Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
LA BOMBA DELL’INDAGINE SUL TURISMO IN SICILIA RISCHIA DI DARE PIÙ DI QUALCHE GRATTACAPO A GIORGIA MELONI, VISTO CHE IL SUO PARTITO DA ANNI HA IN MANO INIZIATIVE E KERMESSE CHE DOVREBBERO PROMUOVERE L’ISOLA
«Il nipote dell’assessora ha iniziato oggi a lavorare nel mio ufficio, quindi tu vuoi che
non mi approvino una cosa del genere? Ma va là!». Da anni l’assessorato al Turismo in Sicilia è retto dagli uomini di Giorgia Meloni. I fratelli d’Italia hanno cercato nel tempo di promuovere la regione con ricchi eventi e cotillon. Kermesse che, specie dopo le ultime inchieste giudiziarie, si sono rivelate vuote.
Dietro alle iniziative «volano di sviluppo» del territorio si è di fatto scoperto un coacervo di interessi, pratiche illecite e mancette che mette insieme mondo imprenditoriale, associazionistico e politico. Relazioni pericolose che per i magistrati della procura di Palermo, che indagano sul sistema di fondi regionali per l’organizzazione di eventi finiti agli amici degli amici, hanno un nome ben preciso: corruzione e peculato.
Queste sono le accuse mosse dai pm nei confronti del presidente dell’Assemblea regionale siciliana e delfino di Ignazio La Russa, Gaetano Galvagno, coinvolto nell’inchiesta insieme all’assessora al Turismo Elvira Amata. Nelle varie informative dei finanzieri emerge un quadro chiaro: un sistema di favori che arriverebbe anche ai livelli più alti delle istituzioni. Ai ministeri, ad esempio. E ai ministri.
«Allora per quanto riguarda il decreto, Elvira ha già dato disposizione di inviare al ministero la somma impegnata, dei trentamila… per la Fondazione Bellisario».
A parlare è il capo di gabinetto vicario dell’assessora Amata, Giuseppe Martino, che, coinvolto nell’indagine della procura guidata da Maurizio De Lucia, ha di recente lasciato il suo incarico.
Sua interlocutrice è invece l’indagata “eccellente”, Marcella Cannariato che, al tempo, seguiva numerose fondazioni e riceveva finanziamenti regionali proprio attraverso l’assessorato al Turismo: l’ipotesi dell’accusa è che dietro ci fosse un patto di scambio. Tradotto: per ottenere quei fondi Cannariato, moglie del patron di Sicily by car Tommaso Dragotto, avrebbe assunto il nipote dell’assessora in una delle sue società e dato un incarico ben retribuito di consulenza a Martin
Ma torniamo all’intercettazione. Che ha ad oggetto una «richiesta di finanziamento presentata all’assessorato regionale al Turismo da parte della Fondazione Bellisario». Una richiesta che, come spiega nella registrazione Cannariato, «necessita dell’approvazione del ministero del Turismo a Roma, ma che comunque è un “atto dovuto”». Perché atto dovuto? Sono i finanzieri che redigono l’informativa a rispondere: «C’è qualche timore sull’ottenimento delle somme ma Cannariato spiega che ha assunto il nipote di Elvira Amata per cui la richiesta di contributo sarà sicuramente accettata».
Quali strumenti di controllo ha pertanto messo in campo il ministero del Turismo circa il «non meglio precisato contributo pubblico»? Alla luce di queste novità giudiziarie, ci si chiede se il dicastero sia vittima o complice di un sistema fatto di nomine, consulenze e favori.
«No, non arriva a fine settimana, loro hanno mandato l’elenco compreso, ci siamo noi come Fondazione, al ministero lo rimanda indietro con l’approvazione del Ministro Donna 26 ed è un atto dovuto l’approvazione», continua a dire la manager che fa pure riferimento a una ministra.
Chi è? La conversazione risale a settembre 2023: al vertice del ministero del Turismo c’era già Daniela Santanché. Sarà lei a celarsi sotto lo pseudonimo affibbiatole dalla procura, che ha oscurato le identità dei personaggi non indagati ma citati negli atti? Una risposta al momento non c’è. Di certo Daniela Santanché viene citata negli atti quando è Sabrina De Capitani, l’ormai ex portavoce indagata di Galvagno, a riferire a una terza
persona di poter intercedere per lui parlando con il «presidente dell’Ars che lo può portare direttamente da Santanchè o La Russa».
