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“LE FAMIGLIE ISTRIANE, FIUMANE E DALMATE HANNO PAGATO PER TUTTI GLI ITALIANI IL PREZZO DELLA GUERRA PERDUTA”: LO STORICO GIANNI OLIVA SPIEGA IL SENSO DELLA MOSTRA PERMANENTE CHE SI APRE AL VITTORIANO DI ROMA, DEDICATA ALL’ESODO GIULIANO-DALMATA ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, IMPOSTO DAI COMUNISTI DI TITO DOPO CHE I TERRITORI DI CONFINE DELL’ISTRIA E DELLA DALMAZIA FURONO ASSEGNATI ALLA JUGOSLAVIA

Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile

“NON APRIRA’ LA STRADA A UNA MEMORIA CONDIVISA. MA ESISTONO LE ‘MEMORIE RICONOSCIUTE’, CHE PORTANO I POPOLI A GUARDARE ALLA PROPRIA STORIA RICONOSCENDOLE VERGOGNE SUBITE E I TORTI INFLITTI”

Una mostra permanente sull’esodo degli istriani, fiumani e dalmati, ospitata a Roma nel luogo più simbolico della memoria nazionale, il Vittoriano: ciò che viene inaugurata domani alle 18.30 è un’iniziativa che va ben oltre il significato museale e che coinvolge la consapevolezza collettiva della nostra storia.
“Foibe” ed “esodo” sono stati per decenni argomenti indicibili: per la sinistra togliattiana erano imbarazzanti perché evidenziavano le compromissioni accettate in nome dell’internazionalismo comunista; per l’Italia tutta, che nel 1945 si era raccontata come un Paese vincitore finalmente liberato dal giogo del fascismo, erano scomodi perché smentivano la narrazione autoassolutoria
Il paradosso era che a parlare di foibe fossero solo i nostalgici del Movimento sociale, cioè l’organizzazione politica che si richiamava al regime che stava all’origine del dramma stesso (se non ci fosse stata la guerra fascista di Mussolini del 1940, non ci sarebbero neppure stati il comunismo di Tito dall’altra parte e i nuovi confini del 1947).
La decisione presa dal Parlamento quasi all’unanimità nel 2004, istituendo la Giornata del ricordo del 10 febbraio, ha sdoganato il tema delle foibe e dell’esodo istriano-dalmata, ma questa mostra
permanente aggiunge un tassello nuovo.
La vicenda dell’esodo è infatti inserita in una prospettiva di lungo periodo e ciò che accade a partire dalla primavera 1945 è contestualizzato nella realtà complessa di un’area di “frontiera”, dove coesistono popoli di lingua, nazionalità, cultura differente (italiani, sloveni, croati). Sviluppare il racconto dell’esodo a partire dall’arrivo a Trieste delle armate partigiane jugoslave del maresciallo Tito, non avrebbe aiutato a comprendere.
Nella storia non si capisce mai ciò che accade oggi se non si conosce ciò che è accaduto ieri: e, nel contempo, non bisogna mai usare ciò che è accaduto ieri per giustificare ciò che accade oggi
Di qui la chiave di lettura del percorso espositivo, ospitato nella Sala del Grottone e curato dall’architetto Massimiliano Tita: fotografie, postazioni multimediali, pannelli esplicativi, testimonianze, per raccontare la storia di una terra multietnica, dove gruppi nazionali diversi hanno convissuto e collaborato, spesso rimescolandosi tra loro con i matrimoni misti, sino a quando la prepotenza dei nazionalismi li ha contrapposti e travolti.
Quando quelle terre vengono assegnate alla Jugoslavia, centinaia di migliaia di italiani pensano che per loro, da quella parte del confine, non ci sia più futuro e iniziano un esodo che nel corso di circa un decennio ridimensiona la presenza italiana.
Come ha scritto lo scrittore istriano Fulvio Tomizza, «uno dopo l’altro, se ne andarono tutti: alla fine rimasero soltanto coloro che erano così miseri da non potere nemmeno portarsi via la propria miseria».
Una domanda è d’obbligo: la mostra (che sarà inaugurata dal ministro della Cultura Giuli) apre la strada ad una memoria condivisa tra nazioni che ormai hanno casa comune nell’Unione Europea? Probabilmente no: le memorie condivise non esistono, ogni popolo ha, giustamente, la propria.
Ma esistono le “memorie riconosciute”, quelle che portano i popoli a guardare alla propria storia riconoscendo insieme le vergogne subite e i torti inflitti.
È il messaggio proposto nel 2010 dai presidenti Giorgio Napolitano, Danilo Turk (Slovenia) e Ivo Josipovic (Croazia) quando a Trieste hanno ascoltato insieme il Concerto della pace, con una grande orchestra di giovani italiani sloveni e croati diretta da Riccardo Muti; è il messaggio che nel 2020 hanno riproposto Sergio Mattarella e Borut Pahor, tenendosi per mano prima davanti alla foiba di Basovizza, poi di fronte alla croce che ricorda quattro antifascisti sloveni uccisi nel Ventennio.
La mostra permanente è stata concepita con questo spirito:
ricordare l’esodo di tante famiglie istriane, fiumane e dalmate che hanno pagato per tutti gli italiani il prezzo della guerra perduta, e inserire quel sacrificio in un quadro di lungo periodo perché si comprenda davvero ciò che è accaduto. Una mostra che non guarda al passato per alimentare revanscismi, ma per aiutare ad andare avanti meglio.
(da “La Stampa”)

