Luglio 5th, 2025 Riccardo Fucile
BONELLI ACCUSA: ”NON RISPETTA I CRITERI PREVISTI PER INFRASTRUTTURE MILITARI, E’ UN TRUCCO PER DEROGARE ALLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE”
Nei giorni scorsi l’ipotesi è stata ventilata a livello europeo. Oggi, 4 luglio, il governo di Giorgia Meloni ha accreditato l’ipotesi anche in Parlamento. Nel corso delle risposte alle interpellanze urgenti, rispondendo ad una domanda di Angelo Bonelli, portavoce di Europa verde e parlamentare di Avs, il sottosegretario all’Interno, Emanuele Prisco, ha detto che quella in campo è più di una ipotesi: «Anche il ponte sullo Stretto
potrebbe essere considerato un’infrastruttura coerente con le linee guida Nato ed europee in tema di sicurezza integrata e mobilità strategica».
L’apertura della Ue
Dall’Unione europea, alcuni giorni fa, era arrivata la disponibilità a valutare il ponte come infrastruttura militare, in modo da consentire all’Italia di accedere prima di tutto alle clausole di salvaguardia per le spese militari (che però il governo non vuole attivare, almeno per ora) o addirittura ad un cofinanziamento dell’Unione europea, qualora, ad esempio, il ponte rientrasse nel piano di Mobilità militare.
Per farlo rientrare in quel piano, però, il progetto dovrà garantire il «duplice uso», facendo in modo che «i miglioramenti infrastrutturali soddisfino sia le esigenze civili che quelle militari»: l’Europa ha in mente di mettere in quel pacchetto «circa 100 miliardi», ha scritto l’Ansa, e di adottare il piano nel corso del 2025. Prisco alla Camera è stato possibilista: «Nelle interlocuzioni (a proposito del Military Mobility Action Plan 2024 ndr) è emerso che, come è evidente per logica, un’infrastruttura di attraversamento stabile dello Stretto di Messina, in grado di assicurare la continuità fisica e logistica tra la Sicilia e il continente, indurrebbe una contrazione dei tempi per la proiettabilità delle forze su uno dei corridoi individuati». Ma anche se non andasse così, anche dalle parole pronunciate in aula oggi, pare chiaro che il Ponte andrà almeno a comporre quell’1,5% di spese in infrastrutture che, assieme al 3,5% di spese strettamente militari comporrà il famoso 5% di spesa, in relazione al Pil, che i membri Nato dovranno dedicare alla Difesa entro il 2035, e sulla cui definizione non sono ancora
stati definiti i criteri.
I dubbi di Bonelli
Secondo il deputato verde Angelo Bonelli, ottenere il cofinanziamento europeo sarà praticamente impossibile, perché a suo dire, la gigantesca opera a cui tanto tiene il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, non rispetta i criteri previsti dalla Nato per la progettazione di opere militari. E, ha aggiunto sempre Bonelli, «noi abbiamo chiesto all’Unione europea se quest’opera fosse inserita nel Military Mobility Action Plan del 2024 e la risposta è stata: “no”. L’ufficio legislativo e l’ufficio Studi del Parlamento europeo ci hanno comunicato, attraverso una disposizione, una richiesta fatta dall’eurodeputato Leoluca Orlando e a questa richiesta ci è stato risposto che il ponte sullo Stretto non sta dentro il Military Mobility Action Plan». Secondo l’esponente di Avs, il ponte non sarà coerente con delle linee guida Nato che imporrebbero che i ponti per uso militare possano trasportare 32 veicoli in totale, 16 trasportati e 16 dotati di ruote in contemporanea.
In più, dice ancora Bonelli, «il franco navigabile del ponte sullo stretto è di 65 metri mentre le maggiori portaerei del mondo hanno un’altezza di 80 metri. Questo significa che il ponte è un ostacolo al passaggio delle navi militari». La valutazione secondo criteri Nato di un ponte, spiegano però da ambienti della Difesa, non vuol dire che l’infrastruttura debba poter portare il massimo del carico per poter essere “accreditata”: «Ogni ponte è valutato in base ai criteri Nato per capire quanti e quali mezzi ci possono passare, le infrastrutture che possono permettere il passaggio di carri sono molteplici».
L’emendamento per accelerare
Bonelli ha scritto anche una lettera a Meloni per chiederle di bloccare l’approvazione del Ponte al Cipess (comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) visto che la spesa potrebbe non ottenere il sostegno dell’Unione nell’ambito delle spese militari e, a detta dell’esponente verde, sarebbe fuori anche dai criteri Nato. A quel che si capisce finora la scelta di far rientrare l’opera nell’1,5% Nato è praticamente già presa. In ogni caso il governo accelera su tutte le spese collegate alle infrastrutture militari: oggi, in commissione Trasporti, è stato presentato un emendamento al dl Infrastrutture che deroga alla valutazione d’impatto ambientale per le opere di difesa nazionale. Se il ponte ci rientra, il gioco è fatto.
