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GIORGIA MELONI RISCHIA DI BRUTTO SUL CASO ALMASRI: IL TRIBUNALE DEI MINISTRI, SCAGIONANDO LA STATISTA DELLA GARBATELLA E RINVIANDO A GIUDIZIO I DUE MINISTRI E IL SOTTOSEGRETARIO ADDETTO AI SERVIZI SEGRETI, HA APERTO UNA BOTOLA DOVE, DALL’ALTO DEL SUO DILENTATTISMO, MELONI CI È CLAMOROSAMENTE CADUTA

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

LO “SCUDO” PER SALVARE GIUSI BARTOLOZZI NON ESISTE: NON ESSENDO STATA RINVIATA A GIUDIZIO, IL GOVERNO NON PUÒ ESTENDERE “IL CONCORSO” NEL REATO COL MINISTRO NORDIO. COSI’, IL PARLAMENTO PUO’ NEGARE L’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE CONTRO PIANTEDOSI, NORDIO E MANTOVANO, MA LA PROCURA DI ROMA NON AVRÀ ALCUNO OSTACOLO A RINVIARE A GIUDIZIO LA BARTOLOZZI, CON CONSEGUENTI ”RICADUTE POLITICHE” SU MELONI

Al netto delle roboanti dichiarazioni (senza contraddittorio) via Tg5, Giorgia Meloni ha gli otoliti “on fire” per la contorta e autodistruttiva vicenda Almasri.
Certo, il Tribunale dei Ministri, un collegio di tre magistrati sorteggiati per questo delicato incarico, scagionando la Statista della Garbatella e rinviando a giudizio i due ministri e il sottosegretario addetto ai servizi segreti, ha aperto una botola dove, dall’alto del suo dilentattismo politico, Meloni ci è clamorosamente caduta.
Archiviandola, infatti, le hanno offerto infatti la possibilità di rivendicare la responsabilità della scarcerazione del generale libico con ritorno a casa con un volo di Stato (Aise).
Assumersi la responsabilità politica è così diventata un boomerang: se infatti la Ducetta, quando andrà in Parlamento a difendere i ministri Nordio e Piantedosi, e il sottosegretario Mantovano, si prenderà la “colpa” di quanto accaduto tra il 19 e il 21 gennaio, di fatto sconfesserà i tre caballeros del Governo, che invece nei loro interventi in Parlamento hanno cercato di minimizzare la volontà “politica” dell’esecutivo, sciorinando una bugia dopo l’altra.
La posizione di Nordio, in particolare, è molto traballante: l’ex magistrato ha detto di non essere stato informato formalmente dell’arresto del criminale libico, sottolineando le anomalie del mandato di arresto (che non sarebbe stato tradotto dall’inglese, avrebbe avuto allegati in arabo e con incongruenze logiche), salvo poi essere via via smentito su tutta la linea, e indirettamente, dai suoi stessi collaboratori.
In primis, involontariamente, è stata la “zarina” di Gabinetto del ministero della Giustizia, Giusi Bartolozzi, che afferma di sentire il Guardasigilli “quaranta volte al giorno, sempre, ogni cosa che arriva… io quando ricevo gli atti glieli mando”, ma il destino cinico e baro vuole che gli avrebbe nascosto la bozza predisposta dall’Ufficio tecnico sul dossier Almasri. Le dichiarazioni di Bartolozzi, secondo i giudici del Tribunale dei Ministri, sono “smentite” da lei stessa: “la sua versione è da ritenersi sotto diversi profili inattendibile, anzi mendace”.
Ma se ci sono così tante “prove” contro la biondissima e rampantissima ex deputata Di Forza Italia, perché non è stata indagata? Bella domanda. Forse i giudici devono aver immaginato che il Governo avrebbe subito innalzato lo “scudo” di cui stanno parlando in questi giorni i quotidiani: l’appiglio, come riporta “Repubblica” è un passaggio della legge costituzionale 219 del 1989, che consentirebbe di estendere il diniego dell’autorizzazione pure a chi ha agito ‘in concorso’ con esponenti di governo, ‘anche se non ministro né parlamentare’.
In soldoni, la tesi di difesa di Palazzo Chigi è che la Procura di Roma diretta da Lo Voi non potrebbe indagare Bartolozzi senza chiedere la preventiva autorizzazione a procedere alla Camera. Ma la “zarina” di via Arenula non essendo stata rinviata a giudizio “in concorso” con il suo ministro Nordio, il governo non può estendere la guarentigia costituzionale espressamente prevista per la Presidente del Consiglio e per i Ministri anche al capo di gabinetto del Ministro della Giustizia.
Insomma, lo “scudo per Giusi”, scrive Matteo Renzi su X, ”commetterebbe un atto contro la Costituzione, contro le Istituzioni, contro la Giustizia. Su questo punto non si scherza: la guarentigia costituzionale vale per la Premier e per i Ministri.
Non vale per i capi di gabinetto. Se qualcuno provasse a sostenere il contrario si aprirebbe uno scontro istituzionale senza precedenti”.
Dunque, anche se arriverà il voto del Parlamento che negherà ai giudici del Tribunale dei Ministri l’autorizzazione a procedere contro Piantedosi, Nordio e Mantovano, la Procura di Roma non avrà alcuno ostacolo a rinviare a giudizio la Bartolozzi.
La questione del mancato rinvio a giudizio della cocca di Nordio fa molto discutere i Palazzi romani: davvero i magistrati romani, consapevoli del voto in aula sui due ministri e il pio sottosegretario, avrebbero escluso Bartolozzi dal “primo round” di indagini? Non è certo un caso Nordio si sia infuriato leggendo la dichiarazione del presidente dell’ANM, Cesare Parodi, che ha parlato di una “ricaduta politica, neanche tanto indiretta, sulle persone coinvolte”.
E la ricaduta politica, è indubbio, c’è stata: nel centrodestra sono in molti a chiedere la testa della “zarina” di via Arenula, che in questi anni è riuscita in una scalata rapida e inesorabile.
Ma il “suo” ministro, Nordio, l’ha sempre difesa a spada tratta. Oggi, l’ex toga con la passione per gli spritz, ha offerto il collo per lei: “Ritengo puerile ipotizzare che il mio capo di gabinetto abbia agito in autonomia. Ribadisco che tutte, assolutamente tutte le sue azioni sono state esecutive dei miei ordini, di cui ovviamente mi assumo la responsabilità politica e giuridica”.Finendo per smentire anche se stesso: se Giusi Bartolozzi ha eseguito i suoi ordini, significa che il 19 gennaio Nordio era a conoscenza dell’arresto di Almasri, e la sua balbettante difesa di questi mesi era solo un fragile castello di
menzogne.
L’altra domanda che rumoreggia è questa: come mai il Governo non ha optato per il segreto di Stato sulla questione Almasri?
Nessuno sarebbe stato a conoscenza dei dettagli delle riunioni in cui si è deciso di rimpatriare il torturatore libico, con volo di Stato, e l’esecutivo si sarebbe evitato una bella rogna. È stato il solito, semplice, mix di arroganza e di incompetenza di Giorgia Meloni e dei suoi camerati.
Hanno deciso di evitare di secretare tutto per una mera valutazione politica (non essendoci ragioni tecniche per farlo): temevano che, se fosse uscita, la notizia avrebbe assunto contorni ancora più preoccupanti, dando adito a ogni tipo di speculazione da parte dell’opposizione.
La Thatcher della Garbatella, quando era all’opposizione, ha sempre chiesto la desecretazione di molti atti: nascondere la liberazione di Almasri avrebbe prestato il fianco a chi la accusa di essere una “camaleonte” traditrice del suo stesso passato…
(da Dagoreport)