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MERZ RINCORRE I NAZISTI DI AFD E FINISCE AL CENTRO DELLE POLEMICHE, IL CANCELLIERE ALZA I TONI CONTRO I MIGRANTI: “SONO PERICOLOSI, LAVORIAMO SU RIMPATRI SU LARGHISSIMA SCALA” FRASI CHE SCATENANO LE PROTESTE DI MIGLIAIA DI DONNE, CHE HANNO MANIFESTATO SOTTO LA SEDE DELLA CDU A BERLINO AL GRIDO DI “MERZ NON PARLI A NOSTRO NOME”

Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile

IL CAPO DEL GOVERNO TEDESCO È ALLARMATO DAI SONDAGGI, CHE DANNO ALTERNATIVE FÜR DEUTSCHLAND COME PRIMO PARTITO AL 26%… I SOLITI VIGLIACCHI CHE NON HANNO IL CORAGGIO DI APPLICARE LA COSTITUZIONE IN NOME DI UNA DEMOCRAZIA DI DEBOSCIATI

Le ha invocate, le ha chiamate, e loro sono venute. Fin sotto la sede della Cdu, anche se il cancelliere avrebbe preferito evitarlo, le «Tochter gegen Merz», le figlie contro Merz, hanno sfilato di sera con cartelli in mano, un serpentone con qualche migliaio di Tochter vecchie e giovani, per dirgli di non parlare a loro nome. Capitanate da Lisa Neubauer, che un tempo organizzava i Friday for Future.
«Lei ha figlie?», ha detto il cancelliere a un giornalista, suggerendogli di chiedere a loro se si sentono sicure a uscire di sera. È da una settimana che Merz è sulla graticola — rifiutando sempre di correggersi o ritrattare —, e la Germania immersa in una polemica sulla sicurezza
Tutto è iniziato quando Merz, in un comizio, si è lanciato in una di quelle fulminanti definizioni che l’hanno reso un efficace oratore d’opposizione (e più problematico da cancelliere, almeno stando alla tradizione tedesca). Parlando di migranti, davanti a un governatore dell’Spd che annuiva, ha detto: «Ma certo, nell’immagine delle città abbiamo ancora questo problema, ed è per questo che il ministro dell’Interno lavora per attuare rimpatri su larghissima scala».
Come si traduce Stadtbild? Una di quelle parole composte — da città (Stadt) e immagine (Bild) — istintivamente comprensibili e pressoché intraducibili: paesaggio urbano, ambiente cittadino, immagine cittadina? E mentre i traduttori si scervellavano su come renderlo nelle altre lingue, la sostanza suonava agli occhi di molti come una gaffe razzista: un cancelliere turbato che il
decoro delle città venga rovinato dagli stranieri.
«Ecco un cancelliere tedesco che fa un commento razzista», ha affermato lo storico Ilko-Sascha Kowalczuk, mentre altri accusavano Merz di avere una Stadtbild della Germania ferma agli anni Cinquanta.
Come se non bastasse, pochi giorni dopo Merz ha precisato di «non avere nulla da ritrattare», e ha aggiunto il commento sulle figlie. Istigando altre reazioni inferocite: a rigor di matematica, ha notato qualche femminista, le Tochter in Germania sono 40 milioni, la metà della popolazione; mentre la verde Ricarda Lang, che ha una lingua più affilata di Merz, gli ha risposto: «Forse le figlie sono anche stanche del fatto che Friedrich Merz si interessi ai loro diritti e alla loro sicurezza solo quando può usarle per giustificare le sue politiche completamente retrograde?».
Pare evidente a molti che Merz sia tornato sui temi cari ad Alternative für Deutschland. La scorsa settimana, è detonato come una bomba un articolo di Stern in cui tre figure eccellenti della Cdu (tra cui Karl-Theodor zu Guttenberg e un suo ex consigliere) hanno chiesto di metter fine al Brandmauer contro l’Afd, di trattare l’estrema destra come un partito normale.
Giammai, ha risposto il cancelliere: sono il nostro avversario principale, «vogliono distruggere la Cdu, perché vogliono distruggere il sistema». D’altra parte, i sondaggi sono lì: quasi tutti danno l’Afd primo partito, di due-tre punti sopra la Cdu,
scesa al 24%. Quando si è votato a febbraio, i cristiano-democratici avevano ottenuto il 28,5%, l’Afd il 20,8%. Gli attuali numeri, se confermati alle urne, sarebbero una rivoluzione.
(da Corriere della Sera)

