Destra di Popolo.net

ECCOLA, L’ITALIA DEI RECORD DI GIORGIA MELONI: SIAMO IL PAESE CON IL CALO DEI SALARI PIÙ SIGNIFICATIVO DI TUTTE LE ECONOMIE DELL’OCSE

Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile

ALL’INIZIO DEL 2025 GLI STIPENDI ERANO PIÙ BASSI DEL 7,5% RISPETTO ALL’INIZIO DEL 2021. E LA CRESCITA “DOVREBBE RIMANERE MODESTA NEI PROSSIMI DUE ANNI”… LA SITUAZIONE È TRAGICA ANCHE PER L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE: TRA IL 2023 E IL 2060 LA POPOLAZIONE IN ETÀ LAVORATIVA DIMINUIRÀ DEL 34%, E IL PIL NON POTRÀ CHE CALARE

In Italia, nonostante siano in aumento, i salari reali non hanno ancora recuperato il potere d’acquisto perso per via dell’inflazione. E nessun Paese ha fatto peggio dell’Italia, ribadisce il rapporto dell’Ocse 2025 sull’occupazione, presentato al Cnel, che quest’anno ha come sottotitolo la domanda che angoscia tutti gli economisti: «Riusciremo a superare la crisi demografica?».
Nonostante il rallentamento della crescita economica dalla fine del 2022, il mercato del lavoro italiano «ha raggiunto livelli record di occupazione e minimi storici di disoccupazione e inattività»
L’occupazione è aumentata dell’1,7% da maggio 2024 a maggio 2025, «trainata in particolare dalle persone oltre i 55 anni di età». Tuttavia, il tasso di occupazione in Italia rimane «significativamente inferiore alla media Ocse»: 62,9% contro 70,4%
Sul fronte delle retribuzioni, «i salari reali stanno crescendo, ma c’è ancora margine di recupero».
L’Italia, confermano infatti gli esperti dell’organizzazione dei Paesi più avanzati, «ha registrato il calo più significativo dei salari reali tra tutte le principali economie dell’Ocse». Nonostante un aumento «relativamente consistente» nell’ultimo anno, «all’inizio del 2025 i salari reali erano ancora inferiori del 7,5% rispetto all’inizio del 2021».
I recenti rinnovi contrattuali hanno «portato ad aumenti salariali
negoziati superiori al solito» tuttavia non sufficienti a compensare completamente la perdita di potere d’acquisto, senza contare che «un dipendente su tre del settore privato» ha ancora il contratto scaduto. E la crescita dei salari reali, si legge nel rapporto, «dovrebbe rimanere modesta nei prossimi due anni».
In prospettiva, ciò che preoccupa l’Ocse è l’invecchiamento della popolazione: «Il numero di anziani per persona in età lavorativa aumenterà del 67% entro il 2060 in tutti i paesi dell’Ocse». In Italia, tra il 2023 e il 2060, la popolazione in età lavorativa in Italia diminuirà del 34%.
Di conseguenza, se oggi per ogni 2,4 lavoratori c’è un anziano a carico, fra 35 anni il rapporto scenderà a un anziano per ogni 1,3 persone in età di lavoro.
«Ipotizzando che la crescita annuale della produttività del lavoro rimanga al livello del periodo 2006-2019 (0,31% in Italia), ciò implica che il Pil pro capite diminuirà a un tasso annuo dello 0,67%».
Aumentare l’occupazione, in particolare di anziani e donne, promuovere l’immigrazione regolare e l’aumento della produttività è la ricetta indicata nel rapporto.
Infine, l’Ocse lancia l’allarme sull’equilibrio intergenerazionale. «Negli ultimi trent’anni – si legge – i baby boomer hanno goduto di una crescita del reddito significativamente più forte rispetto alle coorti più giovani. Se non si troverà modo di aumentare i redditi delle coorti più giovani, la disuguaglianza intergenerazionale crescerà»
I seguenti dati mostrano in maniera impressionante come è
cambiata la società: « Mentre nel 1995 il reddito disponibile equivalente delle famiglie dei giovani in età lavorativa era superiore dell’1% rispetto a quello degli italiani tra i 55 e 64 anni, nel 2016 la situazione si è ribaltata a favore dei lavoratori più anziani, che godono di un reddito superiore del 13,8% rispetto a quello dei loro colleghi più giovani».
Per questo il rapporto consiglia di aumentare ancora «la durata della vita lavorativa», così da avere non solo più manodopera, ma anche per alleggerire «l’onere che grava sulle generazioni più giovani, che devono affrontare le sfide economiche dell’invecchiamento demografico mentre sperimentano un rallentamento della crescita del proprio reddito». Ma l’Italia, osservano gli esperti dell’Ocse, «ha una percentuale relativamente alta di lavori impegnativi dal punto di vista fisico (42%), che possono rappresentare una sfida per i lavoratori anziani». E quindi, anche da questo punto di vista, per il nostro Paese la sfida di contrastare il declino demografico è più dura.
(da agenzie)

