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“LA LEGA HA ABBANDONATO IL NORD”: ROBERTO CASTELLI, MINISTRO DELLA VECCHIA LEGA NORD, SCOMUNICA SALVINI PER IL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA

Agosto 8th, 2025 Riccardo Fucile

“LA LEGA CI HA TRADITI. SALVINI HA TOLTO DAL SIMBOLO LA PAROLA ‘NORD’. ORMAI È UN PARTITO CENTRALISTA CON VENATURE MERIDIONALISTICHE. L’AUTONOMIA CHE CI AVEVANO PROMESSO È MORTA E VIENE PRESENTATO DDL PER ROMA CAPITALE. È UNA BEFFA”

«Sono convinto che Umberto Bossi stia soffrendo per tutto questo». Roberto Castelli, ex guardasigilli e colonnello della vecchia Lega Nord, è amareggiato all’indomani della presentazione del progetto definitivo e approvato del ponte sullo Stretto. «Ormai il Nord non esiste più, ci hanno dimenticati e ci prendono in giro».
Su cosa?
«Le sembra normale che mentre l’autonomia che ci avevano promesso e che è in Costituzione è definitivamente morta, viene presentato un disegno di legge costituzionale per Roma Capitale, a cui vengono attribuite le prerogative di autonomia che sono previste per le regioni? Il tutto con i toni trionfalistici dei leghisti. Per il Nord, che sta vivendo un momento di difficoltà, è una beffa».
Però Calderoli dice che il Ponte sarà un aiuto all’autonomia settentrionale. Non è d’accordo?
«Vorrei capire come. Il Ponte costa adesso 13 miliardi, il che vuol dire che tra 7-8 anni o 10 quando sarà completo, sarà costato 25 miliardi. Sicuramente molti pezzi arriveranno dalle aziende del Nord, su questo non c’è il minimo dubbio. Ma le aziende avrebbero potuto produrli anche per viadotti al Nord».
Quindi lei è contrario al Ponte?
«Faccio due premesse: la prima è che sono convinto che le opere si fanno dove servono. La seconda è che da ingegnere sono sempre stato favorevole a interventi come questo, ma ci deve essere parità di trattamento tra le varie aree del Paese. Io vivo praticamente sull’Adda. Tra qualche giorno, due ponti su questo fiume verranno chiusi perché non sono più agibili. Quindi torneremo ai confini tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia. Il fatto è che c’è una stridente differenza di stanziamenti tra Nord e Sud che per noi è insopportabile».
Perché Salvini ha puntato così tanto su quest’opera?
«Voleva fare il premier, non ci è riuscito. E ora vuole a tutti i costi legare il suo nome a qualcosa che sia destinato a restare».
E la questione del Nord?
«Quella ormai non se la ricorda neanche più. La Lega ci ha traditi. Tant’è che Salvini ha anche tolto dal simbolo la parola “Nord”. La Lega è un partito centralista con venature meridionalistiche e lo si vede nei numeri».
Bossi che cosa pensa di tutto questo?
«Sono 4 o 5 mesi che non lo sento. È rimasto quello di sempre, sono convinto che stia soffrendo ma credo che non possa dire quello che pensa».
E i militanti?
«Quelli che stanno ancora nella Lega si rifiutano di vedere la realtà, credono ancora che gli stia dando l’autonomia e il federalismo, ma basta andare a leggere i testi di legge per vedere che così non è».
Nonostante questo, la Lega chiede che sia suo il candidato in Veneto. La spunterà?
«FdI pretenderà una regione tra Lombardia e Veneto. La domanda è: quale delle due? Meglio l’uovo oggi o la gallina domani? Per la mia esperienza, in politica la gallina non esiste.
Esiste solo l’uovo, e l’uovo è il Veneto»
Che cosa farà il suo movimento in quella regione?
«Il Partito Popolare del Nord appoggerà Riccardo Szumski, un outsider che pensa ancora al federalismo».
Quindi potrebbe togliere voti alla Lega?
«Non solo: l’afflato autonomista lì è nato ancora prima della Lega. E molti sono rimasti come ai tempi d’oro: duri e puri».
(da La Stampa)

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DOPO TRE ANNI E MEZZO DI GUERRA, SOLO IL 24% DEGLI UCRAINI È FAVOREVOLE A CONTINUARE A COMBATTERE FINO ALLA VITTORIA (NEL 2022 ERANO IL 73%) , IL 69% PREFERIREBBE UNA (VERA) PACE ALLA VITTORIA

Agosto 8th, 2025 Riccardo Fucile

È CROLLATA LA SPERANZA DEGLI UCRAINI DI POTER RAPIDAMENTE ENTRARE NELLA NATO: SOLO IL 32% PENSA CHE IL PAESE POSSA ADERIRE ENTRO DIECI ANNI ALL’ALLEANZA ATLANTICA (NEL 2022 ERANO IL 64%) … PESSIMO E’ IL GIUDIZIO DEGLI UCRAINI SUL COMPORTAMENTO DI TRUMP: SOLO IL 16% APPROVA IL SUO COMPORTAMENTO , CON BIDEN ERA IL 66%