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A SALERNO UN UOMO CHE AVEVA APPENA RILASCIATO UN’INTERVISTA SULLA POCA SICUREZZA IN CITTÀ HA RAPINATO UN ANZIANO: MERITA UNA MEDAGLIA SOVRANISTA AD HONOREM

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

IL LADRO, DOPO AVER PARLATO AL MICROFONO DELL’EMITTENTE LOCALE, HA SORPRESO IL VECCHIETTO ALLE SPALLE,… IL PARACULISMO DEL CRIMINALE CHE NELL’INTERVISTA AVEVA ACCUSATO GLI EXTRACOMUNITARI DI ESSERE COLPEVOLI DI FURTI E RAPINE

Pochi minuti prima aveva rilasciato un’intervista all’emittente locale TvOggi proprio sulla sicurezza in città, l’uomo che ha rapinato ieri in pieno giorno un anziano sul Corso Vittorio Emanuele dopo piazza Portanova, sorprendendolo alle spalle ed intimandogli di consegnargli il portafogli sotto minaccia di un oggetto tagliente.
Gli agenti della polizia con la squadra mobile nel pomeriggio di ieri hanno eseguito un fermo, portando un giovane italiano in caserma per confrontare le immagini dei sistemi di videosorveglianza presenti lungo la strada in cui è avvenuto l’episodio, con le testimonianze dell’anziano rapinato e in seguito anche le immagini proprio dell’emittente locale registrate qualche minuto prima.
Lo stesso si trovava infatti sul lungomare di Salerno e ha rilasciato delle dichiarazioni circa quanto sta avvenendo a Salerno nelle ultime settimane con il conseguente allarme sicurezza, poco dopo si è reso poi lui stesso autore di una rapina ai danni del malcapitato.
Il signor Roberto, 79enne, è stato vittima di un’aggressione e della rapina avvenuta ieri mattina, intorno alle 11:30, proprio nei pressi lungomare Trieste di Salerno. L’uomo stava passeggiando quando è stato avvicinato alle spalle dall’individuo che lo ha bloccato, minacciandolo con un oggetto non meglio identificato. Il malvivente gli ha intimato di consegnare il portafogli, minacciandolo di fargli del male se non avesse obbedito.
«Lavoro non ce n’è molto, non sono razzista – aveva detto il presunto rapinatore durante l’intervista – ma ci sono tanti extracomunitari in giro che spesso si ubriacano e succede sempre qualcosa di questo tipo». Dopo queste parole – dunque – il giovane ha compiuto la rapina ai danni del povero malcapitato che si trovava sul lungomare per una semplice passeggiata: aveva scelto Salerno, da Nocera Inferiore, per passare qualche ora tranquilla, ma così non è stato.
(da Il Mattino)

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“C’È IL RISCHIO DELLA SOPRAVVIVENZA DI VILLA SAN GIOVANNI”: GIUSY CAMINITI, LA SINDACA DELLA CITTADINA CALABRESE DICE NO AL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

