Agosto 31st, 2025 Riccardo Fucile
“LA SENSAZIONE È CHE TROPPO DENARO, TROPPE MACCHINE SPORTIVE, TROPPI PROCURATORI, TROPPE CONQUISTE FACILI, TROPPI SOCIAL ALLA LUNGA INARIDISCANO UOMINI E DONNE CHE, AL CONTRARIO, PER DARE IL MEGLIO DI SE STESSI HANNO BISOGNO DI ARRICCHIRSI”
Leggendo la disavventura delle atlete italiane in aeroporto, un po’ tutti abbiamo
pensato che Singapore fosse l’ultimo posto della terra dove andare a commettere una simile stupidaggine. Ovviamente non si ruba mai e da nessuna parte; ma tantomeno in un posto noto perché ti fustigano se anche solo getti una cartaccia per strada.
La storia dell’atleta che nasconde i prodotti nella borsa della campionessa sembrava messa su giustappunto per giustificare la campionessa; ma la reazione della Pilato pare sincera, probabilmente Benedetta non c’entra davvero nulla.
Resta una considerazione. Gli atleti italiani, a volte anche i campioni, sono troppo impreparati al mondo e alla vita. Non voglio dire ignoranti, che è una brutta parola. Non è questione di non aver studiato.
Neanche i ciclisti degli anni 50 e 60 avevano studiato. Però, come ha confermato la bellissima serie di interviste del nostro Marco Bonarrigo, avevano una loro comprensione degli uomini, della vita, delle cose, sapevano stare al mondo, vivevano con gli occhi spalancati, con le antenne dritte, con le orecchie aperte.
Oggi tanti calciatori, anche di primo piano, non parlano l’inglese: che è davvero una precondizione per fare sport a livello internazionale, perché se non parli inglese non puoi parlare con i media, non puoi parlare con l’arbitro, non puoi capire cosa si dicono in campo i tuoi avversari, fatichi a comunicare con un ct o con compagni di squadra di altre nazioni.
Ovviamente è soltanto un esempio. Si potrebbero raccontare storie di campioni che contraddicono questa annotazione generale. Resta l’idea che la crescita di un movimento sportivo è anche sempre una crescita umana e culturale.
Il denaro non è lo sterco del demonio, è normale che una parte crescente della grande torta generata dal business dello sport finisca nelle tasche degli atleti.
Resta la sensazione che troppo denaro, troppe macchine sportive, troppi procuratori, troppe conquiste facili, troppi social a volte
male usati o magari affidati a scaltri media manager alla lunga inaridiscano uomini e donne che, al contrario, per dare il meglio di se stessi hanno bisogno di arricchirsi, abbeverandosi a quella immensa fonte di um anità che resta lo sport.
(da “Corriere della Sera”)
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Agosto 31st, 2025 Riccardo Fucile
DEFINIVA INFATTI LA BUROCRAZIA DELL’UE “RIDICOLA”. MA SEMPRE MEGLIO CHE FINIRE ISOLATI E MAZZIATI
La defunta Regina Elisabetta II sarebbe stata contraria alla Brexit. È quanto emerge da nuovo libro, Power and the Palace di Valentine Low. Secondo quanto scritto nel libro, la monarca britannica avrebbe espresso chiaramente il suo favore per il mantenimento del Regno Unito nell’Unione Europea, ritenendo che fosse preferibile “restare con il male conosciuto” piuttosto che affrontare l’incertezza della separazione da Bruxelles.
L’aneddoto è stato riportato dal Times che descrive una conversazione che la Regina avrebbe avuto con un ministro di alto rango tre mesi prima del referendum sulla Brexit nel 2016.
Da quel che riporta il Times, nonostante la sua natura di capo di Stato sopra le parti politiche, Elisabetta II avrebbe dunque apertamente dichiarato di essere contraria all’uscita dall’Europa.
“È meglio restare con il male che conosciamo”, avrebbe detto, riflettendo probabilmente sulla stabilità che l’Unione Europea rappresentava. Nonostante, questo, però dalle parole che la Regina avrebbe pronunciato, se ne deduce che la permanenza in Europa per lei rappresentava il “male minore” in quanto era consapevole anche delle sue criticità.
