Luglio 30th, 2025 Riccardo Fucile
QUANDO LE PAROLE DIVENTANO LISE E CONSUNTE, MOSTRANO L’USURA DEL TEMPO E’ MEGLIO CAMBIARLE
Quando le parole diventano lise e consunte, mostrano l’usura del tempo e i danni dell’uso
scriteriato, è meglio cambiarle, o smettere di usarle. Se una parola vuol dire troppe cose, allora non vuole più dire niente, se chiunque può usarla a vanvera e interpretarla in un milione di modi, o tirarla di qua e di là a seconda della convenienza, finisce che genera solo confusione.
Direi che è il tempo di chiedere una moratoria di qualche anno sulla parola “Sinistra”, che risulta ormai la più grossa truffa in commercio dopo lo scioglipancia di Wanna Marchi, che almeno qualche speranza ai gonzi la dava, e la sinistra invece manco quello.
Basta una rapida occhiata all’eterna pochade italiana per rendersi conto di quanto sia intricata la matassa in un Paese dove si considera “di sinistra” Renzi, a volte persino Calenda, ma anche gli operai che chiedono il contratto scaduto da anni, ma anche i centri sociali, ma anche il Pd, sia quello di destra che quello di sinistra. È (sedicente) di sinistra Minniti che firma gli accordi con i libici perché tengano i migranti nei loro lager, e sono di sinistra le Ong che vanno a salvarli in mare quando quelli riescono a fuggire. È di sinistra chi ha scritto e votato il Jobs act, una legge contro i lavoratori, ed è di sinistra chi lo contesta, compresi i lavoratori, non tutti, perché molti, stufi di questo balletto delle millemila sinistre, hanno votato a destra.
Non passa giorno che qualcuno indichi questo o quello come fulgido esempio di sinistra, cosa che fanno soprattutto i furbetti della sinistra di destra. Esultanza scomposta a ogni passo, o dichiarazione, o decisione di leader che di sinistra non hanno nulla (per esempio Starmer, in Inghilterra, oggi bastonatissimo dai sondaggi dove si impone una sinistra vera, quella di Corbyn), e ieratica indicazione della via, sempre moderatissima, ovviamente. Dall’altra parte ci si arrampica sugli specchi per trovare parole più precise. Vera sinistra, oppure sinistra-sinistra,
oppure sinistra radicale. Non si sa più che fare per districare la matassa, ma ancora una volta ci pensa la sinistra rosé a risolvere il problema: generalmente chi dice cose di sinistra (o che un tempo sarebbero state sacrosantamente di sinistra, tipo ridurre le diseguaglianze, o migliorare la posizione delle classi meno abbienti) viene bollato come “populista” e morta lì. Altro vezzo divertente è di far seguire l’aggettivo “liberale” ad ogni parola di senso compiuto, per cui c’è una “sinistra” che continua a berciare di “democrazia liberale”, come se non essere liberali (parola superelastica, che va da Pinochet a Einaudi) impedisse di essere “di sinistra”. È di sinistra aiutare i ricchi, così staranno un po’ meglio i poveri, ed è di sinistra lottare per aumentare le tasse ai milionari. In parole povere è di sinistra tutto quanto fa costantemente a botte, in un testacoda perenne che genera mal di testa e giramenti di capo (oltre che di coglioni).
Si aggiunga che, secondo la destra, è di sinistra tutto quello che non è riconducibile direttamente alla destra, quindi abbiamo un Sala sindaco del cemento “di sinistra”, e comitati di inquilini che chiedono il diritto a un abitare decente, che però non possono opporsi troppo, cioè non possono essere troppo di sinistra, perché sennò “vince la destra”. In tutto questo trionfa l’imbarazzo e domina l’autoanalisi. Sei di sinistra? Boh, dipende.
Date retta, urge una moratoria, e intanto che si sviluppi la ricerca di altre parole, meno consunte, più sensate, meno scioglipancia alla Wanna Marchi.
Alessandro Robecchi
(da ilfattoquotidiano.it)
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Luglio 30th, 2025 Riccardo Fucile
LE DENUNCE SI FONDANO SU TESTIMONIANZE DIRETTE, DATI VERIFICATI E ANALISI GIURIDICHE, CON BUONA PACE DI ANCORA CHI STA A DIFENDERE UN GOVERNO CRIMINALE
Due storiche organizzazioni israeliane per i diritti umani, B’Tselem e Physicians for Human Rights – Israel (PHRI), hanno pubblicato due rapporti distinti che giungono alla stessa, inequivocabile conclusione: lo Stato di Israele sta commettendo un genocidio nella Striscia di Gaza, come definito dal diritto internazionale. È la prima volta che organizzazioni israeliane parlano apertamente di genocidio compiuto da Israele. Le accuse non si limitano però alla sola denuncia morale, ma si fondano su analisi giuridiche dettagliate, testimonianze raccolte sul campo, dati forniti da fonti indipendenti e documentazione di agenzie ONU, giornalisti investigativi e studiosi di diritto internazionale: “Israele sta agendo in modo coordinato per distruggere deliberatamente la società palestinese nella Striscia di Gaza”, scrive B’Tselem, “e sta commettendo un genocidio contro la popolazione palestinese”. Il rapporto parla di “massacro su vasta scala”, “condizioni di vita catastrofiche imposte intenzionalmente” e “intenzionalità espressa pubblicamente dai leader israeliani nel voler distruggere Gaza come società”.
