Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
BARTOLOZZI RISPOSE: “ERO STATA INFORMATA. MASSIMO RISERBO E CAUTELA. MEGLIO CHAT SU SIGNAL. NIENTE PER MAIL O PROTOCOLLO” – LO SCAMBIO DI MAIL DIMOSTRA CHE LA PRINCIPALE COLLABORATRICE DI NORDIO (E VEROSIMILMENTE IL GUARDASIGILLI), AVESSE GIÀ RICEVUTO COMUNICAZIONI PRECISE SU ALMASRI IL 19 GENNAIO E NON LUNEDÌ 20, COME SEMPRE SOSTENUTO DA NORDIO
Nel primo pomeriggio di domenica 19 gennaio, quando scrisse al capo di Gabinetto Giusi Bartolozzi per comunicarle le proprie valutazioni sull’avvenuto fermo di Osama Najeem Almasri ricercato dalla Corte penale internazionale, l’allora capo del Dipartimento affari di giustizia Luigi Birritteri segnalò subito l’eventualità che il ministro Carlo Nordio avrebbe dovuto compiere un «atto urgente».
Senza il quale l’arresto del generale libico accusato di crimini di guerra e contro l’umanità sarebbe rimasto inefficace. Come poi è avvenuto.
È un altro particolare che emerge dalle comunicazioni interne tra i funzionari del ministero della Giustizia in quella domenica,
dopo il blitz della Digos nell’albergo torinese dove alloggiava Almasri.
La mail con cui Bartolozzi rivelò a Birritteri, alle 15.28, di essere già a conoscenza della vicenda, raccomandando massima riservatezza, dimostrerebbe che la principale collaboratrice di Nordio (e verosimilmente il Guardasigilli) avessero già ricevuto comunicazioni o sollecitazioni abbastanza precise su Almasri. Forse più della «comunicazione assolutamente informale, di poche righe e priva di dati identificativi» di cui il ministro riferì in Parlamento.
Anche perché è più che probabile che a quell’ora ci si fosse attivati anche in altri palazzi del governo.
La riprova che invece al Guardasigilli fossero giunte solo informazioni scarne e del tutto generiche sarebbe —– per i sostenitori della correttezza del ministro e del suo braccio destro — proprio nella mail precedente, inviata alle 14.35 a Bartolozzi da Birritteri, che scrisse: «Concordo su una prima valutazione (fatti salvi i necessari approfondimenti) inerente l’irritualità della procedura che sinora non vede coinvolto il ministero della Giustizia come autorità centrale competente. Domani faremo le nostre valutazioni, sulla base della documentazione che ci verrà eventualmente trasmessa».
Questa sarebbe la dimostrazione che a Nordio, la domenica pomeriggio, non era arrivato nulla che lo mettesse in condizione
di decidere alcunché. Ma a parte che a quell’ora il magistrato di collegamento con l’Olanda aveva già trasmesso il mandato d’arresto della Corte dell’Aia attraverso il ministero degli Esteri sulla piattaforma dedicata (che però la capo di Gabinetto sostiene di aver aperto solo l’indomani), il problema resta quello che sarebbe dovuto accadere il giorno dopo. E che non è accaduto.
Nel seguito della mail il capo del Dag precisò di rivolgersi (fra gli altri destinatari) a Bartolozzi «per doverosa informazione», e perché gli eventuali «provvedimenti urgenti» da adottare «ci vedono privi di delega, come da me già evidenziato anche al capo di Gabinetto in precedenti comunicazioni. Potrebbe dunque
emergere la necessità di atti urgenti a firma dell’On. Ministro».
Birritteri aveva compreso che si trattava di un caso delicato e aggiunse: «La questione manifesta una possibile valenza politica di non trascurabile entità, trattandosi di questione inerente lo scenario nord-africano ed anche sotto questo aspetto la si segnala al capo di Gabinetto. Sentiamoci ove dovessero emergere ulteriori elementi, ovvero una qualunque necessità urgente in modo da assicurare al ministro ogni doveroso supporto tecnico».
A questo articolato messaggio, Bartolozzi rispose con le poche righe ormai note: «Ero stata informata. Massimo riserbo e cautela anche nel passaggio delle info. Meglio chat su Signal.
Niente per mail o protocollo».
