Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
LA TENTAZIONE È ANCORA FORTE: SE VENISSE INDAGATA GIUSI BARTOLOZZI, CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, SI APRIREBBE IL VASO DI PANDORA. MA METTERE ORA IL SEGRETO DAREBBE L’IDEA CHE IL GOVERNO “HA QUALCOSA DA NASCONDERE” (E GIORGIA MELONI NON SE LO PUÒ PERMETTERE)
Parlamento di sabbia, Giusi Bartolozzi è di rabbia e Tajani fa i calcoli a penna. Tutti gli sguardi sono per Bartolozzi, capo gabinetto di Nordio che viene definita da Peppe Provenzano, “la donna che sa e che vide più volte”. Il segreto di stato (“lo mettiamo?”) si spalma come la crema solare.
Direbbe oggi Churchill, il maestro del ministro Nordio, che non “ho altro da offrirvi se non sudore, referendum sulla separazione delle carriere e Zes unica”. Meloni? E’ infuriata con i magistrati per la decisione del Tribunale dei ministri. Nordio? Non sorride ed è ancora più lord nella tristezza, sadness.
Lo accompagna Giusi Bartolozzi che è nella sua “ora Winston”, la buia. Cammina alla Camera con il telefono in mano, lo mostra, cerca le parole, amiche, di Giulia Bongiorno, (“guarda, leggi!”) lei che è la loro signora delle necessità, la santa di Salvini, Meloni, la donna che difende, in tribunale, ministri, presidenti, perché al capezzale si chiede sempre o un medico o un avvocato.
Rischia più Bartolozzi o Nordio? Torna come amuleto “il segreto di stato” che Max Romeo, capogruppo al Senato della Lega, ripete “avrei all’l’inizio di questa storia”, così come avrebbe fatto Claudio Durigon, l’imperatore delle Sabine, il vicesegretario della Lega, di Salvini, perché “parliamoci chiaro, questa indagine mi sembra una grande… lo posso dire? Non lo dico? Alla fine ci compattano ancora di più”.
Il segreto di stato è ora come la zuppa fredda, la deterrenza, il gaspacho, e si offre, nei corridoi della maggioranza, perché “se dovessero indagare Bartolozzi, allora sì, che per evitare quella sfilata di ministri si potrebbe mettere …”
Enzo Amendola, ex ministro degli Affari Europei, il Robert
Harris del Pd (“quest’estate scriverò il mio secondo libro”) illustra quella che chiama la teoria del fusibile: “Molto presto il governo si troverà di fronte a questa scelta: faccio saltare il circuito o sostituisco il fusibile? Qualcuno pagherà e a occhio si capisce chi. Meglio il fusibile”.
La giornata dell’elezione del membro laico del Csm (viene eletto Daniele Porena ma i numeri ballano e li conta a penna Forza Italia) si rovescia nel “Salvate il soldato Bartolozzi”, questa ex magistrata che ha dimenticato cosa diceva Jean Cocteau dell’eleganza, “sempre accompagnata dall’invisibilità”.
Cosa è peggio? Aver svolto, bene o male, il suo lavoro da capo di gabinetto o essersi messa contro un intero ministero dove da tre anni scappano pure i parcheggiatori come l’innocente del film “Le ali della libertà”?
La domanda che corre è se il governo Meloni possa rinunciare alla Bartolozzi e la insinuano in tandem Debora Serracchiani e Provenzano, “ma Bartolozzi, che sa? Che sa?” e poi, sempre in tandem, “rassicuriamo Meloni, la responsabilità sul caso Almasri è sua e nessuno gliela vuole togliere”
In radio, a Radio Anch’io, Cesare Parodi, che risponde a Giorgio Zanchini, sull’eventualità di un processo a Bartolozzi, dice che “un processo dove vengono accertati, magari in via definitiva, certi fatti, ha evidentemente una ricaduta politica”.