Il rapporto delle Ong: “Attacco sistematico all’identità
palestinese”
Il rapporto di B’Tselem si apre con la condanna dell’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas, definito “un’azione che ha incluso numerosi crimini di guerra e probabilmente crimini contro l’umanità”. Ma chiarisce fin da subito che la risposta israeliana non si è limitata alla repressione armata del nemico, né alla difesa della propria popolazione. È andata molto oltre.
Quella messa in atto da Israele, scrive l’organizzazione, è infatti un’azione militare che ha “causato la morte su larga scala sia con attacchi diretti, sia attraverso la creazione deliberata di condizioni di vita insostenibili, che continuano ad alzare il bilancio delle vittime”. Il documento parla di “danni fisici e mentali a un’intera popolazione”, “distruzione diffusa di infrastrutture civili”, “frantumazione del tessuto sociale”, “distruzione di scuole, università e siti culturali palestinesi”, ma anche di “arresti di massa, abusi sistematici e detenzioni extragiudiziali in prigioni che sono diventate campi di tortura”. Secondo B’Tselem, Israele ha imposto “la fame come metodo di guerra”, ha perseguito la “trasformazione della deportazione forzata in obiettivo dichiarato del conflitto” e ha condotto un “attacco sistematico all’identità palestinese”, inclusa la “distruzione deliberata dei campi profughi e lo smantellamento dell’UNRWA”.
Il genocidio in atto a Gaza è “intenzionale”
Il punto più dirompente del rapporto non è soltanto la descrizione della violenza esercitata, ma la sua qualificazione
giuridica. Secondo B’Tselem, Israele sta compiendo atti che configurano il crimine di genocidio così come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1948. Il rapporto non si limita a elencare le categorie previste dal diritto internazionale, come l’uccisione di membri di un gruppo o l’imposizione di condizioni di vita intese a causarne la distruzione, ma sostiene che le operazioni condotte da Israele corrispondono, punto per punto, a quelle fattispecie criminali: “Uccisioni di massa, danni fisici e mentali inflitti all’intera popolazione, distruzione deliberata delle condizioni di vita e creazione di un ambiente inabitabile: tutto questo costituisce genocidio secondo il diritto internazionale”, si legge.
Elemento cruciale per definire giuridicamente il genocidio è l’intenzionalità e anche su questo punto, il rapporto è netto: l’intento di distruggere la popolazione palestinese non sarebbe implicito o ipotetico, ma dichiarato. B’Tselem cita tra le prove le parole dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, che ha definito i palestinesi “animali umani”, e il discorso del primo ministro Benjamin Netanyahu che ha invocato la guerra contro “Amalek”, riferimento biblico al popolo che Dio ordinò di sterminare senza lasciar superstiti. A queste si aggiungono, secondo B’Tselem, numerose altre dichiarazioni pubbliche di ministri, ufficiali dell’esercito, opinionisti e giornalisti israeliani che esprimono esplicitamente l’obiettivo di cancellare Gaza e il suo popolo
Le testimonianze: Gaza come laboratorio del collasso umanitario
Il rapporto include poi testimonianze dirette da parte dei sopravvissuti a bombardamenti e sfollamenti forzati. Tra queste, la storia di Muhammad Ghrab, residente a Gaza City, poi rifugiatosi a Muwasi, dove ha assistito al bombardamento del 13 luglio 2024. Israele ha dichiarato che l’attacco mirava a due comandanti militari di Hamas, tra cui Muhammad Deif. Ma i fatti, che il rapporto cita, parlano di ben altro: 90 morti, 300 feriti, una scena “apocalittica”. “Improvvisamente si è formata una corona di fuoco intorno a noi. Il cielo era coperto da polvere e fumo. Quando siamo entrati nei tendoni rimasti in piedi, abbiamo trovato solo corpi. Era una visione dell’inferno, un orrore che non si può descrivere. È da quel giorno che vivo nell’attesa di morire nello stesso modo”, ha dichiarato Ghrab a B’Tselem. Un’altra testimonianza racconta di un paramedico che ha dovuto abbandonare un’ambulanza colpita durante un attacco: all’interno c’erano i corpi di una donna e di un neonato, e quando è tornato il giorno dopo, alcuni animali randagi avevano mangiato parte dei corpi. Il neonato era ancora vivo.
Il rapporto PHRI: distruggere la sanità come strategia genocidaria
A sostenere la medesima accusa, da un punto di vista diverso ma complementare, è poi il rapporto di Physicians for Human Rights – Israel. Incentrato sulla distruzione sistematica del sistema sanitario di Gaza, il documento conclude che Israele sta commettendo atti che costituiscono genocidio anche sotto il profilo medico e sanitario. Il PHRI parla di “smantellamento
deliberato e sistematico del sistema di vita di Gaza”, con attacchi mirati a ospedali, blocchi agli aiuti umanitari, ostacoli alle evacuazioni mediche, uccisione e incarcerazione del personale sanitario. “Queste azioni non sono effetto collaterale della guerra”, si legge, “ma parte di una politica deliberata volta a colpire i palestinesi come gruppo umano, in quanto tale”. Anche il rapporto PHRI afferma che Israele ha compiuto almeno tre degli atti previsti dalla Convenzione sul genocidio: “l”uccisione di membri del gruppo, gravi danni fisici e mentali inflitti alla popolazione, l’imposizione deliberata di condizioni di vita insostenibili, calcolate per provocare la distruzione del gruppo”. PHRI accusa anche la comunità internazionale di aver mancato al proprio dovere di prevenzione e intervento: “Nonostante le pronunce della giustizia internazionale, Israele non ha rispettato i suoi obblighi. L’enforcement globale è rimasto debole. È tempo che gli Stati adempiano al loro dovere di fermare il genocidio in corso”.