«Eee adesso però mi devo, mi devo ammanicare bene La Russa amore […] no glielo deve, glielo deve dire Gaetano, non io», dirà De Capitani – che riferisce pure «di soggiornare in un appartamento a Palermo di FdI» – a proposito del presidente del Senato. Quale il suo scopo? Ottenere favori dai membri di governo? E di che tipo? I detective annotano: «La De Capitani avrebbe pianificato un incontro tra il Naso (Maurizio Naso, direttore marketing dell’Inter, ndr) e Galvagno per fine aprile in Sicilia, che però non sembrerebbe essersi ancora concretizzato;
la donna spiega come sia ancora attuale l’interesse del Naso di parlare con il Presidente dell’Ars e/o con il Presidente del Senato La Russa per ottenere dei fondi alternativi a quelli inizialmente pianificati per “SeeSicily” (progetto sul turismo, ndr), anche in Regioni diversi dalla Sicilia, esternando la propria difficoltà a non rispettare le previsioni di bilancio già formalizzate». Un riferimento viene fatto anche a Meloni, quando l’ex portavoce di Galvagno annuncia a Cannariato che la premier «il 17 e il 18 ottobre sarà a Palermo da loro (all’Ars, ndr)». La manager a quel punto non ci pensa due volte: mette a disposizione per Villa Gattopardo, struttura di sua proprietà.
(da “Domani”)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
SIAMO FUORI TEMPO MASSIMO PER L’ASSEGNAZIONE DI 175 INCARICHI DIRIGENZIALI: LE NOMINE NON SONO ARRIVATE, I DIRIGENTI SONO SOSPESI IN UN LIMBO PROFESSIONALE E GLI UFFICI RESTANO SENZA GUIDA TEGRALE DELLA DIRIGENZA ENTRO IL 2024…
Il Ministero della Cultura (MiC) si trova in una fase di disorganizzazione senza precedenti, che sta paralizzando decine di uffici strategici e mette seriamente a rischio la gestione di progetti fondamentali come quelli legati al PNRR.
Siamo fuori tempo massimo per l’assegnazione di 175 incarichi dirigenziali, la macchina amministrativa del MiC è completamente bloccata: le nomine non sono arrivate, i dirigenti
sono sospesi in un limbo professionale e gli uffici restano senza guida.
Dall’Archivio di Stato di Milano alla Soprintendenza di Venezia, dalla Biblioteca Nazionale di Roma al Parco Archeologico di Ercolano, decine di sedi cruciali sono attualmente gestite in proroga o da funzionari privi di poteri pieni.
Il problema? Le nomine dirigenziali attese da mesi non sono state pubblicate. Una situazione che ha colto di sorpresa gli stessi dipendenti, ignari fino all’ultimo dell’assenza dei decreti di incarico.
Il caos nasce a valle della riforma voluta dall’ex ministro Gennaro Sangiuliano, che prevedeva il rinnovo integrale della dirigenza entro il 2024. Nonostante l’interpello pubblicato solo il 26 maggio per coprire le 175 posizioni, le nomine non sono mai arrivate a destinazione, creando un vuoto organizzativo senza precedenti.
Secondo fonti interne, uno stop della Corte dei Conti avrebbe bloccato l’iter delle nomine, contestando il fatto che siano stati assegnati incarichi a dirigenti esterni o privi dei requisiti di concorso, in deroga ai vincoli normativi.
Un’eredità che parte da lontano: già sotto il ministro Franceschini era stata ampliata la quota di incarichi fiduciari. Oggi, con nuovi ingressi politici, la soglia sarebbe stata abbondantemente superata, obbligando il capo di gabinetto a riscrivere completamente le liste.
La denuncia arriva anche dai sindacati CISL FP e FLP, che in
un comunicato congiunto parlano apertamente di “grande tonfo organizzativo”. Il ritardo nelle nomine sta creando danni economici ai dirigenti di ruolo rimasti senza incarico, in violazione dei principi di buon andamento e continuità amministrativa.
Con progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) da completare entro la metà del 2026, la mancanza di una direzione stabile nelle strutture ministeriali diventa un fattore critico. Il blocco organizzativo non solo rallenta le attività, ma mina la credibilità internazionale del Ministero della Cultura e ne compromette la capacità di spesa.
A complicare il quadro, anche la gestione delle nomine dei grandi musei statali è ferma: per dirigere il Colosseo, il MANN di Napoli, o l’Accademia di Firenze, i colloqui iniziano solo a luglio, sei mesi dopo la pubblicazione del bando.
