Agosto 30th, 2025 Riccardo Fucile
CHI SARÀ IL CANDIDATO? IL PASTICCIACCIO BRUTTO DEVE ESSERE RISOLTO ENTRO IL 23 OTTOBRE… LA LEGA A VANNACCI: “BASTA ORDINI”
Il Veneto, dice Matteo Salvini dal meeting di Rimini, «è terra di autonomia, è terra di identità, è terra di orgoglio, è terra di fatica, la Lega ha 161 sindaci, più di 1.000 amministratori locali e ha come uscente il governatore più amato d’Italia». Traduzione dal politichese: non si scherza, spetta a noi, perché «cambiare sarebbe un errore».
In attesa del famigerato tavolo nazionale dei leader del centrodestra per mettere fine alla discussione sui candidati alle regionali, ancora da fissare, il vicepremier rivendica ancora una volta la primazia del Carroccio sull’unica regione dove la coalizione è sicuramente data in vantaggio sui progressisti.
Ragiona, poi: «Nelle Marche c’è continuità col governatore uscente dei Fratelli d’Italia, in Calabria ci sarà continuità col governatore uscente di Forza Italia, noi in Veneto abbiamo tanti amministratori locali in gamba da proporre come governatori, ma sicuramente troveremo un accordo».
L’accordo ovviamente si troverà e con un esito che appare
scontato, cioè il nome concesso da Giorgia Meloni ai lighisti; e se non finisse in questo modo per Salvini, dopo essersi esposto così, sarebbe uno schiaffo difficile da digerire.
Nell’apparente quiete di fine vacanze nella vita di partito, va registrata però l’insofferenza di un pezzo di Lega verso il vicesegretario — carica ottenuta senza passare dal via — di Roberto Vannacci.
«La politica non è come l’esercito: qui c’è un gruppo di persone, che non ricevono ordini, se non quelli morali che sentono dentro di sé, e che ogni giorno li spingono a impegnarsi per un sogno che coltiviamo da sempre: strappare la Toscana dalle mani della sinistra», è il messaggio in una chat interna di Susanna Ceccardi, eurodeputata molto vicina al segretario, e però insidiata politicamente dall’ex generale in quello che una volta era il “suo” territorio.
Motivo del contendere è il “listino bloccato”: a Vannacci serve per blindare i suoi uomini; per l’ex sindaca di Cascina significa togliere autonomia alla base. Alle regionali di cinque anni fa «eravamo circondati da entusiasmo, un clima che purtroppo oggi non riscontro».
Risposta indiretta di Vannacci? Come da manuale, con irrisione delle ragioni altrui. «Lo tsunami cresce e qualcuno rosica», con riferimento ai 150 cosiddetti “team” del Mondo al contrario. Un movimento autonomo dentro la Lega, qualcosa di impensabile fino a poco tempo fa per un partito irreggimentato come il Carroccio. Dove le regole base sembrano però ormai saltate, visto che Vannacci è l’unico esponente leghista a non versare quote al partito.
Lo fanno tutti, da sempre: da Salvini ai ministri. Non lui. «Il problema non è Vannacci ma chi gli permette certe cose…», masticano amaro alcuni leghisti, con riferimento al segretario federale. Nessuno però ci mette la faccia per contestare lo status al di sopra di ogni regola del generale in pensione
«Vista la sua precedente vita professionale, quella da generale, dovrebbe sapere come ci si comporta. Lui dice che ha un’associazione parallela, quindi ha due bandiere, proprio come i mercenari», commenta Paolo Grimoldi, ex che ha fondato Patto per il Nord, movimento che sogna di scippare la questione settentrionale alla Lega.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2025 Riccardo Fucile
FRATELLI D’ITALIA E CARROCCIO, CHE HANNO DENUNCIATO IL COMUNE DI BOLOGNA GUIDATO DAL DEM LEPORE PER L’INIZIATIVA MIRATA A RIDURRE IL DANNO E PREVENIRE LE MALATTIE, COSA PENSANO DI FARE CON IL SINDACO DI PALERMO LAGALLA? NEL CAPOLUOGO SICILIANO, DOVE LA SOSTANZA DILAGA, L’AMMINISTRAZIONE SOVRANISTA SOSTIENE I CAMPER CHE OFFRONO “INALATORI”
Il comune di Bologna, a guida centrosinistra, ha annunciato la distribuzione gratuita di 300 pipe per i consumatori di crack. L’annuncio ha scatenato la destra, che però, oltre alla propaganda della «droga fa male», quando deve affrontare il dramma della dipendenza si perde tra ritardi e annunci, come accade a Palermo, dove ancora aspettano l’apertura del centro di accoglienza a bassa soglia. Iniziamo da Bologna.