Nessun riferimento agli «atti urgenti» evocati da Birritteri, cioè a un provvedimento del ministro ritenuto necessario a sanare la mancata «interlocuzione preventiva» tra la Procura generale di Roma e il ministero, e rendere valido l’ordine d’arresto. La questione si ripropose l’indomani, quando il ministro ricevette l’intero fascicolo dall’Aia e dal procuratore generale di Roma Giuseppe Amato, che aveva precisato in una nota: «Si è in attesa delle determinazioni della Signoria Vostra in ordine alle attività da porre in essere».
Birritteri fece preparare e inviò al capo di Gabinetto, per sottoporla al Guardasigilli, la bozza del provvedimento utile a
tenere il libico in carcere e consegnarlo ai giudici dell’Aia, ma il ministro non la firmò.
Né lunedì, né martedì 21 gennaio, quando la Corte d’appello — in mancanza di qualunque risposta di Nordio e su parere conforme del procuratore generale — liberò il ricercato. Il «caso Almasri», per ciò che riguarda il ministero della Giustizia, è tutto qui.
(da Il Corriere della Sera)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
DOVRANNO RICOSTRUIRE IL GIRO DI RELAZIONI DELL’INDAGATO ANDREA SEMPIO IN QUELL’ESTATE DEL 2007 E PROCEDERE A PRELIEVI MIRATI DI DNA. I RIS POTREBBERO COMINCIARE DAI PARENTI DEL SUICIDA MICHELE BERTANI. MA ANCHE DAGLI AMICI STRETTI: IL FRATELLO DELLA VITTIMA, MARCO POGGI, E ALESSANDRO BIASIBETTI (OGGI FRATE)
La porta spalancata dalla scoperta del profilo biologico Y947, il tracciato numero
1300-2-335283-114472 che porterebbe all’individuazione di un “Ignoto 3”, si apre su uno scenario finora sconosciuto agli stessi investigatori.
Perché, se è vero che lo stesso capo di imputazione accusa Andrea Sempio di aver ucciso Chiara Poggi “con il concorso di altri soggetti o di Alberto Stasi”, mai prima d’ora la presenza di un eventuale complice si era affacciata con la forza dell’evidenza scientifica. L’esame è stato ripetuto ieri pomeriggio nei laboratori della Scientifica, in Questura: gli esiti sono attesi a ore e pochissimi sono i dubbi sulla conferma.
Dunque, al di là dei rumori di fondo sulle gemelle Stefania e
Paola Cappa, sul Santuario della Bozzola e sugli amici dell’indagato (a cominciare dal suicida Michele Bertani, scomparso nel 2016 e menzionato da Sempio durante la prima inchiesta a suo carico), la lente della Procura di Pavia e dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano si era finora posata esclusivamente sul 37enne commesso di telefonia.
E poi l’indagine tradizionale: l’analisi dei suoi movimenti del 13 agosto 2007, le verifiche su quelli dei genitori, gli orari, le telefonate, l’alibi, i contatti e il possibile movente dell’amico di Marco Poggi, che frequentava la villetta alla periferia di Garlasco per giocare ai videogame con il fratello della vittima e il resto della compagnia di allora: Roberto Freddi, Mattia Capra
e Alessandro Biasibetti. I loro profili biologici sono tra quelli già confrontati con “Ignoto 3”, e scartati.
Ora, l’indagine che sta tentando di riscrivere la storia del delitto di Garlasco, e che è partita dal punto fermo del dna sulle unghie della vittima (sarà l’ultimo degli esami in ordine cronologico nell’incidente probatorio affidato ai periti Denise Albani e Domenico Marchigiani, e quello davvero decisivo) si trova di fronte all’esigenza di riscrivere se stessa.
E rivedere la convinzione, finora maturata, che Andrea Sempio potesse aver varcato la porta di via Pascoli 8 anche quel lunedì mattina di diciott’anni fa, uccidendo in solitaria. Senza la complicità di un “Ignoto 2” — il labile profilo presente su
un’altra unghia della vittima — cui sarà difficile attribuire un’identità in laboratorio vista la bassa presenza di marcatori sui tracciati compilati nel 2014. Senza la presenza di un “Ignoto 3” che andrà identificato.
Cominciare dallo stesso Bertani, e dai suoi parenti in vita. Riascoltare gli amici stretti: Marco Poggi e Alessandro Biasibetti (oggi frate) e ancora Freddi e Capra. Cercarli tra le conoscenze remote dell’indagato, all’epoca fresco di maturità (voto: 64) all’istituto tecnico Calvi di Sannazzaro de’ Burgondi.