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TAJANI, IL MINISTRO MAGGIORDOMO DI CASA MELONI PROVA A BLINDARE LA SUA LEADERSHIP IN FORZA ITALIA CON UNA MODIFICA AL REGOLAMENTO SUL TESSERAMENTO: PER POTER VOTARE IL PROSSIMO SEGRETARIO SERVIRANNO ALMENO DUE ANNI DI ISCRIZIONE CONTINUATIV

Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile

L’OBIETTIVO E’ QUELLO DI RENDERE IL PARTITO NON SCALABILE, AL FINE DI EVITARE COLPI DI MANO DELLA FAMIGLIA BERLUSCONI

Una blindatura “soft”, ma studiata nei dettagli. Antonio Tajani si prepara a mettere mano alle regole interne di Forza Italia per blindare la sua leadership, rafforzarsi contro i malumori interni e, soprattutto, mettere una distanza di sicurezza tra il partito e la famiglia Berlusconi.
Il consiglio nazionale, convocato per venerdì prossimo alla Camera, avrà all’ordine del giorno anche un tema solo in apparenza tecnico: il regolamento sul tesseramento. Dietro le quinte, raccontano più d’uno, la mossa serve a spegnere sul nascere i sogni di chi, in casa Berlusconi, potrebbe nutrire ambizioni politiche.
Il cuore della modifica è semplice: per poter votare il prossimo segretario serviranno almeno due anni di iscrizione continuativa
Una piccola clausola che, in pratica, impedirà a chiunque – Marina o Pier Silvio compresi – di “scalare” Forza Italia all’ultimo momento, portando in dote pacchetti di tessere nuove di zecca. Così il congresso nazionale del 2027, salvo sorprese, si trasformerà in una passerella per confermare Tajani alla guida del partito. «Un partito non scalabile», sintetizza un deputato azzurro vicino al segretario.
Ufficialmente, dal cerchio magico negano qualsiasi manovra.«Una riunione di routine», spiegano, «serve solo a definire le regole per il tesseramento». Ma tra i parlamentari, le voci si rincorrono: qualcuno parla apertamente di “congresso anticipato”, anche se al momento l’ipotesi appare remota. «Non avrebbe senso, Tajani ha già pieni poteri», taglia corto un big. Tuttavia, tra i più maliziosi, c’è chi legge nell’anticipo del congresso una mossa per chiudere la partita prima del 2027, anno in cui si voterà anche per le Politiche. «Fare adesso significherebbe risparmiarsi un possibile assalto della famiglia e garantirsi la mano libera sulle liste», osserva un ex ministro.
Il clima non è dei più sereni. Il partito ha incassato il cosiddetto “colpetto” di Pier Silvio Berlusconi, che negli scorsi giorni, pur senza scendere in campo, ha fatto capire di voler contare di più. Marina, dicono, continua a restare alla finestra, fedele alla convinzione che la politica sia stata la vera rovina del padre. Ma nessuno, in Forza Italia, si sente tranquillo. «Il nome Berlusconi pesa ancora», ammette un senatore azzurro, «e se Pier Silvio dovesse decidersi, cambierebbe tutto». Per questo Tajani, raccontano, vuole farsi trovare pronto.
(da agenzie)