Nordio, mai così duro, gli replica, ma con una nota (perché a Montecitorio preferisce: “Ha parlato la presidente del Consiglio, non aggiungo nulla”) che lui è “sconcertato dalle parole di un presidente Anm considerato, sino a ora, equilibrato” e continua con “non so come si permetta di citare la mia capo di gabinetto,
il cui nome per quanto almeno mi risulta, non è citato negli atti”.
Perché non l’hanno chiusa allora, con il segreto di stato? Oggi se ne pentono. Per Giorgio Mulé, vicepresidente della Camera, di Forza Italia, “questo governo agisce alla luce del sol”, e poi aggiunge “leone”, e non “con il favore delle tenebre. Noi siamo hombre vertical e non come Giuseppe Conte”.
A proposito, ma dove sta? Si avvicina un deputato del Pd che svela: “In questo momento sta parlando con Stefano Candiani, della Lega, e vuoi scommettere che parlano di Rai? Se non ci credi, ti giro la foto”.
La gira. Dopo mezz’ora avanza Candiani, che alza le braccia, “ma quale Rai! Conte mi ha solo spiegato che farà un intervento duro, maschio, contro Meloni e io gli ho risposto che la decisione del tribunale dei ministri, non cambierà nulla, radicalizzerà solo gli elettori da curva, da una parte e dall’altra”.
Alla Camera è già tintarella di luna. Il deputato è color latte, con la scarpa da barca e invoca il giusto riposo: “Giovedì, si chiudono i lavori”. Il segreto o il secchiello di stato?
(da Il Foglio)
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Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
“IL PONTIERE” MATTEO SALVINI: “ I LAVORI INIZIERANO TRA SETTEMBRE E OTTOBRE E SARÀ PERCORRIBILE NEL 2032 -2033” … MA I CANTIERI NON PARTIRANNO SUBITO VISTO CHE I NODI SONO ANCORA TANTI: SERVE L’OK DELLA CORTE DEI CONTI SULLE VALUTAZIONI ECONOMICHE DELL’OPERA E SI ATTENDONO UNA PIOGGIA DI RICORSI
Arriva l’ok al progetto definitivo al ponte sullo Stretto di Messina: il Cipess, il comitato
interministeriale, lo ha approvato. L’opposizione, tutte le associazioni ambientaliste e il comitato cittadino messinese «Invece del ponte» ribadiscono però un secco no e in particolare il comitato spiega che da oggi potranno «finalmente» partire i ricorsi.
«E’ arrivata l’approvazione del progetto definitivo per l’avvio dei lavori del ponte sullo Stretto di Messina. Se ne parla dagli antichi romani», esclama il ministro Matteo Salvini.
«E non ti sei fatto una domanda?» ribatte, con un meme ironico sui social, Azione. Spiega il Ministero che ha avuto l’ok «una articolata documentazione» sottolineando che l’approvazione del Cipess «rappresenta un passaggio decisivo per l’opera, che consacra il riavvio del progetto fortemente voluto dal ministro Matteo Salvini. Mai nella lunga storia dell’opera si era arrivati ad una fase approvativa così avanzata».
Sulle barricate le associazioni ambientaliste che chiedono l’intervento dell’Ue con tanto di procedura di infrazione: «L’impatto ambientale del ponte sullo Stretto di Messina è certo, documentato e, dopo anni di negazioni, ammesso dagli stessi proponenti l’opera ».
Per questo Greenpeace, Legambiente, Lipu e Wwf hanno presentato un nuovo reclamo all’Ue ad integrazione di quello già inviato il 27 marzo, chiedendo l’apertura di una procedura di infrazione.
Ma i nodi sono ancora tanti, a partire dall’ok necessario della Corte dei Conti sulle valutazioni economiche dell’opera.
