiarate simpatie neofasciste. Uno che da ragazzo – era la notte tra il 9 giugno 1989 – all’uscita del cinema Capranica di Roma era con un gruppo di naziskin che massacrò di botte e sprangate due giovani. Finito ai domiciliari, Vattani fu poi prosciolto dalle accuse. Ma fu anche l’unico che risarcì le due vittime con 180 milioni di lire, ottenendo in cambio il ritiro del processo di rito civile.
(da La Repubblica)

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IL CONCORDATO PER LE PARTITE IVA, VARATO DAL CDM, È L’ENNESIMO REGALONE AGLI AUTONOMI CHE NON PAGANO LE TASSE: ANCHE CHI VIENE CONSIDERATO INAFFIDABILE POTRÀ ACCEDERE AL CONCORDATO PER IL PAGAMENTO DELLE IMPOSTE

Gennaio 26th, 2024 Riccardo Fucile

GLI EVASORI DECIDERANNO PREVENTIVAMENTE, CON IL FISCO, LE IMPOSTE DA PAGARE NEI DUE ANNI SUCCESSIVI, E IL REDDITO AGGIUNTIVO SARÀ ESENTASSE

Il gettito previsto dal concordato biennale con il fisco si azzera. È il risultato delle modifiche nella versione finale del decreto che attua il nuovo accordo preventivo tra le Entrate e 4 milioni di autonomi e Pmi sulle imposte da pagare nei successivi due anni.
Il governo ha deciso di consentire l’accesso alla misura anche ai probabili evasori: contribuenti con un Indice sintetico di affidabilità fiscale (Isa) sotto il livello 8, che rappresenta la sufficienza. La Relazione tecnica aggiornata ne prende atto e conclude che non si possono quantificare ricadute positive. Addio agli oltre 1,8 miliardi di incassi aggiuntivi attesi finora grazie al fatto che più di metà delle partite Iva, per ottenere i benefici del concordato, avrebbe dovuto dichiarare di più.
Sulla base dei dati del fisco, le partite Iva potranno concordare con l’agenzia le imposte nei due anni successivi (rinnovabili). Il reddito aggiuntivo incassato non sarà tassato.
La vecchia relazione tecnica dedicava sette pagine alla stima dei maggiori ricavi potenziali per l’erario. Solo dal raggiungimento del voto 8 da parte dei soggetti Isa sarebbero derivati 605 milioni l’anno. Considerato il saldo per il 2023 e gli acconti per il 2024 e il 2025, il totale complessivo per il primo biennio era cifrato in 1,8 miliardi. Ora basta una pagina per decretare che gli effetti positivi di gettito “prudenzialmente non vengono quantificati”.
Adesso la palla passa nel campo dell’agenzia delle Entrate, chiamata a proporre ai probabili evasori un imponibile presunto che non li faccia scappare. Nonostante il governo non abbia accettato l’ulteriore indicazione di limitare l’incremento di reddito rispetto a quello dell’anno di riferimento al 10%, il rischio è che per evitare il fallimento dell’operazione l’asticella sia fissata su livelli molto bassi
Un concordato preventivo per «far uscire gradualmente le partite Iva dal mondo della non correttezza tributaria», ma che sembra accettare l’evasione, almeno parziale, piuttosto che combatterla.
Per le opposizioni il concordato preventivo fiscale rappresenta «una resa indecorosa nei confronti dell’evasione». Il decreto legislativo “in materia di accertamento tributario e di concordato preventivo biennale” estende a favore di 4 milioni di partite Iva la possibilità di venire a patti con il Fisco per il pagamento delle imposte, in via preventiva.
Un accordo su base biennale che inizialmente era riferito alle aziende di grandi dimensioni, e che si sarebbe dovuto estendere esclusivamente ai soggetti con una votazione di almeno “8” nella pagella dell’affidabilità fiscale. Ma, ha spiegato il viceministro Leo, «il problema è legato al numero dei controlli: per carenza di capacità operativa si concentrano solo sul 5% dei soggetti».
E quindi in questo modo è difficile recuperare l’evasione, «rischiamo che continuino a non dichiarare». Meglio allora, è la posizione del governo, cercare di recuperare gradualmente il recuperabile: i termini per l’adesione al concordato preventivo sono estesi al 15 ottobre. Il decreto modifica inoltre l’attività di accertamento, disponendo che «l’amministrazione finanziaria non potrà emettere l’atto se non previo contraddittorio con il contribuente».
Un fisco “amico”, insomma, per il governo. «Una legittimazione dell’evasione fiscale », rileva invece Antonio Misiani, responsabile economico del Pd. Che «avrà come unico esito quello di spingere all’inaffidabilità anche i contribuenti che oggi sono considerati affidabili», aggiunge Maria Cecilia Guerra, responsabile Politiche del Lavoro del Pd. Norme che avranno «l’effetto di cristallizzare un’evasione fiscale di massa» per la Cgil.
(da la Repubblica)