L’obiettivo della giunta nella città delle due torri è la riduzione del danno, in particolare il rischio di contagio da Hiv, epatiti e infezioni varie, ma anche le lesioni provenienti dall’uso di materiali come lattine o bottiglie di plastica con le quali si creano strumenti rudimentali per inalare la sostanza. Un’iniziativa fondata su un approccio scientifico che mira a creare un contatto diretto tra operatori e consumatori per sviluppare la fase due, quella auspicata della disintossicazione.
Ma sono passate poche ore dall’annuncio che le opposizioni si sono scatenate in una ridda di dichiarazioni. Fratelli d’Italia ha schierato i suoi scienziati di riferimento, come Augusta
Montaruli, deputata del partito, esperta di peculato, è stata condannata in via definitiva per lo scandalo dell’uso dei rimborsi regionali, e nota per il bau, bau in diretta tv contro un interlocutore.
La ricetta bolognese prende spunto da una sperimentazione avviata dall’epidemiologo Raimondo Pavarin, docente dell’Alma Mater, già direttore dell’Osservatorio epidemiologico metropolitano dipendenze patologiche dell’Ausl di Bologna.
Cosa obietta la destra? C’è una card che gira sui social, diffusa anche da Fratelli d’Italia, che recita così: «Il comune di Bologna distribuirà pipe per il crack», con la foto del sindaco Matteo Lepore, di contro c’è la foto della presidente del Consiglio: «Meloni a San Patrignano: “Avrete sempre il sostegno del governo”».
Sotto campeggia una scritta: «Tra la droga e la vita, scegliamo la vita». Gli esponenti locali di Fratelli d’Italia hanno presentato un esposto per istigazione a delinquere e favoreggiamento.
La Lega, con il suo leader Matteo Salvini quello che citofonava alla ricerca di spacciatori, ha parlato di «follia», nessuno ricorda sue iniziative da ministro dell’Interno contro droghe e dipendenza. Solo propaganda.
C’è stato bisogno degli appelli dell’arcivescovo, Corrado Lorefice, di consiglieri incatenati per svegliare dal torpore la giunta regionale, guidata da Renato Schifani. Così finalmente dopo una lunga attesa è stata approvata la legge sulle dipendenze e contro il crack, promossa dalle associazioni sul territorio. Ma la battaglia non è finita, visto che un altro lungo iter caratterizza l’approvazione dei decreti attuativi.
Il crack a Palermo dilaga, l’uso unisce le classi sociali, nel quartiere Ballarò e non solo lo spaccio arricchisce le casse della criminalità e affonda nella disperazione i figli della città. Al momento c’è solo un centro di prima accoglienza, inaugurato nel gennaio 2024, a Palermo.
Ma anche nella città più colpita dalla peste del crack si registrano ritardi colpevoli.
Come quelli nell’emanazione del bando finalizzato alla realizzazione del centro di accoglienza a bassa soglia attraverso i fondi del programma nazionale “Metro plus”, una realtà fondamentale per arginare il dramma del crack.
«La verità è che c’è voluto il dolore delle famiglie in piazza per svegliare il sindaco Roberto Lagalla, la situazione è disastrosa e dovrebbe essere una priorità, ma non lo è. I fondi c’erano (3 milioni di euro, ndr), ma hanno impiegato oltre un anno per emanare il bando, un ritardo inaccettabile», dice Mariangela Di Gangi, educatrice e consigliera comunale del Pd.
A inizio settembre ci dovrebbe essere finalmente l’assegnazione, ma poi bisognerà aspettare l’attivazione del servizio. Una struttura che dovrà interagire con il servizio di presidio mobile, già attivo dal febbraio 2024 grazie all’impegno di diverse associazioni e realizzato grazie al contributo del Comune.
Si chiama «Fuori dal giro», è un camper che nel fine settimana intercetta i ragazzi nei principali luoghi d’incontro. Le attività che vengono svolte in strada e che sono riconfermate anche all’interno del bando di gara raccontano quanto vuota sia la propaganda. I presidi mobili, infatti, svolgono attività di informazione, ma soprattutto di riduzione del danno. Come?