Ex compagni di scuola, frequentatori di bar e locali a Garlasco, iscritti a corsi professionali o di krav maga. Un paziente e lungo lavoro di ricostruzione che — come filtra da ambienti
investigativi — non pare abbia il supporto del materiale sequestrato a Sempio e ai genitori: nessuno, finora, tra i taccuini, i diari, gli scritti e i supporti informatici prelevati lo scorso 14 maggio presenterebbe riferimenti alla vita del commesso prima del 2017. Sparito tutto. Un fronte d’indagine che si annuncia caldissimo.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
È GIÀ NEI CDA DEL PICCOLO TEATRO DI MILANO (NOMINATO DA SANGIULIANO) E DELLA HOLDING DEI GIOVANI BERLUSCONI… LE OPPOSIZIONI PROTESTANO PERCHÉ, CON UN EMENDAMENTO AL DECRETO INFRASTRUTTURE, IL GOVERNO HA ASSEGNATO 5 MILIONI DI EURO IN PIÙ ALL’ANNO PROPRIO ALL’ACI
Qualcuno le chiama carriere fortunate. Qualcun altro strane coincidenze. Una cosa è certa, la scalata di Geronimo La Russa, figlio del presidente del Senato di FdI Ignazio, parrebbe aver subito un’impennata significativa
E, di fronte alla parabola politica del padre – già ministro della Difesa, figura centrale nella destra italiana da oltre trent’anni e
attualmente uno dei big del partito di maggioranza del governo – è inevitabile osservare anche il percorso pubblico e para-istituzionale del figlio.
Antonino Geronimo La Russa, si diceva: un nome che non passa inosservato, non tanto per l’originalità quanto per la frequenza con cui compare in consigli d’amministrazione e cariche apicali di Enti e fondazioni che contano. L’ultima elezione, solo pochi giorni fa, alla presidenza dell’Automobile Club d’Italia: stipendio annuo da 230mila euro.
Avvocato milanese, classe ‘80, per anni si è mosso nelle seconde file della destra imprenditoriale e istituzionale lombarda. Chi lo conosce dice che non è poi così raro
incontrarlo per un pranzo dal “Salumaio” di via Montenapoleone con Barbara Berlusconi, di cui è amico di vecchia data, ma anche nell’area vip dell’Autodromo di Monza, dove aveva fatto da Cicerone anche a Giorgia Meloni.
Se già dal 2018 era presidente di Aci Milano, carica confermata nel tempo, lo scorso anno è stato nominato vicepresidente nazionale del Club, oltre che vicepresidente di Sara Assicurazioni, la compagnia assicurativa controllata dall’ente che si occupa della gestione del Pubblico registro automobilistico (Pra).
È anche consigliere della cassaforte dei tre figli più giovani di Berlusconi, la holding H14 – che possiede il 21% di Fininvest – e di M4 Spa, società che gestisce la costruzione della metro blu di Milano.
A tutto questo, nel novembre del 2023, si è aggiunta una nomina che ha fatto molto discutere: quella nel consiglio d’amministrazione del Piccolo Teatro di Milano, istituzione culturale simbolo del teatro italiano nel mondo e presidio di antifascismo.
Designazione – a titolo gratuito, va specificato – ottenuta per volere dell’allora ministro Gennaro Sangiuliano, uomo di FdI vicino alla premier, almeno fino allo scandalo Boccia. In occasione di quella scelta, fu lo stesso sindaco di Milano Beppe Sala, pur riconoscendo la legittimità della nomina, ad esprimere
qualche remora sul profilo culturale del rampollo di casa La Russa: «Il Piccolo dovrebbe essere un punto d’arrivo dopo un percorso nella cultura, non un punto di partenza».
Fino all’ultima elezione, quella alla guida dell’Aci nazionale, che ha fatto infuriare le opposizioni, anche perché con un emendamento della maggioranza al decreto Infrastrutture, il governo ha assegnato 5 milioni di euro in più all’anno proprio all’Aci a partire dal 2025.
Dal libro del gossip, poi, viene fuori il nomignolo che gli era stato affibbiato qualche anno fa: «l’ultimo indiano della Torre Velasca». È stato infatti l’ultimo inquilino, dopo lunga resistenza, a lasciare l’appartamento in cui abitava nello storico
grattacielo milanese, prima della ristrutturazione.
Il suo passato ha avuto anche qualche ombra: negli anni ‘90, con alcuni amici, venivano chiamati «i vandali del sabato sera»: si imbucavano alle feste e lasciavano il segno.