La defunta Regina non si è mai pubblicata espressa sulla Brexit. Se da un lato Elisabetta II era convinta che la cooperazione europea fosse fondamentale per la pace e la stabilità post-belliche, dall’altro lato non poteva fare a meno di criticare la burocrazia dell’UE, che definiva “ridicola”.
In un’occasione, mentre leggeva i giornali, si narra che avesse commentato ad alta voce: “Questo è ridicolo”. La posizione di Elisabetta II sulla Brexit non è stata sempre chiara per tutti. Nel 2011, il Sun aveva pubblicato una notizia che suggeriva che fosse favorevole alla Brexit, riportando una presunta conversazione durante un pranzo con il vice primo ministro Nick Clegg. Notizia che fu immediatamente smentita da Clegg. […] secondo Low, il silenzio di Buckingham Palace era stato un modo per evitare di fare luce sulla posizione della regina che doveva rimanere politicamente neutrale, pur avendo opinioni personali che non potevano essere espresse pubblicamente.
(da AGI)
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Agosto 31st, 2025 Riccardo Fucile
“SCHLEIN, DOV’È RIUSCITA A CONCLUDERE L’ACCORDO CON I 5 STELLE, HA PORTATO IL PARTITO A VINCERE. UN PD PRESO IN CALO AL 14-15 PER CENTO, E RISALITO AL 22-23. SE I CATTOLICI PENSANO DI POTER CONTRIBUIRE, SI METTANO AL LAVORO”
Timidamente, sommessamente, ma soprattutto con l’estrema prudenza dorotea della
vecchia Dc, sempre incomprensibile e bifronte, tale da poter essere apprezzata da sinistra e da destra, anche i cattolici del Pd tornano a manifestare il proprio disagio,dopo la performance di Meloni al Meeting di Rimini.
Ma se Comunione e liberazione ha una storia di interlocuzione preferenziale con il centrodestra , viene da chiedersi, oggi, che fine abbia fatto la presenza della componente dei “cattolici democratici” del “campo largo”, e perché la sua voce si sia così affievolita.
Colpa di Schlein che ha trasformato il Pd in una sorta di partito radicale di massa (e neppure tanto di massa, si potrebbe aggiungere), dicono sottovoce quelli che mugugnano ma non hanno il coraggio di prendere la parola apertamente.
Un partito che ha del tutto rinunciato al dialogo con l’elettorato moderato, per ravvivarlo con la sinistra dei “movimenti”, nella logica di “Occupy Pd” da cui appunto proviene la segretaria eletta, non dagli iscritti ma dagli elettori.
Questo percorso mai negato, del resto, dalla stessa Schlein, ha portato all’isolamento dei cattolici di centrosinistra. Il lamento dei quali, però, non tiene conto di alcuni aspetti della situazione del partito su cui invece dovrebbero riflettere.
Il punto di partenza è la sconfitta del 2022, maturata a tavolino, cioè prima ancora che le urne si aprissero, per l’impossibilità di Enrico Letta […] di costruire, per competere, un’alleanza (anche) con i 5 stelle. Si dirà che la coalizione non si fece perché era ancora troppo forte il risentimento di Conte per la sua sostituzione a Palazzo Chigi con Draghi, ad opera di Renzi e con il consenso del Pd.
Vero: ma le difficoltà, nel tempo, non sono diminuite, eppure Schlein, dov’è riuscita a concludere l’accordo, ha portato il partito a vincere. Un Pd preso ormai in calo al 14-15 per cento, e risalito al 22-23. Se i cattolici pensano di poter contribuire a migliorare questo dato, si mettano al lavoro, riflette la segretaria, abituata a esaminare un dossier alla volta. A partire, adesso, dalle regionali
Marcello Sorgi
per “La Stampa”
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Agosto 31st, 2025 Riccardo Fucile
CHIOCCI, DI SUO, VUOLE FUGGIRE DA SAXA RUBRA: HA TENTATO, FALLENDO, LA PRESA DI POTERE, E NON SOPPORTA (RICAMBIATO) L’AD, GIAMPAOLO ROSSI… IL FLOP DI ASCOLTI E LA FRENATA CON LA REDAZIONE: “NULLA DI DECISO” – LO SCETTICISMO DI FAZZOLARI, CHE VUOLE TENERE ALLA LARGA CHIOCCI E I SUOI STRETTI RAPPORTI CON GLI APPARATI DELLO STATO, A PARTIRE DAI SERVIZI
A meno di improbabili ripensamenti o imprevisti, il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci lascerà la guida del telegiornale per occuparsi della comunicazione di Giorgia Meloni. La stessa che lo aveva voluto alla guida dell’ammiraglia Rai. La notizia è stata anticipata ieri dal Foglio e potrebbe concretizzarsi il 15 settembre, anche se i tempi potrebbero allungarsi visto che la partita si intreccia con quella della successione al vertice del tg.
