Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile
PER FARLI FUNZIONARE PER APPENA 5 GIORNI SPUTTANATI 114.000 EURO AL GIORNO
I 400 posti nel Cpr di Gjader, in Albania, sono costati più di 150mila euro l’uno, quando una struttura simile in Italia aveva richiesto circa 20mila euro a posto. E nel 2024, nei cinque giorni in cui i centri per migranti sono stati davvero operativi, sono costati 570mila euro.
Era piuttosto evidente fin dall’inizio che la realizzazione dei centri in Albania – trasformati in Cpr dopo un lungo scontro con i giudici – fosse un’operazione che sarebbe costata moltissimo portando pochi risultati. Ma ora uno studio di ActionAid realizzato con l’Università di Bari ha messo in chiaro quali sono state davvero le spese sostenute per l’iniziativa del governo
Meloni, finora. I risultati, che sono pubblicati online, mostrano che l’operazione Albania è “il più costoso, inumano e inutile strumento nella storia delle politiche migratorie italiane”. E la reazione delle opposizioni non si è fatta attendere, con la segretaria del Pd Schlein che ha detto a Meloni di “chiedere scusa agli italiani”.
Quanto è costato costruire i centri migranti in Albania
Partendo dalle strutture: a marzo di quest’anno, il Cpr di Gjader aveva una capienza di 400 posti. Per costruire tutti i centri, cioè quello di Gjader e anche quello di Shengjin, dove le persone migranti ricevono la prima accoglienza dopo lo sbarco ma non soggiornano, sono serviti 74,2 milioni di euro di contratti. In molti casi, assegnati con l’affidamento diretto. La media è di 153mila euro spesi per ciascun posto letto in Albania. Per dare un’idea della sproporzione, lo studio riporta anche quanto è costato realizzare il Centro di trattenimento per richiedenti asilo (Ctra) a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento: circa un milione di euro per50 posti, con una media di 21mila euro ciascuno.
I posti nei centri albanesi sono costati oltre sette volte tanto, in media, ma erano necessari per carenza di sistemazioni in Italia? Il report sottolinea che sottolinea che in Italia ci sono undici Cpr e tre Ctra attivi, per un totale di 2.555 posti. Di questi, a causa di ritardi nella realizzazione, proteste e danneggiamenti, solo 1.164 sono effettivamente disponibili. E alla fine dello scorso anno ben
263 di questi erano vuoti. Quindi non solo ci sarebbero stati oltre mille posti da ‘recuperare’ dalle strutture già esistenti, ma anche molti che erano vuoti e pronti da utilizzare. Per spiega Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid , in questa situazione pensare di costruire un altro Cpr in Albania è “del tutto irrazionale e illogica”.
Per operare i centri, l’anno scorso 114mila euro al giorno
Poi c’è la questione dei costi per far funzionare effettivamente le strutture. Come è noto, il primo anno dei centri in Albania è stato travagliato. Partiti con grande ritardo rispetto agli annunci, i primi tentativi di utilizzarli sono sempre stati bloccati dai giudici, perché i centri non rispettavano il diritto italiano e europeo. Dunque, le poche persone che sono state trasferite a Gjader ci sono rimaste per pochissimo tempo prima di essere riportate in Italia, perché la loro detenzione non era stata convalidata dalla magistratura.
Il risultato è che nel 2024 l’ente che gestisce i centri, la cooperativa Medihospes, è stata effettivamente operativa per cinque giorni. Il costo pagato dalla Prefettura di Roma, però, è stato di 570mila euro. In media, si parla di 114mila euro al giorno per detenere venti persone nel periodo tra la metà di ottobre e la fine di dicembre. Sempre per quei cinque giorni di effettiva operatività, le spese sono comunque state di 528mila euro per ospitalità e ristorazione del personale della polizia
Schlein: “Meloni chieda scusa gli italiani
L’attacco delle opposizioni dopo la rivelazione sui costi dei centri in Albania è partito dal Pd. La segretaria dem Elly Schlein ha dichiarato: “Giorgia Meloni deve chiedere scusa agli italiani”, perché le cifre sono “un insulto anche a quei milioni di persone che oggi si trovano in difficoltà”. Non solo l’operazione Albania “viola i diritti fondamentali dei migranti”, ma ha un costo esorbitante, ha insistito Schlein ricordando che Meloni ha “passato anni a blaterare contro i famosi 35 euro al giorno per l’accoglienza”. Invece i 114mila euro al giorno spesi nel 2024 sono “quasi 5 volte tanto il reddito medio di un italiano”.
Il segretario di +Europa, Riccardo Magi, ha commentato che il Cpr di Gjader “si rivela uno strumento inutile, costoso e secondo noi anche illegittimo”. I cittadini, ha aggiunto, “si dovrebbero ribellare a un governo che brucia centinaia di milioni di risorse degli italiani, invece che spendere soldi nella sanità e nella scuola. Tutto questo perchè Meloni deve fare il verso a Trump”.