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NEL GOVERNO LO SCONTRO PIU’ ACCESO TRA MELONI E SALVINI RIGUARDA LA LEGGE ELETTORALE: FRATELLI D’ITALIA VUOLE CANCELLARE I COLLEGI UNINOMINALI PER EVITARE CHE LA SINISTRA FACCIA CAPPOTTO MA LA LEGA, CHE RISCHIA DI ESSERE FORTEMENTE RIDIMENSIONATA, SI OPPONE

Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile

SI TRATTA PER ARRIVARE A UNA PROPOSTA UNITARIA MA LA VIA È STRETTA: C’È DA DECIDERE SULLE PREFERENZE, SULLE SOGLIE DI SBARRAMENTO, SULL’ENTITÀ DEL PREMIO DI MAGGIORANZA, SULL’INDICAZIONE DEL PREMIER

Nel centrodestra c’è un problema. Non riguarda la linea del governo ma è causato da un convitato di pietra che presenzia a ogni riunione e influisce su ogni scelta: la riforma della legge elettorale. Ecco qual è il dossier che alimenta le fibrillazioni nella maggioranza e sotto traccia produce le tensioni più forti tra Meloni e Salvini.
È vero che al momento sono state solo commissionate delle schede ai partiti e che Donzelli — chiamato dalla premier a coordinare gli sherpa — si è limitato a raccogliere le indicazioni degli alleati. Ma da quelle schede appare chiara la linea di frattura tra Fratelli d’Italia e Lega: l’eliminazione dei collegi uninominali.
L’idea di abolirli per Meloni è prioritaria, perché la prossima volta non sarà come l’ultima volta, quando il centrosinistra si presentò in ordine sparso e il centrodestra potè fare bottino in Campania, Puglia, Calabria e persino in Toscana.
Con le opposizioni unite il risultato del 2022 potrebbe essere ribaltato. E c’è da scommetterci che sulla rive gauche un campo largo o anche solo una tenda sarà allestita, non foss’altro perché il prossimo Parlamento eleggerà il futuro capo dello Stato. E il danno potrebbe addirittura tramutarsi in beffa, per la premier e non solo per lei: con l’attuale sistema di voto, infatti, sarebbe elevato il rischio di un pareggio, magari con maggioranze
diverse nei due rami delle Camere.
L’ipotesi di tornare a governi di larghe intese è vissuta come un incubo da FdI e pure dal Pd tendenza Schlein, che non a caso osserva con interesse le manovre di Meloni.
Ma il taglio dei collegi non piace affatto a Salvini, che ha visto drasticamente ridimensionarsi il progetto della Lega nazionale e oggi può contare sulle roccaforti rimaste al Nord per far valere il suo potere contrattuale nella coalizione. I dati delle ultime elezioni lo dimostrano: con il 9% ha ottenuto 94 seggi su 600 in Parlamento.
Senza l’attuale meccanismo e magari con l’introduzione delle preferenze, il capo del Carroccio — che ha già subìto lo sfondamento di FdI in molte importanti aree del Settentrione — lascerebbe per intero a Meloni il potere di rappresentanza. E una simile evenienza finirebbe per produrre contraccolpi sulla sua leadership nel partito, fino a minacciarla.
Davanti a un tale scenario scatterebbe inevitabilmente una reazione di Salvini per puro istinto di sopravvivenza. E la riforma del sistema elettorale finirebbe gambe all’aria, magari nelle votazioni a scrutinio segreto in Parlamento, dove si coalizzerebbe il malcontento di quelle forze politiche che si sentissero penalizzate. Così di fatto salterebbe il centrodestra. I segnali di nervosismo sono stati colti da palazzo Chigi e si sta cercando una soluzione di compromesso.
Il cantiere è aperto: c’è da decidere sulle preferenze, sulle soglie di sbarramento, sull’entità del premio di maggioranza, sull’indicazione del premier. E c’è da stabilire anche il timing
della legge. Secondo Lupi, infatti, «sarebbe inopportuno varare la riforma a ridosso delle urne, perché le forze politiche non devono poi essere costrette ad organizzarsi all’ultimo momento».
Non è dato sapere se il centrodestra riuscirà a fare una prima sintesi sulla legge entro agosto. È certa la volontà della maggioranza di avviare il confronto formale con le opposizioni in autunno. Anche se, al di là delle smentite di rito, i contatti sono in corso da mesi.
Si scorgono tracce dappertutto. In ogni caso la priorità di palazzo Chigi è trovare un’intesa nella coalizione, altrimenti il bradisismo che si registra su ogni tema sarà destinato ad aumentare per effetto della legge elettorale.
(da agenzie)