Nato a Gubbio nel 1964, Chiocci guida dal 2023 il principale telegiornale italiano.
Un’esperienza segnata da alcuni colpi giornalistici e polemiche. La lunga intervista a Gennaro Sangiuliano, che non bastò al ministro per evitare le dimissioni, e quella a Papa Francesco. Nel 2024 l’inviata del Tg1 Stefania Battistini entra per prima nel Kursk.
Nella sua permanenza in Rai anche momenti difficili sul fronte degli ascolti: è di tre giorni fa – il 28 agosto – il sorpasso del Tg5 sul Tg1 nell’edizione delle 20. E poi, le critiche delle opposizioni per la gestione dell’informazione Rai nell’era di “TeleMeloni”, che certamente questa svolta continuerà ad alimentare.
È la presidente del Consiglio a chiamarlo a Palazzo Chigi. La ragione della proposta di Meloni è legata soprattutto alla fase politica che sta per aprirsi: non soltanto l’autunno caldo delle elezioni regionali, ma uno scenario internazionale altamente instabile e prospettive macroeconomiche incerte.
La premier gioca in difesa e ritiene di dover rafforzare la squadra, affidandosi a un giornalista di cui è amica e a cui ha chiesto spesso consigli durante l’esperienza a Palazzo Chigi. Un interesse che si incrocia con un’altra circostanza: da tempo Chiocci vive con crescente malessere il rapporto con i vertici di viale Mazzini.
Il fatto che la notizia trapeli prima del previsto rende però il quadro più confuso. Al mattino, il giornalista consegna dunque una dichiarazione in cui conferma che la proposta esiste: «Ho letto queste indiscrezioni. Di vero c’è solo che nei giorni scorsi la premier mi ha sondato informalmente per capire una mia eventuale, futura, disponibilità nella gestione della comunicazione, affiancando il collega Fabrizio Alfano».
Poi aggiunge, frenando: «Una chiacchierata, come tante altre iquesti mesi, a cui non è seguita assolutamente alcuna decisione da parte mia. Qualora dovessi prenderla in considerazione, ne
informerei per tempo prima l’azienda, dimettendomi dal Tg1. Ma allo stato, ripeto, non c’è nulla».
Poco dopo, presiede la riunione di redazione: «Non me ne vado – dice – Ho avuto contatti in passato, come ne ho ogni giorno anche per altre proposte. Sto bene qui, dove do l’anima ogni giorno. Quando arriverà davvero una proposta che accetterò – ribadisce – avviserò subito voi e l’azienda».
Dovesse lavorare a Palazzo Chigi, non sarebbe comunque il primo direttore dell’era Meloni: già Mario Sechi fu chiamato come portavoce nel 2023, ma la sua turbolenta esperienza durò pochi mesi, prima di approdare alla direzione di Libero (e di siglare, recentemente, un contratto con Rai Cultura). Dopo Sechi, è stato Fabrizio Alfano a guidare la comunicazione della premier. E resterà comunque nel suo attuale incarico di capo ufficio stampa.
(da La repubblica)
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Agosto 31st, 2025 Riccardo Fucile
LA DUCETTA SI OPPONE AL COINVOLGIMENTO DI SOLDATI ITALIANI SUL TERRENO UCRAINO, ANCHE SOLO COME SMINATORI. E INSISTE CON L’IPOTESI, INFATTIBILE, DEL MODELLO DELL’ARTICOLO 5 DELLA NATO PER KIEV
Un invito formale non è ancora arrivato a Palazzo Chigi. Ma l’esito, salvo sorprese,
appare già scritto: Giorgia Meloni non sarà a Parigi nei prossimi giorni quando, probabilmente martedì, Emmanuel Macron riunirà la coalizione dei Volenterosi.