“IL CANTIERE IMPATTA SULL’INTERO TERRITORIO COMUNALE DIVIDENDOLO IN DUE PARTI. CI ASPETTIAMO CHE LA RICHIESTA DI SOSPENSIONE DELLA PUBBLICA UTILITÀ VENGA ACCOLTA”

La sindaca di Villa San Giovanni, Giusy Caminiti, si è detta profondamente contraria all’approvazione del progetto annunciata da Salvini, denunciando l’impatto devastante che il cantiere potrebbe avere a suo dire sulla città: «Abbiamo sempre espresso una contrarietà a questo progetto definitivo approvato. C’è a rischio la sopravvivenza della città di Villa San Giovanni per un cantiere che impatta l’intero territorio comunale dividendolo in due parti»
Tra i nodi più delicati c’è quello degli espropri. La sindaca e la giunta esprimono «condivisione e preoccupazione» per la sorte dei cittadini coinvolti e chiedono che tutte le procedure vengano sospese fino all’approvazione del progetto esecutivo: «Ci aspettiamo che la richiesta di sospensione della pubblica utilità venga accolta».
Prima ancora dell’ok definitivo della Corte dei Conti, Villa San Giovanni attende chiarezza su documenti fondamentali come l’accordo di programma e il testo completo della delibera Cipess: «Solo così si potrà affrontare ogni fase con i poteri che la legge riconosce a un ente territoriale, esclusivamente a garanzia della democrazia e nell’interesse dei cittadini».
(da agenzie)

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PONTE SULLO STRETTO: SE IL SINDACO DI MESSINA, FEDERICO BASILE, ESULTA PER APPARTENENZA POLITICA, I MESSINESI NON LO VOGLIONO

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

C’È CHI SI PREOCCUPA DELL’IMPATTO DELL’ECOMOSTRO E CHI TEME IL POTENZIALE EFFETTO DI UN TERREMOTO: “IL PILONE SULLA SPONDA CALABRESE POSA SU UNA FAGLIA

È il controcanto alla piazza di Salvini, ai comunicati trionfalistici dei leghisti locali, al plauso del presidente della Regione, Renato Schifani, che rievoca il sogno di Berlusconi e saluta il Ponte come «un’opera capace di rivoluzionare il futuro della Sicilia e del Mezzogiorno».
È un controcanto amaro che dice no al colosso sullo Stretto e che dai comitati ambientalisti dilaga nelle strade di Messina, nelle
università, nelle scuole, tra i giovani. Indignazione, rabbia, se va bene scetticismo, sono i sentimenti che percorrono questa città piegata nel 1908 da un terremoto devastante che ne ha cambiato la storia e il destino.
Ne fanno parte i quattrocento accademici (250 dell’Ateneo di Messina, gli altri del resto d’Italia e stranieri) che hanno costituito il comitato “Universitari No Ponte”.
«Sono rappresentate tutte le aree scientifiche, non solo tecniche, dall’urbanistica alla sociologia, dalla filosofia all’antropologia – spiega Filippo Cucinotta, ingegnere, professore di Disegno industriale – Siamo preoccupati per la deroga sull’impatto ambientale, che è avvenuta grazie alla militarizzazione del Ponte, diventato opera strategica per la difesa in modo forzato e fasullo.
E preoccupatissimi per la questione sismica: il pilone calabrese nascerà su una faglia attiva. Ma c’è anche una questione di metodo: si impegnano miliardi su un’opera per cui non esiste un progetto esecutivo, una follia. Quanto al Cipess, non mi stupisco, è un’articolazione ministeriale, ci si poteva aspettare che dicesse di no?».
Gli fa eco da Palermo Giuseppe Barbera, paesaggista di fama internazionale. «Se il Ponte si fosse costruito venti o trent’anni fa – dice – sarebbe stata un’operazione da fare.
Adesso il mondo è cambiato. Quest’opera mastodontica è l’idea di futuro che abbiamo per la Sicilia, l’Italia, il pianeta? Il Green Deal europeo dice che la mobilità non dev’essere più su gomma. Il problema non è arrivare a Reggio Calabria un’ora prima o dopo».
Incalza Daniele Ialacqua, del comitato Noponte Capo Peloro: «Manca ancora il riscontro a centinaia di osservazioni e prescrizioni e mancano soprattutto i pareri di enti terzi come la Corte dei conti, la Commissione europea, il Tar cui ci rivolgeremo
Sono tutti convinti, qui, che il via libera del Cipess non sia la parola fine
Ostacoli tecnici, ma anche burocratici. A partire dalla questione espropri: 2.792 gli intestatari di immobili e terreni che dovrebbero sloggiare per un totale di oltre 3.7 milioni di metri quadrati. Trecento edifici da demolire in Sicilia e 150 in Calabria, molti di più quelli interessati a vario titolo da servitù, trasformazioni, cantieri temporanei.
Nella zona di Torre Faro, l’epicentro del futuro cantiere, la Messina-bene ha storicamente la casa delle vacanze. Imprenditori, professionisti, docenti.
(da agenzie)

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COME TI SISTEMO LA RAGION DI STATO: PAROLE, OPERE E OMISSIONI DEL GOVERNO SUL CASO ALMASRI