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CASO ALMASRI, CSM APPPROVA TUTELA PICCIRILLO: “DA NORDIO PAROLE GRAVI, CONDIZIONA LE TOGHE”

Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile

IL PLENUM A DIFESA DEL MAGISTRATO CHE AVEVA OSATO CRITICARE IL MINISTRO

Il plenum del Csm ha approvato a maggioranza la pratica a tutela del sostituto procuratore della Cassazione Raffaele Piccirillo, il magistrato criticato da Nordio per la sua intervista a Repubblica sul caso Almasri. Sono stati cinque i voti contrari, da parte dei laici di centrodestra Aimi, Bertolini, Bianchini, Eccher e Giuffrè. Tra i togati l’unica astenuta è Bernadette Nicotra, che non aveva firmato la richiesta di apertura pratica a tutela. Ieri il plenum era saltato per due volte in mancanza del numero legale, dopo che i consiglieri laici di centrodestra del Csm avevano abbandonato l’aula decidendo di non partecipare né al dibattito e né al voto sulla pratica a tutela di Piccirillo. Oggi, pur disertando il
dibattito, hanno partecipato al voto. Alla base della nuova decisione ci sarebbe la volontà di non far saltare il voto anche su altre delibere.
“Il Consiglio superiore della magistratura rileva la gravità delle affermazioni rese dal ministro della Giustizia, per il loro potenziale impatto sulla fiducia dei cittadini nella funzione giudiziaria; ritiene che esse siano idonee a condizionare il sereno e indipendente esercizio della giurisdizione e afferma, pertanto, la necessità, nell’ambito dei propri compiti costituzionali, di tutelare il prestigio dell’ordine giudiziario, rinnovando il richiamo al rispetto dei principi di autonomia, indipendenza e leale collaborazione tra i poteri dello Stato”. È quanto si legge nella delibera.
(da agenzie)

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SEPARAZIONE CARRIERE: ANM PUBBLICA LA LETTERA FIRMATA DEL 1994, NORDIO ERA CONTRARIO

Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile

IL MINISTRO ALLORA AVVERSAVA LA SUA RIFORMA: UN ALTRO SOGGETTO COERENTE… NORDIO REPLICA: “POI HO CAMBIATO IDEA” MA SI ARRAMPICA SUGLI SPECCHI

