Ottobre 15th, 2025 Riccardo Fucile
POTEVA ANDARE ANCHE PEGGIO, MAGARI OFFRIRE LA PRESIDENZA ANTIDOPING A HEATHER PARISI
Al ministero della Sanità ci dev’essere un ufficio Ooops incaricato di confezionare figure di palta. Dopo i due no vax inseriti nel comitato pro vax, hanno provato a piazzare il Nobel per la Fisica Giorgio Parisi alla presidenza della commissione antidoping. Naturalmente avevano sbagliato Parisi.
Quello giusto è il rettore dell’università dello sport e si chiama Attilio, non Giorgio. Come se avessero affidato una installazione d’arte contemporanea ad Alessandro Cattelan o la panchina dei Cinquestelle ad Antonio Conte (che peraltro sarebbe un’idea). Hanno sbagliato Parisi, ma nessuno se ne è accorto, perché nell’ufficio Ooops del ministro Schillaci i filtri non esistono: la fesseria concepita da un singolo passa di scrivania in scrivania senza incontrare resistenza, fino ad assumere la forma indelebile della figura di palta.
Il bello è che la commissione antidoping si è riunita lo stesso. Senza presidente, dal momento che nessuno aveva avuto il coraggio di avvertire i due Parisi dello scambio di persona.
È successo in seguito, quando l’ufficio Ooops ha girato la pratica all’ufficio Malaussène, specializzato in capri espiatori, che ha il compito istituzionale di sobbarcarsi le colpe di tutti.
Giorgio Parisi avrà sorriso: è un luminare nello studio dei sistemi complessi, ma la burocrazia romana si è rivelata troppo complessa persino per lui.
Poteva andare anche peggio. Potevano offrire la presidenza dell’antidoping a Heather Parisi. Ma non sottovalutiamoli: forse ci hanno fatto un pensierino.
(da corriere.it)
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Ottobre 15th, 2025 Riccardo Fucile
IL MONDO E’ CAMBIATO, RICORDI GLI AMICI MORTI, TUTTO E’ ATTUTITO, REMOTO, LONTANO
“Camminavo per le strade di Pietroburgo e mi sentivo solo e questo era strano perché erano
ventisette anni che vivevo solo a Pietroburgo” (Le notti bianche, Dostoevskij). Cammino per le strade di Milano e osservo i ragazzi che van via svelti. Potrei, con un po’ di sforzo, tenerne il passo, ma nessuno potrebbe restituirmi la loro scioltezza e la luminosità della pelle che pure io avevo da ragazzo.
Cammino e vedo delle vecchie curve, rattrappite, rimpicciolite, canute, che si appoggiano al bastone da passeggio, eppure, mi dico, anche loro sono state delle ragazze e magari delle belle ragazze, e mi pare impossibile. Cammino e vedo delle vecchie, un po’ meno vecchie, e mi rendo conto, con raccapriccio, che sono le ragazze della mia generazione che abbiamo corteggiato e alle volte amato. I giovani non pensano mai che anche i vecchi sono stati tali. Avevo ricoverato mia madre in una di quelle strutture che oggi si chiamano RSA, luogo decoroso, peraltro. Fra noi non avevamo mai parlato molto ma un pomeriggio mi disse quasi a bruciapelo: “La sola cosa che ha funzionato con tuo padre è stata il sesso” e una scarica elettrica mi passò lungo la spina dorsale. Non potevo immaginare mia madre e mio padre in un amplesso eppure io e mia sorella siamo pur nati da lì (si è detto di passata: poiché aveva un enfisema polmonare i medici volevano impedirle di fumare. Io dissi: questa donna non ha più niente dalla vita, volete impedirle anche l’unico piacere che le rimane? E le sigarette, nazionali semplici, quelle blu, gliele
portavo di nascosto).
Nella canicolare estate del 2003, quando soprattutto nelle grandi città i vecchi morivano a frotte, ero seduto vicino a un tavolo di ragazzi che stavano giocando a carte al bar della spiaggia. Uno con un paio di enormi e spudorati occhiali da sole, tipo gangster, l’aria da impunito, commentò: “Ottimo! A Milano ci saranno più posti per parcheggiare”. E quello che gli stava di fronte, di rimando: “Non mi farei troppe illusioni. È tutta gente che non guida più”. Erano spacconate, naturalmente, e fra di me ne sogghignavo (i giovani, a volte, ci vogliono anche bene, a modo loro). Il fatto è che quei due bricconi se lo potevano permettere, mentre tutta la spiaggia over sixty boccheggiava e ogni mattina guardava tremebonda i tabellini meteo dei quotidiani per vedere di quanti gradi era salita la temperatura. E negli occhi dei più anziani si leggeva, sia pur dissimulato, il timore di sentirsi male da un momento all’altro.