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

IL CAPO DELL’AISE, GIOVANNI CARAVELLI, AVEVA PARLATO DI “RITORSIONI” DELLE MILIZIE LIBICHE IN CASO DI MANCATO RIMPATRIO DEL TORTURATORE. EPPURE IL MINISTRO DELL’INTERNO PIANTEDOSI, IN AULA, DICEVA DI NON AVER “RICEVUTO FORME DI PRESSIONE INDEBITA ASSIMILABILE A MINACCE O RICATTI”

Almasri andava protetto ad ogni costo. Inscenando ritardi, incomprensioni, approfondimenti. Una «ragion di Stato» mascherata tra passaggi burocratici e giudiziari, per aggirare gli
obblighi internazionali che hanno dato vita alla Corte penale internazionale. Ecco che cosa nasconderebbe la catena di omissioni messa a fuoco dai giudici dei tribunale di ministri.
Il generale viene arrestato sabato 18 gennaio a Torino su mandato di cattura internazionale. E i tre giorni successivi, per il governo sono concitati.
Si organizzano tre riunioni informali. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio avrebbe presenziato solo a quella del 21. Una sorta di comparsa, totalmente incurante «dei precisi obblighi di legge» che gli spettano.
Punto primo: il Guardasigilli «avrebbe dovuto dare corso alla richiesta di cooperazione della Corte penale internazionale», ma, si legge negli atti, «nonostante le plurime richieste inoltrategli dai funzionari che sollecitavano consultazioni, non ha risposto.
Punto secondo: avrebbe dovuto rispondere al procuratore generale della Corte d’appello sulla questione. Anche in questo caso, «resta inerte».
Punto terzo: avrebbe dovuto informare la corte dell’Aja della richiesta di estradizione avanzata dalla Libia. Informazione non pervenuta.
Il Guardasigilli si difende: mi hanno avvisato tardi, mancava la traduzione in italiano degli atti, il mandato d’arresto era «inesatto» e così via.
Differente la versione dei giudici del tribunale dei ministri che lo accusano di omissione di atti d’ufficio e favoreggiamento.
«È un dato di fatto che il ministro della Giustizia ha avuto il tempo di interloquire con gli altri vertici istituzionali e avrebbe avuto, anche all’esito delle riunioni, il tempo per provvedere a
dar corso alla richiesta di arresto provvisorio e di sequestro, ove avesse voluto». Ma al posto del Guardasigilli, alle riunioni si presenta il suo capo di Gabinetto Giusi Bortolozzi. Nordio, quel week-end, «era a Treviso».
Un esempio tra tanti appare significativo. Il ministro Nordio giustifica la «sua mancata tempestiva risposta alla Cpi e alla Procura generale» dicendo che doveva valutare la richiesta di estradizione concorrente della Libia. Giustificazione «infondata», è scritto negli atti.
A iniziare dai tempi: «La richiesta, pur datata 21 gennaio 2025, è stata protocollata dal ministro della Giustizia solo il 22 gennaio, quando Almasri era stato rimpatriato». E ancora: La richiesta libica era «strumentale, priva di qualsiasi documento giustificativo e, come tale, non avrebbe mai potuto trovare accoglimento». Infine il ministro Nordio, in questo caso, «si è attribuito un potere che non gli competeva».
Certo è che il generale Almasri viene rimpatriato. E in questo caso il tribunale dei ministri chiama in causa il titolare del Viminale Matteo Piantedosi accusandolo di peculato e favoreggiamento assieme al sottosegretario con delega ai servizi segreti Mantovano: «È lui ad avere decretato l’espulsione del ricercato dal territorio dello Stato».
Secondo i giudici «è verosimile» che la decisione del ministro […] fosse dovuta alle «preoccupazioni» palesate dal direttore dei servizi segreti esterni Giovanni Caravelli su «possibili ritorsioni per i cittadini e gli interessi italiani in Libia». Preoccupazioni che, si legge negli atti, non seguivano «minacce» concrete
«Non abbiamo ricevuto forma di pressione indebita assimilabile
a minaccia o ricatto da parte di chiunque», diceva in Aula il ministro Piantedosi. […] C’è poi una lunga serie di lacune che riguarda il rimpatrio dei tre personaggi che erano con il generale a Torino la sera dell’arresto. Tre amici con cui era andato a vedere la partita della Juventus, la sua squadra del cuore.
«La decisione di espellere i cittadini libici, di utilizzare un volo di Stato per rimpatriarli», è scritto nelle carte, è stata presa durante quelle tre riunioni tra vertici di governo e istituzionali. Anche in questo caso, però, la scelta sarebbe stata «irrazionale».
I tre, si legge negli atti, «erano privi di precedenti, erano entrati regolarmente in territorio italiano ed erano in possesso di documenti validi, erano arrivati a Torino per andare allo stadio e lo avevano fatto con regolare biglietto».
In più: «Si erano regolarmente registrati presso la struttura alberghiera dove alloggiavano, avevano contanti e carte di credito valide, avevano già concordato la riconsegna dell’auto che avevano noleggiato per il 20 gennaio da Fiumicino, scalo dal quale, con ogni probabilità, avrebbero lasciato il territorio nazionale».
E se il questore di Torino, dopo l’arresto del loro amico, gli aveva ordinato di lasciare l’Italia entro una settimana, avrebbero potuto benissimo «prendere un volo di linea». Invece, scrivono i giudici del tribunale dei ministri, «sono stati accompagnati tramite volo di Stato su disposizione del sottosegretario Alfredo Mantovano».
Sul volo restano diversi interrogativi. In prima battuta, il prefetto Caravelli, nella sua testimonianza, avrebbe spiegato che «il volo sarebbe stato richiesto proprio per eseguire l’espulsione
dei tre, salvo posticiparne la partenza in attesa di Almasri». In seconda battuta, poi, il prefetto avrebbe precisato che «il volo sarebbe stato richiesto solo per il generale”
(da La Stampa)