(da agenzie)
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Luglio 5th, 2025 Riccardo Fucile
MA DI FRONTE ALL’INDIGNAZIONE DI CONSUMATORI E OPPOSIZIONE LA MELONI HA ORDINATO LA RETROMARCIA … ORA IL CETRIOLONE PASSA AI CONCESSIONARI: CHE DIRANNO I VARI TOTO, BLACKSTONE, MACQUARIE E GAVIO DI FRONTE AL FORTE DIMAGRIMENTO DEI LORO DIVIDENDI?
I Fratellini d’Italia ci sono o ci fanno? Sul dossier pedaggi, è evidente, ci fanno. Nessuno
crede davvero che il partito di maggioranza relativa fosse completamente all’oscuro dell’emendamento, presentato dalla lega, per aumentare il balzello ai caselli.
Come ricostruisce oggi, su “Repubblica”, Giuseppe Colombo, infatti, i parlamentari meloniani hanno “incrociato” la norma almeno due volte: la prima a Montecitorio, il 25 giugno: “alla Camera si tiene una riunione di maggioranza sugli emendamenti al decreto Infrastrutture, il veicolo della misura sui pedaggi.
È il viceministro alle Infrastrutture, Edoardo Rixi, a illustrarli. Il numero due di Salvini al Mit parla anche di autostrade.
Il testo dell’emendamento è stato scritto dai funzionari del ministero, ma quel giorno non compare sul tavolo della riunione.
Arriva, però una spiegazione a voce da parte di Rixi. Nessuno fa obiezioni. Neppure i rappresentanti di FdI”
Che qualche giorno dopo, avrebbero apposto la loro firma in
Il capogruppo alla Camera di Fdi, Galeazzo Bignami, sul tema si sarebbe espresso a favore, dicendosi d’accordo con Rixi. Tanto che, continua ancora Colombo, “per i leghisti è lui ‘la manina dietro le fonti di Fdi che hanno rinnegato l’emendamento’”.
Ecco, le “fonti”. Quelle che ieri hanno veicolato alle agenzie una nota surreale in cui esprimevano “disappunto” per una norma presentata da loro stessi.
Una formuletta magica per far credere agli italiani che loro non erano a conoscenza dell’aumento dei pedaggi e addossare tutta la colpa a Salvini? O il disappunto per la reazione veemente, ma prevedibile, di associazioni dei consumatori e opposizione?
Occorre fare un passo indietro e spiegare la ratio dell’emendamento incriminato.
Ogni volta che scade una concessione autostradale, occorre rinnovare il Pef, il Piano economico finanziario, che contiene le previsioni di spesa, gli investimenti in manutenzione e i costi per tenere in piedi viadotti, ponti, gallerie.
Ora, come scriveva Sergio Rizzo su “MF” qualche settimana fa, ci sono “quindici piani di investimento bloccati al ministero delle Infrastrutture”. Il motivo? “I concessionari chiedono 27 miliardi in più rispetto ai vecchi piani, circa 6,4 milioni a chilometro”.
Da dove far arrivare quei bei quattrini? Semplice, scaricando il costo sugli utenti che ogni giorno entrano ed escono dalle autostrade, e già ingrassano le ricche pance dei concessionari privati.
In pratica, a fronte di interventi di manutenzione del tratto autostradale, i concesisonari chiedono un aumento dei pedaggi. E così, ogni anno, ci sono adeguamenti e ritocchi (sempre all’insù).
Il concessionario più interessato dall’approvazione dei Pef è Gavio: la concessione di una delle autostrade da lui gestite, la Torino-Milano, scade tra qualche mese, nel 2026. E ancora è tutto fermo.
Nel 2020, Gavio ottenne l’approvazione dei suoi piani finanziari dal Ministero con il riconoscimento di un valore di subentro di 1 miliardo e 232 milioni.
Scrive Rizzo: “Uno sproposito stigmatizzato dalla Corte dei Conti nonché definito dall’Autorità dei Trasporti alla stregua di «una barriera all’ingresso di nuovi operatori».
E ora, a distanza di cinque anni, clamorosamente bocciato anche dalla direzione generale del ministero delle Infrastrutture; lo stesso ministero, ministro diverso, che nel 2020 aveva piantato quel mostruoso paletto in favore del gruppo Gavio”.
Insomma, Gavio sperava molto nell’aumento del pedaggio, e non è un imprenditore qualunque, ma un personaggio con interessi ramificati che si intersecano con quelli del Governo. Per esempio, su Mediobanca: Gavio ha appena venduto 250mila azioni di Piazzetta Cuccia.
Un favore indiretto al trio Caltagirone-Milleri-Lovaglio, che d’accordo con il Governo stanno tentando, via Mps, la scalata a Mediobanca (con mire su Generali): la vendita, che si somma a quella degli altri “pattisti” di Acutis e della famiglia Monge, ha come effetto quello di abbassare il valore del titolo della banca guidata da Nagel.
Scrive “Milano Finanza” oggi: “il premio sull’ops che Mediobanca ancora incorpora, alla vigilia dell’avvio dell’ops, si
è ridotto al 5%”. Tradotto in soldoni: a Siena, e quindi a Caltagirone e Milleri, l’operazione potrebbe costare meno del previsto.
Tutte prove che la famiglia Gavio ha molte carte da giocare per “trattare” con il Governo, e con la Lega, partito con una base solida al Nord, dove il gruppo ha le sue concessioni più importanti.