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“LA PIETRA ERA QUELLA APPUNTITA”: L’INTERCETTAZIONE IN CUI L’ULTRÀ DI RIETI KEVIN PELLECCHIA CONFESSA DI AVERE LANCIATO IL SASSO CHE HA UCCISO L’AUTISTA DEL BUS DEI TIFOSI DI PISTOIA RAFFAELE MARIANELLA

Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile

IL 20ENNE È IL PIÙ PICCOLO DEI TRE FERMATI: “POTREI ESSERE STATO ANCHE IO, NON LO SO, QUANDO IL PULLMAN HA RALLENTATO, IO HO TIRATO”

È già notte nella questura, il 19 ottobre, quando i tre sospettati Alessandro Barberini, Kevin Pellecchia e Manuel Fortuna sono lasciati soli, insieme a un quarto ultrà, nella sala d’attesa della squadra mobile.
Da poche ore è morto Raffaele Marianella, il secondo autista del pullman che stava riportando a casa, a Pistoia, i tifosi della squadra di basket toscana. I quattro sono stati bloccati insieme a altre otto persone perché erano vicino al pullman dopo la sassaiola che ha ucciso Marianella.
Tra l’uscita di Contigliano sulla Statale Terni-Rieti e le campagne attorno. La confessione inconsapevole di Kevin Pellecchia, 20 anni, il più piccolo del gruppo viene trascritta dai
poliziotti nel fermo, di cui Repubblica è venuta in possesso.
“Oltre a fornire numerosi elementi utili all’incriminazione degli stessi – scrivono gli investigatori nei loro atti depositati in procura – ha ammesso di essere l’autore del lancio del sasso di maggiori dimensioni, a forma di parallelepipedo appuntito, che ha infranto il vetro dell’autobus causando il decesso del povero Marianella”. Ma ecco come Kevin Pellecchia ha confessato davanti ai suoi “colleghi” di curva. È l’intercettazione audio e video che lo inchioda.
Manuel Fortuna dice agli altri due: “Ce danno omicidio a tutti”. E aggiunge: “A noi ce conviene pe chi ha tirati i sassi, conviene che è tutto uno, così la pena diminuisce”. Alessandro Barberini: “Così la pena la dividono in tre”. Kevin Pellecchia: “Sei stato tu, so stato io, sei stato tu, so stato io”. Un altro ultrà in compagnia con loro abbassa lo sguardo: “Lo sanno chi è stato”. E’ a questo punto che Kevin Pellecchia si agita e chiede: “Lo sanno? Dalle impronte?”.
Manuel Fortuna ha già la notizia: “Era quello a punta il sasso, regà”. Kevin Pellecchia è ancor più nervoso: “L’hanno detto?”. E a quel punto Manuel Fortuna si volta verso di lui e gli dice: “Era illu teo (Era quello tuo, ndr). E Kevin Pellecchia annuisce con il volto. Le telecamere riprendono tutto. Il sasso più grosso, tra quelli sequestrati, è proprio quello recuperato dentro il pullman, a forma appuntita, che sembra proprio un parallelepipedo. È la pietra che ha ucciso Marianella.
Le intercettazioni continuano, i poliziotti cristallizzano altri passaggi significativi. Nella sala d’attesa tutti e tre mimano con il corpo e le mani il loro gesto di lanciare il sasso contro il pullman, Kevin Pellecchia aggiunge: aggiunge: “Potrei essere stato anche io, non lo so perché in quella dinamica ho tirato avendolo davanti. Quando il pullman ha rallentato, io ho tirato”.
Tutte le ammissioni inconsapevoli sono le risposte che gli investigatori cercavano e che adesso sono nelle mani della giudice Giorgia Bova che tra un paio di ore dovrà decidere chi resterà in carcere e chi verrà liberato nell’udienza di convalida. La mamma di Kevin Pellecchia, intervistata da Repubblica, aveva escluso che il figlio potesse anche solo pensare di raccogliere una pietra da terra. E aveva aggiunto: “Lo firmerei col sangue”.