La realtà: 40mila orfani, un’intera società disgregata
Alle testimonianze dirette e alle accuse giuridiche si affiancano poi numeri che restituiscono le proporzioni della devastazione sociale. Secondo i dati contenuti nei due rapporti, almeno 40mila bambini nella Striscia di Gaza hanno perso uno o entrambi i genitori dall’inizio dell’offensiva israeliana. Il 41% delle famiglie si trova oggi a prendersi cura di minori che non sono figli propri. Uno studio pubblicato su The Lancet segnala un crollo verticale dell’aspettativa di vita: meno 51% per gli uomini e meno 38%
per le donne in un solo anno. L’età media della morte è oggi di 40 anni per i maschi e 47 per le femmine.
B’Tselem avverte poi che la crisi non è confinata a Gaza: le violenze contro i palestinesi si intensificano anche in Cisgiordania e nei territori interni allo Stato di Israele, e che i confini dell’assedio si stanno allargando.
(da Fanpage)
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Luglio 30th, 2025 Riccardo Fucile
SOLO LA MELONI TENTENNA E DIFENDE L’INTESA CON IL TYCOON: GLI EFFETTI REALI SUI CONSUMATORI SI VEDRANNO FRA 7-8 MESI
Giorgia Meloni ha mostrato cautela e un prudente basso profilo dopo l’accordo tra Unione
europea e Stati Uniti sui dazi al 15%, di cui è stata accanita tifosa.
Con il suo tradizionale camaleontismo, è stata ubiqua, buttando la palla in tribuna, per prendere tempo e non mettere la faccia sull’umiliazione europea (“Base sostenibile, giudico positivamente il fatto che si sia raggiunto, ma bisogna andare nei dettagli”).
Eppure, i calcoli degli economisti parlano chiaro: le tariffe di Trump avranno un impatto negativo sul Pil italiano di almeno uno 0,5%, senza contare che nel 2026, ultimo anno in cui l’Italia riceverà i fondi Pnrr dall’Europa, le rate verranno erogate da Bruxellese in base dello stato di avanzamento dei lavori, già in cronico ritardo.
Inoltre, quando i cervelloni intorno alla Meloni hanno ipotizzato di usare i fondi del Pnrr per sostenere le imprese colpite dai dazi, da Bruxelles è arrivato un niet perentorio per ricordare che quegli stanziamenti vanno utilizzati per gli investimenti e non per i sussidi.
Se le difficoltà della Ducetta in campo economico sono notevoli, sul piano politico non va meglio.
La “Thatcher della Garbatella” si era appoggiata al cancelliere tedesco, Friedrich Merz, in contrapposizione alla linea dura di Macron contro Trump, per favorire una trattativa con Washington. Merz, bisognoso di tutelare l’automotive tedesco, si
era illuso di ammorbidire Trump con un atteggiamento cedevole, forse convinto di chiudere l’accordo con dazi al 10%.
Quando il tycoon ha inviato all’Unione europea una lettera, minacciando tariffe al 30%, lo stesso cancelliere si è trovato in difficoltà. Il metodo “shock and awe” (colpisci e terrorizza) usato da Trump contro l’Europa ha certificato la totale inaffidabilità del presidente americano. Tra incudine e martello, Merz ha iniziato a tentennare.
Da un lato, pur detestando Ursula, sua rivale di partito nella Cdu e nel Ppe, ha sperato nel buon lavoro del commissario Maros Sefcovic, per ricondurre a miti consigli l’intransigenza di Trump.
Dall’altro, davanti all’arroganza del Caligola di Mar-a-Lago, ha dovuto riconoscere che la linea dura di Macron aveva un senso.
Come ha dimostrato la Cina, l’unico modo per trattare da pari con gli Usa è mostrare i muscoli: più si accondiscende alle pretese del bullo coatto della Casa Bianca, più quello alza il prezzo.
Il risultato finale, con le tariffe al 15%, ha spiazzato Merz e lo ha messo nei guai, perché in Germania l’accordo è stato accolto molto male. I quotidiani tedeschi, con la Bild in testa, hanno sparato a zero contro l’intesa Ue-Usa, la Confindustria di Germania ha tuonato (“Oggi non è un buon giorno per l’economia”).
Il presidente della Federazione auto tedesca, Hildegard Müller, ha dichiarato che “i dazi del 15% costeranno miliardi alle case automobilistiche”. Come ricorda Giuseppe Sarcina sul “Corriere della Sera”: “D’accordo, ma le medesime ‘case
automobilistiche’ sono state il tormento di Berlino e di Bruxelles: fate in fretta, troviamo un compromesso con Washington. Per altro il settore auto è il solo che abbia contenuto i danni: il dazio passerà dal 27,5% al 15%”.