In un certo periodo della mia vita ho abitato, insieme al mio amico Giagi, in uno squallido condominio in piazza Amati all’estrema periferia ovest di Milano, al limitare di un immenso terrain vague dove si potevano ancora vedere, qua e là, degli ‘orti di guerra’ residuo di una realtà mezzo contadina e mezzo urbana che la città si stava divorando.
Era così squallido quel condominio che in otto piani ci abitavano solo tre famiglie, una era quella di Giagi e me, un’altra di due ragazze che dicevano di essere delle modelle ma in realtà facevano le mantenute, in un’altra, la più normale, un certo
Visinalis, un cinquantenne già vinto dalla vita, sposato con una moglie inglese bruttissima e con due figli ancora piccoli. Poiché i genitori erano fuori dalle balle la mia casa era luogo di raccolta di tutti i perdigiorno. Non passava sera che non facessimo baldoria. Non che, di solito, accadesse granché di peccaminoso. Le ragazze si tenevano alla larga, il permissivismo sessuale, che arriverà con la generazione hippie, era di là da venire, non “la davano” e con loro era un eterno ed estenuante trafficare, soprattutto nei cine di terza visione, sopra e sotto la camicetta e la gonna, “tutta roba senza risultato” per dirla con Jannacci. Suonavamo la chitarra, mettevamo il giradischi a tutto volume e facevamo baccano fino alle tre o alle quattro di notte. Una sera il Visinalis, esasperato, suonò alla porta. Andai ad aprire. Era comprensibilmente agitato, con quel fracasso gli svegliavamo regolarmente i bambini. Poiché alzava un po’ la voce gli dissi: “Sia più urbano”. Il poveretto, credendo fosse un insulto, si alterò ancora di più e gridò: “Urbano sarà lei!”. Allora lo presi per il bavero e lo feci ruzzolare giù dalle scale. Una bravata stupida, facile e vile, per farmi bello con gli amici, con un uomo che non poteva competere con i miei vent’anni, di cui mi vergogno ancora oggi. O, forse, soprattutto oggi che so che se litigassi con dei ragazzi farei la fine di Visinalis.
In vecchiaia tutto decresce tranne degli orribili peli che spuntano dal naso e dalle orecchie.
L’aspetto più drammatico della vecchiaia non è tuttavia la decadenza fisica, ma l’impossibilità di un progetto di vita,
esistenziale, sentimentale, professionale. Manca il tempo. Manca il futuro. Manca la speranza. Sorella Morte ha già alzato la sua falce. È vero che si può morire a qualsiasi età, anche a vent’anni, e che la morte è certa. Ma una cosa è immaginarla in un futuro indefinito, altra è quando ti cammina a fianco. Una cosa è se si tratta di una certezza lontana, remota, altra è se sai che sei al finale di partita. E che non ci saranno supplementari.
Un pomeriggio ho chiesto al mio caro amico Giorgio Bocca, l’unico che abbia avuto in questo mestiere insieme a Walter Tobagi, che pensava di avere un luminoso futuro da direttore del Corriere della Sera e avrebbe raggiunto sicuramente quell’obiettivo, ma sono bastati due idioti per troncarglielo, a dimostrazione che la vita è Caso, se avesse paura della morte. “Sì” è stata l’onesta risposta. E non potrebbe essere diversamente. Non si tratta di una paura fisica, tanto che al momento del dunque tutti siamo in grado di affrontarla, ma metafisica. È l’orrore del Nulla. Lo spaventoso Nulla. L’inesistenza. Tutto ciò che hai vissuto, amato, conosciuto, visto, ascoltato, letto, pensato, è cancellato di colpo, immerso in un buio senza tempo e senza risveglio.