Il sistema dei Cpr non funziona: flop nei rimpatri
Lo studio si concentra anche sui risultati dei centri, e dei Cpr in generale. Chi li sostiene e vuole espanderli, cioè il governo Meloni, afferma che rendano più efficace le politiche di rimpatrio. Eppure, nel 2024 solo il 41,8% delle persone che sono entrate in un centro di detenzione poi sono state rimpatriate. È la percentuale più bassa registrata dal 2014. Il sistema di detenzione nel complesso è costato 96 milioni di euro, più che nei sei anni precedenti sommati.
Molte delle persone trattenute (il 45%) erano richiedenti asilo, e tra di loro uno su cinque non aveva ricevuto nessun provvedimento di allontanamento che gli ordinava di lasciare l’Italia: erano semplicemente persone che avevano fatto richiesta di asilo, in attesa di avere un riscontro dalle autorità. E infatti, se da una parte sono aumentate le detenzioni, dall’altra ha dovuto intervenire più spesso la magistratura: nel 29% dei casi i giudici hanno deciso la liberazione di chi era stato imprigionato.
(da agenzie)
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Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile
IL PROGETTO È GIÀ PRONTO: PRIMA SERATA DI LUNEDI’, SECONDE SERATE CON “REPORT-LAB”, COINVOLGENDO SITO, SOCIAL E L’EDITRICE SOLFERINO … MA NON FINISCE QUI, CAIRO VUOLE RIPOSIZIONARE IL “CORRIERE DELLA SERA”: ESSERE LA GAZZETTA DI FAZZOLARI NON PORTA ALL’EDICOLA NUOVI LETTORI, CHE PREFERISCONO L’ORIGINALE, MEGLIO RITORNARE AL CENTRO-SINISTRA. IN ARRIVO GIOVANI GIORNALISTI BEN DISTANTI DAL MELONISMO
È partita la campagna acquisti (a sinistra) di Urbano Cairo. Le mosse dell’editore
riguarderanno sia La7 che il “Corriere della Sera”.
Se l’emittente televisiva verrà rinforzata nella sua linea progressista e anti-governativa, già portata avanti dai vari Gruber, Floris, Formigli, Zoro, nel quotidiano di via Solferino ci sarà un riposizionamento di rotta.
Lo storico giornale milanese che dal 1 gennaio 2026 potrebbe cambiare direttore (esce Luciano Fontana, entra Fiorenza Sarzanini?), avrà posizioni meno filogovernative e più di centro-sinistra, ma senza sconti per nessuno.
I nomi più gettonati che circolano nel mercato delle penne sono tre giornalisti che negli ultimi tempi hanno fatto strada a colpi di scoop: Valeria Pacelli del “Fatto quotidiano” per la cronaca giudiziaria, Giacomo Salvini, sempre del quotidiano di Travaglio, e Simone Canettieri del “Foglio”, per la politica.
Cairo si è reso conto che la linea all’acqua di rose verso il governo di Giorgia Meloni non ha portato alcun vantaggio in termini di vendite al “Corriere della Sera” (e i numeri, si sa, sono l’unico dato che conta per Urbanetto).
D’altronde, in Lombardia e a Milano, ci sono già tre quotidiani di destra (“il Giornale”, “Libero” e “La Verità”) schiacciatissimi sul melonismo senza limitismo.
I lettori, all’edicola, tra l’originale brutale e la copia adulterata, sanno già dove buttarsi.
Il vero colpaccio, però, Urbano Cairo vuole portarlo a casa per la sua La7: ci sono già trattative avanzate per portare a casa Sigfrido Ranucci e l’intera squadra di giornalisti ora a “Report”.
La trasmissione d’inchiesta, che ove mai passasse a La7, dovrebbe cambiare nome, visto che il brand è di proprietà della Rai.
L’approdo di Ranucci alla corte di Urbanetto sarebbe solo il primo tassello di un progetto più ampio. Sistemata la trasmissione nella prima serata del lunedì, e dato che “100 minuti” è in bilico per le ruggini tra Corrado Formigli e Alberto Nerazzini, troverebbe spazio in seconda serata una sorta di “Lab Report”, lo spazio dedicato alle inchieste di giovani giornalisti, che avrebbe uno sguardo più ”regionale”.
Senza contare la possibilità, per la casa editrice Solferino, di pubblicare degli istant book sulle inchieste confezionate dalla squadra di Ranucci.
Un’iniziativa che troverebbe vasta eco nella potente macchina social che negli anni ha costruito la trasmissione Rai: sei milioni di follower.
Il possibile passaggio di Ranucci a La7, già evocato a ottobre del 2024, è confortato dalle frasi di stima pronunciate da Urbano Cairo nei confronti dell’ex cocco della Gabanelli. Presentando i palinsesti di La7, lo scorso 3 luglio, l’editore, alla precisa
domanda sul passaggio di “Report” alla sua tv, ha risposto in modo sibillino: “È un programma di qualità, che fa buoni ascolti, ma è un programma di Rai3”.