Anche nella stessa maggioranza che sostiene il governo Merz ci sono state notevoli fibrillazioni da parte dei socialdemocratici della Spd, e dei Verdi, che hanno parlato di accordo capestro. Davanti a una tale rivolta collettiva, anche il cancelliere, che si è posto da subito come il più dialogante con gli Stati Uniti, ha dovuto ammettere che l’accordo produrrà “danni sostanziali” all’economia europea, pur riconoscendo che “non si poteva ottenere di più”.
Il mezzo passo indietro di Merz, spaventato dai possibili contraccolpi alla sua maggioranza, lascia Giorgia Meloni da sola, in prima fila, a difendere l’intesa con Trump, il cui impatto è stato finora assorbito dai mercati solo perché i primi veri effetti sui consumatori si vedranno fra 7-8 mesi. Solo allora sarà pienamente visibile il costo economico e sociale delle misure imposte dalla Casa Bianca.
(da Dagoreport)
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Luglio 30th, 2025 Riccardo Fucile
C’E’ VOLUTO BONELLI A INDICARE DOVE ABITAVA, VISTO CHE STRANAMENTE IL VIMINALE NON RIUSCIVA A TROVARLA?… SALVINI ANNUNCIA LA SUA VISITA IN CARCERE PER CONFORTARE LA CRIMINALE AMICA DI BOLSONARO
Carla Zambelli, la deputata brasiliana di origini italiane ricercata dall’Interpol per una condanna a dieci anni di carcere in Brasile, è stata fermata ieri notte a Roma. La donna, membro del partito dell’ex presidente Jair Bolsonaro, ha la cittadinanza italiana ed è stata condannata per l’hackeraggio del sistema informatico del Consiglio nazionale di giustizia.
Zambelli era arrivata in Italia lo scorso 5 giugno, dopo esser atterrata all’aeroporto di Fiumicino con un volo dagli Stati Uniti. La donna aveva passato il controllo doganale con il passaporto italiano, ma successivamente aveva fatto perdere le proprie tracce. Era stata inserita nella lista rossa dell’Interpol, che la rendeva ricercata in 196 Paesi. L’arresto della parlamentare era stato ordinato dal ministro Alexandre de Moraes, del Tribunale
Supremo Federale (Stf), dopo essere stata condannata a dieci anni di carcere per falsità ideologica e violazione del sistema elettronico del Consiglio Nazionale di Giustizia .
Ora la deputata 45enne si trova a disposizione dell’autorità giudiziaria. Prima del suo arresto il deputato di Avs Angelo Bonelli aveva scritto sui social: “Carla Zambelli è in una casa a Roma. Ho comunicato alla polizia l’indirizzo ed in questo momento la polizia ha identificato Zambelli”.
La Polizia federale brasiliana ha poi confermato al governo del presidente Luiz Inácio Lula da Silva l’arresto di Zambelli in Italia. La Corte suprema brasiliana aveva richiesto, a giugno, la sua estradizione in Brasile ma, secondo quanto riporta il sito del quotidiano Folha de São Paulo, la deputata non dovrebbe tornare immediatamente nel suo Paese. Prima la giustizia italiana dovrà esaminare la richiesta del Brasile e decidere se soddisfa i requisiti dei trattati firmati tra i due paesi. Il giudice della Corte suprema brasiliana aveva disposto la detenzione definitiva di Zambelli, oltre alla perdita del mandato parlamentare.
Del suo mancato arresto appena arrivata in Italia era stato chiamato a rispondere anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che aveva chiarito di non aver potuto procedere al fermo in quanto inizialmente su Zambelli non pendeva ancora un mandato di cattura internazionale. Solo successivamente, quando la donna è finita nella lista rossa dell’Interpol, sono potute partire le ricerche della Digos. Assieme a lei era stato condannato anche l’hacker Walter Delgatti, ritenuto responsabile di aver invaso il
dispositivo informatico del Consiglio brasiliano della Giustizia. A quanto risulta, il ministero della Giustizia verde-oro sta già predisponendo la documentazione affinché l’Italia sia formalmente informata che deve scontare la sua pena in Brasile.
Salvini vuole visitare Zambelli in carcere
Il ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini ha espresso il desiderio di far visita a Carla Zambelli, la deputata italo-brasiliana arrestata a Roma. Lo fa sapere la Lega.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2025 Riccardo Fucile
LA DIMOSTRAZIONE CHE SOVRANISMO E’ UGUALE A EGOISMO E FARE I MAGGIORDOMI DEI POTENTI NON RENDE NEANCHE LE MARLBORO CHE CI LANCIAVANO ALLA FINE DELLE GUERRA
Alla fine, borse e commentatori festeggiano con sollievo l’accordo sui dazi al 15 per cento
fra Stati Uniti e Unione Europea, un accordo che si può considerare positivo solo perché rispetto alla proposta di partenza adesso c’è la vaselina al posto del sale. (Vaselina sulla quale i dazi restano invece al 30 per cento: sentiremo meno male, pagando di più).
Comunque sia, dopo quanto accaduto domenica in Scozia, una cosa appare ancora più evidente: la fondatezza dei dubbi sul progetto del ponte Meloni da una sponda all’altra dell’Atlantico. Questo ponte serve? Ha senso? E’ fattibile? Ma soprattutto, regge?