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FUGA DA VIA ARENULA: ALLA FINE IL CAPO DI GABINETTO DI CARLO NORDIO, ALBERTO RIZZO, HA LASCIATO IL SUO INCARICO. FIACCATO DALLE CONTINUE TENSIONI INTERNE CON LA SUA VICE, GIUSI BARTOLOZZI

Gennaio 26th, 2024 Riccardo Fucile

LA “ZARINA” HA ACCENTRATO TUTTE LE DECISIONI PIÙ IMPORTANTI, METTE BOCCA SU OGNI NOMINA E IN OGNI UFFICIO: LA LISTA DI CHI VUOLE SCAPPARE È MOLTO LUNGA

Da alcuni giorni il ministro della Giustizia Carlo Nordio si ritrova senza capo di gabinetto. Il titolare di una delle poltrone più importanti del ministero di Via Arenula, Alberto Rizzo, ha infatti deciso di lasciare il suo incarico, seppur non ancora formalmente, stremato dalle continue tensioni interne, in particolare con la sua vice Giusi Bartolozzi.
Lo rivelano al Foglio diverse fonti ministeriali. Rizzo, in maniera anche piuttosto appariscente, si è spinto persino a preparare gli scatoloni con tutte le sue cose. Il messaggio è chiaro: l’ex presidente del tribunale di Vicenza, chiamato al ministero da Nordio nell’ottobre del 2022, toglie il disturbo. A questa espressione di volontà corrisponde una sostanziale interruzione della propria attività. A firmare tutti gli atti dell’ufficio di gabinetto è ormai la vice Bartolozzi.
Come già raccontato da tempo su queste pagine, Bartolozzi avrebbe accentrato tutte le decisioni più importanti che competono al ministero, bypassando in maniera sistematica i vertici degli uffici di diretta collaborazione del Guardasigilli, incluso Rizzo, cioè colui che dovrebbe essere il suo superiore. Che ora, stanco della situazione, ha deciso di mollare.
Che Rizzo volesse andare via era noto già da tempo. Nei mesi scorsi il magistrato ha infatti presentato ben tre domande al Consiglio superiore della magistratura per poter assumere le funzioni di presidente dei tribunali di Firenze o di Modena, oppure di presidente della Corte d’appello di Brescia. Un chiaro segnale d’allarme, che però il Guardasigilli Nordio ha preferito ignorare.
All’interno del ministero ora si vive una situazione di stasi. Dopo aver inscatolato le sue cose, Rizzo non ha formalizzato le proprie dimissioni, forse – riferiscono sempre dal ministero – in attesa di far passare il periodo delle inaugurazioni dell’anno giudiziario (proprio ieri si è tenuta la cerimonia in Corte di cassazione, ovviamente alla presenza anche di Nordio).
Il risultato comunque è che da giorni a Via Arenula c’è un capo di gabinetto fantasma. Così, tutto passa nelle mani della vice Bartolozzi, in maniera ancora più evidente di prima.
Un problema per Nordio, perché le incursioni di Bartolozzi negli affari degli altri dipartimenti non sono affatto gradite dai diretti interessati. Per conferma chiedere a Luigi Birritteri, capo del dipartimento per gli Affari di giustizia, nominato un anno fa: anche lui vuole andare via, tanto che si è candidato all’incarico di segretario generale del Csm.
Anche altri capi di dipartimento sarebbero ormai stanchi di essere sistematicamente scavalcati da Bartolozzi. Eppure, in caso di dimissioni formali di Rizzo, potrebbe essere proprio lei a diventare la nuova capa di gabinetto.
(da il Foglio)