(da La Repubblica)

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MICHAEL WOLFF SPOSTA IN TRIBUNALE LA SUA GUERRA CONTRO I TRUMP: LO SCRITTORE FA CAUSA ALLA FIRST LADY MELANIA. IL MOTIVO? SOSTIENE CHE LA MOGLIE DI TRUMP ABBIA MINACCIATO DI CITARLO IN GIUDIZIO, PER UN MILIARDO DI DOLLARI, SE NON AVESSE RITRATTATO LE SUE DICHIARAZIONI RELATIVI AL CASO EPSTEIN, CHE WOLFF CONOSCEVA BENE

Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile

SECONDO LO SCRITTORE, “TRUMP E IL FINANZIERE FECERO UNA SCOMMESSA SU CHI SI SAREBBE PORTATO PRIMA A LETTO LA PRINCIPESSA DIANA. I DUE ERANO OSSESSIONATI DAL SESSO, CONDIVISERO UNA FIDANZATA”

Lo scrittore Michael Wolff ha fatto causa alla first lady Melania Trump sostenendo che lo abbia minacciato di citarlo in giudizio per oltre 1 miliardo di dollari di danni se non avesse ritrattato le sue dichiarazioni relative a Jeffrey Epstein.
Wolff ha chiesto un risarcimento danni non specificato nella causa depositata ieri presso la Corte Suprema dello Stato di Manhattan. Secondo lo scrittore le minacce della first lady fanno parte di “una campagna organizzata da Donald Trump per creare un clima di paura in America e scoraggiare le persone dal parlare apertamente.
Wolff ha scritto quattro libri sul presidente e ha sostenuto che Melania Trump fosse molto coinvolta” nel circolo di persone che giravano attorno al finanziere pedofilo ed è così che ha conosciuto il tycoon. di Epstein. Wolff ha anche detto che al presidente “piaceva fare sesso con le mogli dei suoi amici e che la prima volta che ebbe un rapporto con Melania fu sul jet privato di Epstein.
(da agenzie)

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URLA, RISATE E MINACCE DA PARTE DEGLI ALTRI CARCERATI: LA PRIMA NOTTE IN CELLA DI SARKÒ NELLA PRIGIONE DELLA SANTE’ E’ UN INFERNO

Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile

I DETENUTI HANNO GRIDATO IL NOME DELL’EX PRESIDENTE FRANCESE, CHE SI TROVA IN ISOLAMENTO ED E’ SORVEGLIATO GIORNO E NOTTE DA DUE UFFICIALI DI SICUREZZA ARMATI POSIZIONATI IN UNA CELLA ADIACENTE, E POSTATO VIDEO INTIMIDATORI SU TIKTOK. LA PROCURA HA APERTO UN FASCICOLO – MARINE LE PEN: “QUESTA BARBARIE NON PUÒ COMPIACERCI” – TRE FRANCESI SU QUATTRO RITENGONO CHE SARKOZY, NONOSTANTE I SUOI ALTI INCARICHI, DEBBA ESSERE “GIUDICATO COME CHIUNQUE ALTRO, SENZA PRIVILEGI”