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“IL FOGLIO”: “LA PRESENTAZIONE DEL ‘SALVINI BRIDGE’ STA A METÀ TRA IL GIOCO DEL LOTTO DI EDUARDO DE FILIPPO E UN FILM DI NOLAN, CALABRIASTELLAR”

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

“LA GIORNATA? DICE SALVINI: ‘STORICA’. LA COPERTURA? ‘INTERAMENTE GARANTITA’. L’OCCUPAZIONE? ‘120 MILA UNITÀ’. L’ANNO IN CUI DIREMO ADDIO AL FERRIBOTTE? ‘IL NOSTRO OBIETTIVO È L’ATTRAVERSAMENTO TRA IL 2032 E IL 2033’… E AL NORD I LEGHISTI DICONO: ‘MENO MESSINA PIU’ VARIANTE DI TRAMEZZINA'”

Da Salvini a Cariddi. Sciagurati, non prendetelo in giro! E’ il Renzo Piano di Scilla, il Salvinidream dello Ionio. Anche Salvini non “vende sogni, ma solide realtà”. Nel 2032. Meglio il 2033. L’approvazione, e presentazione, del progetto definitivo del Ponte di Messina, il Salvini bridge, sta a metà tra il gioco del lotto di Eduardo De Filippo e un film di Nolan, Calabriastellar.
L’alta ingegneria si impasta con la cabala (“lo avremo nel 2032-33, per chi gioca con i numeri…”) Salvini si mescola con il sottosegretario, Alessandro Morelli, il mezzobusto del Cipess, che si occupa di piloni e Rai. E’ un trionfo di cornetti rossi, a partire dalla cravatta (con cornetti) di Pietro Ciucci, l’ad della
Società Stretto di Messina, ed è un kamasutra di numeri per l’opera “acceleratore di sviluppo”. Piovono metropolitane (“avremo tre fermate”) date e cifre: 3.300 metri di lunghezza, 72 l’altezza, 44.323 fili d’acciaio e 2 torri. Stefano Boeri, qui, sembra un geometra di Roccalumera.
La giornata? Dice Salvini: “Storica”. La copertura? “Interamente garantita”. L’occupazione? “120 mila unità. Il Ponte lo costruiranno anche le imprese lombarde, venete ed emiliano-romagnole”. Gli chiedono i tempi di percorrenza, e lui, preparatissimo, spiega che “si passa da 120 minuti a 15 minuti, con sei corsie, e pure tre fermate metro” e ricorda “ultimeremo anche l’Alta velocità”. Ministro, ma inserirete il Ponte tra le opere di difesa? La risposta: “Il Ponte lo possono attraversare Croce Rossa, militari, non serve solo a scopi turistici. Ma non mi faccia entrare nel lavoro dei ministri Giorgetti e Crosetto”.
Ministro, quando, quando? “Ovviamente serve la bollinatura della Corte dei Conti (ahi) ma l’obiettivo è partire con i cantieri per settembre e ottobre”. Non ci basta. Ministro, l’anno in cui diremo addio al ferribotte? “Il nostro obiettivo è l’attraversamento tra il 2032 e il 2033, quando ci sarà la Torino-Lione e i romani potranno raggiungere da piazza Venezia la Farnesina”.
Se lo sentisse Al Bano canterebbe: “Felicità è un bicchiere di vino, il Ponte e il panino”. La presidente Meloni partecipa alla riunione del Cipess e si complimenta per il Salvini bridge perché “è quasi superfluo dirlo ma si tratta di un’opera strategica per lo sviluppo di tutta la nazione. L’opera non è facile, ma a noi piacciono le sfide difficili quando sono sensate. Un’opera di
questa imponenza lascerà un’eredità concreta: Italia più connessa, più competitiva, coesa”.
Peppe Provenzano, l’Ingrao siciliano del Pd, si ribella: “Il Ponte? Io propongo la catapulta”. Domandiamo a un leghista se Salvini abbia dato istruzioni sul Ponte e lui: “Ci ha solo detto ‘evitiamo di farci del male. E’ opera dell’Italia intera. Non facciamo il solito gioco: nord contro sud’”.
Al Nord, inutile dire cosa pensano i leghisti alla Bossi, come Paolo Grimoldi, l’espulso: “Meno Messina e più variante di Tremezzina”. Non è un paese per sognatori. L’ex vicesegretario della Lega, Andrea Crippa, che non fa parte di questi menagrami e che non vede l’ora di sfrecciare con la spider, con a bordo la sua bella, ci propone pure il nome, che gira tanto in Lega: “Io sono di Monza e propongo di chiamarlo ‘Ponte Berlusconi’ perché Berlusconi l’ha pensato ma Salvini lo fa”.
I Tg fanno scorpacciata di Ponte perché il Ponte fa sperare, si vende, perché, diceva lo Zarathustra di Nietzsche, “la grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo”. Le nostre fonti leghiste ci girano un messaggio di Nino Germanà, il responsabile Lega Sicilia, che incita i legionari del Ponte: “Mercoledì 6 agosto sarà una giornata impegnativa per il ministro, un ministro del nord che ha fatto più di qualunque altro omologo del sud.
Appuntamento stasera a Torre Faro alle 19”. Il pedaggio costerà meno di 10 euro. Berlusconi dall’alto sorride perché Prodi e Monti dissero ‘no’, al Ponte ma Salvini adesso vuole passare alla storia, e pure al casello. Sentite: “Lo Stretto lo hanno attraversato solo Lucio Cecilio Metello, che fece costruire un ponte di botti, e san Francesco di Paola con il mantello”.
Pensate in letteratura cosa sarebbe accaduto grazie al Ponte. Leandro non avrebbe attraversato le acque agitate per raggiungere la sua Ero. E non sarebbe morto. Ulisse non avrebbe perso tempo con Scilla e Cariddi, e avrebbe raggiunto in anticipo la sua Penelope. Si sarebbe sprecata meno tela e anche Giorgetti sarebbe stato contento. Il commissario Montalbano e la fidanzata Livia si sarebbero incontrati a Crotone senza rottura di cabassisi. Viva il Ponte.
(da Il Foglio)