«Mediante distribuzione di materiale di profilassi (es. siringhe, profilattici…)». Quindi anche a Palermo, dove la Lega è in giunta, distribuiscono pipe sterili? Offrono in accordo con l’azienda sanitaria di Palermo materiale sanitario ai consumatori cronici per ridurre il danno, nello specifico non pipe, ma kit di inalazione per sostanze. In pratica cambia lo strumento, ma è la stessa logica: la riduzione del danno.Tanto rumore per nulla, per fortuna c’è altro oltre la propaganda.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2025 Riccardo Fucile
I RICATTATORI LO INVITANO A DIMETTERSI PENA LA DIFFUSIONE DI FOTO OSÈ. LUI CONFERMA: “QUELLA FOTO È VERA, HO FATTO UNA SCIOCCHEZZA MA NON MI FACCIO RICATTARE”
Foto hard, dossier e ricatti in lettere anonime a Tommaso Cocci, 34 anni, avvocato, capogruppo di FdI a Prato e candidato locale di punta per le Regionali. Una vicenda, anticipata dal Fatto Quotidiano, su cui sta indagando la Digos dopo la denuncia di Cocci.
Il capogruppo e candidato a inizio 2025 avrebbe ricevuto due plichi anonimi in cui lo si accusa di orge, uso di droghe, di appartenere alla massoneria. Nelle missive sono conyenuti anche minacce e ricatti: l’invito a dimettersi dalle cariche pena la diffusione anche di foto osè.
Nelle missive, che sono state recapitate anche ad altri esponenti del partito, compaiono foto hard che lo ritraggono e accuse nei suoi confronti: presunto uso di droghe e partecipazione a orge gay, appartenenza alla massoneria. Una vicenda che scuote Fratelli d’Italia, in piena campagna elettorale per le regionali.
“Quella foto purtroppo è vera. Ho fatto una sciocchezza, ma non mi faccio ricattare”, ha detto Tommaso Cocci al quotidiano, ipotizzando di aver subito un adescamento a luci rosse e confermando l’adesione alla massoneria, come affiliato a una loggia di cui era segretario e da cui però si è messo ‘in sonno’. Le stesse lettere anonime contro Cocci sarebbero state mandate agli esponenti locali di FdI Claudio Belgiorno e Cosimo Zecchi. Belgiorno ha detto di aver trasmesso le lettere ai referenti del partito.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2025 Riccardo Fucile
MILANO SAREBBE DIVENTATA UNA VIA DI MEZZO TRA LA CITY E DUBAI. MA CI SONO MOLTE OMBRE: IL PRIMO È CHE PER LE PERSONE NORMALI È DIVENTATO IMPOSSIBILE SOPRAVVIVERE. “ALTRI NOTANO I LIMITI STRUTTURALI: ARIA INQUINATA, POCHI PARCHI, LA CITTÀ CHE SI SVUOTA NEI WEEKEND E AD AGOSTO, OLTRE A UNA BUROCRAZIA SOFFOCANTE. SE VOGLIONO DAVVERO DIVENTARE UNA CITTÀ GLOBALE, DEVONO AFFRONTARE IL PROBLEMA”
Camminando per le strade acciottolate del quartiere Brera di Milano nell’ultimo
giorno di marzo, un alto dirigente bancario ha notato tre camion di traslochi internazionali.
«È incredibile», ha raccontato, riferendosi all’afflusso di nuovi residenti in città in vista della chiusura dell’anno fiscale nel Regno Unito, il 5 aprile. «C’è stata un’esplosione di arrivi».
Il regime fiscale accogliente dell’Italia ha attirato folle di nuovi ricchi nel centro finanziario del Paese, mettendo sotto pressione la città, in particolare un mercato immobiliare in cui la domanda supera di gran lunga l’offerta e che ora è al centro di una vasta indagine per corruzione.
Allo stesso tempo, però, ha dato a Milano un fermento che alcuni paragonano alla Londra degli anni ’90 — con un tocco di dolce vita.
La trasformazione milanese affonda le radici in una serie di agevolazioni fiscali del 2016 sotto l’allora premier Matteo Renzi, il cui governo di centro-sinistra mirava a invertire la fuga di cervelli e attrarre facoltosi stranieri.
Ma il fenomeno ha preso slancio soprattutto negli ultimi 12 mesi, dopo la decisione del Regno Unito di abolire le regole per i residenti non domiciliati in vigore da 226 anni, esponendo i loro beni esteri a una tassa di successione del 40% e i redditi e guadagni esteri al regime fiscale britannico.
Nello stesso periodo, l’Italia ha steso il tappeto rosso ai super-ricchi globali. Un nuovo residente straniero — o un italiano di ritorno dopo almeno nove anni all’estero — può pagare una tassa fissa di 200.000 euro l’anno su qualsiasi reddito o patrimonio estero per un massimo di 15 anni, ed essere esentato dall’imposta di successione sugli asset esteri nello stesso periodo.