Prima notte dietro le sbarre tra urla, insulti e dirette sui social.
Nicolas Sarkozy, detenuto da lunedì alla prigione della Santé, ha trascorso un sonno agitato nella sua cella da nove metri quadrati, diventando bersaglio degli schiamazzi degli altri reclusi. Alcuni detenuti hanno filmato la scena e l’hanno trasmessa in diretta su TikTok. «Farà una brutta detenzione» ha minacciato un recluso, riprendendosi con il cellulare.
La prima notte agitata di Sarkozy è confermata dai suoi avvocati, secondo cui «tutti i detenuti hanno fatto rumore, urlato, sbattuto sui muri». Ieri mattina Marine Le Pen ha la notizia dei video sui social parlando di «profonda vergogna» per le condizioni in cui si trova l’ex capo dello Stato.
«Sarkozy non è un detenuto come gli altri. Questa barbarie non può compiacerci», ha commentato la leader del Rassemblement National a lungo avversaria politica ma ora solidale nel criticare una presunta “deriva giustizialista”.
Gridare il nome del nuovo arrivato la prima notte in prigione è una tradizione carceraria in Francia ma il caso rilancia le
polemiche sull’uso massiccio e illegale di telefoni cellulari nei penitenziari per filmare e trasmettere in diretta scene dall’interno. Dopo la diffusione dei filmati, la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta per minacce di morte.
La detenzione dell’ex capo dello Stato, un inedito assoluto nella storia della Quinta Repubblica, apre altri scenari imprevedibili. Ieri si è appreso che Sarkozy è sorvegliato giorno e notte da due ufficiali di sicurezza posizionati in una cella adiacente. Si tratta di agenti armati inviati dal ministero dell’Interno «in ragione del suo status e delle minacce che pesano su di lui», ha spiegato il ministro Laurent Nuñez.
Una misura «mai vista prima», che resterà «finché necessario». La decisione, benché motivata ai vertici dello Stato, ha suscitato proteste tra le guardie. «Non eravamo stati informati», denuncia il sindacalista Hugo Vitry.
«Ci troviamo due estranei armati dentro un carcere. È uno schiaffo alla nostra professionalità».
Il governo ripete che Sarkozy è «un cittadino come gli altri» ma lo stesso ministro Nuñez ha ammesso che su di lui pesano «minacce molto più serie». Quando era ministro dell’Interno, Sarkozy ha preso provvedimenti duri sulla criminalità organizzata e sul jihadismo. Intorno allo statuto “speciale” concesso all’ex capo dello Stato si accendono i riflettori sul degrado del sistema carcerario francese, da tempo in emergenza.
Secondo un sondaggio Rtl–Toluna Harris Interactive, tre francesi su quattro ritengono che Sarkozy, nonostante i suoi alti incarichi, debba essere «giudicato come chiunque altro», senza privilegi. Eppure l’incontro riservato con Emmanuel Macron poche ore prima dell’incarcerazione, la presenza continua di agenti armati accanto a lui in prigione e la visita annunciata del ministro della Giustizia Gérald Darmanin dimostrano il contrario.
(da agenzie)