L’uomo cerca di colmare il non-senso dell’esistenza con ogni sorta di attività. In fondo lo sappiamo benissimo, lo sappiamo tutti, da sempre, che nulla ha senso, che la vita è un gioco. Ma per tollerarla abbiamo bisogno di riempirla. Di azioni, di pensieri, di miti, di speranze, di passioni, di credenze, di illusioni, di sogni. Ecco, la vecchiaia è senza illusioni e senza
sogni. Perché non c’è più nulla da sognare. Nulla da aspettare. Se non la morte.
Se un vecchio non può più sognare può perlomeno ricordare. Una volta che ero andato a trovare una grande attrice di teatro, Paola Borboni, che viveva i suoi ultimi anni in un ospizio, per consolarla della situazione ebbi l’imprudenza di dirle: “Però lei ha tanti bei ricordi…”. Mandò un grido che era quasi un ruggito (era pur sempre una grande attrice) e, sollevandosi a metà dal suo giaciglio, sibilò: “Ricordi? I bei ricordi sono la cosa più tormentosa per un vecchio”. Perché enfatizzano, per contrasto, la pena presente.
Anche il mondo che hai conosciuto e a volte, con l’energia e l’incoscienza della giovinezza, dominato, è scomparso. Il paesaggio è cambiato, i luoghi pure, gli oggetti sono diversi, altri i miti, gli idoli, gli attori, le letture di riferimento. Il mondo dei vecchi non sta nel futuro, non sta nel passato, sta nel presente. Nel ricordo degli amici morti. Tutto è attutito, remoto, lontano. È scesa la sera. Sei un sopravvissuto.
Massimo Fini
(da ilfattoquotidiano.it)
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Ottobre 15th, 2025 Riccardo Fucile
I “CIVICI” DI FICO E LA PAX CON DE LUCA
Ora sono davvero in ansia, i Cinque Stelle. Perché tra meno di 40 giorni non si potrà più sbagliare. Non sono possibili errori in Campania, storico fortino del Movimento, dove bisogna eleggere a presidente il veterano sopravvissuto alle mille guerre di religione nel M5S, Roberto Fico. E possibilmente portare a casa un buon risultato per la lista, dopo il 5 delle Marche, il 6 e qualcosa della Calabria e il 4 virgola della Toscana. Tre delusioni in tre settimane. Ma ora il punto sarà innanzitutto la Campania, “dove dobbiamo prendere almeno il dieci per cento” sussurrano i parlamentari.
Mica facile, nel recinto di Vincenzo De Luca, con la lista del presidente, cioè Fico, che toglierà sicuramente voti, e con il Pd che appare tonico.
Dovrà fare la differenza innanzitutto lui, l’ex presidente della Camera, che lunedì ha visto De Luca senior, per chiedergli di non fargli più la guerra a colpi di dichiarazioni, di evitare strappi, insomma di comportarsi da alleato. “È stato un incontro civile, anche se ognuno è rimasto sulle proprie posizioni” raccontano più fonti. Con l’ancora presidente che vuole lasciare il cognome nella sua lista stipata di fedelissimi, A testa alta. Mentre Fico, che dribbla sul tema – “non mi interesso di simboli ora” – farà comunque da filtro alle candidature, quello che De Luca e
diversi altri (Clemente Mastella) non volevano e non vorrebbero. “L’ultima parola sarà di Roberto, anche per non caricare i partiti di responsabilità” raccontano. Senza foga religiosa, giura una fonte: “Roberto lascerà fuori chiunque abbia problemi legali, ma non farà troppo lo schizzinoso”. Deve tenere assieme otto liste. E gli serve gente che porti voti. Perché la destra parte dietro, certo, ma scalcia. “Alcuni sondaggi danno Edmondo Cirielli sotto solo di quattro-cinque punti” sostengono dal fronte opposto. Bugie tattiche a favore del meloniano, magari. Di certo qualche deluchiano ha già cambiato sponda, “e a destra imbarcano sindaci, che i voti li hanno sempre” ricordano dal Pd. Proprio oggi il 5Stelle presenterà i cinque capilista della lista “Roberto Fico presidente”. A Napoli dovrebbe essere Giovanni Russo, direttore della Masseria Antonio Esposito Ferraioli, il bene confiscato più grande dell’area metropolitana del capoluogo. Mentre nella civica – ma non come capolista – ci sarà anche l’imprenditore sociale Davide D’Errico, il cui nonno venne ucciso dalla camorra per non aver pagato il pizzo.