L’istituto di indagini demoscopiche Gallup ha reso noto ieri un ampio sondaggio sulle opinioni dei cittadini ucraini intorno alla guerra e alle sue possibili soluzioni.
Solo il 24% di loro è favorevole a continuare a combattere fino alla vittoria (nel 2022 erano il 73%) mentre il 69% vorrebbe che il conflitto terminasse quanto prima con una tregua. Ma sono però ben pochi quelli che ritengono molto probabile o abbastanza probabile il raggiungimento entro un anno di un cessate il fuoco durevole: rispettivamente, il 5% e il 20%.
Così com’è pessimo il loro giudizio sul comportamento di Trump: nel 2022, il 66 per cento degli ucraini approvava il comportamento del presidente americano verso il loro Paese (allora alla Casa Bianca c’era Joe Biden), mentre ora quello stesso dato è sceso al 16%.
Nel frattempo, è crollata anche la speranza degli ucraini di poter rapidamente entrare nella Nato. Solo il 32% di loro pensa che il proprio Paese possa aderire entro dieci anni all’Alleanza atlantica (nel 2022 erano il 64%).
(da agenzie)

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SISTEMATA LA TOSCANA, RESTA LA PUGLIA. IL “CAMPO LARGO” DEVE FARE I CONTI CON DECARO: L’EX SINDACO DI BARI HA CHIESTO SOLO UNA COSA A SCHLEIN: NON AVERE MICHELE EMILIANO CANDIDATO. MA ELLY SCHLEIN NON VUOLE INFILARSI NELLA FAIDA E HA SPEDITO FRANCESCO BOCCIA A RISOLVERE LA FACCENDA

Agosto 8th, 2025 Riccardo Fucile

L’IDEA È DI ASPETTARE CHE SIA GIUSEPPE CONTE A METTERE IL SUO VETO A EMILIANO (IL FUNAMBOLICO E POPULISTA EX MAGISTRATO RUBEREBBE VOTI ANCHE AL M5S)

Eugenio Giani sorride quando arriva il responso del Movimento. In realtà al Pd avevano capito come sarebbe finita appena hanno visto la formulazione del quesito 5 Stelle. E soprattutto Giuseppe Conte aveva dato delle rassicurazioni a Elly Schlein. Il governatore della Toscana è soddisfatto: «Sono contento dell’esito del confronto con il M5S, c’è una maggioranza ampia e possiamo sviluppare un lavoro in regione e dare il senso del campo largo anche qui in Toscana».
Anche Schlein è soddisfatta. L’ex premier le aveva promesso che il Movimento 5 Stelle alla fine avrebbe detto di sì e così è stato. Giani sarebbe andato avanti lo stesso, anche senza il M5S, ma difficilmente i 5 Stelle sarebbero andati avanti senza di lui. Forse non avrebbero preso nemmeno un consigliere regionale Filippo Sensi, senatore riformista, chiosa: «La pazienza enorme infinita di Giani».
La verità è che il governatore della Toscana sapeva che comunque avrebbe vinto lo stesso, con o senza i 5 Stelle.
Restare appesi al referendum del M5S è stato un esercizio di pazienza, del resto, anche Conte ha fatto un esercizio di umiltà: «Per noi è un sacrificio enorme perché siamo stati 5 anni all’opposizione». Al Nazareno la segretaria festeggia: «È un passo avanti sulla strada della coalizione unitaria contro le destre».
Ma ci sono altre regioni che mancano all’appello. La Campania, innanzitutto.
A scegliere Roberto Fico non è stato Conte ma Gaetano Manfredi, che vuole ritagliare per sé uno spazio nazionale che attualmente non occupa. Schlein è stata d’accordo sin dall’inizio. «È leale, onesto, ha senso delle istituzioni», le ha spiegato il sindaco di Napoli, nonché presidente dell’Anci, nonché aspirante candidato premier nel caso in cui Schlein e Conte non giungano a una soluzione.
Quindi, Fico. E la segretaria del Partito democratico ha deciso di appoggiare l’ex presidente della Camera e di nominare Piero De Luca segretario regionale, per accontentare il di lui papà, ma non solo: è convinta che questo sia l’unico modo per «controllare sia lui che il padre», ha spiegato ai fedelissimi che facevano fatica ad accettare la svolta.
Infine, il capitolo Puglia. Forse, il più delicato. Antonio Decaro ha chiesto solo una cosa a Schlein: non avere Michele Emiliano candidato. «Come faccio a fare una campagna elettorale con Michele
Come posso dire che c’è il rinnovamento se faccio campagna
con lui?», le ha spiegato Decaro. L’ex sindaco di Bari, vuole dal suo partito «le condizioni per potermi candidare» e chiede alla segretaria di muoversi e di spiegare al governatore della Puglia, a cui, peraltro, è stato promesso un seggio nel prossimo Parlamento nazionale, che deve farsi da parte, che non deve correre alle prossime Regionali.
Ma Schlein parrebbe non volersi confrontare con Emiliano. Tant’è vero che ha inviato Francesco Boccia in Puglia per risolvere una situazione che preferisce non gestire personalmente.
Il presidente dei senatori del Partito democratico ha proposto a Decaro di candidarsi e di aspettare che il veto a Emiliano lo metta Conte, un volta che si riunirà il tavolo dei partiti. Ma per Decaro non basta. Per arrivare a una soluzione si sta prospettando di dare al governatore della Puglia un posto da assessore nella futura giunta Decaro ma soltanto dopo le elezioni . Tutto purché non si candidi.
(da agenzie)