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FAME, GUERRA, ANNESSIONE: ISRAELE CANCELLA LA PALESTINA

Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile

AFFAMARE PER SOTTOMETTERE

Non c’era bisogno di conferme, eppure quando queste arrivano aiutano sempre a unire i pezzi di un puzzle complesso e articolato che si muove tra presente e passato, tra la Palestina e le stanze dei bottoni dove si firmano accordi sulla pelle di quelli che possono vivere il presente, guardare al passato ma non possono vedere un futuro perché gli viene negato
Le recenti mosse del governo israeliano dipingono un quadro inquietante che evoca i fantasmi delle più dolorose catastrofi della storia palestinese: la Nakba del 1948 e la Naksa del 1967, i due momenti in cui i palestinesi divennero profughi e sfollati. L’attuale operato di Israele a Gaza, unito ai passi verso l’annessione in Cisgiordania, non può essere letto che come un disegno volto non solo alla sconfitta e ad una capitolazione politica del nemico, ma al mutamento irreversibile del panorama demografico e territoriale, un processo che per sua natura arriva all’accusa di genocidio e pulizia etnica.
Affamare per Sottomettere
La situazione a Gaza è un dramma umanitario che si aggrava di giorno in giorno. Come abbiamo raccontato nella puntata speciale di sabato 18 ottore, oltre ai bombardamenti, il blocco degli aiuti essenziali sta trasformando l’intera Striscia in una zona di carestia indotta, un’arma di guerra che colpisce indistintamente civili, donne e bambini. In questo contesto, l’ostruzionismo di Israele contro l’UNRWA – l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi – è particolarmente grave.
Come è emerso ieri della Corte Internazionale di Giustizia (CIG), Israele non è riuscito a fornire prove a sostegno delle accuse di terrorismo contro una “parte significativa” dei dipendenti dell’UNRWA. Nonostante ciò, il divieto imposto all’agenzia permane. Questo rifiuto di accettare e facilitare i programmi di aiuto dell’ONU, come stabilito dalla CIG, solleva
una domanda cruciale: è la sicurezza il vero scopo, o piuttosto l’isolamento e la denutrizione della popolazione civile, al fine di renderla più docile o costringerla alla fuga? Quando si impedisce l’arrivo del cibo in una zona di conflitto, si crea un precedente che la storia ha sempre condannato come parte integrante degli atti di genocidio.
L’Annessione Come Nuova Nakba
Parallelamente alla crisi umanitaria a Gaza, la Knesset sta muovendo passi concreti per l’annessione della Cisgiordania. L’approvazione in votazione preliminare della proposta di legge per estendere la sovranità israeliana al territorio palestinese occupato e anche particolare all’insediamento di Gerusalemme Est di Ma’ale Adumim non è un semplice atto politico: insieme alla costruzione della nuova grande colonia che taglierà in due la Cisgiordania, è l’accelerazione di un piano per cementare l’occupazione, infrangendo il diritto internazionale e minando in modo definitivo qualsiasi prospettiva di soluzione a due Stati.
Questa volontà annessionistica rievoca la dinamica della Naksa del 1967, l’occupazione che trasformò la vita dei palestinesi. Che l’obiettivo primario di Israele fosse l’annessione della Cisgiordania era chiaro anche nei momenti più duri dell’offensiva a Gaza: quella che loro chiamano Giudea e Samaria è più ricca e ha più valore storico e religioso. Ma in un contesto di guerra e debolezza internazionale, l’annessione odierna rischia di configurarsi come una nuova Nakba, una
catastrofe irreversibile che non lascia spazio al ritorno, cancellando i diritti territoriali e di auto-determinazione dei palestinesi.
Il Doversi della Comunità Internazionale
La combinazione di queste politiche – la distruzione e l’induzione della fame a Gaza e l’annessione progressiva in Cisgiordania – punta a uno stesso esito: la massimizzazione del controllo territoriale e la minimizzazione della popolazione palestinese autoctona. Che sia tramite la forza bruta, la denutrizione o lo sfollamento forzato, la traiettoria è inaccettabile.
La comunità internazionale ha l’obbligo morale e legale di agire. Non bastano le “preoccupazioni”. Di fronte al chiaro disinteresse per gli ordini e i precetti della CIG e ai continui passi unilaterali che violano le risoluzioni ONU, è necessario che si eserciti una pressione autentica e sanzionatoria. Consentire che un genocidio si consumi attraverso le bombe e la fame a Gaza, mentre si consolida l’espropriazione territoriale in Cisgiordania, significa permettere che l’ombra della catastrofe non sia più solo un ricordo storico, ma la drammatica realtà del presente.
È ora di fermare la spirale perché la storia ce ne chiederà conto.

(da Fanpage)

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FRANCESCO GIUBILEI, BRACCIA STRAPPATE ALL’AGRI…CULTURA.”LE MONDE” TRACCIA UN RITRATTO DELL’INTELLO’ TASCABILE DELLA DESTRA NOSTRANA, EX CONSIGLIERE DI SANGIULIANO

Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile

LA PASSIONE DI GIUBILEI PER LA DESTRA AMERICANA CATTOLICA E FILO-TRUMP, DI CUI SI LIMITA A TRADURRE LA PROPAGANDA PER RIPETERLA A PAPPAGALLO