Il Carroccio, dunque, ci ha provato: dal Mef, dove oltre al ministro Giorgetti siede anche il sottosegretario Federico Freni, ha lanciato il suo ballon d’essai per vedere l’effetto che faceva, d’accordo con gli alleati di Governo e con la scusa di dover finanziare la rete Anas (che per effetto dell’abolizione delle province, non ci sono soldi per la manutenzione).
Apriti cielo: associazioni dei consumatori e opposizioni si sono risvegliate e hanno fatto il diavolo a quattro per una misura che a cascata sarebbe stata un bel cetriolone per tutti.
In un Paese dove le merci si muovono principalmente su strada, l’effetto immediato sarebbe stato un aumento dei prodotti sugli scaffali dei supermercati.
Un’inflazione indotta che ha risvegliato anche Elly Schlein dal suo letargo arcobaleno: “Da Meloni solo tasse e propaganda”.
Di fronte a cotanta mobilitazione, la maggioranza ha dovuto fare pippa, e Fratelli d’Italia, con il nazi-cosplayer Galeazzo Bignami (si ricorda il suo travestimento da SS per un carnevale di tanti anni fa) ha subito scaricato il patatone bollente su Salvini.
Il “Capitone”, come scrivono molti retroscena sui quotidiani di oggi, ieri avrebbe chiamato Giorgia Meloni, alzando la voce: “Non consento a nessuno di farmi passare come quello che tassa gli italiani
Il guaio è che alla fine, a dover stringere la cinghia, saranno i concessionari: i vari Toto, Blackstone e Macquarie (azionisti di Aspi) e, appunto la famiglia Gavio. Chissà come saranno felici di veder dimagrire, e di molto, i loro dividendi…
(da Dagoreport)
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Luglio 5th, 2025 Riccardo Fucile
I LEGHISTI INSINUANO MALIZIOSI CHE FRATELLI D’ITALIA, CHE ORA CASCA DAL PERO ADDOSSANDO LA COLPA SUL CARROCCIO, AVEVANO CONDIVISO LA NORMA, PRIMA A PAROLE, IL 25 GIUGNO, E POI FIRMANDO IL PROVVEDIMENTO … IL BALZELLO SAREBBE SERVITO PER INVESTIRE SULLA SICUREZZA DELLE STRADE ANAS: IL GOVERNO DOVE TROVERÀ QUEI SOLDI?
L’irritazione monta quando sulle agenzie rimbalzano le parole dei leader delle opposizioni sulla tassa dell’estate. È a quel punto che Giorgia Meloni decide di intervenire per fermare l’emendamento che aumenta i pedaggi autostradali. Un errore assurdo, confida ai suoi collaboratori. L’accusa è rivolta al ministro Matteo Salvini. La premier prende il telefonino in mano e scrive al suo vice.
Chiede spiegazioni. ll leader della Lega risponde nel merito. Chiarisce che l’incasso extra al casello serve per garantire la sicurezza della rete autostradale. In ballo — spiega — ci sono più di trentaduemila chilometri di ex strade provinciali, ora statali, che necessitano di una manutenzione urgente da parte dell’Anas. È il prezzo da pagare — aggiunge — per la riforma che ha svuotato le province, caricando lo Stato di «problemi economici». Servono soldi, è la postilla.
Lo scambio di messaggi avviene ad alta quota. Quando riceve il primo sms, il leader del Lega è a diecimila metri sopra l’Azerbaijan, in volo verso il Giappone per una missione internazionale. Irritato per la reazione di Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio, contro una misura che — rivendica in un altro messaggio — è stata condivisa da tutta la maggioranza, come attestano le firme dei relatori di FdI, Lega e FI in fondo all’emendamento.
ll wi-fi dell’aereo è stabile, lo scambio con la premier va avanti. I due discutono dell’opportunità di introdurre un balzello nel
pieno delle vacanze estive, con milioni di italiani in viaggio. Tocca ancora a Salvini parare i colpi. L’aumento — scrive alla premier — è contenuto, appena una decina di centesimi per andare dal Centro al Nord. Ma la difesa più forte è sulla condivisione preventiva della misura con gli alleati.
«Non passo per quello che aumenta le tasse», sbotta. Ai suoi affida una ricostruzione che attesterebbe la veridicità della sua tesi. Luogo e data: Montecitorio, 25 giugno. Alla Camera si tiene una riunione di maggioranza sugli emendamenti al decreto Infrastrutture, il veicolo della misura sui pedaggi.
È il viceministro alle Infrastrutture, Edoardo Rixi, a illustrarli. Il numero due di Salvini al Mit parla anche di autostrade. Il testo dell’emendamento è stato scritto dai funzionari del ministero, ma quel giorno non compare sul tavolo della riunione. Arriva, però — nella ricostruzione dei parlamentari leghisti — una spiegazione a voce da parte di Rixi. Nessuno fa obiezioni. Neppure i rappresentanti di FdI.
La tesi di Salvini, però, non viene confermata dal partito della presidente del Consiglio. «Noi quel giorno non abbiamo sentito parlare di pedaggi», dice una fonte di FdI di primo livello.