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“PARLANDO DI SEPARAZIONE DELLE CARRIERE, SEPAREREI QUELLA DI NORDIO DA QUELLA DELLA BARTOLOZZI”: ERNESTO CARBONE, CONSIGLIERE LAICO DEL CSM IN QUOTA A ITALIA VIVA, RANDELLA IL GOVERNO SUL CASO ALMASRI

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

“HANNO SVENDUTO IL TRICOLORE. FA IMPRESSIONE LA FOTO DEL GENERALE CHE ATTERRA IN LIBIA CON DIETRO L’AEREO CON LA BANDIERA ITALIANA. A SABOTARE GIORGIA MELONI CI PENSANO I ‘SUOI’ MAGISTRATI: MANTOVANO, NORDIO E BARTOLOZZI CHE, CITANDO I GIUDICI, ‘PROVA A DEPISTARE CON DICHIARAZIONI MENDACI, INATTENDIBILI E CONTRADDITTORIE’…”LE STRADE DA SEGUIRE SU ALMASRI ERANO DUE: ESEGUIRE IL MANDATO DI CATTURA INTERNAZIONALE E PORTARLO A PROCESSO. OPPURE APPORRE IL SEGRETO DI STATO”

«Un anno fa la premier disse che contro di lei c’era un complotto, che qualcuno voleva far cadere il governo, che i magistrati la stavano sabotando. Aveva ragione».
Come scusi?
«Sì. A sabotarla ci hanno pensato i magistrati. I “suoi” magistrati: Alfredo Mantovano, Carlo Nordio e Giusi Bartolozzi. Evidentemente loro stanno lavorando contro questo governo».Ernesto Carbone, consigliere laico del Consiglio superiore della magistratura in quota Italia Viva sceglie il tono dell’ironia amara per commentare l’affaire Almasri.
Il tribunale dei ministri ha archiviato la posizione della premier, ma Meloni ha rivendicato una scelta collegiale. Non le crede?
«Dagli atti emerge chiaramente che la presidente del Consiglio non si occupa di una vicenda così delicata. E da cittadino mi lascia un po’ perplesso».
Non può aver delegato al sottosegretario Mantovano, suo uomo di fiducia?
«La cabina di regia, a quanto emerge dagli atti, è sicuramente di Palazzo Chigi».
Secondo lei cos’avrebbe dovuto fare la premier?
«C’erano almeno due strade che si potevano seguire».
Quali?
«Eseguire il mandato di cattura internazionale e portare il generale Almasri a processo. Oppure apporre il segreto di Stato. È stata scelta la terza strada».
Rilasciarlo.
«Più precisamente far scadere i termini e rimpatriare il generale in Libia con un aereo di Stato. Hanno svenduto il tricolore».
Addirittura?
«Ricordiamoci quella foto, che fa impressione, dove il generale atterra in Libia, accolto dai festeggiamenti, e dietro l’aereo con la bandiera italiana».
Il ministro Nordio aveva detto di essere stato avvisato in ritardo. Non crede nemmeno a lui?
«Ha detto tante bugie. Anche davanti alle Camere ha dichiarato cose non vere».
Ad esempio?
«Che il generale era stato scarcerato per dei cavilli giudiziari, che negli atti che aveva ricevuto mancava la traduzione italiana, che era stato avvisato solo due giorni dopo l’arresto».
Le bugie però non sono reati.
«Questo lo valuterà la magistratura. Di certo, però, ha avuto un atteggiamento scorretto dal punto di vista politico».
Un ruolo chiave nelle comunicazioni con il Guardasigilli pare averlo avuto la sua capa di gabinetto Giusi Bartolozzi.
«Cito i giudici: “Bartolozzi prova a depistare con dichiarazioni mendaci, inattendibili e contraddittorie”. Ricordo a tutti che Carlo Nordio non solo è ministro, ma è stato magistrato di lungo corso. Per cui mi permetto una battuta».
Prego.
«Parlando di separazione delle carriere, separerei quella di Nordio da quella della Bartolozzi».
Battute a parte, in questa vicenda lei non salva neanche un esponente del governo?
«Sono stati dei pasticcioni. Tutti. Nessuno escluso. Se davvero si trattava di una questione di sicurezza nazionale avrebbero
dovuto apporre il segreto di Stato».
(da “la Stampa”)

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CHE FINE FARÀ “LA ZARINA” GIUSI BARTOLOZZI, CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO NORDIO, DEFINITA “MENDACE” DAI MAGISTRATI SUL CASO ALMASRI?