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LE DUE VERSIONI SU ALMASRI «PERICOLOSO. NO, CI È AMICO» BARTOLOZZI RESTA IN BILICO

Agosto 8th, 2025 Riccardo Fucile

APPROSSIMAZIONE E SCIATTERIA ISTITUZIONALE TRA ERRORI GIURIDICI E SCHIZOFRENIA POLITICA

La determinazione di condurre un’operazione segreta e delicata / per restituire il generale Almasri alla Libia non è stata accompagnata dalla medesima attenzione nella gestione pratica e tecnica della faccenda. Una storia contraddistinta da mosse approssimative – lo sottolineano anche le giudici del tribunale dei ministri – camuffate da procedure previste dalla legge e dall’incapacità persino di coordinare una linea comune tra i ministri coinvolti, ognuno per il suo ambito di azione.
Se proprio dovevamo restituire il torturatore per cortesia istituzionale ai libici, per questioni di affari e sicurezza dei confini, allora forse il governo avrebbe dovuto preparare una versione più convincente. Ma si è dimostrato inadeguato anche in questo, travolto dagli eventi fin dall’inizio: dal fermo a Torino del generale libico.
Nordio oggi si dice «responsabile» politicamente e giuridicamente di quanto avvenuto, sollevando la zarina del suo ministero da qualsiasi eventuale contestazione. «Bartolozzi – ha detto il guardasigilli in una nota – ha posto in essere azioni che sono state esecutive dei miei ordini
Peccato che, come emerge dalle carte, nessuno sapesse con precisione dove il ministro fosse nei giorni del 19, 20 e 21 gennaio: un’assenza per cui oggi la capa di gabinetto, dal curriculum ineccepibile e verso cui potrebbero presto concentrarsi le attenzioni della procura di Roma, rischia grosso. A lei la gestione de facto, per come ricostruito dal tribunale dei ministri, della vicenda Almasri, il torturatore libico che in Italia andava a zonzo pieno di denaro contante e con un puntatore per fucile, trovatogli durante l’arresto.
Non solo da sciatteria istituzionale è quindi contrassegnata la gestione della liberazione del generale rimpatriato. In questa storia ci sono buchi anche e soprattutto in punta di diritto. Questo è il parere del tribunale dei ministri che hanno archiviato la premier Giorgia Meloni e notificato un provvedimento di autorizzazione a procedere nei confronti dello stesso Nordio, ma anche del ministro Matteo Piantedosi e del sottosegretario con delega all’Intelligence Alfredo Mantovano.
Confusione, caos, versioni discordanti alla base delle decisioni e delle mancate scelte degli alti dirigenti ministeriali – quale è appunto Bartolozzi – e dei ministri stessi durante l’iter che ha portato alla scarcerazione del libico. Il quadro delineato dal tribunale è quello di un governo saldo e compatto nella volontà di far tornare a casa il ricercato dalla Corte dell’Aia, ma allo sbaraglio nella costruzione delle motivazioni da fornire per raggiungere l’obiettivo.
Le giudici definiscono gli atti sottoscritti dai membri dell’esecutivo come «viziati da palese irrazionalità e, come tale, illegittimi». Un esempio? Prendiamo il decreto di espulsione emesso nei confronti del torturatore Almasri dal ministro dell’Interno Piantedosi. «Tale decreto – scrivono ancora le giudici – è stato motivato in relazione alle esigenze di tutela
dell’ordine e della sicurezza pubblica, in virtù del richiamo al mandato di arresto della Corte penale internazionale».
Tuttavia «i reati per i quali è indagato il citato cittadino libico dinanzi alla Cpi sarebbero tutti stati commessi in patria, mentre in Italia, così come negli altri paesi europei, non risulta che il predetto si sia reso responsabile di alcun reato». Piuttosto, sottolineano, la pericolosità è per i libici, visto che Almasri i delitti atroci li ha commessi in quel Paese. Dunque perché riaccompagnare il ricercato in Libia, tra l’altro su un volo in gestione ai servizi segreti?
Un vero e proprio cortocircuito che il tribunale dei ministri rileva anche in altri casi. Se del resto il capo del Viminale «aveva disposto l’espulsione di Almasri, sottolineandone l’urgenza» perché il libico avrebbe potuto rappresentare «un minaccia nazionale», è l’ex prefetto Giovanni Caravelli, numero uno dell’Aise, a pensarla diversamente. Il capo dell’Agenzia per i servizi di sicurezza estera parlerà infatti di «proficui rapporti» con la forza militare di cui Almasri era a capo.
Qui il cortocircuito è totale: Piantedosi sostiene che è un pericolo pubblico, mentre gli apparati lo considerano un partner affidabile con cui interloquire. Quindi per il Viminale è un nemico, per i servizi segreti – Chigi – è un amico.
E poi c’è il capitolo «misure cautelari». Perché, nell’attesa della risoluzione del vizio procedurale su Almasri, non applicargliene una? La critica delle giudici è feroce. […] Ma di errori di questo tipo, in quei giorni di gennaio scorso, ce ne sono stati parecchi, Così se la gestione del caso è stata contrassegnata da mancato coordinamento tra i ministri e i dirigenti e da una certa schizofrenia decisionale, la volontà di liberare il libico è stata come detto univoca.
(da Il Corriere della Sera)