Protesta anche l’associazione cittadina siciliana Invece del ponte molto attiva in questi mesi: «Non c’è alcun via libera definitivo al ponte sullo Stretto. Al contrario di quanto affermano Salvini e i suoi megafoni locali, non si dà il via a nessun cantiere, né inizieranno i lavori. Si tratta, piuttosto, dell’inizio di un percorso tutto in salita per chi ha trasformato un progetto fallimentare in una bandiera propagandistica. E soprattutto, si aprirà finalmente il fronte dei ricorsi legali, in tutte le sedi nazionali ed europee».
Secondo Angelo Bonelli, deputato Avs e co-portavoce di Europa Verde: «Il ponte sullo Stretto rappresenta il più grande regalo ai privati nella storia della Repubblica: 14,6 miliardi di euro di fondi pubblici, quando nel 2005 il costo dell’opera, assegnata tramite bando di gara, era stimato in 3,88 miliardi. Nemmeno Silvio Berlusconi, che del Ponte fece una bandiera, arrivò a tanto». «Mentre Salvini suona la fanfara e e si appresta a celebrare l’approvazione del progetto definitivo del Ponte sullo Stretto da parte del Cipess come una “giornata storica”, la realtà racconta ben altro. Non c’è nulla di storico, se non lo spreco colossale che questo intervento rappresenta: miliardi di euro destinati a un’opera inutile, che sarà ricordata nei manuali di storia come uno dei più grandi errori nella gestione delle risorse pubbliche italiane», attacca il capogruppo Pd in commissione trasporti della Camera, Anthony Barbagallo.
(da agenzie)
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Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
INVECE DI ALZARE LA VOCE, QUEL MERLUZZONE DI TAJANI RINCULA: “È IL GOVERNO VENEZUELANO CHE DECIDE SE FAR AVERE UN COLLOQUIO O NO” – TRENTINI E’ DETENUTO DAL 15 NOVEMBRE 2024 NEL CARCERE “EL RODEO”
La prima, possibile, svolta attesa sul caso di Alberto Trentini, il cooperante italiano detenuto dal 15 novembre dello scorso anno nel carcere El Rodeo di Caracas in Venezuela è stata rinviata.
La missione di Luigi Vignali, inviato speciale della Farnesina che il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha scelto a fine luglio per sbrigliare la vicenda di Trentini, genericamente accusato di cospirazione e terrorismo, e di un’altra quindicina di italiani detenuti nelle prigioni venezuelane, è stata «ricalendarizzata».
Ci vorranno un paio di settimane perché lo spiraglio aperto dal governo italiano possa dare i suoi primi frutti. Vignali era volato a Caracas perché nei giorni scorsi aveva ottenuto delle rassicurazioni. Eppure. una volta lì, non è stato ricevuto. [..]
Fonti della Farnesina fanno sapere però che «Vignali tornerà appena possibile in Venezuela», dove risiedono circa 200mila connazionali. «Abbiamo mandato un inviato, gradito anche alla famiglia» di Alberto Trentini, ma «è il governo venezuelano che decide se far avere un colloquio o no. Stiamo cercando di fare tutto il possibile ma non è così semplice», ha spiegato anche Tajani, confermando lo stand-by della missione italiana. Una impasse che i genitori del cooperante confidano verrà superata a breve.
«Prendiamo atto del rinvio della spedizione dell’inviato ma speriamo che il dialogo possa proseguire», fa sapere la famiglia Trentini, tramite l’avvocata Alessandra Ballerini. «Dopo quasi nove mesi di detenzione, Alberto deve tornare a casa», chiede, di nuovo, la mamma, Armanda Colusso, che in questi 263 giorni ha potuto sentire il figlio al telefono solo due volte per pochi minuti, a maggio e a luglio.
(da La Repubblica)
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Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
GIUSI BARTOLOZZI NEI GUAI PER ALMASRI. I GIUDICI: “HA MENTITO, SENTIVA NORDIO 40 VOLTE AL GIORNO”
A Palazzo Chigi il vero timore è costituito dalla possibilità che il fronte giudiziario si
sposti su un’altra figura chiave del dossier. Quella di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto di Nordio, protagonista quasi indiscussa dei documenti inviati ieri dal Tribunale dei ministri al Parlamento.