Ma al netto della riunione, Salvini punta sulle firme degli alleati in fondo all’emendamento. Per questo quando la premier lo incalza, ribatte citando proprio i nomi e i cognomi dei relatori. Si dice esterrefatto per come Fratelli d’Italia si è smarcato. Ma la premier insiste: l’emendamento va ritirato. E l’annuncio spetta al suo interlocutore. «Va bene», chiude Salvini. Poi il segretario del Carroccio invia un messaggio ai suoi: «O siamo una maggioranza o non lo siamo».
In casa Lega a finire sotto accusa è Galeazzo Bignami, capogruppo di FdI alla Camera. Per i leghisti è lui «la manina dietro le fonti di FdI che hanno rinnegato l’emendamento». L’ultima stoccata è di Salvini: «Ora saranno altri a dover recuperare i fondi» per la manutenzione delle autostrade. Palla agli alleati.
(da La Repubblica)
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Luglio 5th, 2025 Riccardo Fucile
E’ QUELLO CHE SERVIREBBE AGLI INTELLETTUALI DI DESTRA COME ANTIDOTO AL LORO SERVILISMO GOVERNATIVO
La cosiddetta egemonia culturale della sinistra fu lastricata di liti, dissidenze,
scomuniche quasi sempre cadute nel vuoto (nel senso che lo scomunicato non riconosceva alcuna Chiesa, e tirava dritto per la sua strada); niente che potesse assomigliare a una ortodossia.
Lo ricorda Stefano Cappellini avendo buon gioco nel paragonare quella dialettica vivace e spesso aspra al conformismo governativo dei pochi, e spesso cosiddetti, intellettuali di destra, la gran parte dei quali o fanno proprio parte del governo, vedi Giuli, o paiono portavoce governativi, vedi Italo Bocchino. Ovvero l’esatto contrario di quello che dovrebbe essere il mestiere di un intellettuale.
Al lungo e ragionato elenco di Cappellini mi permetto di aggiungere Sergio Staino, e nel suo nome la gran parte della satira “di sinistra”, che ebbe nella sinistra un bersaglio costante. Prima il Male, poi Tango, poi Cuore, gli ultimi due nati come inserto dell’Unità (ovvero dell’organo ufficiale del Partito comunista), produssero satira (dunque: critica) a tonnellate sulla
sinistra, che pure era il campo “amico”. Ricordo (anche per esperienza personale) furibonde polemiche, e insanabili conflitti, e telefonate di fuoco. Niente che potesse, comunque, uniformare il pensiero.
Valeva probabilmente, a vivificare il confronto, anche il narcisismo, che è male tipico degli intellettuali. Ovvero: “o si fa come dico io, oppure tutto va a rotoli”. Per dare un’idea: Massimo Cacciari. Raramente la modestia fa parte del bagaglio intellettuale degli intellettuali. Ma se dovessi augurare agli intellettuali di destra un antidoto al loro servilismo governativo, ecco: un poco di narcisismo vi aiuterebbe.
(da repubblica.it)
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Luglio 5th, 2025 Riccardo Fucile
LA SOCIETA’ DELLA TEOCRAZIA SI E’ EVOLUTA E IL REGIME LASCIA DIVERSE LIBERTA’ INDIVIDUALI
Quando il gioco si fa serio, le persone serie debbono cominciar a giocare. Ma questo prezioso aforisma è ignoto nel beato mondo di Fakenewslandia, dove si crede solo alle sòle e alle bufale.
Per esempio, che nella costituzione della Repubblica Islamica Iraniana sia scritto bello chiaro che si vuole la distruzione totale d’Israele: il che si ripete di continuo, ma corrisponde a una colossale menzogna per smascherar la quale basta leggerne il testo online
È vero che è stato presentato da alcune forze presenti in Parlamento un disegno di legge contro lo Stato ebraico, ma esso non è ancora definitivo e dovrebbe comunque entrare in vigore entro il 2041. All’articolo 13, la Costituzione sancisce il diritto alla piena libertà di culto per zoroastriani, ebrei e cristiani, cioè per tutte le religioni che secondo la sharia adorando Iddio eterno, onnipotente e onnisciente si trovano sulla via della Rivelazione: quelle cioè proprie delle ahl al-Kitab, le “Genti del Libro”. Vero è che il 9 maggio 1990 venne promulgato un Atto in otto articoli – da allora soggetto e revisioni ed emendamenti – nel quale si definisce il regime di Gerusalemme come “oppressore e occupatore” della nazione palestinese.
I cittadini iraniani ebrei godono d’ogni libertà con l’unico obbligo di rifiutare esplicitamente l’ideologia sionista. Vero è che in forza del nuovo dispositivo giuridico varato dopo gli attacchi israeliani è stata applicata la pena di morte contro alcuni collaborazionisti, e non possiamo certo qui pronunziarci pro o contro la correttezza delle accuse a loro carico: ma, se la pena capitale basta a far considerare il regime iraniano una “dittatura” – come qualche Anima Bella dalle nostre parti pretende – allora è in buona compagnia, dagli Usa alla Cina passando per i tagliatori di teste che abbondano negli Emirati arabi del Golfo, fieri alleati degli americani e ora de facto sostenitori di Netanyahu sia pur con qualche distinguo.