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

NORDIO LA CHIAMA “LA MIA MINISTRA”: ACCENTRATRICE, SCAVALCA I CAPI DIPARTIMENTO, ASSUME LE DECISIONI CHIAVE, BISOGNA PASSARE DAL SUO UFFICIO PER OGNI INCOMBENZA: “STREMATO” IL CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO, ALBERTO RIZZO, GETTA LA SPUGNA E SE NE VA. LEI PRENDE IL SUO POSTO…DIFFICILE RESISTERLE E SI DIMETTONO ANCHE LUIGI BIRRITTERI, IL CAPO DEL DIPARTIMENTO PER GLI AFFARI DI GIUSTIZIA, E ALTRI CINQUE – CHI SCAPPA DA VIA ARENULA DENUNCIA “UN CLIMA INVIVIBILE”

E adesso in tanti si interrogano sul destino di Giusi Bartolozzi, il capo di gabinetto del ministro Nordio, definita «mendace» dai magistrati, perché imbrigliata dalla sua stessa contraddizione. A loro infatti ha detto che lei e il Guardasigilli si sentono quaranta volte al giorno, «ogni volta che c’è lui, ci sono anch’io», ma ha negato di avergli sottoposto, in questo vortice di contatti, la bozza sulla corretta procedura da seguire per gestire il caso Almasri, il torturatore libico che il nostro governo ha rimpatriato a gennaio sull’aereo di Stato. Insomma, lo proteggerebbe.
Ma così facendo espone sé stessa al rischio di fare da capro espiatorio nell’affaire, se, com’è scontato, il Parlamento negherà l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e del sottosegretario a Palazzo Chigi Alfredo Mantovano.
Ha 56 anni. Siciliana di Gela. Giudice nella sua città, poi a Palermo e alla Corte d’appello di Roma. È la compagna di un potente del centrodestra nell’isola, il professore Gaetano Armao, avvocato amministrativista. La magistratura le sta stretta. Nel 2018 il salto in Parlamento. Silvio Berlusconi la candida capolista nel proporzionale alla Camera nel collegio di Agrigento
Deputata con Forza Italia si distingue sulla separazione delle carriere, è vittima di un attacco in aula con parole irriferibili di Vittorio Sgarbi, che sarà sospeso per quindici giorni. Passa per liberal perché insieme ad altri quattro colleghi di partito – Renata Polverini, Stefania Prestigiacomo, Elio Vito e Matteo Perego – vota a favore della legge contro l’omotransfobia e la misoginia del pd Alessandro Zan.
Nel 2021, la rottura con i forzisti, per aver espresso opinioni in dissenso dal gruppo sulla riforma del processo penale. Rimossa dalla Commissione Giustizia è spostata alla Affari costituzionali. Preferisce passare al gruppo misto. È la stagione del governo Draghi, con dentro tutti, e l’onorevole Bartolozzi, racconta chi c’era, fa opposizione su tutto, contestando ogni atto.
Nell’autunno del 2022, all’alba della nuova legislatura, resta nel Palazzo. Il ministro Nordio la vuole con sé, come vice capo di gabinetto. Il capo di gabinetto, Alberto Rizzo, già presidente del tribunale di Vicenza, scopre presto che Nordio chiama
Bartolozzi «la mia ministra», lei, iperattiva, accentratrice, insonne, scavalca i capi dipartimento, assume le decisioni chiave, bisogna passare dal suo ufficio per ogni incombenza, vaglia ogni carta, persino domande e risposte delle interviste.
«Stremato» Rizzo getta la spugna e se ne va. Nordio la nomina capo di gabinetto, vincendo la contrarietà di Mantovano. Difficile resisterle. Si dimette anche Luigi Birritteri, il capo del Dipartimento per gli affari di giustizia. Faranno le valigie – ha messo in fila il Foglio – anche il capo del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, la direttrice dell’ispettorato generale, il capo del Dap, il direttore generale dei sistemi informativi, il capo dell’ufficio stampa. I cronisti inseguono “i fuggitivi”, che denunciano «un clima invivibile», spuntano dettagli della guerra delle «due Giusi», Giusi Bartolozzi contro Giuseppina Rubinetti, la responsabile della segreteria del ministro. «Com’è possibile questa fuga?», chiedono i deputati dell’opposizione a Nordio. Il ministro non risponde. Bartolozzi diventa “la zarina”.
«Basta, basta, basta! Non comunicate più. Segnati su Signal», intima ai collaboratori quando, a gennaio, arriva la notizia dell’arresto di Najeem Osama Almasri. Possibile che non avesse sottoposto nulla al ministro in quelle ore fatidiche tra 19 e il 20 gennaio, domandano i magistrati. E lei: «I colleghi della Direzione chiedevano: “Che facciamo? che facciamo?” Ed io: “Aggiustiamo di quà, aggiustiamo di là”».
«È logicamente insostenibile che si sia arrogata il diritto di sottrarre al ministro un elemento tecnico da valutare e tenere in considerazione ai fini della decisione da assumere: così facendo
sarebbe venuta meno agli obblighi inerenti l’incarico assunto», sostiene il tribunale. Bartolozzi non è indagata, ma intanto è definita «inattendibile». È il suo carattere ambiziosissimo (dicono che punti a rientrare in Parlamento con Fratelli d’Italia), a fare di lei il personaggio chiave, a volgere la sua figura nel romanzesco.
(da la Repubblica)