L’infrastruttura è stata annunciata questo autunno dalla premier, che si è appunto candidata a fare da ponte fra Unione Europea e Stati Uniti; e da subito ci sono stati dubbi sull’opportunità politica e diversi rilievi tecnici, a cominciare dalla statura di Giorgia Meloni (1,63 metri) che, per quanto la leader di Fratelli d’Italia possa fare stretching e recuperare così un altro mezzo centimetro, non le consentirebbe comunque, pur se sdraiata, e in trazione di collegare i due continenti.
Inoltre, secondo gli esperti di logistica, sotto non ci passerebbero le navi da crociera, anche se la premier dovesse tenere in dentro la pancia tutto il tempo. Ma forte dei sondaggi e della tenuta del suo governo (in effetti, se si tiene una cosa che si regge su Salvini e Tajani, bisogna ammettere che dietro c’è una certa abilità ingegneristica), Meloni ha insistito sulla validità e solidità del suo ponte con gli Stati Uniti, e questo nonostante il progetto
accumuli ritardi nella sua attuazione.
Ma adesso, alla luce di quanto accaduto domenica, che più che al commento politico ed economico si presta a essere inquadrato in un contesto BDSM, ci si chiede se il progetto di Giorgia Meloni abbia un futuro, e soprattutto se sia sicuro. Sin da subito il comitato tecnico-scientifico ha segnalato l’alta sismicità di Donald Trump: la sua conclamata instabilità infatti non lo rende edificabile, specie considerando i forti venti, le correnti e le tempeste lunatiche alle quali il Presidente degli Stati Uniti è soggetto, e che lo rendono una banderuola altamente umorale. Inoltre, per costruire il ponte Meloni sull’Atlantico, verrebbero rase al suolo circa duecentocinquanta case, due ristoranti, un chiosco, un residence, una panetteria, una macelleria, un motel, un campeggio, un parlamento europeo e diverse ambasciate.
Il tutto a fronte di almeno dieci anni di cantiere, quando sia Meloni che Trump potrebbero non essere più al loro posto – e più in generale l’Europa, gli Stati Uniti, il mondo intero…
Molti accusano questa grande opera di essere solo una trovata elettorale, fatta per far girare tanti soldi in tante tasche pagando stipendi e consulenze (e magari favorire così anche infiltrazioni mafiose da una parte e dall’altra dell’Oceano…); ma nonostante le molte criticità sollevate al progetto, Meloni vuole andare avanti con il suo cantiere, anzi assicura: “Sarò curvilinea ed elastica, come sempre”. E ora ci si chiede con ulteriore preoccupazione: chi paga? L’opera infatti è ambiziosa – è la prima volta che un primo ministro diventa infrastruttura,
toccherà cablarla e prima ancora farle una cura del ferro altamente ricostituente – e secondo i calcoli i flussi fra Europa e Stati Uniti non ripagherebbero l’opera. Il ponte Meloni sull’Atlantico appare oggi talmente irrealizzabile e campato per aria, che ha quasi più senso investire nel Ponte sullo Stretto di quel geometra di Matteo Salvini.
(da ilfoglio.it)
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Luglio 30th, 2025 Riccardo Fucile
DAZI, LA PONTIERA MELONI HA FALLITO, LA MANOVRA ADESSO FA PAURA, I DAZI CONDIZIONERANNO LA LEGGE DI BILANCIO
Giorgia Meloni, la “pontiera” tra le due sponde dell’Atlantico, è uscita a pezzi dall’accordo sui dazi al 15 per cento siglato tra Ue e Usa. Il grande bluff del ruolo decisivo è stato svelato: i decantati rapporti speciali tra la premier italiana e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non hanno sortito alcun effetto.La narrazione meloniana, quella ciclostilata con la copertina del Time, è evaporata davanti alla prova decisiva. Una pontiera senza ponte.
All’insaputa di Meloni
Certo, la soddisfazione del governo era l’unica reazione possibile. A palazzo Chigi il copione era stato preparato a puntino da qualche giorno nelle conversazioni informali: all’annuncio dell’intesa bisognava diffondere una nota congiunta della presidente del Consiglio e dei suoi vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, in cui «accogliere positivamente la notizia».
Meno semplice è stata la gestione dell’inevitabile imbarazzo. Alla richiesta di un commento più puntuale, la premier si è comportata come se fosse una passante: «Attendo i dettagli»
sulle «possibili esenzioni, particolarmente su alcuni prodotti agricoli». Ha traccheggiato, comprendendo la difficoltà a mandare giù un compromesso al ribasso. Meloni ha poi aggiunto: «Non so a che cosa ci si riferisca quando si parla di investimenti, acquisto di gas».
Messa così, sarebbe stata all’oscuro delle informazioni essenziali, senza nemmeno conoscere il mandato conferito alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Tutto a sua insaputa. Non proprio l’immagine di una leadership sfavillante, come ripetuto a social unificati dai dirigenti del suo partito.
Il tema dei dazi è stato sempre un problema per Meloni. Fin dall’insediamento di Trump, la premier ha pattinato sulla prudenza, invitando al pragmatismo e alla cautela. Non si è mai spinta a parlare dei dazi come «un’opportunità», a differenza di quanto ha sostenuto Salvini, ma ha fatto professione di ottimismo su un possibile accordo favorevole. Così non è stato.
Ora bisogna correre ai ripari. La Cgil ha subito chiesto la convocazione a palazzo Chigi delle parti sociali per «valutare i provvedimenti necessari per tutelare lavoratrici e lavoratori e salvaguardare il tessuto produttivo», ha detto il segretario confederale Christian Ferrari. L’accordo rappresenta un sicuro contraccolpo per l’economia italiana.