Era il tre maggio del 1994, l’Italia era travolta da Mani Pulite, il primo governo Berlusconi aveva appena annunciato con il ministro della Giustizia, Alfredo Biondi, di essere pronto a mettere mano alla giustizia. Partendo dalla separazione delle carriere dei magistrati, quando i magistrati decisero di protestare ufficialmente. Tra di loro c’era anche un pubblico ministero del tribunale di Venezia: Carlo Nordio, lo stesso che oggi da ministro sta mettendo la firma su quella riforma che da magistrato avversava.
A denunciarlo è l’Associazione nazionale magistrati che ha pubblicato il documento di quell’appello firmato il 3 maggio del 1994 da Nordio. “I sottoscritti Magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia – si legge nel documento – aderiscono al comunicato dell’Associazione Nazionale Magistrati in quanto contrari alla divisione delle carriere dei Magistrati con funzioni requirenti e con funzioni giudicanti”.
“Il documento” spiega l’Anm, “fu inviato via fax alla nostra sede. I firmatari aderivano all’appello di pubblici ministeri, pubblicato sulla rivista La Magistratura nell’aprile 94, che raccolse in totale oltre 1500 adesioni e che elencava una serie di argomentazioni contrarie alla separazione tra magistratura requirente e e giudicante.
Illuminante a questo proposito il primo punto del documento: “Nella storia dell’Italia repubblicana l’indipendenza del Pm rispetto all’esecutivo e l’unicità della magistratura ha rappresentato in concreto una garanzia per l’affermazione della legalità e la tutela del principi di eguaglianza dinanzi alla legge”
Esattamente le stesse argomentazioni che porta avanti oggi l’Anm e che Nordio respinge, dopo averle condivise e sottoscritte nella veste di magistrato”.“Todo cambia”, hanno scritto diversi magistrati ieri inviando quel documento con quella firma così rumorosa: Carlo Nordio, il ministro che non è nemmeno d’accordo con se stesso.
(da agenzie

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I DATI UFFICIALI DEL VIMINALE SMENTISCONO PIANTEDOSI: NEI PREMI SEI MESI DELL’ANNO GLI SBARCHI SONO AUMENTATI DEL 15,5% RISPETTO ALLO STESSO PERIODO DEL 2024: DA 26.202 A 30.269

Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile

NON SOLO: LA MAGGIORANZA PROVIENE DALLA LIBIA PROPRIO IL PAESE A CUI ELERGIAMO MILIONATE DI EURO PER BLOCCARE LE PARTENZE

Sì, gli sbarchi di migranti continuano in Italia. I dati del Ministero dell’Interno mostrano che nel primo semestre del 2025 sono sbarcati 30.269 migranti, con un aumento del 15,5% rispetto allo stesso periodo del 2024
Nonostante il tema non sia al centro del dibattito pubblico, i flussi migratori via mare continuano e mostrano segnali di crescita, specialmente con l’arrivo della stagione estiva.
In dettaglio, il “cruscotto statistico giornaliero” del Viminale riporta che a fine giugno 2025 si sono registrati 30.269 sbarchi, rispetto ai 26.202 dello stesso periodo del 2024. Questi dati indicano un aumento del 15,5%.
Nonostante i dati forniti dal Ministero dell’Interno, alcuni osservatori fanno notare che il calo degli sbarchi registrato nel secondo semestre del 2024 aveva portato a ipotizzare una diminuzione complessiva, ma i dati del 2025 smentiscono questa previsione.
In particolare, il mese di gennaio 2025 ha visto un aumento significativo degli sbarchi rispetto allo stesso mese del 2024, con un incremento del 136%.
Le rotte migratorie principali continuano a essere quelle che
attraversano il Mediterraneo, con la Libia che rimane il principale punto di partenza per i migranti che cercano di raggiungere l’Italia. Si registra anche un calo degli arrivi dalla Tunisia
È importante sottolineare che, nonostante l’aumento degli sbarchi, le politiche di gestione dei flussi migratori sono oggetto di dibattito e di diverse interpretazioni.
Infine, è opportuno ricordare che i dati sugli sbarchi rappresentano solo una parte della complessità del fenomeno migratorio, che include anche le richieste di asilo, l’accoglienza e l’integrazione dei migranti nel tessuto sociale italiano
(da agenzie)

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PERCHE’ SEMPRE MENO PERSONE SCELGONO LE PENSIONI ANTICIPATE DOPO LE RIFORME DEL GOVERNO MELONI

Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile

PERCHE’ SONO STATE RESI PIU’ SCONVENIENTI

Lo scorso anno, molte più persone hanno scelto la pensione di vecchiaia rispetto a chi invece ha approfittato della pensione anticipata: 272mila pensionati nel primo gruppo, solo 224mila nel secondo. E nei primi sei mesi del 2025 la cosa si sta ripetendo più o meno nelle stesse proporzioni: da gennaio a giugno 118mila pensioni di vecchiaia contro 98mila anticipate, il 17% in meno. La situazione è completamente cambiata rispetto al 2022, perché il governo Meloni ha rinunciato agli anticipi pensionistici che, negli anni prima, erano stati un cavallo di battaglia soprattutto della Lega. A fare il punto è l’Inps, con il nuovo Monitoraggio dei flussi di pensionamento disponibile online.
Chi può scegliere la pensione anticipata oggi e con quali requisiti
Molto ha a che fare con i requisiti richiesti per lasciare il lavoro. Al momento, la pensione di vecchiaia scatta a 67 anni di età. La pensione anticipata prevista dalla riforma Fornero richiede 42 anni anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, mentre servono 41 anni e 10 mesi per le donne. Tra le altre forme di anticipo pensionistico resta solamente Quota 103, che il governo Meloni ha lanciato a fine 2022 con la sua prima legge di bilancio, ma poi ha reso molto meno conveniente l’anno successivo.
Quota 103 richiede di avere almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi versati. In più, da quando si raggiungono i requisiti scatta una finestra di attesa che è di sette mesi per i privati e nove mesi per i dipendenti pubblici (la stessa finestra, invece, è di tre mesi per la pensione anticipata della legge Fornero). Infine, l’importo della pensione è ribassato: si calcola tutto con il
metodo contributivo, cosa che spesso penalizza chi ha iniziato a lavorare prima del 1996, ovvero tutti i possibili beneficiari di Quota 103. Numeri alla mano, ormai la pensione anticipata permette di lasciare il lavoro poco tempo prima di quella di vecchiaia, e in alcuni casi ricevendo un assegno più basso.
Le altre misure che permettono di lasciare il lavoro in anticipo sono dedicate a settori molto ristretti di lavoratori. Un esempio su tutto è quello di Opzione donna, che il governo ha reso quasi inaccessibile. Per farsi un’idea, nel 2022 la usarono quasi 25mila lavoratrici. Nel 2024, con i nuovi requisiti imposti dall’esecutivo di Giorgia Meloni, quel numero è sceso a 3.590 persone.
Il ‘sorpasso’ delle pensioni di vecchiaia dopo le riforme
Nel giro di pochi anni si è passati da un periodo in cui i governi puntavano su varie forme di pensioni anticipate – le famose ‘Quote’, la più nota delle quali fu Quota 100, promossa soprattutto dalla Lega nel primo governo Conte – a un progressivo taglio di quasi tutti gli anticipi. Nonostante al governo ci sia sempre il Carroccio, che contro la riforma Fornero si è lanciato più e più volte, oggi questa offre delle condizioni simili (e, in alcuni casi, anche più vantaggiose) rispetto a Quota 103.
Non è una sorpresa, quindi, che negli anni le pensioni anticipate siano diventate sempre meno diffuse. Nel 2022, erano la scelta più comune: le utilizzarono 260mila lavoratori, contro i 219mila che optarono per la pensione di vecchiaia. Nel 2023, con la prima versione di Quota 103, c’era stato un avvicinamento (219mila pensioni di anticipate e 208mila di vecchiaia), e poi nel
2024 è arrivato il netto sorpasso.
Chi sceglie la pensione anticipata e di vecchiaia oggi
Chi usa la pensione anticipata oggi è tendenzialmente chi ha avuto una carriera solida e può permettersi, anche considerando l’importo, di sacrificare una parte delle entrate per lasciare prima il lavoro. I dati Inps mostrano che l’anticipo pensionistico è ancora la scelta più comune tra gli uomini, anche se non di molto (lo scorso anno l’hanno usato in 150mila, contro i 135mila della pensione di vecchiaia, e quest’anno il trend sembra più o meno identico), e soprattutto tra i dipendenti pubblici e privati. Chi sceglie di anticipare l’uscita dal mondo del lavoro è anche chi in media incassa un importo più alto: 2.195 euro al mese, rispetto ai 1.316 euro per gli assegni di vecchiaia.
Al contrario, sono i lavoratori autonomi e soprattutto le donne (con qualunque tipo di lavoro) che preferiscono lavorare qualche anno in più per garantirsi assegni maggiori. D’altra parte, le lavoratrici di norma hanno una pensione molto più bassa. Chi aspetta i 67 anni per l’assegno di vecchiaia incassa poco più di 900 euro al mese, in media, mentre anche in questo caso a preferire l’anticipata è chi guadagna di più (un assegno medio da 1.800 euro circa, quasi il doppio).
(da agenzie)