È lei – sospettano – l’anello debole che potrebbe spezzare la catena. Per questo mentre i documenti dell’inchiesta sui ministri
varcano la soglia di Montecitorio, il nome della “zarina” di via Arenula – indicato ben 25 volte nelle carte – diventa centro di gravità delle tensioni interne.
I documenti raccontano che il 18 gennaio, quando il generale libico Almasri viene arrestato a Torino su mandato della Cpi, l’allerta scatta subito al ministero della Giustizia. A innescarla è Luigi Birritteri, capo del Dag, che segnala l’urgenza di un atto ministeriale per convalidare la detenzione.
Bartolozzi risponde alle 15.28: «Meglio chat su Signal. Niente per mail o protocollo». Il giorno dopo, la bozza è pronta. Ma resta lì. Senza firma, senza risposta. Ed è proprio quell’assenza, oggi, a inquietare. Se Bartolozzi era informata lo era anche Nordio? E se no, perché?
L’ombra è quella di una gestione parallela, diretta con Palazzo Chigi, probabilmente con lo stesso Mantovano, che avrebbe tenuto all’oscuro il ministro, come paiono confermare anche le ripetute assenze di Nordio dalle riunioni tenute in quelle ore. Un cortocircuito che spiegherebbe la versione traballante fornita in Aula a febbraio. E che apre scenari giudiziari tutti da scrivere.
Il rischio, per il governo, è che la procura di Roma decida di indagare proprio su di lei. Per questo, in ambienti di maggioranza si inizia a soppesare una scelta drastica: «O si sacrifica la zarina, oppure non se ne viene fuori», sussurra un parlamentare. Intanto, Giorgia Meloni tiene la linea del gelo. Nessuna fuga in avanti, nessuna esposizione. Il messaggio, fatto filtrare da FdI, è secco: «Serve freddezza e gestione del tempo».
(da La Stampa)
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Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
“CI SENTIAMO QUARANTA VOLTE AL GIORNO, SEMPRE, OGNI COSA CHE ARRIVA. OGNI VOLTA CHE C’ERA LUI, C’ERO ANCH’IO”… LA CHAT SU SIGNAL E LE VOCI CHE SI INTENSIFICANO IN MAGGIORANZA: “O SI SACRIFICA LA ZARINA, O NON SE NE VIENE FUORI”
“Basta, basta, basta! Non comunicate più! Segnati su Signal. Non faccia altro e si fermi così”. Negli atti trasmessi dal tribunale dei ministri al Parlamento emerge una posizione particolarmente delicata: quella della capa di gabinetto del ministero della Giustizia, Giusi Bartolozzi.
È lei che parla a un dirigente del ministero chiedendo, poche ore dopo l’arresto di Almasri, di bloccare non soltanto le
comunicazioni. Ma anche ogni atto che avrebbe potuto evitare la scarcerazione del torturatore libico. Anche quelli sollecitati dalla Corte di appello.
È lei che, davanti ai magistrati, ha fornito una versione dei fatti ritenuta “sotto diversi profili inattendibile e, anzi, mendace”, si legge negli atti. Oggetto dello scontro la bozza del provvedimento, preparato dagli uffici, e che avrebbe consentito di evitare la scarcerazione di Almasri.
Bartolozzi ha raccontato di non “aver ritenuto opportuno di sottoporgli quella bozza”. “Un’affermazione contraddittoria laddove affermava, da un lato, che, non appena avuto notizia dell’arresto, ne aveva informato il Ministro”, scrivono le magistrate. Aggiungendo: “Dopo la prima riunione su Signal del 19, lo aveva richiamato.