Ma il 23 e il 24 novembre servirà un buona risposta dei Cinque Stelle, che confermeranno i tre consiglieri regionali uscenti, due con deroga perché hanno già fatto due mandati (Michele Cammarano e Gennaro Saiello). E non solo. “In lista ci saranno almeno due esterni, di peso” giurano dal M5S. Chissà come li giudicherà De Luca, ieri ciarliero: “Quello con Fico è stato un incontro positivo per andare avanti, senza che nessuno si perda, abbiamo discusso del programma. Chi verrà sarà pure fortunato
perché deve solo vedere il completamento delle cose messe in campo”. A corredo, l’unghiata a Cirielli: “Ho già avuto modo di ringraziare il centrodestra per il regalo che ci ha fatto”. E Fico ha subito ricambiato il segnale: “Con De Luca abbiamo concordato che l’ avversario è la destra, molti dei progetti della Regione sono da continuare”. E il Faro, il discusso progetto per la nuova sede regionale? “Vedremo un pezzo alla volta” prende tempo il 5Stelle. Del resto anche nel Pd non sono tutte rose, e non solo per via della spina De Luca.
Le ultime voci che agitano i dem raccontano che la riformista Pina Picierno vorrebbe imporre in lista a Caserta Massimo Schiavone, da molti vista come una candidatura sostanzialmente anti Elly Schlein. Questo perché Schiavone fu coinvolto nel caso del tesseramento gonfiato insieme a Gennaro Oliviero, che aveva spinto il Pd a mandare Susanna Camusso come commissario nella provincia, e che portò il partito a negare a entrambi il rinnovo della tessera. Ma anche perché è il figlio di Massimo Schiavone, titolare di Rsa e centri per la riabilitazione psichiatrica in convenzione, finito in manette nel 2020 nell’inchiesta in cui è indagato anche Oliviero.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Ottobre 15th, 2025 Riccardo Fucile
A SENTIRE I TG DELLA RAI SEMBRA CHE L’ACCORDO DI GAZA L’ABBIA FATTO LA MELONI… ORMAI LA PIAGGERIA RASENTE IL RIDICOLO
A sentire i tigì Rai di questi giorni, sembra che l’accordo su Gaza l’abbia fatto Giorgia Meloni:
colei che nelle foto di gruppo, per altro affollatissime (mi dicono che c’era anche il presidente del Paraguay) spicca ai margini grazie al completo chiaro.
Non basta il provincialismo (con la politica estera quasi sempre piegata alle nostre faccende di bottega) a spiegare una così goffa rappresentazione dell’accaduto. È probabile che ci credano proprio: la coorte di funzionari, portaborse, giornalisti che il governo ha incaricato di addomesticare il servizio pubblico non agisce per opportunismo, ma per militanza.
Se avete in mente quel manipolo di deputatini di Fratelli d’Italia e della Lega che appare a rotazione nei tigì per dire, in dieci
secondi, “per merito del nostro governo oggi c’è un bel sole”, potete capire che non c’è cinismo o malafede che possa spingere a mettersi in ridicolo fino a quel punto. Il propagandista è, a suo modo, un militante coraggioso: intuisce che nelle case, quando appare, risuona il pernacchio, ma si sacrifica per la causa.
Un direttore o vicedirettore di telegiornale anche di medio o mediocre livello, rileggendo la scaletta, non può non rendersi conto che l’Italia, con quanto sta accadendo sulla sponda orientale del Mediterraneo, c’entra così così. O addirittura: c’entra pochino. E di conseguenza non converrebbe strombazzare più del dovuto un ruolo marginale, spacciandolo per nuova leadership mondiale (forse, addirittura, più del Paraguay).
Ma se uno, invece, è un militante politico, per il quale la Rai non è un servizio pubblico, ma un campo da sminare dai nemici e da consacrare al culto della Capa, non si accorgerà di nulla. La piaggeria gli sembrerà un valoroso servizio alla Patria.