È rimasta nelle cronache la serata a casa Vecchioni, con tanto di gioielli rubati e denuncia. Lui giurò di essere estraneo ai fatti (in effetti non ebbe conseguenze) e smise di frequentare il gruppo.
Geronimo, però, non è l’unico nome ricorrente negli ambienti vicini al potere: il secondogenito Lorenzo Cochis, classe ‘95, è stato assunto nella Fondazione Milano-Cortina 2026 come coordinatore delle cerimonie, dopo essere stato consigliere di Municipio a Milano. Pare proprio che a lui, papà Ignazio voglia
affidare l’eredità politica.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
“I MERCATI, CHE FINORA HANNO TENUTO, CROLLERANNO ALLA RIAPERTURA. QUELLA DI DONALD È UNA STRATEGIA. LUI, I PARENTI E I FAVORITI, GUADAGNANO UN MUCCHIO DI SOLDI OGNI VOLTA CHE FA UNA ‘SORPRESA’ AI MERCATI”
«Ormai sembra un quiz televisivo a premi, in cui il confine fra il reale e il paradossale
si sta sfumando. È un modo terrificante di interpretare la presidenza di un Paese importante come gli Stati Uniti, un modo di giocare con l’economia mondiale senza
precedenti».
Robert Engle ha vinto il premio Nobel per l’economia nel 2003 proprio per i suoi metodi di analisi sulle serie storiche dei comportamenti, delle azioni e reazioni dei mercati rispetto a shock imprevisti. «Non ho mai visto nulla del genere», insiste.
«E non si è mai visto un presidente che decide e dispone sui destini del pianeta dalla sua camera da letto, armato di un cellulare, con un semplice messaggio su un social, a seconda dell’umore con cui si è svegliato».
Engle, nato nello stato di New York nel 1942, PhD al Mit, ha insegnato statistica economica – prima di trasferirsi alla New York University – a San Diego, e da lì ci risponde.
Professore, per Trump è un gioco o ha una strategia politica
«Sembra la prima ma è la seconda. La posta in palio è uno smisurato potere politico e soprattutto economico. Lui, i parenti e i favoriti, guadagnano un mucchio di soldi ogni volta che fa una “sorpresa” ai mercati.
Quanto al potere politico, ricorda i dittatori del passato con il loro sogno di diventare “padroni del mondo”. Le democrazie occidentali devono fare muro, smetterla di affidarsi a improbabili vie diplomatiche e reagire con grinta»
Da dove cominciare?
«Dal Congresso e dalla Costituzione degli Stati Uniti, che per fortuna ancora esistono. Molto è affidato alla Corte suprema: si
spera che nelle decisioni che li attendono i giuristi non si facciano sopraffare dall’orientamento politico ma valutino con rigore il diritto vigente.
E riescano a scardinare il meccanismo diabolico che Trump sta oliando. Deve prevalere il principio che la politica commerciale spetta al Congresso: altrimenti lo scivolamento antidemocratico è irreversibile».
Dal punto di vista economico, sono sostenibili dazi al 30%?
«Assolutamente no. Sarebbe la fine del sistema economico globale, una recessione e un’inflazione spaventosi. Ora si cercherà di rientrare in termini più verosimili ma con Trump non si può mai sapere: per divertirsi con la sua reputazione di “Taco”
magari scenderà al 20%, ma comunque il quadro è insostenibile. La lettera segna un prima e un dopo. Senza contare che contiene grossolani errori di merito».Ad esempio?
«Si chiede alla Ue di abbattere i dazi all’entrata: ma questi sono in media dell’1,8%. Dov’è il margine d’intervento? I mercati, che finora hanno tenuto, crolleranno alla riapertura. La lettera è stata pubblicata di sabato per evitare una reazione a caldo che sarebbe stata violentissima: ma due giorni di distanza non fanno la differenza».
(da “la Repubblica”)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
NON SI TIRA INDIETRO QUANDO C’È DA DIFENDERE IN TRIBUNALE MEMBRI DEL GOVERNO DI CUI FA PARTE, RICOPRE LA CARICA DI SENATRICE, MA È ANCHE PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE GIUSTIZIA DOVE STA LAVORANDO ALACREMENTE PER LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE (DEGLI ALTRI)… D’ALTRA PARTE LO STIPENDIO DA PARLAMENTARE SONO BRICIOLE RISPETTO A QUANTO INCASSA COME AVVOCATO
Come si fa a non ammirare l’avvocata, senatrice, presidente della commissione Giustizia, Giulia Bongiorno.