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I LEGALI DEGLI INDAGATI COINVOLTI NEL CASO DELLA DEGENERAZIONE URBANISTICA MILANESE VANNO AL CONTRATTACCO: “E’ UN TEOREMA GIUDIZIARIO, TROPPI GIUDIZI MORALI DEI PM AL POSTO DI ELEMENTI CONCRETI

Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile

L’EX ASSESSORE TANCREDI HA DIFESO IL PROPRIO OPERATO: “NON HO MAI AGITO PER I MIEI INTERESSI”. E HA CERCATO DI ALLONTANARE QUALSIASI COINVOLGIMENTO DEL SINDACO SALA

I toni più severi verso i magistrati li usa il legale di Giuseppe Marinoni. Troppi «giudizi morali» dei pm al posto di «elementi concreti». E l’inchiesta sull’urbanistica milanese è come «un processo alla città». Lo dice l’avvocato Eugenio Bono. Nella partita giudiziaria che ha scosso l’amministrazione di Beppe Sala, lui difende l’ex presidente della commissione per il Paesaggio, «il faccendiere» per la procura, ritenuto il perno «del
sistema di corruzione».
Ma il suo affondo sembra valere un po’ per tutti gli accusati. Al settimo piano del Palazzo di giustizia di Milano ieri è stato il giorno del contrattacco delle difese dei sei indagati per i quali i pm hanno chiesto il carcere o i domiciliari. Mentre, sempre ieri, un altro giudice rinviava a giudizio sei tra costruttori e funzionari comunali per il progetto Park Towers. Il quarto finito a processo nel filone urbanistico
A una settimana dalla convocazione per gli interrogatori preventivi — con il gip Mattia Fiorentini che ora si prenderà «un tempo congruo» per decidere — ecco il primo incontro tra le due parti davanti al giudice. Da una parte le ipotesi della procura, che ipotizza i «favori» a costruttori amici e le tangenti «mascherate» da consulenze per pilotare il sì al progetto da parte degli esperti.
Dall’altra i costruttori Manfredi Catella e Andrea Bezziccheri (difeso da Andrea Soliani), poi l’ex assessore Giancarlo Tancredi (con il legale Giovanni Brambilla Pisoni) e gli architetti Alessandro Scandurra e Giuseppe Marinoni, il manager Federico Pella (con il legale Marco Messora) a negare ogni addebito.
«Accuse infondate» in sostanza, mentre gli investigatori continuano a fare il loro lavoro — anche con l’analisi dei cellulari sequestrati all’ex assessore e a Catella — per accertare, se ci sarà, un livello più «politico» dell’indagine che possa chiarire perché l’ex assessore si interessasse più ad alcuni progetti e meno ad altri.
Respingere le accuse, escludere «interessi privati», depotenziare il bisogno degli arresti facendo un passo indietro su alcune cariche per sgombrare il campo dal rischio di reiterazione. Ecco la linea di difesa degli accusati. La sfilata davanti al gip inizia alle 9.45. Il primo è Marinoni, l’unico dei sei a restare in silenzio. Ai cronisti dice: «Se si risolve tutto, fra cinque anni vi voglio qui». Parla da sola invece la memoria difensiva, tagliente, depositata dal suo avvocato. A evocare un «teorema».
Critico con i pm: hanno «insistito nell’enfatizzare il giudizio morale» sugli indagati. Ed è troppo «connotato» scrivere «che (gli indagati) sarebbero guidati da una crescente avidità» o che assumono comportamenti «che si commentano da soli».
E, soprattutto, è «sproporzionata l’ampiezza dell’indagine, impostata come un processo alla speculazione edilizia nei confronti dell’intera città di Milano» quando l’imputazione riguarda la funzione della Commissione per il paesaggio. Pur ammettendo «comportamenti eticamente discutibili».
Arrivato come sempre sulla sua Vespa, ha parlato un’ora e mezza invece davanti al gip l’ex assessore Tancredi. Ha difeso il proprio operato: «Non ho mai agito per i miei interessi». Ha detto di aver lavorato «senza ombre e per la collettività» e di non aver mai ricevuto «utilità». E ha cercato di allontanare qualsiasi coinvolgimento del sindaco Sala. Le sue deleghe ora sono passate temporaneamente alla vicesindaca.
E mentre si fa scouting per il suo sostituto, si fa largo l’idea di affiancare al nuovo nome la figura di un super consulente alla legalità per dialogare con la procura. Potrebbe essere quella di Federico D’Andrea, per 30 anni alla Guardia di finanza e durante Mani Pulite parte attiva di molte fondamentali indagini della
procura.
(da agenzie)