(da repubblica.it)
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Ottobre 15th, 2025 Riccardo Fucile
MESSAGGI RAZZISTI, VIOLENTI ED OMOFOBI TRA I LEADER LOCALI DEI GIOVANI REPUBBLICANI
Una chat su Telegram a cui partecipavano una dozzina di persone, tutti esponenti di spicco dei Giovani repubblicani, l’organizzazione giovanile del Partito Repubblicano, è finita sui giornali. Tra le decine di migliaia di messaggi, riferite al periodo tra gennaio e agosto di quest’anno, c’erano epiteti razzisti, attacchi sessisti, riferimenti a Hitler e alle camere a gas per chi votava contro i componenti della chat. I contenuti del gruppo sono stati pubblicati dalla testata Politico, scatenando le reazioni del partito.
All’interno della chat si trovavano i leader dei gruppi di Giovani repubblicani di New York, Kansas, Arizona e Vermont. Il gruppo era unito dall’intenzione di arrivare alla guida dell’organizzazione nazionale, portando una linea di estrema destra e favorevole al presidente Donald Trump, che comunque non è mai stato coinvolto nelle attività del gruppo – anche se la sua retorica violenta è accusata di aver facilitato la diffusione di un linguaggio simile all’interno del suo partito.
Diversi dei componenti ricoprono già (o, in alcuni casi, ricoprivano) dei ruoli all’interno del partito e uno di loro, Samuel Douglass, è un membro del Senato del Vermont, nonché leader dei Giovani repubblicani del suo Stato. C’è anche una persona, Michael Bartels, che ha un ruolo nell’amministrazione Trump, nell’agenzia dedicata alle piccole imprese.
I riferimenti a Hitler e le camere a gas
Un ruolo di spicco lo aveva Peter Giunta, all’epoca leader dei Giovani repubblicani di New York e in corsa per la presidenza
§nazionale dell’organizzazione (un’elezione poi persa con un distacco di sei punti). Giunta era anche il capo dello staff per un deputato newyorchese, Mike Reilly, che non ha commentato.
In uno degli scambi nella chat, uno dei presenti (Alex Dwyer, capo dei Giovani repubblicani del Kansas) aveva detto a Giunta che la delegazione del Michigan avrebbe votato per il candidato “più di destra”. “Ottimo, io amo Hitler”, aveva risposto il newyorchese.
Sempre parlando dell’elezione a leader nazionale dei Giovani repubblicani, Giunta aveva scritto: “Tutti quelli che votano no vanno nelle camere a gas”. “Possiamo sistemare le docce? Le camere a gas non stanno bene con l’estetica di Hitler”, aveva risposto un altro membro dei Giovani repubblicani di New York, Joe Maligno. “Sono pronta a vedere persone bruciare”, aveva replicato Annie Kaykaty, altra collega newyorchese.
I messaggi razzisti, omofobi e antisemiti
Non solo riferimenti al nazismo, ma moltissimi termini razzisti. Parole come “fr*cio”, “ritar**to” e “ne**o” apparivano 251 volte nella parte di chat a disposizione di Politico. William Hendrix, il vicepresidente dei Giovani repubblicani del Kansas, aveva detto che era attirato dai Giovani repubblicani del Missouri nonostante le differenze politiche perché “al Missouri non piacciono i fr*ci”. Hendrix aveva un incarico dal assistente delle comunicazioni per il Procuratore generale del Kansas, ma un portavoce ha fatto sapere che non è più impiegato lì.
Sono moltissimi gli esempi di messaggi razzisti. Uno dei
presenti aveva raccontato di un amico che era uscito con una “donna indiana molto obesa”, e un altro aveva risposto che non era indiana: “È solo che non faceva spesso il bagno”. Si trattava di Samuel Douglass, il senatore nello Stato del Vermont. La moglie di Douglass, anche lei presente nella chat, in un altro scambio gli aveva detto che non poteva “aspettarsi che l’ebrea fosse onesta”, parlando di una collaboratrice.
E poi ancora Giunta, che diceva: “Se il tuo aereo è pilotato da una lei, e lei ha la pelle dieci sfumature più scura di qualcuno che viene dalla Sicilia, falla finita lì. Urla la parola ‘no no'”. Lo stesso Giunta rispondeva così a chi parlava di una partita di basket dell’Nba: “Andrei allo zoo se volessi vedere scimmie che giocano a palla”.