L’avvocata (anche se lei preferisce il maschile “avvocato”) è spesso in Senato. Del resto la sorte (e il partito) le ha assegnato un ruolo di prestigio: è presidente della commissione della materia che meglio conosce, la Giustizia, il luogo in cui sta maturando la riforma più importante, sicuramente la madre di tutte le battaglie, del governo Meloni. Bongiorno, tuttavia, è anche tanto in giro. Consuma ancora la toga nelle aule di tribunale in processi affatto di secondo piano, anzi: è lì a Olbia, in Sardegna, a combattere per la ragazza abusata da Ciro Grillo, figlio di Beppe nonché a lungo capo dell’opposizione grillina.
Dalla Costa Smeralda eccola a Palermo: la ricordiamo nella sfida ai pm siciliani che accusavano Matteo Salvini di sequestro di persona.
Sono lontani i tempi in cui arringava nel processo Andreotti, Bongiorno ora si è specializzata nel districarsi tra libera professione e ruoli istituzionali. Mica facile. La pratica richiede attenzione, cadere sul codice deontologico del conflitto di interessi non è impossibile, ma neppure realistico perché gli ordini sono molto garantisti con gli iscritti, come dimostrano alcune decisioni dei consigli disciplinari.
Bongiorno, quindi, può lavorare serenamente tra la commissione giustizia e lo studio Bongiorno. Peraltro può farlo anche con
comodità: la sede degli affari privati è a pochi passi dal Senato, dove lavora senza sosta alla riforma della separazione delle carriere. «Unico obiettivo è l’indipendenza e terzietà dei giudici», ha detto in un’intervista.
C’è da chiedersi se l’ultimo incarico ricevuto per difendere Giorgia Meloni, Carlo Nordio, Alfredo Mantovano e Matteo Piantedosi non vada in senso contrario all’indipendenza e all’imparzialità, che restano principi cardine anche dell’attività forense.
Di certo per lei nessuno invocherà la separazione delle carriere, tra studio legale e politica
Ora non sappiamo quanto tempo le ruberà il caso Almasri, ma se
dovrà rileggere il fascicolo così tante volte, è facile immaginare che porterà il lavoro anche in Senato.
Il suo tasso di presenza in aula parlamentare è alto, non è per nulla assenteista come il suo collega di partito Antonio Angelucci, il milionario più ricco del parlamento. Solo un dato contabile li accomuna: se il ras della sanità privata ha dichiarato 4,3 milioni di euro nel 2024, l’avvocata del governo arriva a 2,5 milioni. In pratica lo stipendio da senatrice è briciole rispetto ai profitti che continua a incassare dall’attività professionale.
Senza dimenticare il ruolo di consigliera nella fondazione Angelini, il colosso farmaceutico, e le 3mila azioni della Juventus, dal cui cda si è dimessa dopo la nomina a ministra nel governo Conte-Salvini.
(da “Domani”)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
MA COME LI CALCOLA TRUMP I DAZI?
Ma come li calcola, Trump, i dazi? Esiste un criterio, se non certificabile,
comprensibile? Una cosa tipo: base di partenza 15 per cento uguale per tutti, moltiplico per 3,14 se il Paese in questione mi disobbedisce, diminuisco, ma solo di un tantinello, se mi obbedisce?
Esisterà uno staff di calcolatori di dazi, economisti, studiosi dei flussi commerciali, consiglieri strategici, che consegna ogni mattina al presidente un foglietto con qualche cifra scritta a matita, e una gomma per cancellare e correggere?
Oppure un criterio vero e proprio, sebbene arbitrario, non esiste, e tutto è come sembra essere, ovvero decide lui a seconda di come gli gira, spara numeri a casaccio, tira a indovinare? Ieri è
arrivato, nel folle garbuglio di percentuali, anche il 30 per cento per l’Europa, una new entry: prima non si era mai sentita o forse, come è giustificabile, ci era sfuggita. Tutte le cifre comprese tra lo zero e il cento sono apparse, negli ultimi mesi, sulle prime pagine dei giornali. Ci siamo abituati a scorrere quei titoli distrattamente, tanto è volubile la matematica umorale di questo signore che sembra caduto sulla Terra dal più minaccioso e malfamato pianetino di tutte le galassie, e invece è banalmente un affarista americano molto spericolato, e molto chiacchierato, al quale i popoli dell’Interno, per fare dispetto agli odiati popoli delle due Coste, hanno affidato il Paese più ricco e più armato del mondo.