Tra coloro che hanno lasciato Londra per Milano ci sono Nassef Sawiris, l’uomo più ricco d’Egitto e co-proprietario dell’Aston Villa; Richard Gnodde, vice-chair di Goldman Sachs; e Yoël Zaoui, cofondatore di Zaoui & Co. Rolly van Rappard, cofondatore di CVC Capital Partners, sta valutando il trasferimento, mentre Frédéric Arnault, figlio di Bernard, si divide tra Parigi e Milano dopo essere diventato CEO di Loro Piana (gruppo LVMH).
Sono solo la punta dell’iceberg. Il regime della flat tax ha attratto diverse migliaia di persone, mentre oltre 100.000 individui, per lo più italiani, hanno usufruito di uno schema per chi rientra dall’estero che prevede una riduzione del 50% sul reddito imponibile italiano, con Milano come destinazione principale.
«Il grande mercato è quello delle persone tra i 45 e i 70 anni», ha detto Gary Landesberg, cofondatore del club The Wilde, uno dei nuovi circoli privati in stile londinese aperti in città. «Non si parla solo di miliardari».
Nadim Nsouli, fondatore e CEO di Inspired Education Group, ha detto che Dubai e Milano sono le principali destinazioni per circa 200 studenti su 4.500 delle sue scuole private britanniche che si sono trasferiti all’estero negli ultimi anni. Dei nuovi iscritti alle 10 scuole italiane del gruppo, quattro delle quali a Milano, circa il 45% sono stranieri, soprattutto da Regno Unito, Stati Uniti e Francia.
Chi ha lasciato Londra per Milano cita vari motivi, ma molti parlano di una combinazione tra i fattori di “spinta” dal Regno Unito e quelli di “attrazione” italiani, con gli incentivi fiscali
come parte del pacchetto. Un manager di private equity che ha fatto il salto ha detto di non averlo fatto «per andare a Dubai», dove non c’è imposta sul reddito, aggiungendo: «Se Francoforte avesse offerto lo stesso, non ci sarei andato».
Le grandi banche come Goldman Sachs hanno così nuovi incentivi ad allargare la loro presenza in città, anche perché, dopo la Brexit, molti istituti hanno spostato attività da Londra a Parigi, Milano e Francoforte per servire i clienti UE.
Non tutti i nuovi arrivati sono “nomadi super-ricchi”: alcuni sono giovani che mettono radici. «Milano è una grande città in cui vivere, connessa in modo incredibile», ha detto John Nery, 41 anni, managing partner di Squircle Capital, trasferitosi da Doha cinque anni fa. «Portofino è a due ore, Villa d’Este sul lago di Como a 45 minuti, e in tre ore sei a St. Moritz o a Megève».
I nuovi arrivati hanno arricchito la scena sociale milanese, tra nuovi locali e club: dopo Casa Cipriani (2022) è arrivato The Wilde, mentre Soho House aprirà presto, e la galleria Thaddaeus Ropac debutterà in autunno a Palazzo Belgioioso.
Alcuni milanesi si lamentano che la città sia diventata «meno autentica» e «un po’ troppo sopra le righe». Un banchiere ha detto che sono sorte tensioni perché i nuovi arrivati da Londra hanno stipendi molto più alti dei colleghi locali, e ha criticato i nuovi club privati come «non davvero il modo italiano di fare affari».
Altri notano i limiti strutturali: aria inquinata, pochi parchi, la città che si svuota nei weekend e ad agosto, oltre a una burocrazia soffocante. «Se vogliono davvero diventare una città globale, devono affrontare il problema», ha detto Nsouli.
La pressione maggiore si vede sul mercato immobiliare, con prezzi spinti in alto da persone abituate a quelli di Kensington o Mayfair. Alcune suite del Four Seasons e del Mandarin Oriental sono state prese da finanzieri appena trasferiti.
Secondo Savills, i prezzi di partenza per attici oltre i 600 mq in centro con piscina, palestra e concierge vanno da 8 a 10 milioni di dollari, mentre gli affitti del settore residenziale di lusso a Milano sono saliti del 14% in cinque anni (contro il 7% a Roma). Restano comunque sotto Londra: 1.520 €/piedi² contro 1.920.
Non mancano le ombre: Manfredi Catella, CEO di Coima e protagonista della riqualificazione di Porta Nuova, è finito agli arresti domiciliari a luglio insieme ad altre cinque persone in un’inchiesta sull’espansione immobiliare di Milano (tutti liberati dopo il ricorso, ma 20 persone restano indagate, incluso il sindaco Giuseppe Sala).
Lo sviluppo però non si ferma: Coima sta trasformando edifici storici del centro in residenze e uffici di lusso. E i nuovi arrivati continueranno ad arrivare. «Un cliente non riusciva a trovare una casa grande a Milano, perché la città è fatta di appartamenti», ha detto l’avvocato Marco Cerrato. «Così ha comprato a Lugano».