La reazione degli interessati e di Donald Trump dopo lo scandalo
Quando la chat è stata pubblicata, Peter Giunta ha detto che si trattava di una “cospirazione”, un “attacco contro la mia immagine” portato avanti da un membro di un’altra organizzazione newyorchese di repubblicani, accusato di aver inviato i messaggi a Politico. Poi si è scusato: “Mi scuso con coloro che sono offesi dal linguaggio insensibile e imperdonabile trovato nei più di 28mila messaggi di un gruppo privato che ho creato”. E ha concluso: “Me ne prendo la completa responsabilità, ma non ho avuto modo di verificare che siano accurati, e sono profondamente preoccupati che i messaggi in questione potrebbero essere stati manipolati”
Diversi Repubblicani di spicco a New York, tra cui la deputata Elise Stefanik e il senatore Rob Ortt (per cui uno dei presenti nella chat lavorava) hanno denunciato i messaggi, definendolo “indifendibile”. La Casa Bianca, contattata per un commento, si è invece preoccupata soprattutto di sottolineare che Donald Trump non aveva niente a che fare con questi giovani, nonostante fossero suoi sostenitori.
(da Fanpage)
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Ottobre 15th, 2025 Riccardo Fucile
STRANIERI E MINORI I PIU’ COLPITI, FATICANO LE FAMIGLIE NUMEROSE E QUELLE PIU’ GIOVANI
Pochi giorni fa un report Istat riferiva i tagli operati dalle famiglie italiane alla spesa alimentare
nel 2024. Oggi, un nuovo rapporto dell’Istituto nazionale di statistica esplora la popolazione che si colloca sotto la soglia della povertà assoluta, cioè che non riesce a permettersi la spesa minima necessaria per acquistare un paniere di beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita dignitoso. Secondo le ultime rilevazioni, nel 2024 2,2 milioni di famiglie, per un totale di 5,7 milioni di individui, si trovavano in queste condizioni. Il dato è stabile rispetto a quello dell’anno precedente, ma a preoccupare è anche
lo squilibrio tra italiani e stranieri, segno che nel nostro Paese ricchezza e cittadinanza procedono di pari passo.
Stranieri e minori a rischio
Secondo Istat, al 2024 l’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie con almeno uno straniero è pari al 30,4%. Il dato sale al 35,2% nelle famiglie composte esclusivamente da stranieri, mentre si attesta al 6,2% per le famiglie composte solamente da italiani. L’altro dato allarmante è quello sui minori in povertà: per l’Istituto sono oltre 1,28 milioni i bambini e ragazzi che vivono in povertà assoluta in Italia, pari al 13,8% del totale. É il valore percentuale più alto registrato dal 2014. Il suo andamento geografico riflette il divario territoriale tra le famiglie del Paese, per cui il Mezzogiorno registra l’incidenza più alta di povertà assoluta tra le famiglie (10,5%), seguito dal Nord-Ovest (8,1%) e dal Nord-Est (7,6%). Il Centro si conferma l’area meno colpita con un’incidenza del 6,5%.
I componenti delle famiglie più povere
L’incidenza di povertà assoluta si conferma più alta tra le famiglie ampie: raggiunge il 21,2% tra quelle con cinque e più componenti e l’11,2% tra quelle con quattro, per scendere all’8,6% tra le famiglie di tre componenti. Sotto questa soglia però l’incidenza sale di nuovo e tra le famiglie monogenitore più di una famiglia su 10 (11,8%) e in povertà assoluta. Inoltre, le rilevazioni statistiche osservano che la povertà assoluta tra le famiglie con «persona di riferimento» di almeno 65 anni risulta più contenuta (6,7%) rispetto a quelle dove il “capofamiglia” è
più giovane (l’incidenza supera il 10% tra le famiglie con persona di riferimento di età non superiore ai 54 anni e si attesta al 7,3% tra le famiglie di 55-64enni). In generale, si conferma una relazione inversa fra il valore dell’incidenza e l’età della persona di riferimento, «anche per effetto – suggerisce l’Istituto – della minore propensione al risparmio delle famiglie più giovani».
L’istruzione come rimedio per combattere la povertà
Infine, i dati Istat confermano ancora una volta un’equivalenza nota. Nel report si legge che «l’incidenza di povertà assoluta diminuisce al crescere del titolo di studio della persona di riferimento: se quest’ultima ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore, l’incidenza è pari al 4,2%, ma è tre volte più elevata (12,8%) se ha al massimo la licenza di scuola media e aumenta ulteriormente, salendo al 14,4%, per le famiglie in cui la persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza di scuola elementare».
(da agenzie)
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