Ne sono consapevoli tutti i settori produttivi del paese, Confindustria in testa, già messi a dura prova dal calo continuo della produzione industriale: la batosta per l’export rischia di
accelerare il declino. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, aveva fissato al 10 per cento la soglia «ragionevole». Aggiungendo: «Non si può andare molto lontano perché altrimenti diventa insostenibile». Chissà se il 15 per cento rientra nella categoria del «non molto lontano».
Manovra dei dazi
Nell’attesa di comprendere le contromisure, sia a livello europeo che nazionale, nel governo si guarda con una certa apprensione alla prossima manovra, che sarà la penultima della legislatura: quella decisiva per definire la strategia economica del governo. Ammesso che esista. Intanto, le grandi promesse elettorali come flat tax e la cancellazione della riforma Fornero sulle pensioni resteranno ancora dei “buoni propositi”.
Del resto, come raccontato da Domani, già nel decreto Economia in esame al Senato il governo ha dovuto cercare risorse in ogni angolo del bilancio, togliendo 48 milioni al fondo anti-povertà per istituire il “bonus mamme” e finanziare il rinnovo dell’Ape sociale (il pensionamento anticipato di alcune categorie di lavoratori).
Insomma, nemmeno il tempo di brindare all’aumento delle entrate, superiore a 13 miliardi di euro, che sul Mef si addensano nuove nubi. Al momento negli uffici di via XX Settembre viene escluso che queste risorse possano essere usate per finanziare interventi: Giorgetti vuole abbattere il deficit e rispettare i patti con l’Europa.
Ma l’introduzione dei dazi al 15 per cento può modificare
l’impostazione della legge di Bilancio. Più che i tagli alle tasse, che erano stati indicati come una delle priorità, sarà lo stimolo alle imprese al centro del provvedimento. «Bisogna valutare l’impatto reale dell’accordo», è il discorso che dal Mef è stato trasmesso a palazzo Chigi. La pausa estiva viene vista come toccasana per provare a reperire le risorse necessarie.
Le opposizioni hanno chiesto una presa di posizione. «Il governo chiarisca subito quali misure intende mettere in campo per attutire i danni e rilanciare la domanda interna», ha detto la segretaria del Pd, Elly Schlein. Anche nella maggioranza c’è chi affronta il discorso. Tajani ha ribadito che il compromesso al 15 per cento è «sostenibile». Ma il responsabile economico del suo partito, il deputato Maurizio Casasco, ha spiegato che «le imprese vanno sostenute con misure immediate».
Nei mesi scorsi Meloni aveva ipotizzato l’uso di 25 milioni di euro, da prelevare dai fondi Pnrr, per dare un supporto ai settori più colpiti dall’aumento di dazi. Ora che l’incremento è diventato realtà, serve trasformare le parole in fatti. Perché per tenere in piedi il tessuto produttivo, non è sufficiente definirsi pontieri con Trump.
(da editorialedomani.it)
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Luglio 30th, 2025 Riccardo Fucile
BARCHINO LASCIATO SENZA SOCCORSI PER 30 ORE AD APPENA TRE ORE DA LAMPEDUSA… CHI HA DATO ORDINI ALLA GUARDIA COSTIERA ITALIANA DI NON INTERVENIRE? MOLTI SONO VIVI GRAZIE A UN MERCATILE CHE E’ RIUSCITO A TRARLI IN SALVO
Per quasi trenta ore una carretta del mare, di cui tutte le autorità marittime competenti
sapevano, è rimasta a beccheggiare in difficoltà a tre ore da Lampedusa.
E’ stata segnalata dalla flotta civile, persino uno degli aerei di Frontex che pattugliano il Mediterraneo l’ha avvistata, ma nessuno è intervenuto. E adesso ci sono due bambini morti e almeno un’altra persona dispersa nel Mediterraneo.
La denuncia di Sea Watch
La denuncia arriva da Sea Watch, che con il suo aereo Sea Bird già lunedì aveva avvistato il barchino, stracarico di gente e visibilmente in difficoltà, e immediatamente dato l’allarme. A bordo c’erano novanta persone, dalle segnalazioni ricevute da Alarm phone, si sapeva che erano in mare da tre giorni. Due di loro erano già in acqua.
Frontex che se ne va
Sei ore dopo, il team ha visto Frontex avvicinarsi. Ma subito è andata via. Da allora, nessuna delle autorità marittime competenti – Malta e Italia – ha inviato soccorsi. “Avrebbero potuto raggiungerli in non più di tre ore”, è la denuncia di Sea
Watch.
Il tentativo del mercantile
Per una notte intera quelle novanta persone sono rimaste in balia del Mediterraneo e del maestrale che da giorni gonfia le onde nello stretto canale fra Lampedusa e la sponda Sud. Solo ieri mattina il mercantile Port Fukuka, ha cercato di aiutarli.
I bambini morti
Ma le navi commerciali non sono fatte per le operazioni di soccorso. A bordo non ci sono né mezzi, né team addestrati, in più sono infinitamente più grandi dei barchini che attraversano il Mediterraneo, con le onde che provocano rischiano di farli ribaltare. È esattamente quello che è successo. Quando sono riusciti a portare tutti a bordo, hanno comunicato via radio dalla Port Fukuka, due bambini erano già senza vita, una persona mancava all’appello.