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IL MAL DI GAZA NELL’ESERCITO CRESCONO I NO AL FRONTE L’OMBRA DEI REDUCI SUICIDI

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

AUMENTA IL NUMERO DI DISERTORI (SALITI A 40 MILA) TRA I MILITARI DELLO STATO EBRAICO E CRESCONO I CASI DI SOLDATI CHE TORNANO DA GAZA CON PROBLEMI DA STRESS POST TRAUMATICO

Itamar Greenberg si è fatto 197 giorni in una prigione militare israeliana per aver rifiutato l’ordine di leva. Quando è uscito ha preso il treno, è andato a Sderot, nel sud, la città più vicina a Gaza, e ha cominciato a marciare verso la Striscia per «rompere l’assedio». Era con altri sei ragazzi, tutti diciottenni. Li hanno fermati, interrogati e rilasciati. Giusto il tempo di correre sui social e convocare una nuova protesta.
Ayana Gertsmann e Yuval Pelleg, invece, sono in prigione da ieri: lei ci resterà per 30 giorni, lui per 20, hanno entrambi 18 anni. «Non collaborerò in silenzio alle peggiori atrocità, la distruzione di Gaza, l’occupazione. Non nel mio nome!», ha detto Ayana prima di entrare in carcere.
Ayana, Yuval, Itamar sono i giovani refusenik israeliani, teenager che hanno preferito andare in galera piuttosto che unirsi a un esercito che – dicono – sta commettendo «crimini di guerra». Agli inizi di agosto hanno inscenato una protesta pubblica bruciando davanti alle telecamere le lettere di arruolamento: è finito tutto su Tik Tok, centinaia di condivisioni.
«Il numero dei refusenik è aumentato dall’inizio della guerra, ma tanti non lo comunicano apertamente quindi non sappiamo quale sia la cifra reale», spiega Nimrod, il portavoce di Mersavot, una rete che unisce gli obiettori di coscienza. Lo stesso fenomeno, in maniera più estesa, sta avvenendo tra i riservisti. Anche in questo caso non ci sono cifre ufficiali, nessun partito o leader politico ne parla apertamente.
Prima della guerra, il rifiuto di offrirsi volontari per la riserva era diventato un modo per protestare contro la riforma giudiziaria promossa da Netanyahu. Dopo il 7 ottobre, quegli stessi manifestanti si erano offerti volontari in massa per difendere il loro paese aggredito da Hamas. Ma negli ultimi mesi qualcosa è cambiato, soprattutto dopo la decisione di Netanyahu, a marzo, «di far saltare il cessate il fuoco e riprendere la guerra», dice Yishay Menochin di Yesh Gvul, una organizzazione che sostiene gli obiettori di coscienza
Hanno una hotline attiva per chi si rifiuta di servire, li hanno contattati in 300 dal 7 ottobre, «ma sono solo la punta dell’iceberg. Sappiamo dai corrispondenti militari che quando è iniziata l’ultima operazione nella Striscia, Carri di Gedeone, l’esercito ha richiamato 100mila riservisti. Il 60-70% ha accettato di tornare in servizio, vuol dire che ci sono stati 30-40mila disertori. Non c’è più posto nelle prigioni militare, la numero 10, la principale del paese, è piena».
«Molti dicono ai comandanti che non vogliono più prendere parte alla guerra». Tra quelli che sono sul campo di battaglia, alcuni hanno deciso di denunciare. L’associazione di ex soldati Breaking the silence ha raccolto testimonianze dall’interno dell’esercito che denunciavano l’uso di civili palestinesi come scudi umani a Gaza. Il quotidiano Haaretz, invece, ha messo insieme i racconti di soldati che hanno detto di aver ricevuto ordini di sparare contro palestinesi, civili, disarmati.
Sempre più soldati tornano dal fronte piegati da ciò che hanno vissuto. Un gruppo di veterani ha organizzato un sit-in davanti al centro di riabilitazione del ministero della Difesa, a Tel Aviv,
per chiedere che lo Stato si prenda più cura di queste persone. «I politici non hanno ancora compreso la portata della crisi», ha dichiarato Meir Kadosh, un veterano di 34 anni, ad Haaretz.
«Da questa guerra sta arrivando uno tsunami di casi di PTSD (disordine da stress post-traumatico). E per molti, non emergerà prima di anni». Per alcuni è già stato fatale. Solo nel mese di luglio, sette soldati si sono suicidati dopo essere tornati da Gaza. Dall’inizio della guerra, il numero di suicidi tra i militari in servizio è cresciuto, 21 nel 2024 e almeno altri 15 dall’inizio di quest’anno.
(da agenzie)

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