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L’ANNULLAMENTO DEL CONCERTO DI VALERIJ GERGIEV: IL DIRETTORE D’ORCHESTRA PROPAGANDISTA DI PUTIN ORA VUOLE PURE IL RISARCIMENTO PER “DANNO D’IMMAGINE” E IL PAGAMENTO DEL CACHET DA 25MILA EURO

Luglio 24th, 2025 Riccardo Fucile

SENTIRE PARLARE DI “DANNO D’IMMAGINE” DA UNO CHE E’ SPUTTANATO IN TUTTO IL MONDO CIVILE E’ ESILARANTE… COMUNQUE PUO’ SEMPRE ESIBIRSI IN ALTRA LOCATION E AVERE L’ACCOGLIENZA CHE MERITA

L’annullamento del concerto di Valerij Gergiev a “Un’Estate da Re” potrebbe costare caro sul piano economico.§Negli uffici della società in house della Regione Campania, Scabec, che da anni organizza la manifestazione, si valuta la possibilità di una richiesta danni alla Reggia di Caserta. Il no all’esibizione prevista domenica è arrivato tre giorni fa dalla direttrice del museo autonomo, Tiziana Maffei, per motivi di “opportunità” e per “tutelare l’immagine” della Reggia (sito Unesco) dopo la contestazione – avallata dal ministro della cultura Alessandro Giuli – per la partecipazione del direttore russo, amico e sostenitore politico di Vladimir Putin.
Maffei avrebbe telefonato lunedì al capo di gabinetto della Regione, Almerina Bove, che ha avvisato il presidente Vincenzo De Luca in quel momento ignaro di tutto come i vertici Scabec.
A mancare è però la motivazione di indisponibilità del palcoscenico della Reggia per “causa di forza maggiore”, ad esempio un incendio o una calamità naturale. Tra l’altro, i concerti di “Un’estate da re” continuano a svolgersi regolarmente. Gergiev può chiedere a Scabec una penale o la restituzione intera o parziale del cachet (in questo caso di 25 mila euro) in base agli accordi scritti nel contratto, su cui vige riservatezza per la privacy.
E c’è anche l’ipotesi di un danno di immagine. Scabec, che ha avviato il rimborso dei 600 biglietti venduti per la serata, resta in contatto con il manager del direttore d’orchestra. Se l’accordo tra le parti non è nullo, resta l’ipotesi di recuperare altrove il concerto.
(da agenzie)

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