Ma torniamo all’assetto civile interno dell’Iran, che dal novembre del 1979 è oggetto di un embargo totale voluto dagli Usa che nel settembre 1980 appoggiarono l’iracheno Saddam. Il pur avventuristico Trump, durante la “guerra guerreggiata” tra Israele e Iran che stava senza dubbio registrando la superiorità tecnologico-militare del primo sul secondo, si è sia pur a malapena trattenuto da colpi di mano suscettibili di obbligare i soldati stars and stripes a calcare il territorio iraniano. La Repubblica Islamica è vasta più di un milione e mezzo di chilometri quadrati e abitata da oltre 90 milioni di abitanti di età media fra i 30 e i 40 anni a schiacciante maggioranza musulmano-sciita nonostante la varietà etnica (i persiani sono
meno del 35%:) ed è uno dei paesi di cultura media più alta del mondo, con il 45% di laureati di cui gran parte in scienze “dure” come medicina, ingegneria, scienze naturali: laureati veri, non di università online (quasi 1 adulto su 2 ha un titolo universitario; altissimo il numero di donne laureate in facoltà scientifiche, il 76% circa).
Una “dittatura”, quella iraniana? La Rivoluzione islamica del 1979 è stata un movimento identitario e popolare, culminato con un referendum in cui oltre il 98% dei votanti scelse la Repubblica islamica. Ancor oggi, la maggior parte della popolazione ne sostiene l’ordinamento: gli oppositori tanto spesso oggetto delle rare sequenze tv sono in genere concentrati nei quartieri medio-alto-borghesi di Teheran e Isfahan e protestano per lo più contro il chador, indumento portato in effetti con disinvoltura e che non impedisce alle iraniane di laurearsi e raggiungere alte cariche in politica, magistratura, accademie, produzione, esercito. Milioni d’iraniani partecipano a manifestazioni di sostegno al governo, come quelle per l’anniversario della Rivoluzione o in risposta ad aggressioni esterne, come quelle avvenute la notte dell’aggressione israeliana, che chiedevano una forte risposta da parte dell’Iran, contrastando la narrazione dei media occidentali che spesso le censurano. In momenti di aggressione, come gli attacchi israeliani, la popolazione tende a compattarsi e a mostrare un forte senso di patriottismo e unità.
Del resto partiti e media d’opposizione esistono, i giornali sono molti e di varia tendenza per quanto oggi la stampa cartacea sia in declino come da noi, sostituita dia mezzi informatici. La minoranza non è tale in quanto perseguitata, bensì perché manca
d’unità d’intenti e di veri e propri leader credibili: fra i temi d’opposizione più comuni, a parte la sparuto gruppo di nostalgici del regime dello shah definitivamente screditato, i più seguiti insistono sull’adozione di modelli ispirati alle liberal-democrazie occidentali e godono di un certo credito. Molte delle operazioni di sabotaggio e/o destabilizzazione son state portate avanti da agenti interni addestrati o sostenuti da attori esterni come Israele e Usa scopo dei quali è promuovere un cambio di regime: ma, a parte gruppi specifici come i mujaheddin del popolo”, rare sono le formazioni oggetto di divieto assoluto sul modello della ricostituzione del partito fascista nella Costituzione italiana.
Per ciò che riguarda dunque la libertà di pensiero e potere politico, la Repubblica Islamica presenta un ordinamento in cui sovranità e partecipazione popolare alla vita politica è fondamentale, basato sui princìpi di fondo islamici ed elezioni parlamentari.
Capo dello Stato è il Rahbar, Guida Suprema designata a vita dagli 88 membri dell’Assemblea degli Esperti (il “senato” di giuristi-teologi eletti a suffragio universale ogni 8 anni). Il Rahbar presiede il Consiglio dei 12 Guardiani della Rivoluzione, per metà designati da lui e per metà dall’Assemblea Islamica, il “parlamento” con poteri legislativi costituito da 290 membri che restano in carica 4 anni e che, eletti secondo un elenco proposto dai partiti politici e approvato dal Consiglio dei Guardiani, designa a sua volta, a maggioranza, il presidente della Repubblica e capo del governo. Il sistema è definibile come “oligarchico-democratico”, misto di cariche “nominate dall’alto” e cariche elettive. Poche le donne, 14 su
290 seggi parlamentari: ma la situazione si sta evolvendo, anche dato l’altissimo numero di laureate. Il dibattito politico è molto vivo e ordinariamente libero. Che un sistema del genere sia definibile come “dittatura”, nonostante la presenza d’una milizia politico-religiosa e i metodi duri di polizia, è semplicemente ridicolo
Sia prima dell’accordo sul nucleare del 2015 (poi stracciato da Trump), sia prima dei negoziati di quest’anno, la Guida Suprema, l’imam Khamenei, aveva espresso perplessità sulla loro utilità, asserendo che gli Usa non sono affidabili: eppure sia il governo di Ruhani nel 2015, sia l’attuale governo di Pezeshkian, hanno optato per i negoziati. Si noti che il parere della Guida Suprema s’è dimostrato corretto: tuttavia egli non ha imposto il suo volere al governo, al contrario di quel che Trump fa abitualmente. E ciò vale anche per altre tematiche che vanno dalla questione del velo alla collaborazione con Russia e Cina e così via.