La premier non intende legittimare l’impostazione “interventista” francese, che insieme a Regno Unito e pochi altri Paesi immagina la creazione di un contingente da schierare in Ucraina subito dopo un eventuale cessate il fuoco.
Meloni dovrebbe limitarsi a partecipare in video-collegamento alla riunione, come già fatto nelle ultime occasioni. «Innanzitutto – spiega una fonte vicina alla premier – una svolta positiva del conflitto non è così vicina». E dunque ogni pianificazione è giudicata prematura. Poco importa se a spingere per un’accelerazione siano proprio gli Usa di Donald Trump che, nonostante le bombe di Vladimir Putin, continuano a mostrarsi ottimisti su una possibile tregua.
C’è poi un secondo motivo: Meloni non vuole dare adito all’idea che l’Italia possa essere tra coloro che metteranno gli “stivali sul terreno” in Ucraina, siano essi degli sminatori o degli addestratori.
Anzi, a Roma si segue con attenzione il lavoro preparatorio della riunione perché si è convinti che i numeri dell’ipotetico impegno anglo-francese sarebbero molto ridotti rispetto ai 30mila uomini ipotizzati nei mesi passati. Un ridimensionamento che può essere
letto come una conferma della correttezza della linea tenuta fin qui dal governo e che, spiegano le stesse fonti, spinge la premier ad essere presente alla videocall.
Un supplemento di riflessione su un’eventuale presenza, a Palazzo Chigi si farà soltanto nel caso in cui accanto a Volodymyr Zelensky – che dovrebbe partecipare al vertice – fossero presenti anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il primo ministro britannico Keir Starmer. Non a caso si guarda con interesse alla telefonata che i tre leader potrebbero avere questa sera con Trump.
Chiamata a cui Meloni potrebbe “rispondere” con un contatto diretto con Washington già nelle ore successive.
Ma mentre la premier calibra ogni passo sul fronte internazionale, a Roma le opposizioni provano a incalzarla. I capigruppo al Senato Francesco Boccia (Pd), Stefano Patuanelli (M5S), Raffaella Paita (IV) e Peppe De Cristofaro (Misto-Avs) hanno scritto a Ignazio La Russa per chiedere che Palazzo Madama convochi una seduta straordinaria dedicata proprio alla politica estera.
L’accusa è chiara: il governo, nelle ultime settimane, non avrebbe offerto spiegazioni né sulla portata dell’intesa commerciale siglata dall’Unione europea con Washington sui dazi né sul ruolo che l’Italia sta recitando nei dossier più caldi. Nel mirino finiscono le incertezze sull’Ucraina, il silenzio sulla crisi di Gaza, i dati sugli sbarchi che contraddicono la narrazione ufficiale, fino all’incidente con Parigi dopo le dichiarazioni di Matteo Salvini su Macron. Tutti passaggi che – scrivono i leader di minoranza – hanno lasciato il Paese «sgomento» e che avrebbero imposto un chiarimento parlamentare immediato. Da qui la richiesta inoltrata al presidente del Senato La Russa: portare Meloni, il ministro degli Esteri e quello per gli Affari europei in Aula per un confronto diretto.
Perché, attaccano le opposizioni, «in una democrazia compiuta non bastano interviste, virgolettati di stampa o post sui social network».
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2025 Riccardo Fucile
I PAESI NORDICI SPINGONO PER SANZIONARE LO STATO EBRAICO, MA GERMANIA E ITALIA SI OPPONGONO
Alla fine Kaja Kallas ammette l’ovvio, quello che è sotto gli occhi di tutti. «Gli Stati membri non sono d’accordo su come far cambiare rotta al governo israeliano», dice l’Alta rappresentante per la politica estera Ue da Copenaghen, dove si è tenuto il vertice informale dei ministri degli Esteri, detto il Gymnich.
Spiegando che «le opzioni sono chiare»: ma se «non hai una voce unica su questo tema, allora non abbiamo una voce unica sulla scena globale. Ed è molto problematico».
Ma quella che a prima vista è una dichiarazione di resa («ne discuteremo ancora per mesi»), non può però nascondere un’altra evidenza: la volontà di sanzionare Israele sta crescendo in Europa e conquistando adesioni.