Dalla libreria in legno che si innalza dietro la sua scrivania, nei locali della casa editrice che ha sistemato nell’appartamento di una tranquilla residenza romana, una trinità apparentemente mal assortita veglia su Francesco Giubilei.
Cortese e disponibile, l’intellettuale trentatreenne, vicino alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e figura centrale del nazionalismo conservatore italiano, vi ha collocato tre oggetti che costituiscono un programma.
A destra c’è un’edizione inglese di un’opera di Roger Scruton, l’intellettuale britannico di riferimento dell’internazionale conservatrice, cantore dell’attaccamento alle radici, delle gerarchie naturali e, occasionalmente, lobbysta dell’industria del tabacco. Al centro si riconosce un ritratto di Benedetto XVI, il papa tedesco fustigatore del relativismo culturale e difensore della civiltà occidentale. A sinistra, infine, è stata appenacollocata un’antologia dei discorsi di Charlie Kirk, propagandista del nazionalismo cristiano evangelico bianco.
Il libriccino è stato pubblicato dalla fondazione Nazione Futura, che Francesco Giubilei dirige, sulla scia dell’assassinio, il 10 settembre, dell’influencer. Questa figura apertamente razzista e sessista è stata subito oggetto di copiosi omaggi all’interno dell’estrema destra europea, che vi ha trovato l’occasione per rendere omaggio a un potere trumpiano pronto a ricorrere alla coercizione contro i suoi «nemici interni».
«Non sono ostile al cambiamento, ma, da conservatore, rifiuto qualsiasi sconvolgimento contrario agli equilibri naturali delle società umane», afferma Francesco Giubilei, lui stesso nato il 1° gennaio 1992 in una famiglia conservatrice e colta, alla vigilia di una trasformazione radicale del sistema politico italiano. In quell’anno cardine, dopo uno scandalo di corruzione, i partiti tradizionali crollarono, aprendo la strada a Silvio Berlusconi, che formò ben presto una coalizione integrando gli eredi del neofascismo. È all’interno di quest’area, nelle periferie di Roma, che Giorgia Meloni, allora quindicenne, si apprestava, quello stesso anno, a iniziare la sua carriera militante.
Da un cataclisma all’altro, nel 2008, quando la crisi finanziaria prepara l’ascesa dei sovranisti, Francesco Giubilei, sedicenne, fonda la sua prima casa editrice. Con il sostegno finanziario di un produttore di aceto balsamico, trova rapidamente il suo posto, malgrado la giovane età, nell’ecosistema che gravita alla destra
della destra italiana, poi nell’orbita di Giorgia Meloni. «Il suo ruolo è mostrare che la sua famiglia politica può produrre idee, avere un’aura intellettuale e reti internazionali; deve occupare lo spazio mediatico», spiega Lorenzo Castellani, politologo alla Luiss e specialista di questo segmento dello spettro politico.
Al di là delle attività editoriali, Francesco Giubilei è a capo della Fondazione Giuseppe Tatarella, dove sono conservati gli archivi delle formazioni politiche derivanti dalla matrice neofascista del dopoguerra. Poco importa se gli “abitanti” della sua mensola, Kirk, Scruton e Benedetto XVI, non combaciano sistematicamente con gli eredi di Benito Mussolini. Le risonanze tra le idee loro attribuite bastano. Esse giustificano un racconto politico inegualitario, fondato sulla difesa di una «civiltà occidentale» e «giudaico-cristiana», contro le società pluralistiche.
Di fatto, “Giorgia Meloni. La rivoluzione dei conservatori” (Giubilei Regnani, 2020), titolo di un’opera che Francesco Giubilei ha dedicato a Giorgia Meloni, attiene innanzitutto a una contro-rivoluzione. Le prime referenze intellettuali dell’editore si trovano tra coloro che ai loro tempi si levarono contro il 1789. «Devo molto all’inglese Edmund Burke e al francese Joseph de Maistre, che per me sono state letture fondamentali», afferma, citando i due grandi pensatori contro-rivoluzionari a cavallo del XIX secolo, desideroso di distinguersi da qualsiasi eredità intellettuale legata al fascismo. Quegli autori hanno tuttavia
aperto la strada agli autoritarismi di destra del XX secolo.