Il Ministero della Cultura si trova oggi al centro di una crisi amministrativa che non può più essere ignorata. La mancata assegnazione delle nomine dirigenziali sta causando una paralisi senza precedenti, generando danni economici, rallentamenti procedurali e uno stallo che rischia di compromettere progetti chiave per l’Italia.
(da “Il Riformista”)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
LA PREMIER SA CHE UN FALLIMENTO DELLE TRATTATIVE SULLE TARIFFE AVREBBE RICADUTE IN TERMINI DI CONSENSO. IL MONDO IMPRENDITORIALE È GIÀ MOLTO INQUIETO. E SIA LA LEGA CHE FI SEMBRANO SMARCARSI
Raccontano diversi ministri presenti alla Nuvola tre giorni fa, per la conferenza
sull’Ucraina, che Giorgia Meloni lontano da telecamere e taccuini fosse di umore pessimo. Subito dopo uno scambio con Ursula von der Leyen. A tema dazi.
La premier italiana dunque sapeva in anticipo, confermano fonti di Palazzo Chigi, che la lettera preparata da Donald Trump sarebbe stata pesante. Una potenziale legnata per l’economia italiana e del continente.
Nel giorno in cui la missiva viene recapitata formalmente a Bruxelles, Meloni però sposa toni prudenti, in pubblico. In privato si sente di nuovo con von der Leyen, come con altri
leader europei, dal francese Emmanuel Macron al tedesco Friedrich Merz. E con i collaboratori sostiene che la mossa dell’americano sia solo «un rilancio per mettere paura agli europei».
Nel primo pomeriggio, Meloni fa diffondere una nota in cui la parola “lettera” non viene mai menzionata. Si parla genericamente dello «sviluppo dei negoziati». L’Italia, mette a verbale Meloni, «sostiene pienamente» gli sforzi della Commissione Ue e «confida nella buona volontà di tutti gli attori in campo per arrivare a un accordo equo, che possa rafforzare l’Occidente nel suo complesso».
In coda trapela una punta di fastidio per chi fomenterebbe «polarizzazioni che renderebbero più complesso il raggiungimento di un’intesa».
Secondo alcune fonti, già in una telefonata con Trump la settimana scorsa la premier avrebbe parlato del 10% come una soglia «assorbibile» dal nostro mondo produttivo. Del resto, ragiona Meloni, «con una guerra commerciale si fanno male tutti, noi come gli Usa». Dunque ora «calma e continuare a trattare, il negoziato vero inizia adesso».
Dalla cerchia della premier filtra irritazione per chi esaspererebbe i toni. Discorso che investe le opposizioni, ma anche gli allarmi di tante sigle del mondo produttivo, naturalmente molto preoccupate dalla piega che sta prendendo la vicenda.
Ma non solo. Il governo italiano non condivide la postura della Francia, che informalmente viene definita «muscolare» da
diverse fonti dell’esecutivo. Meloni, come il ministro degli Esteri Antonio Tajani, non aderisce all’idea di innescare subito contro-dazi europei. E sembra in linea con la Germania, che ieri chiedeva un «negoziato pragmatico».
Al di là del sostegno pubblico a von der Leyen, più fonti governative raccontano che Meloni non abbia gradito il modo con cui la presidente della Commissione ha gestito finora la trattativa. In modo «poco politico».
E senza fare agli Usa alcune concessioni che si sarebbero potute accordare (e si potrebbero ancora), soprattutto in tema di sburocratizzazione di licenze e procedure. In una giornata funesta, la speranza della premier è che la trattativa si possa ancora rammendare. Che i 18 giorni che mancano alla deadline del primo agosto lascino ancora un margine d’intesa.
Anche perché nella partita possono giocare un ruolo gli investimenti militari, visto che Trump vorrebbe che i paesi europei acquistassero armi americane da spedire poi all’Ucraina. Tajani volerà a Washington martedì, per vedere il segretario di Stato Usa, Marco Rubio.
La premier sa che un fiasco delle trattative avrebbe ricadute in termini di consenso. Il mondo imprenditoriale è già estremamente inquieto. E sia la Lega che FI sembrano smarcarsi. Gli azzurri criticano i dazi, «un danno alla libertà dei commerci», e chiedono all’Europa «di reagire». Mentre la Lega dà la colpa a Bruxelles, all’Ue «a trazione tedesca» che danneggerebbe «imprese e famiglie europee ben prima dei possibili dazi di Trump, che non ha motivi per prendersela col
nostro Paese».