Spingono in questo senso i Paesi nordici, guidati dalla Danimarca (presidente di turno dell’Ue): ma il progetto di sospendere l’accordo commerciale con Israele (e perfino quello minore, di bloccarne l’accesso ai fondi di ricerca Ue), non trova la necessaria unanimità. Perché dall’altro lato del tavolo ci sono sempre la Germania (che oppone sistematicamente il veto a decisioni che danneggino Israele), l’Italia, la Repubblica Ceca o anche l’Ungheria — l’unica schierata di fatto sulla linea
Netanyahu.
Non era l’unico argomento sul tavolo ieri a Copenaghen.
Più che di Gaza si è parlato di Ucraina. Su come implementare le sanzioni alla Russia che il cancelliere tedesco Friedrich Merz considera l’unico modo per fermare la guerra: Mosca non si arresterà, ha detto, finché potrà «continuare economicamente e militarmente la guerra». Ma mentre sul nuovo pacchetto (il 20°) si fanno passi avanti, ci sono grossi dissidi sull’altra questione, il sequestro degli asset russi.
Kaja Kallas la mette così: Mosca questi suoi beni bloccati in Europa non li rivedrà mai più, a meno che non accetti di compensare l’Ucraina per gli enormi danni inflitti con la guerra. Anche qui, molti Paesi — Italia inclusa — hanno obiezioni. Il Belgio ha di fatto messo il veto. Ancora Tajani parla di una «scelta che politicamente ha senso, ma che rischia di diventare un boomerang». Perché, sostiene, se non c’è base giuridica «si fa un regalo a Putin».
Intanto, in tutta questa sfilza di posizioni che non si allineano, sta per scadere domani l’ultimatum di 14 giorni che Trump ha dato a Putin. Se non arriverà nessuna risposta dal Cremlino, tranne le bombe sull’Ucraina, l’incontro dell’Alaska sarà stato un fiasco certificato.Il sito americano Axios scrive che c’è molta frustrazione alla Casa Bianca. Per questo i fedelissimi di Trump sarebbero pronti ad accusare gli europei di fare il doppio gioco e, insistendo sulla difesa a oltranza dell’Ucraina, di aver allontanato i negoziati.
Tutto si fa, purché il flop ricada su qualcun altro.
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2025 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO DELLA CONDUTTRICE MEDIASET ELENA GUARNIERI DIVENTA VIRALE… “CERVELLI PICCOLI NON EVOLVERANNO MAI, PER FORTUNA CI SONO ANCHE UOMINI VERI”
«Nascere maschi è nella natura, è diventare uomini che è molto complicato». Sta
facendo il giro di tutti i social l’intervento di Elena Guarnieri, giornalista Mediaset e conduttrice del Tg5, a proposito dei casi relativi al gruppo Facebook Mia Moglie e al sito web Phica.eu, dove migliaia di uomini condividevano foto di donne – in alcuni casi le proprie mogli o compagne – a loro insaputa e si lasciavano andare a commenti sessisti e volgari. Introducendo un servizio del telegiornale dedicato proprio a tutto ciò, Guarnieri ha deciso di rivolgersi direttamente ai telespettatori e offrire una propria riflessione: «Ci viene da chiedere se chi pubblica certe foto oscene, certi commenti a dir poco volgari e sessisti, pensa al fatto che quella roba possa finire nella mani di un figlio, magari di un adolescente, magari come è capitato anche a qualcuna di noi».
La solidarietà femminile
Con lo sguardo fisso in camera, la giornalista di Mediaset continua: «Ci viene anche da chiedere come sia possibile che siano proprio i fidanzati, i mariti, a usare il corpo delle proprie compagne, dandolo letteralmente in pasto a certi siti scabrosi. Ovviamente, noi donne giornaliste, noi donne dello spettacolo, donne delle istituzioni, abbiamo sempre un modo per difenderci, ma non è così per tutte le donne, che possono anche non reggere alla vergogna di vedersi denudate, di sentirsi abusate verbalmente, ed è a loro che noi dobbiamo pensare».
Nascere maschi e diventare uomini
«Nascere maschi è nella natura», aggiunge poi Guarnieri in uno degli spezzoni più condivisi sui social, «è diventare uomini che è molto complicato, molto difficile e questo riguarda davvero tutti: noi genitori, la scuola, le istituzioni, siamo tutti coinvolti». Secondo la giornalista, il problema non nasce solo su quei siti o gruppi Facebook.