Il blocco della nave da soccorso
“La nostra nave da soccorso veloce Aurora avrebbe potuto intervenire in soccorso di queste persone. Si trova a sole quattro ore e mezza di distanza, ma è bloccata dalle autorità italiane nel porto di Lampedusa con motivazioni prive di fondamento”, dicono dall’ong tedesca, che la settimana scorsa ha ricevuto un fermo amministrativo al temine di una missione di soccorso. Motivo? Aver chiesto e ottenuto la modifica del porto assegnato a causa del drastico peggioramento delle condizioni meteo e aver attraccato, sotto coordinamento delle autorità competenti, a Lampedusa e non a Pozzallo.
Dal 15 luglio, la nave è ferma all’ancora, mentre nel Mediterraneo svuotato di soccorsi si continua a morire.
Le autorità italiane e il pericolo Libia
Quello che arriva dal mercantile è solo un bilancio provvisorio e potrebbe essere più grave. Nulla si sa delle persone che erano già in acqua quando Sea Bird ha avvistato la carretta del mare. E cosa sia successo davvero, potrebbe non sapersi mai. “I naufraghi sono ancora sul mercantile e le autorità italiane stanno facendo di tutto per impedire loro di raggiungere l’Italia. C’è il pericolo imminente che la cosiddetta Guardia costiera libica li rapisca e li porti in Libia: verso tortura e morte. È inaccettabile”, dicono da Sea Watch.
La violazione del diritto internazionale
Nonostante sia una palese violazione del diritto internazionale, già sanzionata in Italia come nel caso della Asso, è già successo, anche di recente. Era il 24 maggio, hanno raccontato Alarm phone e Sos Méditerranée, c’erano più di un centinaio di naufraghi su due barche in difficoltà, ma trentacinque – prese a bordo da uno dei due mercantili intervenuti prima che la Ocean Viking dell’ong francese riuscisse a mettere in salvo le ultime 53 persone rimaste a bordo – sono state riportate in Libia.
“Paura che la storia si ripeta”
La situazione era perfettamente conosciuta dalla Guardia costiera italiana, che ha coordinato gli interventi di soccorso, ma nonostante le pubbliche richieste di chiarimenti al momento non si sa chi abbia ordinato al comandante del mercantile di
consegnare i naufraghi a una motovedetta della Guarda costiera libica. E adesso la paura di Sea Watch è che la storia si ripeta. “Questo – affermano – è un sistema che sta facendo ciò per cui è stato progettato: lasciare che le persone anneghino ai confini dell’Europa. Silenziosamente, sistematicamente”.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2025 Riccardo Fucile
SOLIDARIETA’ DI TUTTE LE FORZE POLITICHE
Il ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale sta per convocare l’ambasciatore russo in Italia Aleksej Paramonov per contestargli l’inserimento di alte cariche della repubblica italiana in un presunto elenco di soggetti “russofobi”. Il ministro Tajani, si riferisce in una nota della
Farnesina, “considera l’inserimento della persona del Capo dello Stato in questo elenco una provocazione alla Repubblica e al popolo italiano e offre la sua solidarietà istituzionale e personale al presidente Mattarella”.
“L’inserimento del presidente Mattarella in una lista di presunti russofobi da parte della Russia di Putin è inaccettabile, grave e inqualificabile. Il presidente Mattarella ha il pieno sostegno nostro e degli italiani, siamo con lui contro ogni tentativo di inquinare, distorcere, minacciare la democrazia. Piena solidarietà dal Partito Democratico”. Così la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein.
Stamattina l’aula del Senato ha espresso la propria solidarietà al presidente della Repubblica, il cui nome appare in una “lista di proscrizione” insieme ai ministri Antonio Tajani e Guido Crosetto. Sulla stessa lunghezza d’onda di Schlein il senatore IV Enrico Borghi.
La senatrice Stefania Craxi, a nome di del gruppo di Forza Italia, si è associata “alle parole dei colleghi” per questo “osceno attacco” al presidente Mattarella.
Il capogruppo di FdI Lucio Malan ha aggiunto: “Nel momento in cui assistiamo a questo ingiustificato attacco è doveroso che tutte le istituzioni e le forze politiche si uniscano per respingere con sdegno questi attacchi. Auspichiamo che questa unità ci sia sempre quando vengono attaccate le nostre massime figure istituzionali”.
“La solidarietà della Lega al presidente della Repubblica” è arrivata dal capogruppo Massimiliano Romeo, mentre Michaela Biancofiore (Civici d’Italia), ha sottolineato che ci deve essere sempre “il sostegno alle più alte cariche istituzionali” quando vengono attaccate. Il M5S Bruno Marton ha espresso “solidarietà al presidente Mattarella. E’ un attacco a tutti noi”. Solidarietà anche dal senatore Tito Magni (Avs) al presidente della Repubblica che è “il garante di tutti noi. Respingiamo qualsiasi intervento estero”. Parole di solidarietà anche dal senatore Luigi Spagnoli (autonomie).