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
I NOSTALGICI HANNO ESPOSTO LA BANDIERA A DUE ASTE CON LA RUNA DI ODAL, SIMBOLO DELL’ORGANIZZAZIONE FASCISTA. E, AL GRIDO DI “PRESENTE”, SI SONO ESIBITI NEL SALUTO ROMANO DAVANTI ALLA CHIESA… NOSTRO RILIEVO: SE UNO E’ PAGANO NON SI FA FARE I FUNERALI IN CHIESA
La bandiera a due aste (ispirata a quella delle “Ss”) con la runa di Odal, simbolo dell’organizzazione fascista Avanguardia
Nazionale, disciolta nel 1976 in virtù della legge Scelba, appoggiata alla facciata del Duomo di Monza da un centinaio di nostalgici, prevalentemente attempati veterani della destra radicale.
L’occasione è il funerale di un loro storico “camerata”, Davide Cattaneo, che contribuì a fondare la sezione monzese del movimento, morto nei giorni scorsi in Scozia, dopo una vita avventurosa, trascorsa in larga parte all’estero, dove ha anche combattuto con formazioni ribelli, come quelle dei Karen in Birmania. Lo stesso stendardo è comparso sabato mattina davanti all’altare della chiesa simbolo della città di Teodolinda, sotto la bara del defunto.
Il via alle polemiche lo hanno dato gli attivisti di Anpi Monza, seguiti da quelli di Sinistra Italiana. «I partecipanti al funerale schierati in formazione paramilitare e al grido “presente” si sono esibiti nel saluto romano. La cerimonia funebre si è quindi tramutata nell’occasione per l’esaltazione del regime fascista. L’organizzazione Avanguardia Nazionale fu sciolta nel 1976 per effetto della legge Scelba».
L’andamento della cerimonia ha certo una piega che ha colto di sorpresa gli stessi responsabili del Duomo, che prendono le distanze da quanto accaduto sabato mattina.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
ALTRA GROSSA ROGNA È LA CAMPANIA: FDI HA MESSO IN CAMPO IL VICEMINISTRO CIRIELLI
Appuntamento a pranzo. Mercoledì prossimo, Palazzo Chigi. Dopo settimane
tempestose e nel bel mezzo dello tsunami dei dazi il centrodestra alle prese con spine grosse, dal Veneto alla Campania, convoca il tavolo della coalizione per fare il punto sulle prossime elezioni regionali.
Ci sarà la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ci saranno i leader di Lega, Matteo Salvini, e Fi, Antonio Tajani, i due vicepremier, e ci sarà anche il capo di Noi Moderati, Maurizio Lupi.
I 4 sono chiamati a trovare un’intesa sui candidati della coalizione di centrodestra in Veneto, Campania, Puglia e Toscana, dove si vota in autunno insieme anche alle Marche. Un risiko non scontato. Dove si giocano partite di veti incrociati, destini personali.
E sarà anche un bel match d’immagine, per il centrodestra: se davvero il centrosinistra vincesse in 4 Regioni su 5 come sogna, per Meloni sarebbe un problema in vista delle politiche. Il Pd di Elly Schlein invece si rilancerebbe.
Le sfide più complicate per la destra sono Veneto e Campania. Nella prima regione il nodo è la successione di Luca Zaia. Governatore leghista da tre mandati, ora non può ricandidarsi, anche se ha a lungo sperato in una modifica della legge elettorale. FdI vuole candidare il parlamentare Luca De Carlo, Zaia spinge per una figura a lui vicina.
In Campania invece FdI spinge il viceministro Edmondo Cirielli, FI aveva ipotizzato l’eurodeputato Flavio Martusciello ora cerca altre figure civiche. Il punto è di tenuta politica della coalizione e si incrocia con le partite di governo. Nei giorni scorsi Zaia ha sferzato il centrodestra dicendo che naviga in acque torbide in Veneto.
Giovanni Donzelli di FdI sulla Campania ha rilanciato il viceministro Cirielli avvertendo FI: se dovessimo mettere le bandierine toccherebbe tutto a FdI.
Se non altro nelle Marche il candidato c’è già, l’uscente Acquaroli. In Puglia non si sa ancora chi potrà sfidare il probabile e avvantaggiatissimo candidato del centrosinistra Antonio Decaro, Pd. In Toscana dovrebbe toccare al sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi, FdI. Ma Lega e FI non lo hanno ancora sdoganato. Scenario teso. Meloni lo sa bene.