Per alberghi, ristoranti e servizi di lusso, invece, Milano «era già pronta», grazie al suo dna di moda e design.
Harriet Agnew, Josh Spero, Ortenca Aliaj e Silvia Sciorilli Borrelli
per il “Financial Times”
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Agosto 30th, 2025 Riccardo Fucile
LA RICOSTRUZIONE DELLA VICENDA E IL RUOLO DELL’AMBASCIATORE ITALIANO NELLA RISULUZIONE DEL CASO
La ricostruzione della vicenda e il ruolo dell’ambasciata italiana nella risoluzione del caso di furto che ha coinvolto le due nuotatrici. La Federnuoto si riserva di “valutare con attenzione” la situazione. Più delicata la posizione di Tarantino, tesserata per le Fiamme Gialle.
Benedetta Pilato e Chiara Tarantino sono tornate in Italia grazie alla trattativa che l’ambasciata italiana ha condotto con le autorità di Singapore. Cosa è successo nei giorni compresi tra il 14 e il 20 agosto, caratterizzati dall’operato della macchina istituzionale, è vicenda che piano piano ha assunto le sembianze di una figuraccia a livello internazionale. Le nuotatrici azzurre, al rientro dalle vacanze in Indonesia dopo aver preso parte ai Mondiali nel Paese asiatico, s’erano messe nei guai per aver infilato in una borsa due piccoli flaconi di oli essenziali e aver lasciato il negozio senza pagare la merce. Un paio di astucci d’unguenti profumati portati via da un duty free… è per questo che sono rimaste invischiate loro stesse, la Federazione e l’Italia in una bravata poi divenuta un caso diplomatico.
Cosa rischiano Pilato e Tarantino dopo il fermo a Singapore
Tutto per un paio di mini ampolle. È per questo che adesso Tarantino, tesserata per le Fiamme Gialle, rischia addirittura un provvedimento disciplinare molto severo per quel comportamento: se la può cavare con una semplice ammonizione e un’ulteriore lavata di capo, nella peggiore delle ipotesi potrebbe essere anche allontanata da corpo della Finanza. È per questo che la Federnuoto, dopo aver precisato come i fatti siano “avvenuti al di fuori delle attività federali”, è dovuta intervenire stigmatizzando l’accaduto e riservandosi di valutare con attenzione la situazione. Che adotti o meno sanzioni nei confronti delle dirette interessate è questione ancora da sbrogliare.
La macchina diplomatica che ha liberato dal fermo le nuotatri
Un episodio fondato sul tentativo di appropriarsi d’un paio di confezioni minuscole di balsamo. Un episodio fondato sul nulla e per il quale s’è dovuta smuovere la Farnesina, che ha attivato tutti i canali affinché le italiane fossero prima rilasciate poi condotte in albergo e infine, dopo aver chiesto scusa per il comportamento e tornate in possesso dei documenti, messe i condizioni di imbarcarsi sul volo per tornare in Italia. Pilato e Tarantino erano state fermate dagli agenti aeroportuali ed era stato ritirato loro il passaporto, perché individuate attraverso un filmato del circuito di video-sorveglianza. Assieme a loro c’erano altre due compagne di nazionale, Anita Bottazzo e Sofia Morini che hanno passato un brutto quarto d’ora per la tensione generatasi una volta condotte in uno degli uffici dello scalo aeroportuale per essere identificate. Il video le ha scagionate e sono state subito rilasciate mentre le altre due sono state trattenute più a lungo.
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Pilato e Tarantino fermate per furto all’aeroporto di Singapore: libere grazie alla Farnesina
Anita Bottazzo e Chiara Morini subito scagionate dalle autorità aeroportuali.
Il ruolo dell’ambasciatore, Dante Brandi, ex pallanuotista
La procedura istituzionale, intanto, era già partita. Le autorità locali, trattandosi di cittadini italiani, hanno contattato la rappresentanza diplomatica; l’ambasciatore ed ex pallanuotista, Dante Brandi, ha informato la Farnesina e, attraverso i suoi collaboratori, ha messo ordine nella spiacevole e incresciosa questione. “È bene chiarire che non vi è stato alcun contatto diretto con il ministro Tajani né interventi politici di Forza Italia: la Federazione è stata informata direttamente dalle atlete e dalle famiglie delle stesse”, è stata la dichiarazione resa all’Agenzia Ansa del presidente Fin e capogruppo di Forza Italia alla Camera, Paolo Barelli.