Se l’Europa avesse, della Cina, almeno la saldezza psicologica, avrebbe evitato di sussultare o gioire o abbattersi ad ogni variazione di percentuale. Avrebbe detto a quell’omone anziano, litigioso, bizzarro, non credibile: guardi, prima si metta d’accordo con se stesso e ci presenti, nero su bianco, qualcosa di cui discutere. Fino a che blatera di percentuali dette alla rinfusa, non possiamo risponderle niente di serio.
(da repubblica.it)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
DOPO TANTE POLEMICHE IL CENTROSINISTRA SARA’ COMPATTO
Dopo la cena con Giuseppe Conte mercoledì sera a Roma, già domani il presidente della Campania, Vincenzo De Luca potrebbe vedere Elly Schlein. Perché per andare avanti sull’accordo per la Regione, lo Sceriffo ha bisogno di avere tutte le garanzie del caso dalla segretaria del Pd. Il rapporto con il leader del Movimento è da sempre più facile: i due non hanno mai smesso di parlarsi in questi mesi. Dunque, l’incontro è servito a togliere dal tavolo il veto su Roberto Fico. Tanto che ieri il presidente della Campania ci teneva a far trapelare il fatto che tale veto non sarebbe mai stato definitivo. Perché, quello che vuole è lavorare tutti insieme sul programma. Tradotto: nessuna abiura rispetto al passato, anzi continuità. A partire dalla Sanità. E, soprattutto, il congresso del Pd in Campania. A
rispondere a queste richieste ufficialmente, dunque, deve essere Schlein, visto che Conte non può dare garanzie al posto del Pd.
Il congresso è bloccato da due anni, dopo che il Nazareno ha mandato come commissario Antonio Misiani. D’altra parte, c’erano stati più casi di tesseramento gonfiato. E dunque, il rischio era consegnare a De Luca il partito campano, eleggendo un segretario favorevole al terzo mandato. Ora, il terzo mandato è stato tolto dal tavolo, dunque i tempi sono maturi anche per il Nazareno. Lo stesso Misiani ha già detto privatamente a De Luca che il congresso si farà. Ma ora lo Sceriffo vuole avere il timbro ufficiale da Schlein. La segretaria è pronta a sbloccare il dossier, anche nella convinzione che un rinnovamento della
classe dirigente è nei fatti: prova ne sarebbe anche l’elezione di Sandro Ruotolo a europarlamentare.
Più spinosa è la questione della “continuità”: De Luca è pronto a presentare una lista, se non due, e vuole almeno un assessorato per il fedelissimo, Fulvio Bonavitacola. Addirittura, gli piacerebbe quello della Sanità, tanto più che ha passato gli ultimi mesi a fare nomine in questo settore. Il Pd non ha problemi all’idea che De Luca presenti una sua lista e neanche a prendere in considerazione l’idea di un assessorato. Ma sono scelte che si faranno alla fine, dopo le elezioni, contando i voti. I dem puntano, infatti, sul fatto che sarà Roberto Fico, una volta presidente, a fare le trattative e a prendersi sulle spalle la scelta
finale di come comporre la giunta.
Di certo, De Luca proverà a ottenere il più possibile da Schlein. Ma va detto che la segretaria ha dalla sua una cartuccia in più: il futuro politico di De Luca junior, Piero. Sono mesi che allo Sceriffo viene “consigliato” di non rompere tutto, anche in nome di suo figlio. Lui, vice-capogruppo dem alla Camera, fa parte del gruppo dei mediatori più convinti, dall’inizio. E la stessa segretaria non ha esitato a consentirgli anche una certa visibilità.