(da La Repubblica)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
IMMEDIATA LA RISPOSTA DI O’DONNELL: “È UN TRUFFATORE E UN CRIMINALE. È UN VECCHIO CON LA DEMENZA, PERICOLOSO E SENZ’ANIMA”
Donald Trump sta pensando di revocare la cittadinanza
all’attrice Rosie O’Donnell. A renderlo noto è lo stesso presidente statunitense con un post su Truth: “Dal momento che Rosie O’Donnell non è nel migliore interesse del nostro Grande Paese, sto seriamente prendendo in considerazione l’idea di revocarle la cittadinanza. È una minaccia per l’umanità e dovrebbe rimanere nella meravigliosa Irlanda, se la vogliono. DIO BENEDICA L’AMERICA!”.
Vent’anni di faida
L’attrice, molto nota negli Stati Uniti dove ha vinto prestigiosi premi come gli Emmy Awards e un Tony Awards, da tempo critica apertamente Donald Trump e, dopo la seconda elezione alla presidenza degli Usa, ha deciso di trasferirsi in Irlanda.
La loro faida, ricordano i media americani, dura ormai da quasi vent’anni. Tutto iniziò nel 2006 quando, durante una puntata di ‘The View’, l’allora conduttrice O’Connell criticò la “bussola morale” di Donald Trump. Da allora si sono susseguite critiche, battute e attacchi personali. Il presidente ha persino citato l’attrice in una recente conversazione con il primo ministro irlandese.
La risposta di Rosie O’Donnell
Rosie O’Donnell perderà dunque la cittadinanza? I media statunitensi fanno notare che la cittadinanza statunitense per diritto di nascita è tutelata dal XIV emendamento della Costituzione e non esistono precedenti a una revoca di questo
tipo.
L’attrice in ogni caso ha risposto sui social a Donald Trump, definendo il presidente un “truffatore, “criminale” e “bugiardo che danneggia la nostra nazione per servire se stesso”. “Il presidente degli Usa – ha scritto su Instagram – ha sempre odiato il fatto che io lo veda per quello che è, ecco perché mi sono trasferita in Irlanda. È un vecchio pericoloso senz’anima con la demenza che manca di empatia, compassione e umanità. Sono in diretta opposizione a tutto ciò che rappresenta, e così milioni di altri”.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
LINEA DURA, DURISSIMA, ALTRIMENTI, ALLE LEGNATE DI TRUMP, DOMANI, ALL’APERTURA DELLE BORSE, SI AGGIUNGERANNO I CALCI IN CULO DEI MERCATI… LA CINA HA DIMOSTRATO CHE, QUANDO RISPONDI CON LA FORZA, TRUMP FA MARCIA INDIETRO – SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” ORMAI È RIMASTA L’UNICA A IMPLORARE, SCODINZOLANTE, “IL DIALOGO” COL DAZISTA IN CHIEF, NEMMENO LE CIFRE CATASTROFICHE SULLE RIPERCUSSIONI DELLE TARIFFE USA SULLE AZIENDE ITALIANE, TANTO CARE ALLA LEGA, HA FERMATO I DEMENZIALI APPLAUSI ALLA LETTERA-RAPINA DA PARTE DI MATTEO SALVINI
Tutto è saltato quando il negoziato tra il commissario europeo Maros Sefcovic e i
gangster in doppiopetto della Casa Bianca stava andando per le lunghe. E il Trumpone, che è un tipino che gioca a poker mentre Ursula von der Leyer preferisce il ramino,
ha scoperto le carte. Il Caligola a stelle e strisce vuole un accordo politico, non solo commerciale, essendo consapevole del rischio di vedere gli affari dell’Unione Europea finire tra le braccia del suo nemico numero uno, la Cina.
Ed è partita la letterina dell’Al Cafone di Mar-A-Lago, che è una pistola puntata alla tempia dell’Europa (“Non reagite o aumentiamo ancor di più i dazi”) che si è trastullata tra la strategia dura di Macron e la posizione sottomessa di Merz e Meloni.
Ma il 10% di dazi di cui si dibattevano come galletti in un pollaio fino a ieri, zac! è diventato il 30% e anche il cancelliere tedesco ha abbandonato al suo destino di scodinzolante
cagnolino trumpiano la “Giorgia dei Due Mondi”. Basta sbirciare l’imbarazzante e imbarazzato comunicato di Palazzo Chigi di ieri per rispedire la premier a casa, a pettinare le bambole.