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LA CITTA’ SPAGNOLA DI JUMILLA, GUIDATA DALLA FECCIA SOVRANISTA DI “VOX”, VIETA AI MUSULMANI DI PREGARE E ORGANIZZARE FESTE RELIGIOSE ALL’INTERNO DI STRUTTURE PUBBLICHE

Agosto 8th, 2025 Riccardo Fucile

IL MOTIVO? “DIFENDERE GLI USI E COSTUMI DEL POPOLO SPAGNOLO”… LA CHIESA CATTOLICA CONTRO LA FOGNA RAZZISTA

Niente più preghiere del mattino, festa di fine Ramadan e di Eid al-Adha celebrate all’interno delle strutture sportive municipali per i residenti musulmani della città spagnola di Jumilla. Lo ha deciso il consiglio comunale a guida conservatrice votando una mozione dell’ultradestra di Vox in «difesa degli usi e costumi del popolo spagnolo contro le pratiche culturali straniere».
Continua così l’assedio anti-migranti della destra spagnola: dopo la recente caccia alle persone nordafricane lanciata a Torre Pacheco da Vox e dalla neo-formazione estremista Deport Them Now in seguito alla presunta aggressione di tre magrebini ai danni di un anziano, è un’altra cittadina della regione di Murcia, sempre amministrata dal Partito Popolare (Pp), a finire al centro del dibattito politico.
«Una decisione assolutamente razzista», così il governo socialista di Pedro Sánchez ha commentato attraverso la ministra delle Migrazioni Elma Saiz il caso Jumilla. La mozione – che prende di mira anche se indirettamente la comunità musulmana
presente nella cittadina di 27mila abitanti dove è impiegata principalmente nel settore agricolo e nella raccolta dell’uva – nasce da una condizione posta da Vox in cambio del sostegno per l’approvazione del bilancio comunale della sindaca del Pp. L’approvazione modifica il regolamento delle strutture municipali, incluse quelle che da tempo venivano utilizzate dalla comunità islamica per le proprie celebrazioni, difendendo le «manifestazioni religiose tradizionali”
La discriminazione è così eclatante da aver spinto la Conferenza episcopale spagnola a difendere la comunità musulmana parlando di «un attacco alla libertà religiosa», tema che entra in chiaro conflitto anche con la Costituzione spagnola che invece riconosce il diritto fondamentale alla libertà religiosa e di culto. [
«Vigileremo per proteggere e accompagnare la popolazione», ha spiegato la ministra Saiz; mentre l’opposizione del Pp si è difesa spiegando che «la decisione non ha niente a che vedere con la religione né con la nazionalità». Più marcata la posizione di Vox che continua la sua battaglia xenofoba, sostenuta dal leader Santiago Abascal con una proposta di deportazione dei migranti sul modello trumpiano. Abascal su X ha celebrato il voto dichiarando che «la Spagna è e sarà sempre una terra di radici cristiane».
(da agenzie)

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BALLE SPAZIALI: QUANTE CAZZATE HA RACCONTATO IL GOVERNO SUL CASO ALMASRI! SONO STATE CAMBIATE CINQUE VERSIONI

Agosto 8th, 2025 Riccardo Fucile

1) E’ COLPA DEI GIUDICI DELLA CORTE DI APPELLO 2) I GIUDICI DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE HANNO PRESENTATO UNA RICHIESTA DI CATTURA “PIENA DI ERRORI MATERIALI CHE NON POTEVA ESSERE IN NESSUN MODO VALIDATA” 3) C’E’ STATA UNA MANCATA INTERLOCUZIONE CON LA CORTE D’APPELLO DI ROMA 4) C’ERA UNA RICHIESTA DI ESTRADIZIONE LIBICA E DUNQUE ALMASRI NON POTEVA ESSERE CONSEGNATO AL TRIBUNALE DELL’AIA MA ANDAVA RIMANDATO A TRIPOLI 5) ALMASRI È STATO LIBERATO PER UNO “STATO DI NECESSITÀ”, PERCHÉ SI TEMEVA PER LA SICUREZZA DEI CIRCA 500 ITALIANI CHE VIVONO IN LIBIA