E, in generale, “si sentiva con lui quaranta volte al giorno, sempre ogni cosa che arriva…noi ci sentiamo immediatamente; io quando ricevo gli atti glieli mandavo… ogni volta che c’era lui, c’ero anch’io”, scrivono citando un passaggio del verbale della Bartolozzi.
Per arrivare quindi alla conclusione che non fosse verosimile che non le avesse sottoposto il provvedimento. E ancora.
“È logicamente insostenibile”, dice il tribunale dei ministri, “che si sia arrogata il diritto, così violando la normativa regolamentare, di sottrarre al Ministro […] un elemento tecnico da valutare e tenere in considerazione ai fini della decisione da assumere”.
“In terzo luogo”, si legge ancora negli atti, la Bartolozzi avrebbe mentito quando diceva che non si erano posti i problemi dei
tempi. “La dirigente del ministero ricordava espressamente di aver parlato del problema dei termini da rispettare, tant’è che le aveva anche informate che l’udienza della Corte d’Appello era stata fissata per il giorno 21 gennaio.
In più, quanto al contenuto delle riunioni con gli altri vertici istituzionali, era stato raccontato che non era stata affrontata solo la questione giuridica sulla legittimità o meno dell’arresto ma anche il cosa sarebbe stato fatto nell’eventualità in cui la Corte d’Appello avesse disposto la scarcerazione dell’Almasri”.
(da La Repubblica)
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Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
VOTO FINALE ALLA CAMERA CON SUI SALVERANNO GLI IMPUTATI ENTRO LA FINE DI OTTOBRE A SCRUTINIO SEGRETO
Il procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, risponde al ministro della Giustizia, Carlo
Nordio, sul caso Almasri: “C’è qualcuno che va dicendo che ho inviato in ritardo gli atti del tribunale dei ministri sul caso Almasri alla Camera sostenendo che li avrei ricevuti l’1 agosto – afferma il magistrato -. A parte il fatto che gli atti andavano letti, rimessi in ordine, corredati da alcuni provvedimenti necessari per eseguire le decisioni del Tribunale dei ministri e interamente fotocopiati, il tempo impiegato è stato minimo e cioè dal 4 agosto, giorno di arrivo degli atti in procura, al 5 agosto, giorno di arrivo degli atti alla Camera. Se 24 ore vi sembrano troppe”. Lo Voi aggiunge: “Chi lo ha detto che gli atti sono pervenuti in Procura l’1 agosto? Ci sono informazioni riservate che non conosco?”.
I tempi della giunta per l’autorizzazione
La giunta per le autorizzazioni della Camera, per bocca del suo presidente Devis Dori, fa sapere i tempi dei lavori sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del sottosegretario Alfredo Mantovano e dei ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio sul caso Almasri. Con la previsione del voto finale in Aula entro la fine di ottobre.
“L’ufficio di presidenza della giunta per le autorizzazioni della Camera ha deciso all’unanimità i tempi dell’esame delle carte inviate dal Tribunale dei Ministri in merito alle posizioni del sottosegretario Alfredo Mantovano e dei ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio sul caso Almasri, dando di fatto avvio ai lavori – si sottolinea in una nota -. Entro la fine di settembre sarà pronta la relazione per l’Aula, si terranno almeno cinque sedute, inviteremo infine gli interessati a fornire i loro chiarimenti. Sia la Giunta che l’Aula esprimeranno tre voti distinti, con voto palese in Giunta e segreto in Aula la quale voterà definitivamente entro ottobre”.
Cos’è la giunta per le autorizzazioni
La giunta per le autorizzazioni è un organo permanente con competenza a decidere in prima istanza sulle richieste di arresto, perquisizione e intercettazione dei deputati. E’ formato da 21 deputati. Da prassi la presidenza è affidata a un membro dell’opposizione. Il presidente attuale è l’avvocato Devis Dori eletto nel 2022 con Avs. Nel 2018 era entrato alla Camera nelle file del Movimento 5 stelle.