Il Dazista della Casa Bianca è fatto così: prima ti rifila una tortorata in testa e poi ti invita a pranzo, tanto c’è tempo fino al primo agosto per negoziare quel 30% che è un cappio fatale per l’economia e la stabilità politica del Vecchio Continente, assediato da partiti di destra e ultra-destra che ancora non vogliono capire che “America First” se ne fotte di loro.
Nemmeno le cifre catastrofiche sulle ripercussioni delle tariffe Usa sulle le aziende del Nord, tanto care alla Lega, ha fermato i
demenziali applausi alla lettera-rapina da parte di Matteo Salvini.
Finiti in un vicolo cieco, ai leader europei è rimasta una sola via di uscita, quella cosiddetta “omeopatica”: rispondere al male con il male. Linea dura, durissima, altrimenti, alle legnate di Trump, domani, all’apertura delle Borse, si aggiungeranno i calci in culo dei mercati.
Su “La Stampa”, Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia e già capo economista della Banca Mondiale, pochi minuti dopo l’annuncio di dazi del 30% dagli Usa all’Ue, l’ha detto chiaro e forte: “L’Unione europea, se unita, ha un’economia più forte di quella statunitense. Non deve cedere ai ricatti di Donald Trump
L’Ue risponda con una tassa aggiuntiva alle aziende americane. Gli Stati Uniti hanno perso credibilità. Il futuro sarà altrove”.
E con un colpo secco, come un cassetto chiuso con una ginocchiata, Stiglitz avvisa i naviganti: “Trump non agisce secondo alcun principio economico, non conosce lo stato di diritto, è semplicemente un bullo che usa il potere economico come unica leva. Se potesse, userebbe quello militare’’
Da ieri sono in corso affannose telefonate tra Macron, Starmer, Tusk, Meloni, Sanchez per trovare il bandolo della matassa e trovare una contromossa economica intelligente al Criminale in Chief.
Mentre Ursula von der Leyen, che non sa che pesci pigliare, sta
lì col telefonino in mano ad aspettare ciò che decideranno i capoccioni europei, Stiglitz consiglia: “L’Europa potrebbe anche valutare ulteriori azioni contro specifiche aziende americane. Una possibilità è imporre una tassa aggiuntiva sui profitti delle grandi aziende statunitensi, per compensare i danni inflitti all’economia europea. La Cina ha dimostrato che, quando rispondi con la forza, Trump fa marcia indietro. Ma se cedi, lui chiederà sempre di più. Sarebbe un errore molto grave mostrarsi arrendevoli”.
(da Dagoreport)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
“400 ORE A TITOLO GRATUITO”
La redazione di Fanpage.it, ha ricevuto la lettera di uno studente di Scienze Infermieristiche di un Ateneo del Nord Italia. Il lettore, che scrive da Milano, ha raccontato le condizioni che vivono i tirocinanti negli ospedali. In particolare, turni massacranti e ore non pagate. Di seguito, la lettera integrale di Luca.
“Vi scrivo questa lettera perché sono stanco ed esausto. Mi chiamo Luca (nome di fantasia perché per evitare ripercussioni preferisco mantenere l’anonimato) e sono uno studente di scienze infermieristiche presso un Ateneo nel Nord Italia.
In questi mesi afosi di estate sto svolgendo il mio tirocinio in ospedale con più di 400 ore a titolo gratuito: già, noi studenti non siamo pagati durante il nostro tirocinio.
“Si vive come scarafaggi”: un ex detenuto racconta le condizioni disumane vissute nel carcere di Bresci
Anche se sulla carta siamo tirocinanti noi seguiamo mensilmente gli orari ed i turni degli infermieri ospedalieri: di fatto il nostro tirocinio è di manovalanza, corriamo nel reparto per curare i pazienti con i nostri tutor che ci insegnano le procedure.
Ma purtroppo spesso siamo costretti a fare anche gli OSS in quanto nella sanità pubblica c’è carenza di questa figura.
Il punto è che però noi paghiamo le tasse universitarie per imparare la professione infermieristica, non quella da operatore socio-sanitario; ma siamo costretti a farlo lo stesso con la solita ipocrita retorica del “Lo si fa per il bene del paziente” quando in realtà lo dobbiamo fare per colpa della disorganizzazionemancanza di fondi del Sistema Sanitario Nazionale.