Hanno deciso i giudici. Anzi no, ha sbagliato la Corte di appello internazionale nell’interlocuzione con i giudici della corte d’Appello. Meglio: quelli della Cpi hanno presentato una richiesta di cattura «piena di errori materiali che non poteva essere in nessun modo validata». No, il motivo è un altro ancora: c’era una richiesta di estradizione libica e dunque il trafficante non poteva essere consegnato al tribunale dell’Aia ma andava rimandato a Tripoli.
Infine: la vera ragione per cui Almasri è stato liberato è «lo stato di necessità», perché si temeva per la sicurezza dei circa 500 italiani che vivono in Libia.
Gli atti depositati alla Camera dal tribunale dei ministri, con i quali viene chiesta l’autorizzazione a procedere nei confronti del sottosegretario Alfredo Mantovano e dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, mettono in fila tra le altre cose tutte le giustificazioni offerte dal governo all’opinione pubblica, al Parlamento, alla Cpi e infine proprio al tribunale dei ministri per giustificare la scarcerazione del torturatore libico.
La prima fu lo spin fatto arrivare ai giornali: «Non prendetevela con noi. Hanno fatto tutto i magistrati della Corte di appello di Roma». Effettivamente Almasri era stato liberato dai giudici. Ma quello che il governo non aveva raccontato, si scopre ora, è che in più occasioni i giudici (formalmente e informalmente) avevano sollecitato un intervento per sanare la questione. E che il ministero si era rifiutato di farlo. Dunque, è vero che erano stati i giudici. Ma la scelta era stata tutta politica.
È il 23 gennaio quando, pressato dalle opposizioni e dall’opinione pubblica, il ministro Piantedosi si presenta in aula. «La decisione di scarcerare Almasri è stata presa dalla magistratura per un errore commesso dalla Corte penale internazionale», dice. Una versione in parte diversa dalla prima ma che, anche in questo caso, non regge.
Al protocollo del ministero della giustizia c’è infatti l’atto preparato dagli uffici di via Arenula che avrebbe sanato il problema. Ma rimasto invece lettera morta. La responsabilità rischia quindi di ricadere tutta sulla capa di gabinetto, Giusi Bartolozzi. E questo il ministro Carlo Nordio non può permetterlo
Anche perché nel frattempo si sono mosse la Procura e il
tribunale dei ministri e, dunque, il piano è diventato più scivoloso. Nell’informativa alla Camera del 5 febbraio rivendica la scelta. La sua, dice, è una stata dettata dai «numerosi errori, anche materiali», contenuti nella richiesta di arresto della Cpi. Rivendicando quindi la mancata interlocuzione con la corte d’Appello di Roma. Il ministero non ha volutamente interloquito perché non voleva sanare un atto che riteneva nullo. «Io non faccio da passacarte» conclude.
«E invece — scrive il tribunale dei ministri — contrariamente a quanto sostenuto dal ministro Nordio in Parlamento, la legge, pur conferendo a lui il compito di curare in via esclusiva i rapporti dell’Italia con la Cpi e di dare impulso alla procedura, non gli attribuisce alcun potere discrezionale».
La quarta versione, è invece contenuta nella memoria difensiva alla Cpi: si dice che non abbiamo consegnato Almasri perché anche la Libia ne aveva chiesto l’arresto. Ma «la richiesta è stata protocollata il 22 gennaio quando Almasri era stato già rimpatriato» dice il tribunale dei ministri. Una farsa, quindi È del 30 luglio, invece, il tentativo finale, «quando per la prima volta il governo sostiene espressamente lo stato di necessità» come ragione del rimpatrio […] Uno «stato di necessità» che, però, secondo i magistrati non esiste. È la quinta versione diversa.
(da Repubblica)

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PONTE SULLO STRETTO, INTERVISTA AL GEOLOGO MARIO TOZZI: “OPERA SENZA SENSO

Agosto 8th, 2025 Riccardo Fucile

“MANCANO I DATI E LA COSTA E’ INSTABILE”