Quel che è certo è che sarà una fase di smottamenti e di riaggiustamenti. Ma al momento ai piani alti della politica sembrano tutti concentrati a chiudere, per vincere la Campania: da Schlein, che farà le concessioni necessarie, a Conte, che di fatto è quello che ha sbloccato la trattativa, a Gaetano Manfredi, il sindaco di Napoli, che dal primo momento ha indicato come candidato l’ex vice-presidente della Camera, al responsabile Mezzogiorno dem, Marco Sarracino, per arrivare a Misiani e De Luca jr. Ma intanto, un dato è certo: sia Pd che M5S si sono dati come deadline per chiudere la pratica e iniziare la campagna elettorale, la fine di luglio.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
“HANNO TAGLIATO QUATTRO PUNTATE ALLA TRASMISSIONE. CREDO SIA LA PRIMA VOLTA CHE AVVIENE NELLA STORIA DELLA RAI ED È LA PRIMA VOLTA CHE “REPORT” VIENE PENALIZZATA. A NOI ARRIVANO QUERELE QUASI PER OGNI PUNTATA: È IL TERMOMETRO DI UN PAESE MALATO, ABITUATO A CONVIVERE CON I SUOI TANTI MALI DA CONSIDERARLI LA NORMALITÀ”
Al di là “degli ostacoli che vengono messi di volta in volta, tra spostamenti di
palinsesto, accorciamenti, allungamenti, tagli, devo dire che quello che rende unito questo gruppo ed è straordinario è il progetto di essere in uno spazio libero, che continuerà ad esserlo finché ci sarà questa squadra”. Lo dice Sigfrido Ranucci coautore e conduttore del programma d’inchiesta Report sui Rai 3. Il giornalista è stato fra i
protagonisti dell’incontro ‘Giornalismo d’inchiesta, tra doveri e responsabilità’ a Il libro possibile, il festival sostenuto da Pirelli, in corso a Polignano a Mare.L’elemento che fa da collante a Report “è la condivisione di questo progetto straordinario, quello di incarnare lo spirito del servizio pubblico a servizio del pubblico che paga il canone, che è l’unico editore di riferimento: non può esserlo la politica, chi vince le elezioni, ma il pubblico che paga il canone. La maggior parte delle persone probabilmente neppure vota, ma ha comunque il diritto di essere rappresentata”.
Ranucci, rispondendo alle domande dei colleghi accenna anche ai temi di contrasto nelle ultime settimane con la governance
della Rai: “Hanno tagliato quattro puntate alla trasmissione d’inchiesta più amata dal pubblico, quella più accreditata. Credo sia la prima volta che avviene nella storia della Rai, è la prima volta che Report viene penalizzata. Non è vero che i tagli sono stati fatti a tutti e credo che ci sia stata una scelta a monte che ha nomi e cognomi”.
L’altra incognita è legata ai collaboratori precari di Report e di altre trasmissioni giornalistiche della Rai che attraverso una selezione potrebbero essere assunti nelle sedi regionali: “Il rischio per noi a Report è disperdere così un patrimonio di dieci anni, in cui abbiamo costruito persone specializzate nel giornalismo ed inchiesta con le risorse del servizio pubblico”.
Venendo ai temi dell’incontro al festival, “al giornalismo di inchiesta per poter essere credibile serve coraggio e indipendenza. E poi avere i mezzi per poterlo fare, perché è un giornalismo che ha delle peculiarità diverse rispetto a quello di dare semplicemente delle notizie. Fare inchieste richiede profondità, conoscenza, specializzazione, è un mestiere particolare all’interno del giornalismo”.
A Report “arrivano querele quasi per ogni trasmissione. Questo è anche il termometro, secondo me, di un Paese malato e talmente abituato a convivere con i suoi tanti mali da considerarli la normalità. Io credo che l’antidoto sia il giornalismo libero, d’inchiesta, indipendente e per questo
bisogna rafforzare soprattutto i colleghi della stampa locale. Noi non ci pensiamo, ma se è vero che questo è un corpo malato, i giornalisti locali ne sono gli anticorpi periferici, che devono intercettare il male prima il corpo venga distrutto. Invece sono pagati poco, quando li pagano.
Molte volte sono lasciati in balìa di querele che spesso sono temerarie, non avendo alle spalle un’azienda come ce l’ho io, la Rai e mi sento molto fortunato da questo punto di vista. Spesso loro invece devono confrontarsi con persone che hanno legami con l’imprenditore di turno, il politico di turno, il criminale di turno. Noi dobbiamo dire grazie a questi cronisti. Il vero eroe nel mondo dell’informazione oggi è il giornalista locale”.
Nella realtà attuale, per informarsi “lo strumento più agevole, più facile da consultare sicuramente è il web, che è un mezzo di grande libertà ma anche una sorta di bibliotecario ubriaco, nel senso che viene privilegiata non la verità di una notizia, ma la sua cliccabilità. Questo spesso non coincide con la verità e credo che il compito del giornalista sia quello di presidiare anche il web con credibilità, serietà e capacità di approfondimento.