(da Fanpage)
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Agosto 30th, 2025 Riccardo Fucile
“LA CONCORRENZA AL GOVERNO PROPRIO NON PIACE” … LE NOMINE “AMICHE” A CONSOB E ARERA: “SONO DOVUTE PIÙ AD APPARTENENZA POLITICA CHE ALLA CAPACITÀ DI SVOLGERE RUOLI CRUCIALI PER IL FUNZIONAMENTO DELL’ECONOMIA”
Il nostro problema più grave non è il debito, bensì la mancanza di crescita. Basterebbe
un po’ di crescita perché il debito scomparisse dalla scena, ma senza crescita esso potrebbe trasformarsi in una zavorra capace di affondarci.
Negli ultimi mesi le prospettive di crescita sono peggiorate ovunque in Europa, ma il rallentamento è stato leggermente peggiore in Italia che nella media dei Paesi dell’Eurozona. Le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale indicano per l’Italia, una crescita di 0,5% quest’anno e 0,8 l’anno prossimo, contro 1 e 1,2 nella media dell’Eurozona.
Ieri, quando i dati pubblicati dall’Istat hanno mostrato una crescita negativa nel secondo semestre (aprile-giugno) dell’anno, lo spread Btp-Bund ha reagito allargandosi, se pur di poco: da 85 a 87 punti circa, forse anche per le crescenti preoccupazioni di una crisi del debito francese.
E tuttavia, anziché creare le condizioni per sostenere la crescita, giorno dopo giorno il governo pare impegnato a non favorirla, se non proprio ad ostacolarla. Da un lato perché le nuove norme adottate per aiutare gli investimenti delle imprese si stanno dimostrando di difficile attuazione.
È il caso di Industria 5.0: la stima è che, a fine anno, sui 6,3 miliardi messi a disposizione dalla legge di Bilancio, solo 2,8 verranno prenotati dalle aziende. E anche questo obiettivo pare ottimista
E poi perché la concorrenza, come ha scritto Carlo Stagnaro su Il Foglio, «al governo proprio non piace, e non fa nulla per nasconderlo!». La legge annuale sulla Concorrenza 2025, che è uno degli impegni del Pnrr, ha cominciato il suo iter parlamentare, ma dopo la revisione degli obiettivi e delle condizioni del piano, che Fitto e Meloni hanno negoziato con Bruxelles, quel disegno di legge è diventato una scatola che contiene veramente poco.
Un poco che si può suddividere tra alcune norme prive di carattere innovativo, qualche chiarimento interpretativo, qualche novità al margine e qualche misura consumieristica, non concorrenziale, come il nuovo reato di utilizzo improprio di cosmetici, l’inasprimento delle sanzioni per l’impiego illecito dei biocidi, l’estensione della categoria di presidi medico- chirurgici a prodotti che finora ne erano esclusi e così via.
Infine il Consiglio dei ministri si appresterebbe a varare alcune nomine importanti. Alla presidenza della Consob, l’Autorità che vigila sui mercati finanziari, verrebbe nominato, alla scadenza dell’attuale presidente, un sottosegretario del governo in carica, e alla presidenza di Arera, l’agenzia che regola e controlla energia elettrica, gas, servizi idrici e il ciclo dei rifiuti, un tecnico, accompagnato però dal solito gruppetto di politici in cerca di occupazione, alcuni designati dalla maggioranza, altri dall’opposizione.
È già accaduto in passato, ma ancora una volta queste scelte fanno pensare che le nomine siano dovute più ad appartenenza politica che alla capacità di svolgere ruoli cruciali per il funzionamento dell’economia.
Insomma, è giunto il tempo di entrare nel merito delle scelte e degli effetti che esse producono per il Paese.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2025 Riccardo Fucile
MA FAZZOLARI, CAPO DELLA COMUNICAZIONE DEL GOVERNO, NON VUOLE AVERLO TRA I PIEDI: CONOSCE I SUOI RAPPORTI CON I VERTICI DEGLI APPARATI DI STATO, SERVIZI IN PRIMIS) – CHIOCCI HA TRASFORMATO IL PRIMO TG NELL’ARMA DI PROPAGANDA DI TELE-MELONI, MA CON CONSEGUENZE DISASTROSE PER GLI ASCOLTI: GIOVEDÌ È STATO SUPERATO DAL TG5
Gian Marco Chiocci è pronto a lasciare la direzione del Tg1 per diventare portavoce di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Il piano viene confermato al Foglio da figure apicali del governo e della Rai, ma anche dai piani altissimi (per non dire l’attico) di Fratelli d’Italia.