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SFURIATA DI MELONI A PALAZZO CHIGI: “INDOTTA IN ERRORE SU ELLY”

Gennaio 26th, 2024 Riccardo Fucile

MELONI EVOCA IL 2009 E LA SCHLEIN LA DISTRUGGE: “FORSE NON SI RICORDA, MA LEI ERA MINISTRO DI QUEL GOVERNO”

Quell’errore, in aula, proprio contro la segretaria del Pd Elly Schlein, non l’ha digerito. Anche perché lo scivolone è stato plateale e ha portato molti a parlare di una vittoria, almeno ai punti, della leader dem.
Così mercoledì pomeriggio la premier Giorgia Meloni, dopo il question time a Montecitorio, è tornata a Palazzo Chigi e si è infuriata con i suoi collaboratori, nello specifico con Giovanbattista Fazzolari, da cui passano tutti i i discorsi e gli interventi pubblici di Meloni, e con il ministro della Salute Orazio Schillaci che aveva il compito di scrivere la risposta: “Avete sbagliato, com’è possibile un errore del genere?”, ha chiesto con toni molto accesi la premier. Un’ammissione di colpa per la figuraccia commessa.
Schlein chiede cosa stia facendo il governo per abbattere le liste d’attesa e provoca Meloni: “Non mi risponda, come fa sempre, ‘però potevate farlo voi’”. Meloni però ci cade in pieno. Inizia a parlare: “Il tetto alla spesa per il personale sanitario è stato introdotto nel 2009 – attacca – e questo ha comportato il crescente ricorso ai contratti a termine e il devastante fenomeno dei cosiddetti medici gettonisti. Noi ci troviamo a fare i conti con una situazione che si è stratificata negli ultimi 14 anni”.
Il concetto della leader di FDI è che il suo governo non abbia alcuna responsabilità. Quindi arriva l’affondo: “E non le dirò ‘perché non lo avete fatto voi?’ – aggiunge Meloni – Le dirò che considero un’implicita attestazione di stima il fatto che oggi chiediate a noi di risolvere tutti i problemi che voi non avete risolto nei 10 anni in cui siete stati al governo”.
Ma è un autogol e un assist inconsapevole a Schlein che, consigliata da Roberto Speranza e Arturo Scotto, replica: “Ma lei è andata al governo per risolvere i problemi o per fare opposizione, scaricandoli sugli altri? Ero stata più delicata di lei, non ho citato l’anno in cui è stato adottato quel tetto alla spesa. Ha ragione lei, era il 2009, e sa chi era ministro di quel governo? Lei”.
Meloni incassa il colpo. Le telecamere mostrano il suo imbarazzo. I presenti in aula attribuiscono la vittoria a Schlein. Tant’è che la premier torna a Chigi e si infuria con i suoi collaboratori: “Com’è stato possibile? – chiede Meloni a Fazzolari – Avete fatto un grosso errore”.
Se la prende con Schillaci (già sotto accusa per il piano pandemico simile a quello di Conte) che aveva scritto la risposta e Fazzolari che l’aveva rivista. Non è il primo errore che Fazzolari fa commettere alla premier in aula e che imbarazza i vertici di FDI: a dicembre era stata sua l’idea del fax (che era una mail) con tanto di data sbagliata per accusare Conte di aver avviato la ratifica del Mes “col favore delle tenebre”. Un errore che le è costato il giurì d’onore.
(da agenzie)

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