Le reazioni
Dopo l’arrivo degli atti alla Camera sul caso Alamsri, arrivano i primi commenti del mondo politico. Angelo Bonelli, parlamentare Avs e co-portavoce di Europa Verde attacca il governo: “Sul caso Almasri nessun esponente del governo italiano ha mai parlato di ragion di Stato. Anzi, il ministro Piantedosi è venuto in Parlamento a dire esattamente il contrario, affermando che non c’erano pressioni dalla Libia e che non esisteva alcun pericolo per l’Italia. Ha mentito davanti al
Parlamento della Repubblica. Anche il ministro Nordio ha mentito su più circostanze, dalle trasmissioni degli atti ad altri aspetti rilevanti”.
Secondo Matteo Renzi, leader di Italia viva, “l’errore del governo è aver detto bugie. Sono venuti in parlamento e soprattutto Nordio ha raccontato una catena di bugie. Il problema giudiziario se lo vedono i magistrati, ma un governo della Repubblica che racconta una catervadi fregnacce… avrebbero dovuto parlare il linguaggio franchezza e dire del segreto di stato”.
(da agenzie)
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Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
IL RESPONSABILE DI “PANE QUOTIDIANO”: “SEMPRE PIU’ PERSONE IN DIFFICOLTA’… E IL GOVERNO ASOCIALE PENSA SOLO A FAVORIRE GLI EVASORI FISCALI E LE LOBBY DEI POTENTI
“A luglio abbiamo registrato in media dai 4000 ai 4500 passaggi al giorno”, ha spiegato a Fanpage.it il vice-presidente di Pane Quotidiano, Luigi Rossi. “Ma i numeri sono in crescita. Entro la fine dell’anno prevediamo di superare il milione e mezzo di passaggi”. Questo perché ogni giorno a Milano migliaia di persone in difficoltà si mettono in fila, a bordo strada, fuori dalle sedi di Pane Quotidiano in viale Toscana e viale Monza per ricevere un pacco alimentare che la Onlus distribuisce loro gratuitamente.
Secondo l’ultimo report, soltanto nel 2024, Pane Quotidiano ha distribuito più di 1.350.000 razioni di cibo, ovvero circa 3.280.000 Kg/Lt di generi alimentari di prima necessità. “Dall’inizio del 2025, però, le richieste sono aumentate”, ha raccontato Rossi a Fanpge.it. “I numeri di questi mesi estivi sono più alti, proprio come quelli dei mesi precedenti. L’affluenza, infatti, non cambia in base alla stagionalità: se la gente ha fame, ha fame, punto”. E anche se d’estate alcune mense e associazioni chiudono, i numeri rimangono stabili, compensati da “qualcun altro che parte o che viene ospitato da qualcuno”, ha aggiunto. “C’è un bilanciamento che mantiene stabili i numeri”.
Chi sono le persone in coda per i pacchi di cibo
“Il 65% delle persone che si mettono in coda per ricevere un pacco alimentare è costituito da cittadini extracomunitari”, ha
spiegato il vice-presidente di Pane Quotidiano. “Il restante 35% sono cittadini italiani”. Di questi ultimi, “la fascia di popolazione maggiormente presente, quella più colpita e più in difesa, è rappresentata dagli anziani”, ha aggiunto.
In più, “da un anno e mezzo a questa parte abbiamo aggiunto un nuovo servizio per assistere le fasce più deboli della società meneghina”, ha concluso Rossi a Fanpage.it. “Abbiamo iniziato a distribuire a domicilio pacchi alimentari settimanali agli invalidi 100%. Al momento, gli iscritti al servizio sono già 250”.