Il cambio è considerato imminente. La trattativa viene data per chiusa (al netto di colpi di scena dell’ultima ora). L’operazione prevede un blitz, se ne parla anche tra i vertici degli apparati di stato con i quali l’attuale direttore del Tg1 ha rapporti ramificati e solidi.
La premier vuole dare più forza alla comunicazione inaugurando la seconda fase del suo governo: quella che guarda alle elezioni del 2027. E magari cercare di costruire anche un rapporto migliore con la stampa (alla Casa Bianca, come si sa, si è vantata di non parlare con i giornalisti italiani).
Chiocci è considerato una persona di assoluta fiducia. Un amico e un consigliere, oltre che un cronista di razza in grado di gestire i casi più complicati (come la fatale intervista che fece all’allora ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano proprio ai microfoni del Tg1 lo scorso anno).
Romano d’adozione, è nato a Gubbio, è figlio d’arte. E’ soprattutto il direttore di riferimento della generazione di Fratelli d’Italia che ha preso il potere nel paese
Chiocci occupa un posto d’onore nell’album di famiglia della destra (anche se è molto trasversale con rapporti nel Pd e nel M5s) anche per il colpo che fece per il Giornale di Vittorio Feltri sulla casa di Montecarlo: una notizia che travolse l’allora presidente della Camera Gianfranco Fini.
Era il 2010. Tre anni dopo andrà a dirigere il Tempo, per guidare nel 2018 l’agenzia di stampa Adnkronos. Fino alla nomina nel maggio del 2023 sulla tolda di comando dell’ammiraglia
dell’informazione pubblica: il Tg1.
Se tutto andrà in porto l’ex direttore del Tg1 sarà affiancato da Fabrizio Alfano, giornalista proveniente dall’Agi e per ironia della sorte portavoce di Fini ai tempi dello scoop chiocciano della casa di Montecarlo, che rimarrà capo ufficio stampa. […] Non sono esclusi cambi anche all’interno dello staff con l’uscita di storiche figure legate a FdI.
Questione di giorni. Dopo la breve esperienza di Mario Sechi come capo ufficio stampa, adesso le porte girevoli di Palazzo Chigi dovrebbero aprirsi per un altro direttore con esperienza ultradecennale nei giornali e conoscenza dei Palazzi e dei meccanismi del potere romano. Vaticano compreso. Intanto a Viale Mazzini già cominciano le danze per la nuova direzione del Tg1.
Ora si apre la partita del cambio al vertice del Tg1. Il vero scossone politico provocato dalla chiamata di Chiocci a Palazzo Chigi. Intanto il diretto interessato frena: “Di vero c’è solo che nei giorni scorsi la premier mi ha sondato informalmente per capire una mia eventuale, futura, disponibilità nella gestione della comunicazione, affiancando il collega Fabrizio Alfano che segue già tutta la comunicazione di Palazzo Chigi e del Consiglio dei ministri.
Una chiacchierata, come tante altre in questi mesi, a cui non è seguita assolutamente alcuna decisione da parte mia. E’ ovvio che qualora dovessi prenderla in considerazione ne informerei per tempo prima l’azienda dimettendomi conseguentemente da direttore del Tg1. Ma allo stato, ripeto, non c’è nulla”.
(da Il Foglio)
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Agosto 30th, 2025 Riccardo Fucile
“I GIOVANI SCAPPANO DAI LAVORI PESANTI, SARA’ SEMPRE PEGGIO”
In Italia ci sono sempre meno carpentieri e saldatori. Secondo l’ultimo rapporto di
Cgia Mestre, in più di 6 casi su 10 un imprenditore che aveva bisogno di operai specializzati non è stato in grado di reperirne neanche uno. E quando è riuscito, la selezione è durata una media di 5 mesi. Tempi dilatati che il Nord Italia, su tutti il Trentino Alto-Adige e il Friuli Venezia-Giulia, soffrono più di ogni altra Regione. Addirittura quattro volte su dieci i candidati, effettivamente presenti, hanno poi deciso di non presenziare al colloquio.
I dati del rapporto
Nel 2024, il 15% dei nuovi ingressi previsti nel mercato del lavoro erano operai specializzati: poco meno di 840mila lavoratori e lavoratrici su un totale di 5,5 milioni. Cifre che ovviamente non riescono ad accontentare tutta quella platea di piccole e medie imprese, per le quali è davvero un’impresa individuare figure come gruisti, fresatori, operatori di macchine e altri lavori specializzati. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha esaminato i report di Unioncamere-Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Sistema Informativo Excelsior del 2024 e del trimestre agosto-ottobre 2025.