E l’Università non ci ha mai spiegato con attenzione quelle che sarebbero le movimentazioni nelle alzate dal letto dei pazienti (perché è competenza degli OSS!) ed io mi sono anche preso una dorso lombalgia e non posso nemmeno restare a casa a riprendermi perché altrimenti rischierei di perdere le ore che andrebbero ad accumularsi rallentandomi il mio percorso di studi
Tutto questo noi tirocinanti lo facciamo a titolo gratuito: nemmeno un rimborso spese per chi come me ha la sfortuna di abitare lontano dall’Ospedale ed è costretto a spendere di tasca
propria la benzina o l’abbonamento ai mezzi di trasporto pubblico; il tutto con i rischi di contatto biologico a cui quotidianamente siamo esposti con pazienti con malattie infettive.
Ecco perché Infermieristica non attrae più: mentre in altri paesi come la Francia gli studenti durante il tirocinio vengono retribuiti, qua non possiamo nemmeno lamentarci perché “siamo solo degli studenti” oppure “dobbiamo farci prima la gavetta”.
Peccato che tanti miei compagni di corso hanno abbandonato questo percorso universitario proprio perché stanchi di fare sacrifici non retribuiti e sotto demansionati.
Invece, chi come me decide di continuare, sta già pianificando di cercare poi lavoro all’estero dove la professione viene riconosciuta sia a livello economico che sociale.
E questo non è un problema che riguarda solo degli infermieri ma riguarda tutti i cittadini: di questo passo negli anni futuri non ci saranno più professionisti della salute negli Ospedali e nei Pronto Soccorso che si prenderanno cura della loro salute e di quella dei loro cari”.
(da Fanpage)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
MA COME MAI IN USA SI RISOLVONO COSÌ POCHI CRIMINI? ALLA CARENZA DI RISORSE, SI AGGIUNGE LA FACILITÀ CON CUI SI PUÒ ACCEDERE ALLE ARMI DA FUOCO
Qualcuno ha ucciso Raymel Atkins a Louisville, Kentucky, nel 2023. Più di un anno
dopo, sua madre e sua sorella non sanno chi sia stato; la polizia non ha effettuato alcun arresto nel caso. Lo stesso vale per Tiffanie Floyd, uccisa nel 2021. E per Michael David, ucciso nel 2017. E per Cory Crowe, ucciso nel 2014.
In effetti, la polizia di Louisville non arresta nessuno in circa la metà dei casi di omicidio. Ho parlato con i familiari di una dozzina di vittime. Tutti mi hanno espresso un sentimento simile: la polizia li ha abbandonati. “Alla polizia non importa davvero,” ha detto Deondra Kimble, zia di David. “Me l’hanno dimostrato.”
Il dipartimento di polizia di Louisville riconosce gravi problemi; afferma di avere circa 300 agenti in meno rispetto all’organico completo. Il dipartimento sta cercando di affrontare queste criticità, ha dichiarato Jennifer Keeney, portavoce. Ha condiviso un messaggio per le famiglie delle vittime di omicidio: “Comprendiamo il loro dolore, la frustrazione e la rabbia. Vogliamo che sappiano che anche per noi è frustrante e che ci importa davvero.”
Louisville è il simbolo di un problema nazionale. Negli Stati Uniti, spesso chi commette un omicidio resta impunito. Il tasso di risoluzione — la percentuale di casi che portano a un arresto o che vengono comunque risolti — era del 58% nel 2023, ultimo
anno per cui ci sono dati dell’FBI. Ma tale dato è sovrastimato, perché include omicidi avvenuti in anni precedenti ma risolti nel 2023.
In altre parole, le probabilità che un assassino venga catturato entro un anno sono simili a quelle del lancio di una moneta. Per altri reati, i tassi di risoluzione sono ancora più bassi. Solo l’8% dei furti d’auto porta a un arresto.
Rispetto ad altri Paesi sviluppati, gli Stati Uniti fanno un lavoro insolitamente scarso nel risolvere gli omicidi. I tassi di risoluzione di Paesi come Australia, Regno Unito e Germania si aggirano attorno al 70%, 80%, perfino al 90%. Diversi fattori — scarsità di risorse, volume dei casi e sfiducia nella polizia
rendono il lavoro dei detective americani molto più difficile. “È un problema serio,” ha detto Philip Cook, ricercatore di giustizia penale alla Duke University.
La mancanza di responsabilità legale incoraggia i criminali, generando più crimine e violenza.