Chi scrive conduceva abituali visite turistiche in Iran: non solo con studenti universitari. Negli ultimi anni, la cosa è diventata impossibile: non per colpa della burocrazia iraniana, che concede facilmente i visti (anche agli ebrei che visitano il santuario della “Profetessa” Esther ad Hamadan: l’ingresso in Iran sarebbe vietato agli ebrei israeliani, i quali però dispongono spessissimo di doppia cittadinanza, dunque doppio passaporto), ma perché tra gli aspiranti turisti si vanno formando due correnti d’incerti e intimiditi: la prima oppone al viaggio il pregiudizio (che si rifiuta di verificare de visu) che “si tratta di una dittatura”; la seconda manifesta la paura “del terrorismo”, pericolo in teoria più presente a Parigi o New York che a Teheran.
Franco Cardini
(da ilfattoquotidiano.it)
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Luglio 5th, 2025 Riccardo Fucile
OGNI MATTINA IN ITALIA LO STATO SI SVEGLIA CON L’IDEA DI FREGARE IL CITTADINO E IL CITTADINO CON QUELLO DI FREGARE LO STATO
Ero appena sceso dal treno, tutto contento perché da Milano a Roma aveva accumulato
appena mezz’ora di ritardo e l’aria condizionata era stata in grado di funzionare fino a Firenze, quando ho letto che dal primo agosto sarebbero aumentati i pedaggi delle autostrade.
Chi se n’era accorto meriterebbe una laurea in Scienze Occulte, perché l’emendamento galeotto, firmato da tutti i partiti di maggioranza, era scritto in un linguaggio per adepti. L’opposizione si è molto indignata – fingendo di dimenticarsi che, quando era al governo, faceva le stesse cose – mentre Salvini si è ricordato di essere il ministro competente e ha chiesto di bloccare la norma.
Tutto è bene quel che (forse) finisce bene? Resta comunque la perfidia di chi aveva pensato di far scattare l’aumento in coincidenza con l’esodo estivo. Una scelta che perpetua l’idea che, per coloro che rappresentano le istituzioni, il cittadino rimanga una mucca da mungere, e una mucca particolarmente remissiva che borbotta sempre, ma digerisce tutto.
Ricordate Troisi e Benigni alle prese con il gabelliere del Rinascimento? «Chi siete? Che portate? Un fiorino», Abbiamo cambiato moneta, ma non ci siamo mossi da lì. È un rapporto di sfiducia reciproca. Ogni mattina in Italia, come sorge il sole, lo Stato si sveglia con l’idea di fregare il cittadino e il cittadino con quella di fregare lo Stato. Ogni mattina in Italia, come sorge il sole, non importa che tu sia Stato o cittadino: l’importante è riuscire a non farti fregare.
(da corriere.it)
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Luglio 5th, 2025 Riccardo Fucile
I CAMBIAMENTI STANNO ACCELERANDO MA C’E’ ANCORA CHI SMINUISCE LA CRISI AMBIENTALE
Prima di tutto i dati. Le temperature medie dell’atmosfera non sono mai state complessivamente così alte come negli ultimi giorni in Europa, un incremento che ha prodotto, produce e produrrà ondate di calore in grado di minacciare i sistemi biologici dei viventi, esattamente come ipotizzato nel VI
rapporto IPCC oltre due anni fa. Le prime vittime confermano questa tendenza e a poco vale ricordare che, al mondo, si muore anche per il freddo, perché in passato, a causa del caldo, non si moriva.
L’incremento assassino delle temperature va ben al di là delle nostre esperienze personali e dei nostri fallaci ricordi: negli anni ’60 del XX secolo si registravano una decina di giorni con temperature al di sopra dei 32°C, all’inizio degli anni Duemila erano diventati una ventina e oggi sono più di trenta, per non dire delle notti tropicali, con buona pace di mio nonno che girava in canotta e di quel titolo di giornale che, nel 1950, riportava temperature di 42°C a Milano: tutto vero, ma tutto irrilevante, perché ciò che conta sono i dati provenienti da decine di migliaia di centraline sparse in tutto il mondo (e “corrette” se si trovano vicino alle città, che sono più calde, delle campagne).
Lo zero termico e le temperature del Mediterraneo
Altri dati sono quelli relativi allo zero termico, cioè il punto (o, meglio, la linea) al di sopra del quale la temperatura dell’atmosfera scende sotto gli 0°C e dunque possiamo avere neve e conservare i ghiacciai. Le ultime registrazioni danno lo zero termico sulle Alpi (e sugli Appennini) a oltre 5.100 m di quota: niente di drammatico, se non fosse che la montagna più alta d’Europa arriva a 4.700 metri.
Eravamo stati buoni profeti nel presagire, anni fa e sulla base dei dati scientifici, che il 2021 sarebbe stato l’anno più fresco e più umido rispetto a quelli che sarebbero seguiti, nonostante le accuse di allarmismo e di ecoansia: niente di tutto ciò, si rimane ottimisti, ma bene informati, però.