Mario Tozzi, classe 1959, è un geologo del CNR e divulgatore scientifico. Mario Tozzi ha un parere netto sul Ponte sullo Stretto di Messina. In un’intervista rilasciata a Fanpage.it nel marzo del 2024 il geologo e divulgatore aveva dichiarato: “Non ha tanto senso fare un ponte che unisce, in caso di sisma, due cimiteri. Meglio mettere i denari nell’adeguamento antisismico di quei luoghi”. Ora il progetto del Ponte sullo Stretto ha passato l’approvazione del CIPESS, uno step importante. Non l’ultimo.
Abbiamo pubblicato un approfondimento su questa struttura. Il Ponte sullo Stretto è un progetto fuori scala rispetto a qualsiasi altro ponte sospeso a campata unica. È lungo oltre il 50% del ponte più lungo costruito con questa struttura. Ma soprattutto, secondo il progetto, sarebbe l’unico così lungo che oltre alle auto ospiterebbe anche una linea ferroviaria. Ne abbiamo parlato con Tozzi.
In un comunicato del 17 maggio 2025 la società Stretto di Messina Spa risponde a una critica del geologo Carlo Dogliono dicendo che il Ponte sullo Stretto di Messina sarà in grado di supportare una magnitudo di 7,1 ed è progettato per “stare in campo elastico con magnitudo superiore”.
E chi lo afferma questo? Doglioni è un geologo autorevole. Il Ponte sullo Stretto dovrebbe essere più resistente al più forte terremoto che si è mai visto in Italia: quello del 600 a Catania stimato a magnitudo 7,5. Quando si affrontano queste opere bisogna abbondare in termini di sicurezza.
L’ultima volta che ne abbiamo parlato ha detto che in caso di terremoto “unirebbe due cimiteri”.
L’ho detto e lo ribadisco. Se arriva un terremoto 6,9 in quelle zone forse reggerebbero solo un quarto degli edifici, ammesso che reggano. Tu stai spendendo soldi pubblici non per la sicurezza dei cittadini ma per un’opera faraonica la cui utilità è dubbia. In caso di terremoto magari il Ponte rimarrebbe in piedi, ma unirebbe due aree piene di morti. I superstiti ti verrebbero a cercare con il forcone.
Oltre ai terremoti, quali sono i problemi dell’area in cui nasce il Ponte?
Mancano gli studi. Non c’è uno studio strutturale sugli affioramenti, sulla caratterizzazione delle faglie. Manca anche lo studio sulla nuova faglia di Palmi. L’attenzione geologica è clamorosamente carente.
Oltre ad essere il ponte a campata unica più lungo del mondo, sarà anche un ponte ferroviario.
Certo. Un’architettura del genere non è mai stata costruita ma qui vediamo cosa succede. Il mio dubbio più grande sulla struttura è che alla fine capiranno che la ferrovia non può essere messa. In questo modo resterà un ponte stradale. Oltretutto la ferrovia dovrebbe pure essere un’Alta Velocità, quindi con standard ancora più elevati.
Il progetto ora la prevede. Può essere modificato durante la fase di costruzione?
È già successo. Nel 1995 in Giappone si stava costruendo il Ponte di Akashi. Al momento ha la seconda campata unica più lunga del mondo. Durante la costruzione è arrivato un terremoto di intensità 6,8 su scala Richter. Un pilone si è spostato di 120 centimetri. Hanno deciso di togliere la ferrovia e tenere solo le strade.
I problemi quindi sono anche nella fase di costruzione.
È il momento in cui il ponte è più fragile. Rischi di più, possono cedere le opere di sostegno. E non parlo nemmeno della parte finanziaria. Quando lo dovevano fare i privati il pedaggio sembrava dovesse costare 50 euro, altro che 10.
Nel ponte di Akashi i piloni poggiano in mare. Qui sarebbero più vicini alla costa.
Sì, parliamo di piloni altri 399 metri. Quasi come L’Empire State Building. Saranno costruiti sulla costa calabrese, una delle più instabili tra quelle italiane. È una costa soggetta a scivolamenti gravitativi profondi, delle mega frane con superfici di rottura a cucchiaio. Quando tu vai a infilare qualcosa lì, compromettiti quell’equilibrio che faticosamente per il momento è stato raggiunto.
Coma mai dice che non ci sono studi approfonditi sulla geologia dell’area in cui poggia il ponte?
Manca l’unica cosa che avrebbe senso: una relazione ufficiale dell’Istituto Nazionale di Fisica e Vulcanologia. Hanno contattato alcuni ricercatori dell’INGV per dei pareri ma non sono studi ufficiali. Bisogna richiederlo, bisogna raccogliere milioni di dati, bisogna misurare ogni affioramento, chilometri per chilometro. Bisogna capire il ruolo della faglia di Palmi, scoperta di recente.
Il Ponte sullo Stretto è forse l’opera pubblica di cui si parla di più dal dopoguerra.
Il ponte piace di più quanto più sei lontano. A quelli che stanno lì non gli serve a nulla.
(da Fanpage)

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PIF CONTRO IL PONTE SULLO STRETTO: “E’ SOLO UN MONUMENTO CHE SALVINI HA FATTO ERIGERE A SE STESSO, PER NOI SICILIANI NON CAMBIA NULLA”

Agosto 8th, 2025 Riccardo Fucile

IL REGISTA E ATTORE PALERMITANO: “OPERAZIONE D’IMMAGINE COSTOSISSIMA, UNA MINCHIATA PAZZESCA, PRIMA PENSIAMO A OSPEDALI E TRENI”