«Ricordo un “giornalista” (non gli farò pubblicità) scrivere di me una frase immonda e un “simpatico” trapper appellarmi con una frase irripetibile. E anche oggi leggo commenti del tipo: “proprio lei, chissà con Berlusconi”. Cervelli piccoli non evolveranno mai. Per fortuna, a fronte di pochi omuncoli, ci sono tanti uomini veri», conclude la conduttrice.
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2025 Riccardo Fucile
DAL FIGLIO DI MASTELLA AL FRATELLO DI MANFREDI, DALLA MOGLIE DEL DEPUTATO FDI A UN “GREMBIULINO”
L’ultima suggestione è Vannacci acchiappavoti in Puglia. In Campania, i Mastellas hanno invece prenotato un posto per il figlio Pellegrino, perché “così fan tutti”, rivendica il capostipite Clemente. Nelle Marche, Acquaroli di FdI punta sul fioretto e recluta la pluricampionessa Trillini, mentre in Veneto a Salvini potrebbe non rimanere che l’usato garantito Luca Zaia. Benvenuti alla gran fiera delle Regionali, con annesso repertorio di candidati vip e truppe cammellate da piazzare in lista: amici, parenti, sodali talvolta imbarazzanti se non proprio impresentabili. Il catalogo (per ora) è questo.
A partire da figli, mogli e fratellanze varie che non mancano mai.
Parenti tutti.
In Campania, la lista dei possibili candidati è una cartina di tornasole di parenti e amici di. Il sindaco di Benevento, Clemente Mastella, una vita trascorsa tra i banchi di Montecitorio e quelli dell’Eurocamera, e la moglie Sandra Lonardo (parlamentare regionale e nazionale) preparano la discesa in campo del figlio Pellegrino. Del resto, si giustifica il patriarca, “Mastella è un brand e così fan tutti”, a destra come a sinistra. A ben guardare non che abbia torto. Nel Pd c’è il fratello del sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che in regione è consigliere uscente. Nella lista civica di Vincenzo De Luca potrebbe trovare posto Rossella Casillo, figlia dell’ex assessore regionale Tommaso che per candidarsi dovrebbe mollare il suo posto ai vertici di Soresa (Società regionale per la sanità). Anche
la progenie del sindaco di Scafati, Pasquale Alberti, pare pronta al debutto politico: la figlia Rosaria è data sicura per un posto nella lista di Forza Italia. Un’altra figlia d’arte dal nome impegnativo è pronta a correre invece per FdI: si tratta di Ione Abbatangelo figlia del più noto Massimo, ex senatore missino, condannato a sei anni per detenzione di esplosivo nell’ambito dell’inchiesta sulla strage del rapido 904. Sempre in casa Meloni, il deputato Michele Schiano starebbe lavorando per la candidatura della moglie Palmira Fele.
Grembiulini&C.
Come a ogni appuntamento elettorale che si rispetti, neanche alle Regionali d’autunno potevano mancare loro: i candidati buccia di banana. In Toscana, come ha rivelato il Fatto, Tommaso Cocci, capogruppo FdI a Prato, per via di certe foto hard che ha spedito in passato non chiude più occhio: il Nostro, va detto, è stato anche segretario della loggia massonica Sagittario, la stessa di Matteini Bresci, indagato per corruzione nell’affaire Prato. A fargli compagnia Claudio Belgiorno, pure lui messo in pista da FdI nonostante sia nel mirino della procura per una vicenda di rimborsi. Non che in Campania vada tanto meglio. I forzisti pensano di mettere in campo Francesco Silvestro, fatto eleggere in Parlamento da Forza Italia nonostante fosse finito nella lista degli impresentabili della Commissione Antimafia nel 2020 per un processo poi finito con la prescrizione. E che dire di Maurizio Matacena? Nominato dal ministro della Cultura Alessandro Giuli revisore dei conti della Fondazione San Carlo, nonostante l’indagine per associazione a delinquere finalizzata a condizionare l’aggiudicazione di commesse pubbliche, ora potrebbe entrare in lista per FdI. Idem Marco Nonno, già condannato per resistenza per le proteste di Pianura.
Mai dire mai.