Fra i dati preoccupano anche quelli della temperatura degli oceani e dei mari, del Mediterraneo in particolare, che sprigiona in luglio il calore che avrebbe fatto registrare in agosto, confermandosi hot-spot climatico, con tutta l’Italia al suo interno.
Preoccupano perché acque più calde sviluppano cicloni, trombe marine e d’aria, limitati tornado e perfino downburst. In pratica ciò significa aumento delle perturbazioni meteorologiche a carattere sempre più violento: se il Mediterraneo avesse avuto le dimensioni del Golfo del Messico avremmo registrato gli stessi cicloni, perché le temperature ci stanno tutte. Ma quelli che si scatenano adesso bastano e avanzano, come dimostrano le due alluvioni consecutive in Emilia Romagna (ma non avevano periodi di ritorno millenari?) o le alluvioni ripetute di Valencia, delle Baleari e delle Cicladi.
L’accelerazione della crisi climatica negli ultimi 70 anni
Questi dati riguardano il tempo atmosferico, ma sono perfettamente in linea con la tendenza climatica, che mostra un’accelerazione mostruosa nell’incremento delle temperature negli ultimi 70 anni. Una crisi climatica globale che è accelerata e anomala rispetto al passato e che sta dispiegando le sue conseguenze nefaste esattamente secondo le previsioni dei modelli climatici elaborati già da decenni.
Siccità, tempeste di vento, mareggiate eccezionali, chicchi di grandine grossi come pesche, alluvioni, frane e incendi sono tutti fenomeni in crescita e accomunati dalla crisi climatica attuale. E sono tutte conseguenze che costano in termini di vite umane e animali e in denaro: chi afferma che non ci possiamo permettere un Green Deal perché non sostenibile
economicamente difende solo la maniera tradizionale di fare affari, una maniera che sta per essere spazzata via dalla crisi climatica. E dimentica che il non prendere decisamente una via alternativa a questo sistema economico e non fare nulla costa molto di più.
Perché il fatto nuovo, che distingue questa crisi da ogni cambiamento climatico precedente, è che dipende da una sola specie, i sapiens, attraverso le loro attività produttive, come ha dimostrato almeno il 99% degli specialisti mondiali. Siamo l’unica specie che ha dissotterrato il potenziale mortifero dei combustibili fossili, liberando in atmosfera un’anidride carbonica che sarebbe stata, invece, sottratta ai cicli naturali del carbonio. Se vogliamo stare ai dati.
Chi crea confusione
Se, invece, vogliamo indurre confusione, allora possiamo anche ascoltare il fisico delle particelle che dichiara a un giornale che la crisi climatica non esiste o l’ingegnere che dice che non dipende da noi: se hanno dati li producano e scrivano articoli scientifici, o li leggano almeno, non rilascino interviste, perché il metodo scientifico funziona così e non lascia spazio alle opinioni.
Il dibattito fra gli scienziati sulle cause della crisi climatica attuale è chiuso e si riaprirà solo con nuovi dati che, al momento, non ci sono. Perdere ancora tempo per agire sulle cause e azzerare le emissioni clima-alteranti è colpevole, affidarsi ai mercanti di dubbi è imperdonabile.
(da lastampa.it)
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Luglio 5th, 2025 Riccardo Fucile
IL “PIANO CASA” E GLI ASSIST SOVRANISTI AI SIGNORI DELLA SALUTE
Non solo Antonio Angelucci e le sue cliniche di famiglia. Ora anche le strutture sanitarie
nelle mansarde. Il nuovo “piano casa” – tutta una serie di modifiche in senso concessivo delle leggi in materia edilizia – in corso di approvazione al Consiglio
regionale del Lazio nasconde un altro, inaspettato, regalo alla sanità privata. È quello contenuto nelle pieghe dell’emendamento firmato dalla consigliera regionale di Fratelli d’Italia, Micol Grasselli, e avallato dall’attuale assessore all’Urbanistica, il forzista Giuseppe Schiboni, che ha ricevuto da poche settimane le deleghe dal governatore Francesco Rocca.
La modifica all’articolo 3 della proposta di legge 171 del 2024 introduce infatti la possibilità di recuperare i sottotetti “a fini non solo abitativi e turistico-ricettivi” ma anche “sanitari e sociosanitari e assistenziali”, consentendo il recupero “anche a quelli non attigui o annessi a unità immobiliari ubicate nel medesimo edificio”. In sostanza, si potranno realizzare o comunque allargare centri diagnostici e cliniche private anche all’interno delle mansarde, proprio come già accade per i bed and breakfast. Non solo. Il provvedimento “esonera dal versamento del contributo per il rilascio del permesso di costruire i recuperi per l’edilizia residenziale pubblica” e “consente il recupero anche nelle zone individuate come insediamenti urbani storici”. Il provvedimento rappresenta una manna soprattutto per i centri diagnostici diffusi, che utilizzano appartamenti, di proprietà o in locazione.