Infine, la presidente di turno Licia Ronzulli, a nome della presidenza del Senato ha parlato di “piena e totale vicinanza al presidente della repubblica per gli attacchi vili ricevuti che vanno condannati senza alcuna esitazione”.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2025 Riccardo Fucile
IN CASO DI VITTORIA DEL CENTRODESTRA ALLE PROSSIME ELEZIONI, LA STATISTA DELLA GARBATELLA, CHE AVRÀ NEL GENNAIO 2027 50 ANNI, L’ETÀ PER ESSERE QUIRINABILE, SAREBBE LA PRIMA SCELTA PER IL COLLE
Romanzo dell’estate o solo chiacchiericcio? Scenario impossibile o percorso da costruire?
Pettegolezzo impossibile o sguardo curioso proiettato nel futuro? (…) sul taccuino del cronista diligente, anche se un po’ diffidente, oggi c’è una data e un nome. La data è quella del 2029, quando scadrà il mandato di Sergio Mattarella al Quirinale. Il nome è quello di Giorgia Meloni, anno di nascita 1977.
Quello che si vede, oggi, a poco meno di due anni dalla fine della legislatura, è una lenta ricomposizione dei due fronti politici.
Obiettivo, neanche a dirlo, provare a vincere le prossime elezioni.
Il centrosinistra si sta organizzando per strutturare un campo largo che pur apparendo oggi molto stretto qualche possibilità di non essere perdente ce l’ha (e le regionali dell’autunno
potrebbero dare alla leadership del Pd una spinta in più per essere percepita come vincente, anche se tra la percezione e la realtà c’è un mare di nome Schlein).
Il centrodestra, a sua volta, sta cercando strategie politiche per provare ad arrivare alla fine del prossimo anno con qualche cartuccia utile per disinnescare le armi del campo largo: nuova legge elettorale, senza collegi uninominali che potrebbero aiutare il centrosinistra a essere più competitivo, e un referendum costituzionale, alla fine del 2026, con cui provare a ricompattare prima delle elezioni l’elettorato del centrodestra, e togliere al centrosinistra la possibilità di essere percepito come vincente. La partita di medio termine più evidente, ovviamente, è questa, ed è la partita che si vede di fronte ai nostri occhi.
Ma se si spazzola con un po’ di abilità la superficie della battaglia politica numero uno si capirà con estrema semplicità che nel mondo dei partiti vi è un’altra battaglia che ha una sua centralità, che inizia vorticosamente a trovare spazio nei chiacchiericci tra i leader, tra i ministri, tra i capigruppo dei partiti, e quella battaglia ci permette di tornare ai due mondi che abbiamo provato a unire all’inizio del nostro articolo: Quirinale, 2029, Giorgia Meloni, 1977.
E dunque eccolo il tema: Giorgia Meloni sta davvero costruendo un percorso per essere nel 2029 la vera candidata del centrodestra al Quirinale?
La partita è molto, molto, molto distante nel tempo, lo sappiamo, ma le partite quirinalizie hanno bisogno di tempo per essere
costruite e qualcuno, in vista di quell’obiettivo, si sta già muovendo, come per esempio sta facendo da mesi Antonio Tajani, il cui obiettivo dichiarato è quello di essere, nel 2029, il candidato numero uno del centrodestra per il Quirinale.
La Lega, quella di rito non vannacciano, ha un altro sogno, ha un sogno che si chiama Giancarlo Giorgetti, che qualche carta da giocare potrebbe anche averla. Ma il dato interessante che permette di ragionare attorno al pettegolezzo dell’estate è che a credere alla possibilità di vedere una Meloni muoversi per quell’obiettivo sono anche alcuni esponenti pesanti del governo.
Il Foglio non può rivelare i nomi ma in almeno quattro occasioni negli ultimi due mesi è capitato a chi scrive di parlare con un ministro che ha confermato fuori dal taccuino lo scenario.
Più o meno con queste parole: non c’è dubbio che, in caso di vittoria del centrodestra nel 2027, sarebbe la prima scelta per il Quirinale. Giorgia Meloni, che avrà nel gennaio 2027 l’età per essere quirinabile, non parla di questo tema neanche sotto tortura, naturalmente, e chiunque le ponga domande attorno a questo scenario viene respinto al mittente.
Ma lo scenario, per quanto inafferrabile, è più che suggestivo: il capo del governo che a fine legislatura potrebbe avere raggiunto il record di durata di un esecutivo, che dopo essere stato il primo presidente del Consiglio donna, e di destra, potrebbe giocarsi qualche carta per essere il primo capo dello stato donna, e di destra, accelerando la competizione per il futuro del centrodestra, rendendo contendibile il ruolo dell’eventuale capo
di governo. I tempi sono quelli che sono, e la data del 2029 ci fa ritornare subito alla modalità Troisi, “mo me lo segno”, e le variabili che si presentano da qui a quella data sono ovviamente infinite.
Ma il pettegolezzo dell’estate è qualcosa di più di un pettegolezzo. E’ un’idea. Un’idea che corrisponde a una postura. Una postura che corrisponde a una strategia. Una strategia al centro della quale vi è un romanzo politico il cui finale per essere scritto deve cominciare a essere messo a fuoco già oggi. Romanzo dell’estate o solo chiacchiericcio? Scenario impossibile o percorso da costruire? Chiacchiera frivola o sguardo curioso proiettato nel futuro? La ragione direbbe solo pettegolezzo. Le parole dei ministri però indicano qualcosa di più. Pazza idea. O forse no? Buon pettegolezzo a tutti.
(da Il Foglio)
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