Nessuna rivoluzione infrastrutturale, né opportunità per il Sud. Secondo Pif, il progetto del Ponte sullo Stretto non è altro che
«una costosissima operazione d’immagine» ideata dal ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, per lasciare un segno nella storia politica. Altro che «simbolo ingegneristico di rilevanza globale», come lo ha definito la premier Giorgia Meloni: per il regista e attore siciliano, è solo «un monumento che Salvini ha deciso di erigere a se stesso», afferma Pif in un’intervista a Francesca D’Angelo su La Stampa.
«È l’ipoteca che Salvini ha messo sulla sua carriera politica – aggiunge -. Fino a qualche tempo fa sosteneva che il problema non fosse attraversare lo Stretto ma arrivare allo Stretto. Me lo ricordo bene perché è stata la prima volta – e probabilmente l’unica – in cui mi sono trovato d’accordo con lui. Poi ha cambiato idea pure sul Meridione – afferma il regista -: prima gli faceva schifo, adesso si è eretto a patriota del Sud. Ma se vuoi fare la differenza devi metterti lì e spendere tempo ed energie per capire i problemi reali del Paese. È giusto smuovere i soldi ma bisogna farlo nel modo più corretto, realizzando quello che serve davvero».
«Non è una questione politica, ma di priorità reali»
«Le mie simpatie politiche sono note», ammette ancora Pif, «ma in questo caso non sto parlando per partito preso: non si tratta di essere di destra o di sinistra. È fattuale che il progetto non è assolutamente una priorità politica, con tutti i disastri che abbiamo nella nostra isola. Non ho mai sentito un siciliano lamentarsi per quei 20 minuti di traghetto che, peraltro, fatti nell’orario giusto hanno anche un loro fascino romantico», dice. Il regista e attore siciliano sottolinea che i 13,5 miliardi previsti per il progetto potrebbero essere usati per colmare lacune ben
più gravi: «Per esempio – sottolinea – si potrebbe cominciare dagli ospedali siciliani che sono a livello del Terzo Mondo. I medici e gli infermieri vivono e lavorano in condizioni indegne, ma purtroppo ancora una volta la politica gioca sulla vita dei cittadini per un proprio vantaggio».
Per Pif, nella vita quotidiana dei siciliani «i problemi pratici sono gli spostamenti – sottolienea -: per arrivare da Trapani a Messina ci metti dalle sei alle otto ore in treno. Ora tra l’altro stanno facendo i lavori e non ci sono manco i treni. Ormai in Sicilia si circola solo in pullman: è tutto pullman, come in Messico, e guarda caso alcuni politici sono titolari dei trasporti siciliani». Non si tratta solo di inefficienza: «È proprio una strategia – precisa -. So che può sembrare populista, ma la politica siciliana è spesso molto basica. Prima si pensi a sistemare strade, treni, una metro seria… e poi se ne può riparlare, magari anche del Ponte». Sul fronte economico, infine, il giudizio è lapidario: «Anche ammesso che il Ponte si faccia, attraverseremo il mare in cinque minuti, per poi passare ore a raggiungere Menfi. È un’assurdità. Per dirla alla siciliana, questa storia del Ponte è una minchiata pazzesca».
(da agenzie)

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IL PONTE RISCHIA DI ESSERE UNA BELLA CATTEDRALE NEL DESERTO – SENZA LA RETE AUTOSTRADALE ADEGUATA E L’ALTA VELOCITÀ, IL “SALVINI-BRIDGE” RISCHIA DI DIVENTARE UN’OPERA INUTILE

Agosto 8th, 2025 Riccardo Fucile

SE LA SALERNO-REGGIO CALABRIA FUNZIONA A REGIME, IN SICILIA LE AUTOSTRADE SONO UN COLABRODO CON MANUTENZIONI CHE DURANO MESI E DISAGI INFINITI … MA IL VERO PROBLEMA È RAPPRESENTATO DALLA RETE FERROVIARIA: AL NETTO DELLE PROMESSE SULLA FINE DEL PONTE NEL 2033, PER QUELLA DATA I LAVORI DELL’ALTA VELOCITÀ SARANNO FERMI AL PALO NEL NORD DELLA CALABRIA