La simpatia di Cairo è evidentemente ricambiata, visto che Ranucci, nel corso degli ultimi anni, è stato più volte ospite nelle trasmissioni di La7, cioè la concorrenza della Rai, arrivando persino a dare anticipazioni sulle inchieste di “Report” a “Otto e mezzo”, di Lilli Gruber.
La corrispondenza d’amorosi sensi tra l’editore e il giornalista non sboccia a caso: Ranucci dall’instaurazione di Tele-Meloni è diventato un paria, in Rai.
Nessuno lo sopporta, nessuno lo vuole: i dirigenti di Viale Mazzini, tra un taglio alle puntate (deciso da Paolo Corsini, il primo ad aver sforbiciato le puntate del programma invece di aumentarle), uno spostamento in palinsesto di “Report”, un commissariamento di fatto con la nomina di un capostruttura esterno con il compito di controllare il lavoro della trasmissione, e persino un provvedimento disciplinare, recapitato al conduttore, non vedono l’ora di togliersi dalle palle l’ingombrante programma.
Ultima beffa, lo slittamento al 2 novembre, giorno dei morti, dell’inizio della tele-stagione di “Report”, per decisione di Stefano Coletta e Maurizio Imbriale (rispettivamente Direttore Coordinamento Generi e Direttore Distribuzione).
Se l’affare Ranucci-La7 dovesse andare in porto, potrebbe realizzarsi anche da subito, visto a che punto è arrivato il livello di insopportabilità (eufemismo) che gode Ranucci dalle parti di Palazzo Chigi.
(da Dagoreport)
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Luglio 25th, 2025 Riccardo Fucile
“CAPISCO IL CALDO, L’ANZIANITA’ E SENTIRE CHE LA TERRA GLI TREMA SOTTO I PIEDI, MA QUELLO CHE DICE MI ENTRA DA UN’ORECCHIO ED ESCE DALL’ALTRO”
«Mi fa sempre piacere parlare della vecchia, purtroppo, classe dirigente del partito dove sono cresciuta, che ho amato e che ancora oggi guardo con attenzione. Mi giunge voce che il senatore Gasparri si preoccupa di me e non si preoccupa dell’Italia. Sostiene che io vado in televisione, su radio e giornali, perché supplico chi mi intervista. Ora, capisco il caldo, l’anzianità, di sentire la terra che trema sotto i piedi ma con assoluta empatia e rispetto considero quello che dice come sempre: da qua entra e da qua esce, ed è anche troppo».
Con queste parole Francesca Pascale, ex compagna di Silvio Berlusconi e adesso personalità sensibile al mondo LGBTQ, replica al senatore forzista Maurizio Gasparri. Lo fa su Instagram, dopo che il parlamentare aveva criticato l’esposizione di Pascale su diverse testate. «Mi farebbe piacere chiedere a Fagnani, Gruber, Giletti a tutti questi signori professionisti che mi hanno accolto, con professionalità e serietà se mai io ho chiesto», sottolinea Pascale.
«Berlusconi diceva largo ai giovani, la politica non sia un mestieri, che hanno la volontà di occuparsi della cosa pubblica con serietà e rispetto. Ogni volta che trovavamo Gasparri in tv, perché anche lui è bulimico di tv, Berlusconi dichiarava ogni “quando i vecchi vanno in tv ci fanno perdere voti”. Quindi senatore, padrone assoluto di ciò che non è suo io le auguro buon lavoro ma si occupi di cose più interessanti. Lei è stantio».
Pascale e la sua idea di Forza Italia: sogna la discesa in campo dei figli di Silvio. «Tajani? Gli elettori non si identificano in lui»
«Mi dispiace dirlo, ma Forza Italia così com’è non mi piace, perché non è liberale e non somiglia più a Silvio Berlusconi» ha dichiarato Pascale intervistata da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’agenzia Italpress.
Un tema che «è sempre stato monopolizzato dalla sinistra: in realtà avere rispetto per le individualità di ciascuno non è di sinistra, è semplicemente buonsenso», sottolinea. Un tema divisivo anche perché «Forza Italia è sempre stata trasgressiva: Berlusconi ha sempre dato libertà di coscienza, soprattutto sui diritti civili». Per Pascale il partito è profondamente mutato. «Dicono di essere al 9%: per me è ridicolo, Berlusconi puntava al 51%. Oggi chi vota il centrodestra vota il partito più forte, quello di Meloni, o, se appartiene al nord, vota Salvini». «Perché votare Tajani? Gli elettori sono sempre più lontani, se non per la tradizione nostalgica e i valori che ha tramandato Berlusconi?», dichiara. Su Tajani «lo rispetto: la sua è stata l’ultima nomina di
Berlusconi, ha fatto il presidente del Parlamento europeo in maniera nobile», ma «difficilmente un elettore si identifica in lui». «Gioca la sua partita personale per diventare presidente della Repubblica. Glielo auguro, ma non mi piacerebbe: al suo posto avrei voluto Berlusconi», ammette Pascale che sogna la discesa in campo di uno degli eredi di Silvio.
(da agenzie)
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