(da agenzie)
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Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
COLPA SOPRATTUTTO DELL’IMBARAZZANTE GESTIONE DEI FILE DI EPSTEIN: IL 63% DEGLI ELETTORI È CONVINTO CHE L’AMMINISTRAZIONE STIA NASCONDENDO INFORMAZIONI SUL FINANZIERE PEDOFILO, MORTO SUICIDA IN CARCERE NEL 2019 (DURANTE IL PRIMO MANDATO DEL TYCOON)
A sei mesi dall’inizio del suo secondo mandato, il presidente Donald Trump affronta un
calo significativo di consenso: secondo il sondaggio UMass Amherst condotto tra il 25 e il 30 luglio su un campione nazionale di 1.000 persone, l’approvazione è scesa di 6 punti rispetto ad aprile, attestandosi al 38%, con il 58% degli americani che disapprova il suo operato. L’indice di approvazione netto segna ora un -20.
Trump mantiene un forte sostegno tra i repubblicani, ma perde terreno in tutte le fasce demografiche: uomini, donne, giovani, anziani, classi sociali e gruppi razziali. In particolare, l’approvazione tra gli uomini è calata dal 48% al 39%, mentre tra gli indipendenti è precipitata dal 31% al 21%. I dati rivelano che le sue politiche — su immigrazione, inflazione, occupazione e dazi — sono valutate negativamente dalla maggioranza degli intervistati
Un elemento centrale di questo crollo è lo scandalo Epstein: il 70% ritiene che Trump abbia gestito male la questione, e il 63% crede che la sua amministrazione stia nascondendo informazioni.
Il 59% chiede un procuratore speciale per indagare la gestione del caso da parte del Dipartimento di Giustizia. L’81% attribuisce la responsabilità diretta a Trump. Lo scandalo ha suscitato un’insolita convergenza trasversale: democratici,
repubblicani e conservatori condividono, in parte, la sfiducia verso il presidente su questo tema.
L’immagine pubblica di Trump risente fortemente di accuse di corruzione e disonestà: il 49% lo considera “molto disonesto” e il 45% “molto corrotto”, con solo un terzo degli intervistati che rifiuta queste etichette. Anche la trasparenza è un punto debole: il 52% ritiene che non sia affatto trasparente
L’unico punto di forza percepito è la “forza”: il 58% lo considera un leader forte o abbastanza forte. Ma la valutazione della competenza è spaccata: 52% sì, 48% no.
Infine, la narrazione del “pentimento” degli elettori di Trump appare esagerata: l’86% voterebbe ancora per lui. Solo l’1% esprime rimpianto esplicito, mentre il 6% cambierebbe voto in favore di Kamala Harris. Tuttavia, segnali di cedimento si registrano: il 31% dei suoi elettori non si dice pienamente sicuro della propria scelta, un dato che preoccupa i repubblicani in vista delle elezioni di metà mandato del 2026.
(da new-national-umass)
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Agosto 6th, 2025 Riccardo Fucile
IL “CAVALIERE NERO DELLA TECNODESTRA” HA PIAZZATO I SUOI UOMINI NEI GANGLI DELL’AMMINISTRAZIONE. E CON LA SUA SOCIETÀ, PALANTIR, OTTIENE RICCHE COMMESSE E UN POTERE SENZA PRECEDENTI, CHE VA DALLA DIFESA (SISTEMI DI AI PER IDENTIFICARE I BERSAGLI CON IL RICONOSCIMENTO FACCIALE) AL FISCO E I MIGRANTI E ALLA POLITICA ESTERA
Un anno fa l’alleanza elettorale, che poi divenne collaborazione di governo, fra Donald Trump ed Elon Musk fu letta come l’alba di un’integrazione tra la politica “muscolare” del leader repubblicano e la tecnologia dell’ala della Silicon Valley favorevole a sostituire un sistema parlamentare considerato inefficiente e superato con un tecnoautoritarismo guidato dall’intelligenza artificiale (AI).
La rottura tra il presidente e Musk sembrava aver posto fine a questo processo.