Sulla carta il futuro ponte sullo Stretto avrà una capacità massima di 6 mila veicoli all’ora e di 200 treni al giorno. Per le auto, però, non ci sono grossi problemi, perché l’autostrada Salerno-Reggio Calabria ormai da diversi anni è stata rifatta e potenziata, semmai è sulla sponda opposta che c’è da lavorare (e non poco) per rimettere mano alle autostrade siciliane o realizzarne delle nuove (come la Ragusa-Catania). Il vero problema sono i treni, da anni ormai soppiantati dagli aerei, basta vedere i numeri dello scalo di Catania.
Oggi per andare da Reggio Calabria a Roma, salvo guasti e ritardi occorrono almeno 5 ore e 20; una volta che l’Av sarà completata ne serviranno 4. Da Catania a Roma si andrà in 5 ore, mentre oggi i treni solo per passare lo Stretto impiegano ben 2 ore e le auto in media almeno 70 minuti.
Col nuovo Ponte «dei record» le auto transiteranno in 10 minuti e i treni in 15. Il porto di Gioia Tauro avrà finalmente un collegamento merci di livello europeo e tante zone interne del
Mezzogiorno come il Cilento, il basso cosentino, la costa jonica ed il reggino saranno meno isolate dal resto del Paese. Anche in Sicilia, l’intera ristrutturazione della rete ferroviaria per elettrificare, raddoppiare e modernizzare uno dei sistemi infrastrutturali più arretrati del Paese (per andare da Trapani a Ragusa occorrono più di 13 ore), porterà dei vantaggi: si andrà da Palermo a Catania in 2 ore anziché 3 e da Messina a Catania in 45 minuti anziché in 75.
Senza treni, senza l’alta velocità o comunque linee più veloci ed efficienti di quelle di oggi, tutti quelli che dicono che il Ponte è uno spreco e rischia di diventare una cattedrale nel deserto, come fa in questi giorni tutta l’opposizione (Pd, Avs e 5 Stelle), hanno ragioni più solide per criticare il governo. Come del resto sulla questione dei fondi.
Disponibili, ma solo in parte, e continuamente soggetti al gioco dei definanziamenti e dei rifinanziamenti.
Il caso del Pnrr, che tra l’altro doveva coprire una buona parte dei costi del primo lotto di lavori destinati a portare l’alta velocità oltre Salerno (e a far risparmiare almeno 30 minuti di viaggio da Reggio a Roma), è sintomatico. Lo stanziamento iniziale di 1,8 miliardi per i primi cantieri è stato infatti ridotto a 1,08 miliardi. Ieri il Mit ha rassicurato sul fatto che «è interamente finanziato per 1,8 miliardi»
Comunque sia, attualmente, a bilancio per arrivare con l’alta velocità da Salerno sino a Praia-Paola sono disponibili 13 miliardi sui 17,4 necessari e poi ne mancherebbero altri 12,8 per completare il tracciato ed arrivare sino a Villa San Giovanni. Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha già assicurato che
l’intera opera sarà finanziata attraverso l’aggiornamento del contratto di programma Mit-Rfi 2022-2026 in via di definizione.
Per l’Osservatorio sulle opere strategiche e prioritarie nell’ultimo hanno sarebbero 9,4 i miliardi tagliati all’alta velocità Sa-Rc cosa che ovviamente ha fatto riesplodere le polemiche. Come i 2,95 miliardi destinati al completamento ed alla messa in sicurezza della A2 a loro volta cancellati.
Cosa si sta realizzando in Calabria e cosa si sta facendo in Sicilia? E soprattutto, con quali tempistiche? I lavori per la nuova linea AV/AC Salerno-Reggio Calabria sono stati suddivisi in lotti funzionali cercando il maggior ritorno in termini di benefici. A oggi il lotto «1a» Battipaglia-Praia, in tutto 33 chilometri a doppio binario, è in fase di realizzazione da parte di Webuild, che tra l’altro guida anche il consorzio che realizzerà il Ponte. Per i lotti «1b» e «1c» della Romagnano-Praia, è invece in corso l’iter autorizzativo. In programma c’è poi il raddoppio della Cosenza-Paola/S. Lucido, col lotto «3» che prevede la realizzazione dei 17 Km della galleria Santomarco su un tracciato di 22 che sarà a doppio binario e standard Av realizzato ex novo, compresa una nuova fermata a servizio di Rende e del suo polo universitario. Per questo lotto sono in corso le attività negoziali per l’affidamento del progetto esecutivo, con l’individuazione dell’aggiudicatario prevista a breve.
A segnare decisamente il passo è invece il lotto «2» Praia-Paola perché i tecnici sono andati a sbattere contro una faglia acquifera ed ora devono ripensare l’intero progetto e si pensa che il lavori finiscano nel 2030. Per quanto riguarda i lotti successivi, che non a caso sono quelli ancora non finanziati, quelli che da Paola
portano prima a Lamezia Terme, quindi a Gioia Tauro ed infine Villa San Giovanni/Reggio Calabria, sono in corso le attività di progettazione. Intanto il lotto «1a», magia dei fondi del Pnrr, va completato inevitabilmente entro giugno 2026, mentre la tratta Buonabitacolo-Praia andrà al 2032. In quel periodo il ponte sullo Stretto potrebbe essere già transitabile mentre l’alta velocità sarà ferma nel nord della Calabria.
Dall’altro lato dello Stretto, in Sicilia, invece Rfi sta lavorando al potenziamento dei collegamenti ferroviari tra Palermo, Catania e Messina inseriti in un piano che vale altri 12,6 miliardi in parte, anche questi, coperti dal Pnrr. I primi lotti risultavano già completati nel 2025 ma l’opera più importante, la nuova linea Palermo-Catania ha subito un rallentamento a causa della siccità estrema e della carenza di acqua che per un certo periodo ha rallentato le 17 frese impegnate nella realizzazione dei 128 km di nuove gallerie. Nonostante questo i piani di Rfi prevedono la fine dei lavori sulla Palermo-Messina-Catania entro il 2030, in questo caso in netto anticipo sui tempi del Ponte. Salvo altre sorprese, ovviamente.
(da agenzie)

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