“È un circolo vizioso,” ha detto Brian Forst, criminologo all’American University. “Quando i criminali vedono che la polizia non è lì per fermare i reati o arrestare i colpevoli, restano in strada a fare altro male. E il resto della comunità si sente meno dissuaso dal delinquere. Pensano: ‘Perché no? Tanto non mi prenderanno.’”
Molti fattori portano una persona a commettere un omicidio, ma uno di questi è se l’omicida viene arrestato. Primo: un killer incarcerato non può uccidere ancora — un effetto chiamato “incapacitazione”. Secondo: arrestare un assassino serve da deterrente per altri potenziali assassini.
Negli Stati Uniti si dà spesso enfasi alla severità. Negli ultimi decenni, i legislatori hanno risposto all’aumento del crimine allungando le pene detentive. Ma si è prestata meno attenzione alla rapidità e alla certezza della punizione — che, secondo alcuni esperti, potrebbero contare di più. Se la gente non crede che verrà catturata — e in tempi brevi — allora la lunghezza della pena è irrilevante. Minacce vuote non li scoraggeranno.
“La certezza di essere catturati è un deterrente molto più forte
della severità della pena,” ha concluso il National Institute of Justice nella sua revisione delle evidenze.
Perché l’America risolve così pochi crimini?
Gli esperti indicano cinque spiegazioni principali.
1. Carenza di attenzione e risorse
Siamo in grado di risolvere casi difficili. Infatti, gli studi dimostrano che i dipartimenti di polizia risolvono più omicidi e sparatorie quando vi dedicano più tempo e denaro. Un programma a Boston, che ha rivisto le procedure e aumentato le risorse per le indagini sugli omicidi, ha portato a un aumento del 23% nel tasso di risoluzione. Il NYPD ha uno dei dipartimenti di polizia meglio finanziati e con più personale del Paese, e riporta costantemente tassi di risoluzione più alti rispetto ad altre grandi città.
Tuttavia, per decenni i dipartimenti e i legislatori si sono concentrati su strategie proattive, come il dispiegamento massiccio di agenti nei quartieri, puntando a prevenire i reati prima o mentre accadono. Queste strategie possono funzionare per combattere il crimine, come mostrano alcuni studi. Ma non dovrebbero andare a scapito dell’altro aspetto fondamentale del lavoro di polizia: catturare i colpevoli dopo il fatto.
2. Le armi da fuoco
Gli Stati Uniti hanno più armi da fuoco di qualsiasi altro Paese al mondo, e queste armi rendono più facile farla franca con un
omicidio. Uno sparatore da un’auto in corsa può scappare prima che qualcuno ne veda il volto, rendendo l’omicidio anonimo.
3. Tipologie di crimine
Gli Stati Uniti hanno più crimini legati alle gang rispetto ad altri Paesi ricchi, e questi sono più difficili da risolvere. Un crimine personale coinvolge persone con una storia comune. Un marito che uccide la moglie ha con lei un legame legale, facilmente rintracciabile nei documenti del tribunale. I familiari conoscono bene sia la vittima che il colpevole. Questo non accade nei crimini di gang: un affiliato che uccide uno sconosciuto durante un furto d’auto offre alla polizia meno elementi con cui lavorare. Inoltre, i membri delle gang collaborano per coprirsi a vicenda,
e i testimoni potenziali hanno spesso paura di testimoniare contro di loro.
4. Volume di casi
Gli Stati Uniti hanno molti più omicidi e meno poliziotti, proporzionalmente alla popolazione, rispetto ad altri Paesi ricchi. Il numero di casi sovrasta la capacità operativa della polizia. Un detective che si occupa di un omicidio all’anno ha molto più tempo da dedicarci rispetto a uno che ne affronta uno a settimana. “Negli anni siamo stati sopraffatti,” ha detto Emily McKinley, vicedirettrice della polizia di Louisville, ex detective per gli omicidi. “Il crimine violento ci è sfuggito di mano.”
5. Sfiducia nella poliziaMorti e proteste molto pubblicizzate
hanno portato alla luce abusi in diversi dipartimenti di polizia in tutto il Paese. I detective si affidano ai testimoni per risolvere i crimini. Ma “i cittadini comuni non vogliono collaborare con la polizia se la percepiscono come una forza occupante aliena,” ha detto Forst. Inoltre, sono meno propensi a cooperare se pensano che la polizia non sia in grado o non voglia proteggerli da eventuali ritorsioni del sospettato.
(da agenzie)
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