Capitolo, tentar non nuoce: Michela Rostan in campo dopo aver cileccato le Politiche con la Lega (dopo essere passata da
Sinistra italiana, Pd, Iv e Forza Italia) o l’imprenditore Gianfranco Librandi, gran mecenate della politica ora approdato in Forza Italia (dopo le parentesi Pd, Iv, Scelta civica). Nelle Marche, invece, il Pd riciccia l’intramontabile Valeria Mancinelli, ex sindaca di Ancona (2013-2023) criticatissima per la gestione del porto cittadino. Ma vip e vecchie glorie servono come il pane per acchiappare preferenze. Nelle Marche, Fratelli d’Italia ha reclutato per la causa di Acquaroli la pluricampionessa del fioretto Giovanna Trillini, mentre in Calabria ha chiamato alle armi i big anche quelli eletti a Roma, come la sottosegretaria Wanda Ferro e gli uscenti in regione Gianluca Gallo e Filippo Mancuso. In Puglia, la Lega potrebbe cercare di salvarsi dalla débâcle con il campione dei consensi Roberto Vannacci. Lo spettacolo, però, è appena iniziato: non rimane che attendere.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Agosto 31st, 2025 Riccardo Fucile
PECCATO CHE I GIUDICI NON LO ABBIANO MAI INIZIATO PIUTTOSTO…POI RICORDA CHE L’AMPOLLA DEL PO CE L’HA LUI E CHE “CONOSCE IL PERCORSO DEL PO”: OTTIMO COSI’ PUOI DISINQUINARLO DALLA FOGNA PADANA
L’indipendenza della Padania, la secessione, le camicie verdi? «Peccato non aver finito
il lavoro…», parola del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Roberto Calderoli. Siamo a Pian del Re, poco vicino alle sorgenti del Po, sul Monviso. Vecchi ricordi, il rito dell’ampolla di Umberto Bossi, rinnegato da Matteo Salvini che dal 2015 non ci mette più piede. Il partito piemontese però ha deciso di riorganizzare l’evento, su piccola scala ovviamente, e senza ritualità particolari. Un semplice comizio, presente anche il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari («Qui si ricordano gli anni gloriosi dell’indipendenza della Padania», ricorda pure lui).
Nel cuore di Calderoli – sposato la prima volta con rito celtico – nulla si cancella e anzi si rivendica: «Il ricordo più bello dei miei 40 anni nella Lega è il ‘96, quando dichiarammo l’indipendenza della Padania. Andammo dal Presidente della Repubblica CarloAzeglio Ciampi con Bossi, gli consegnammo la dichiarazione di indipendenza, dicendo “la Padania se ne va”. Avevamo creato uno Stato parallelo, con un altro parlamento, giornali, tv, poste, passaporto, patente, cooperative: è servito a farli cagare addosso, il rimpianto è non essere andati fino in fondo», dice il ministro dal palco davanti a circa 150 presenti.
Erano gli anni della Lega contro “Roma ladrona” e dei processi per attentato contro l’integrità dello Stato, ma non solo: «Io in ospedale ci sono finito diverse volte, ci si scontrava con centri sociali e forze dell’ordine», ricorda Calderoli. «Bossi mi disse che aveva saputo dai servizi che volevano arrestarmi, “perché hai i fucili in macchina”, ma quando mai, avevamo pane e salame. Il processo alle camicie verdi è durato venti anni…».
Tutto questo preambolo per appassionati del genere padano per arrivare all’attualità, visto che ora Calderoli ha in mano la partita dell’autonomia. La settimana prossima ci sarà un incontro con Giorgia Meloni e i due vicepremier, Antonio Tajani e Salvini. Sul piatto ci sono le pre-intese con quattro regioni (Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto), nella speranza di portare il trofeo a Pontida il 21 settembre. «Sarà la prima fessura sul muro del centralismo – spiega, aggiungendo un avvertimento – Il programma di governo si rispetta, ok, ma l’ampolla del ’96 ce l’ho io, so dov’è la fonte del Po, so dov’è il percorso, a buon intenditore poche parole…».
Insomma, un pezzo di Lega diventata nazionalista coltiva ancora le aspirazioni federaliste. «La fede o ce l’hai o non ce l’hai», chiosa Calderoli. Le cui parole di orgoglio padano, però, rischiano di scatenare un bel putiferio.
(da la Repubblica)
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