Ma se Elon ha fatto fuoco e fiamme fino a creare un partito per far perdere ai trumpiani le prossime elezioni mentre Trump
minaccia di strangolarlo cancellando i contratti governativi con le sue aziende, gli altri tecnologi […] restano nell’Amministrazione, e con ruoli sempre più centrali, dalle criptovalute alla diffusione di sistemi informatici e di AI in tutti gli organismi pubblici, centrali e periferici.
Qui il re indiscusso è Peter Thiel con la sua Palantir (la regina della Borsa col valore del titolo passato in un anno da 24 a 160 dollari).
Primo tecnologo a sposare Trump già nella campagna del 2016 (quando Musk era ancora democratico), deluso dal presidente repubblicano fino al punto di abbandonare la politica già a metà del 2017, Thiel ha poi finanziato singoli candidati conservatori (diventando, tra l’altro, il padrino politico di JD Vance), ma non ha più versato un dollaro nelle casse di Trump, tornando a collaborare con lui solo dopo l’elezione, spinto da Musk.
Ma, anche se ha molti tratti comuni con Elon (entrambi cresciuti in Sudafrica, coprotagonisti dell’avventura di PayPal, primo sistema di pagamenti elettronici, e poi leader della lobby di geni tecnologici soprannominata PayPal Mafia), Thiel è un personaggio molto diverso: lontano dal narcisismo e dal temperamento fumantino di Musk e con una vasta cultura (ha studiato filosofia e legge a Stanford, tiene conferenze a Oxford, Harvard e Yale dove illustra la sua visione dell’«anticristo» ispirata al cristianesimo del suo maestro, il filosofo francese René Girard) pur nella comune fascinazione Tolkien (fino a chiamare la sl’azienda Palantir, la pietra veggente del Signore degli Anelli)
Thiel ha mantenuto un basso profilo pubblico: ha messo suoi
uomini in molti snodi-chiave del governo (dal Doge, il ministero dell’efficienza, ai capi dei dipartimenti tecnologici della Casa Bianca e del Tesoro) e ora gli viene consentito di espandere la già massiccia presenza di Palantir nelle strutture informatiche federali: la società, che fin dall’era Obama aveva avuto grandi contratti col Pentagono e i servizi di intelligence, ormai ha il quasi monopolio dell’analisi di enormi masse di dati e della loro profilazione a fini di sicurezza nazionale.
Ma anche di sorveglianza: ha appena ricevuto altri contratti federali per 300 milioni di dollari mentre il Pentagono ne ha destinati altri 800 al Project Maven, un sistema di analisi delle immagini per identificare i bersagli sul campo di battaglia sviluppato da Palantir. Che sta per avere dalla Difesa un altro contratto per tutti i software militari da 10 miliardi in 10 anni.
Intanto la tecnologia Palantir penetra ovunque anche nei rami civili del governo: Fisco, controllo degli immigrati, dati sanitari dei cittadini, gestione del traffico aereo.
Anche i cablogrammi del Dipartimento di Stato sono criptati con la tecnologia di Thiel. Al quale Trump ha affidato addirittura l’inquietante missione di unificare tutte le banche dati federali, statali e locali. Via i silos separati che sono inefficienti, dice il presidente.
Così, però, si possono schedare con grande dettaglio i cittadini, come ha fatto la Cina, che ha poi introdotto anche un sistema di rating dei suoi sudditi.
Fra tre anni Trump dovrebbe uscire di scena. Thiel resterà con la sua filosofia tecnoautoritaria illustrato dal suo braccio destro, il cofondatore e Ceo di Palantir, Alex Karp, in «The Technological
Republic», un saggio che è un manifesto politico: Occidente in declino, debole perché legato a schemi politici ormai superati, usa la tecnologia solo per arricchirsi.
L’America cambi rotta: dalla democrazia liberale a una tecnocrazia basata sul talento. Usando l’AI per la sicurezza nazionale e la tutela del suo patrimonio di valori .
(da Corriere della Sera)
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