Le difficoltà del settore e i giovani: «Vogliono più flessibilità e orari cort
La distanza tra domanda e offerta, secondo Cgia, è causata da diversi fattori. Oltre a macro-fattori, come la denatalità e l’inesorabile invecchiamento della popolazione che ha ridotto non di poco la forza lavoro, esistono problematiche interne al settore. Secondo gli imprenditori, infatti, molti operai specializzati non apprendono a scuole competenze adatte o sufficienti per svolgere il lavoro, soprattutto nel settore manifatturiero. Rispetto al periodo pre-Covid, poi, i giovani sono sempre più alla ricerca di occupazioni che offrano più flessibilità, autonomia e tempo libero. E sono molto meno propensi ad accettare incarichi con orari prolungati, nel weekend o che prevedano condizioni lavorative fisicamente gravose. Tutte queste tendenze, secondo la Cgia, «sono destinate a consolidarsi nel tempo».
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2025 Riccardo Fucile
LA SENTENZA ATTESA A SETTEMBRE
L’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro non vuole più mangiare. A raccontarlo è stato suo figlio Carlos, a pochi giorni dalla fine del processo per colpo di Stato in cui l’ex presidente è imputato. «È dimagrito, non vuole mangiare e continua a soffrire di infiniti attacchi di singhiozzo e vomito. Fa molto male vederlo così», ha scritto su X. Il 70enne ex presidente brasiliano dovrebbe conoscere il suo destino nel procedimento giudizio tra il 2 e il 12 settembre.
È accusato di aver cospirato per garantirsi «di restare al potere in modio autoritario» nonostante la vittoria dello sfidante Luiz Inacio Lula da Silva alle elezioni del 2022. Rischia fino a 40 anni di carcere.
L’assassinio di Lula
Agli arresti domiciliari da quasi un mese, monitorato e dotato di braccialetto elettronico, Bolsonaro ha intenzione di seguire da casa l’epilogo del processo, che sarà trasmesso in diretta, secondo il suo entourage. Secondo l’accusa il piano includeva l’assassinio di Lula prima del suo insediamento. Così come quello del giudice Moraes. L’interessato nega tutto e denuncia la «persecuzione politica». Interrogato dalla Corte a giugno, Bolsonaro ha semplicemente ammesso di aver cercato un meccanismo costituzionale per impedire a Lula di entrare in carica.
Il carcere
Per il Brasile, uscito da due decenni di dittatura militare nel 1985, l’importanza del processo è notevole. «Questo è un momento storico perché è la prima volta che un ex capo di Stato viene processato per un tentativo di rottura democratica», ha dichiarato all’agenzia France Presse la storica Martina Spohr della Fondazione Getulio Vargas. Ma il caso Bolsonaro è anche al centro di una crisi senza precedenti con gli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump ha imposto una sovrattassa punitiva del 50% su una parte delle esportazioni brasiliane dal 6 agosto. Incoraggiata dal deputato Eduardo Bolsonaro, altro figlio dell’ex presidente residente negli Stati Uniti, la sua amministrazione ha anche imposto sanzioni individuali contro funzionari brasiliani, a partire dal giudice Moraes, descritto come un detentore di potere dittatoriale.
La situazione
Ma questo non ha certo giovato alla situazione del leader del fronte conservatore brasiliano. Tutt’altro. Che oggi, dopo un’evasione, ha il monitoraggio elettronico delle caviglie, divieto di utilizzo dei social media e arresti domiciliari. In vista della sentenza la Corte Suprema sarà circondata da una presenza di polizia rafforzata. La sede stessa è un simbolo. L’8 gennaio 2023, il tribunale, insieme al palazzo presidenziale e al Parlamento, è stato preso d’assalto e saccheggiato da migliaia di bolsonaristi che chiedevano l’intervento militare, una settimana dopo l’insediamento di Lula. Che finisca in prigione o meno, Jair Bolsonaro è già, grazie ai suoi arresti domiciliari, il quarto ex presidente ad essere detenuto dal ritorno della democrazia in Brasile 40 anni fa.
Lula in carcere
Lula, 79 anni, è stato incarcerato per 580 giorni nel 2018 e nel 2019 dopo essere stato condannato per corruzione passiva e riciclaggio di denaro. Questa condanna è stata successivamente annullata per un cavillo. Con la sua popolarità rafforzata dagli attacchi di Trump, Bolsonaro intende ricandidarsi alla presidenza nel 2026, spacciandosi per difensore della “sovranità” brasiliana. Il campo bolsonarista, da parte sua, conta su un voto parlamentare per un’amnistia che rimetta il suo leader sulla retta via. Ma gli sforzi in questa direzione sono finora falliti.
(da agenzie)
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