Anche perché oggi noi vediamo internet invaso da monologhi dei politici che si fanno le loro trasmissioni, le loro rubriche. Le veicolano sui social senza contraddittorio e noi ogni volta è come se staccassimo l’assegno in bianco della nostra libertà, della nostra democrazia a queste persone”.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2025 Riccardo Fucile
CONTRO IL VICEMINISTRO DI FRATELLI D’ITALIA SI MUOVE L’EURODEPUTATO DI FORZA ITALIA, FULVIO MARTUSCIELLO
«Noi non giochiamo a Monopoli», precisa il coordinatore di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli, stiracchiandosi nella poltrona dopo aver corso dieci chilometri sul lungomare di Napoli «fino a Posillipo». All’Hotel Royal Continental va in scena l’Ecr party, la kermesse del partito dei conservatori europei, che si sono appena spaccati sulla mozione di sfiducia a Ursula von der Leyen: i meloniani non l’hanno appoggiata.
È un teatro di relazioni. Tra gli ospiti uno dei vicepresidenti Ecr, il rumeno George Simion dice dal palco: «Dobbiamo incoraggiare i cittadini a fare bambini, altrimenti l’Europa sarà una nazione africana».
I politici pensano già all’autunno, quando si voterà in Veneto, Puglia, Marche, Toscana, Valle d’Aosta Campania. «Serve ovunque il miglior candidato possibile, ma cerchiamo di non mettere le bandierine a tutti i costi», indica la rotta Donzelli. «Anche perché, se lo dovessimo fare, Fratelli d’Italia dovrebbe prendere tutto, visto che Forza Italia governa cinque regioni, la Lega quattro, noi tre».
Il «candidato migliore» in Campania per i fratelli è Edmondo Cirielli, assicura Donzelli. Ma l’accordo nazionale è tutto da costruire. Il Doge veneto Luca Zaia, che non si può ricandidare, ha ventilato una sua lista «da 40 per cento» e Flavio Tosi ha detto con la solita franchezza che «Fratelli d’Italia non può esprimere sei candidati su sei», ciò è bastato per innescare le fibrillazioni.
Ora il Veneto è l’unica regione dove la vittoria del centrodestra è garantita, ma proprio per questo i meloniani la rivendicano per sé. Zaia, che ha mal digerito lo stop al terzo mandato, resta una mina vagante, anche se ieri, da Thiene, ha promesso: «Non lascerò i pozzi avvelenati».
I giornalisti fanno crocchio attorno al ministro Luca Ciriani: «Sono certo che Zaia sosterrà il candidato del centrodestra». Tra
i relatori nel dibattito sull’immigrazione, presentato come «ex ministro e accademico», c’è anche Gennaro Sangiuliano, corrispondente Rai da Parigi. «Ha dato la sua disponibilità a candidarsi come consigliere alla Regione Campania», conferma le voci che girano Antonio Iannone, coordinatore di FdI in Campania.
Non resta che andare a salutare Sangiuliano. Sta chiacchierando con un professore nella hall. E quindi è vero? «Io sto benissimo a Parigi a fare il giornalista». Allora abbiamo archiviato la politica? «Nella vita non bisogna mai dire mai. Sono napoletano doc, mi fa piacere che si sia pensato alla mia persona, la città mi vuole bene, se facciamo una passeggiata potete riscontrarlo».
Istantanee di giornata. I conservatori si alzano in piedi quando parte l’inno di Mameli, ma anche, il che è meno scontato, quando risuona l’inno europeo. Quando Tommaso Foti sbuca nella sala da pranzo parte l’applauso, anche perché annuncia che tra Pnrr e fondi di coesione «il Sud è seduto su un pacco di miliardi: ben 125».
Il sindaco Gaetano Manfredi porta il saluto della città in inglese. Poi da Bruxelles arriva Carlo Fidanza, vicepresidente di Ecr:
«Sul piano strategico la mozione contro von der Leyen è stata un errore, velleitaria, perché ha dato alla sinistra la possibilità di alzare il prezzo con Ursula e di ricompattarsi. Ma ci siamo chiariti dentro il gruppo. La politica dei due forni? È inevitabile, sarà la costante di questa legislatura».
Fidanza fa tutto un ragionamento che si può riassumere così: in prospettiva le barriere contro la destra cadranno e anche l’argine simbolico posto dal Ppe franerà.
(da agenzie)
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