Intanto il consiglio regionale potrebbe prendere tempo dopo la notizia pubblicata ieri dal Fatto sull’emendamento salva San Raffaele, contenuto nello stesso gruppo di provvedimenti portati in aula dall’assessore Schiboni. La norma, la cui votazione potrebbe slittare a settembre, consente “interventi di ristrutturazione edilizia, compresa la demolizione e ricostruzione, di singoli edifici o di almeno il 60% di essi per una superficie lorda complessiva massima di 15.000 mq, con
mutamento della destinazione d’uso” e tutto ciò anche “alle attrezzature di natura sanitaria realizzate anche dal privato, di interesse pubblico”. La futura norma regionale, se recepita dal Comune di Velletri, potrebbe consentire alla locale clinica San Raffaele di sanare gli abusi edilizi intervenuti dal 2001 in poi e che portarono al ritiro dell’autorizzazione regionale e dunque alla chiusura nel 2011.
Oltre alle sentenze del Consiglio di Stato – recepite dalla Cassazione – che definivano “insanabile” la situazione edilizia della clinica, anche la Prefettura di Roma riportava una relazione della Asl secondo cui “non sono state rispettate tutte le norme urbanistico-edilizie nazionali, regionali e comunali legittimanti poi a seguire sia le autorizzazioni sia i rapporti di accreditamento sinora concessi dalla Regione”. La storia, però, ora può cambiare.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Luglio 5th, 2025 Riccardo Fucile
SILVIA SALIS PONE FINE ALLA PAGLIACCIATA SOVRANISTA DOPO LO SCANDALO DEI 15 AGENTI LOCALI INDAGATI… I VIGILI TORNANO A FARE I VIGILI E NON I POLIZIOTTI
Sulla sicurezza in centro storico da lunedì si cambia: la polizia locale non abbandonerà i vicoli ma la tripartizione dei caruggi che le ha dato in questi anni una totale libertà di azione non ci sarà più.
Fine della tripartizione in zone del centro storico
La suddivisione tripartita del controllo del centro storico (una parte a polizia, una a carabinieri e una alla polizia locale), modello introdotto ai tempi della prima giunta Bucci, infatti scomparirà. Il sistema, sponsorizzato dal sindaco e dall’allora assessore leghista Stefano Garassino, si fondava soprattutto sui numeri che la polizia locale può vantare rispetto alle altre forze di polizia, dopo la massiccia campagna di assunzioni di nuovi agenti.
Tuttavia la sottozona fino a oggi tripartita ‘centro storico’ da lunedì tornerà sotto il coordinamento di chi tra polizia e carabinieri in quel determinato turno di lavoro ha il coordinamento del centro città.
Il territorio cittadino infatti, dal punto di vista del pattugliamento, è suddiviso in tre zone i cui confini sono i
torrenti Bisagno e Polcevera: levante, centro e ponente. Per ogni turno due zone sono affidate alla polizia e una ai carabinieri. Da lunedì questa tornerà l’unica ripartizione con i vicoli dentro il ‘centro’
Alla polizia locale degrado, decoro e indagini sul codice rosso
La polizia locale continuerà ad avere un suo ruolo in centro storico, ma prioritariamente le sarà chiesto di svolgere alcuni compiti tradizionalmente più legati a quelli che erano una volta si chiamavano “i vigili”, vale a dire degrado, decoro urbano e raccolta delle istanze di cittadini e commercianti.
Ancora, come aveva spiegato la sindaca di Genova Silvia Salis sarà rafforzato il numero degli agenti che si occuperanno di segnalazioni e indagini delegate dalla Procura in tema di violenza domestica e violenza di genere anche per rispondere a una richiesta diretta della Procura.
Questo probabilmente vorrà dire in parte anche riorganizzare i reparti del corpo, ma a questo probabilmente penserà
Il nuovo modello vuole rispondere ai problemi di sovrapposizione tra le forze dell’ordine sollevati in più occasioni da sindacati di polizia, a partire dal Siap e dal suo segretario Roberto Traverso, ma è – occorre precisarlo – anche a una scelta politica dell’amministrazione Salis. Del ‘dossier locale’ la sindaca aveva parlato martedì con il procuratore Nicola Piacente: “la nostra polizia locale è numericamente molto consistente e credo che sia importante fare chiarezza su quali sono le competenze – aveva detto Salis – non per ampliare diminuire le competenze di qualcuno, ma per non creare sovrapposizioni in un campo nel quale c’è una scarsità di risorse e sarebbe ingiusto continuare a duplicare rischiando nella
migliore delle ipotesi di creare un rallentamento. Quindi è importante ristabilire quali sono le reali competenze e in che modo la polizia locale può fare il suo per per concorrere nella gestione della sicurezza”.
Indubbiamente a incidere su un cambio di passo così rapido – a meno di un mese dall’insediamento della nuova giunta – da parte della nuova amministrazione è stata anche l’inchiesta deflgrata a metà giugno che vede coinvolti 15 agenti del reparto sicurezza urbana della polizia locale per presunti abusi (lesioni, falso e peculato) sui fermati. I 15 sono stati trasferiti a mansioni non operative e lo stesso comandante Giurato è stato destituito dall’incarico e trasferito alla direzione ambiente, non tanto per il presunto ‘dossieraggio’ relativo al verbale dell’incidente stradale dell’allora candidata del centrosinistra passato all’assessore Gambino ma soprattutto per non aver vigilato a sufficienza sui suoi uomini.
(da Genova24)
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