Tuttavia, la contro-rivoluzione non ha soltanto una storia. Ha anche una geografia in piena strutturazione, di cui la casa editrice di Francesco Giubilei è uno dei molteplici crocevia. In catalogo, tra numerosi autori stranieri, figurano l’israelo-americano Yoram Hazony, riferimento dei nazionalisti conservatori, Balazs Orban, braccio destro del primo ministro ungherese illiberale Viktor Orban, o ancora Patrick Deneen, teorico di un ordine «post-liberale», fondamentalmente autoritario, le cui idee hanno influenzato il vicepresidente americano J. D. Vance.
A Washington, questo cattolico convertito, che ha dichiarato guerra al modello democratico europeo, funge d’altronde da riferimento per Francesco Giubilei, molto più che lo stratega della prima campagna di Donald Trump, il populista Steve Bannon, anch’egli interessato alle destre europee. In J. D. Vance, il mondo transatlantico è percepito maggiormente come una comunità di «civiltà», in cui i valori tradizionali devono essere ripristinati di concerto. Francesco Giubilei assicura, peraltro, che essere italiano e avere sede a Roma, sede della Chiesa universale, gli valga un’attenzione del tutto particolare presso i suoi interlocutori d’oltreoceano.
Ma, nella vita dell’editore, c’è un’altra città: Budapest, la cui compagine governativa, guidata dal primo ministro illiberale Viktor Orban, ne ha fatto la capitale alternativa dell’Europa
reazionaria. Francesco Giubilei è in particolare legato al “Centre for Fundamental Rights” e al “Mathias Corvinus Collegium”, due strutture di ricerca e formazione che partecipano all’organizzazione dell’élite della destra radicale europea.
«La scena intellettuale conservatrice in Europa è composta da circa 200 persone, tra le più attive, che si conoscono da tempo, avendo organizzato insieme numerose conferenze e pubblicazioni. Ci fidiamo l’uno dell’altro, discutiamo, ci coordiniamo ed elaboriamo una visione comune del mondo.» Una visione i cui promotori sono sufficientemente potenti — o i cui avversari sono abbastanza deboli — perché essa abbia infiltrato i discorsi pubblici da un capo all’altro del continente.
Ma è davvero europea? Il baricentro finanziario e politico del campo conservatore si trova oltreoceano. Come ha ricordato l’episodio seguito all’assassinio di Charlie Kirk, è laggiù che tendono a essere forgiati i contenuti dei discorsi politici delle destre europee. L’Europa non è dunque soltanto un campo di battaglia accessorio della guerra culturale condotta dai sostenitori di Donald Trump: è anche un mercato d’esportazione per prodotti ideologici fabbricati negli Stati Uniti.
«Dobbiamo evitare di lasciare che in Europa si installino le stesse contrapposizioni in corso negli Stati Uniti, come abbiamo fatto con il “wokismo” in un periodo precedente», afferma Francesco Giubilei a proposito del clima di violenza che l’amministrazione Trump ha instaurato nei discorsi e, talvolta,
negli atti. Resta il fatto che la sua casa editrice pubblica e traduce alcuni degli autori che hanno contribuito a fornire un’ossatura intellettuale a tale deriva. Uno dei fiori all’occhiello del catalogo è, del resto, l’ultimo libro di Patrick Deneen, “Changement de régime” (Sentinel, 2023), presentato con queste parole:
«Gli sforzi populisti dal basso per distruggere completamente la classe dirigente sono inutili. Ciò che occorre è la formazione strategica di una nuova élite devota a un “conservatorismo pre-postmoderno”.» Una nuova élite contro-rivoluzionaria, in somma.
(da agenzie)

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“RACCONTAVANO I CRIMINI RUSSI DAL PRIMO GIORNO”

Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile

UCCISI DUE GIORNALISTI DA DRONI RUSSI A KRAMATORSK

“La giornalista Olena Hubanova (Freedom TV) e il cameraman Yevhen Karmazin sono stati uccisi a Kramatorsk da un attacco di droni nemici. Hanno seguito le linee del fronte più calde nel Donetsk fin dal primo giorno, denunciando le evacuazioni e i crimini di guerra russi. Profonde condoglianze alle loro famiglie e ai loro colleghi”.
Con questo messaggio Vadym Filashkin, capo della regione del Donetsk, sui social media, ha annunciato la morte dei due giornalisti in seguito ad un attacco da parte di un drone russo Lancet a Kramatorsk. Filashkin ha anche pubblicato la foto di un’auto distrutta nella quale viaggiavano i due colleghi e presumibilmente degli effetti personali dei giornalisti, tra cui giubbotti antiproiettile con la scritta “Press”. A quanto pare, insieme alle due vittime, si trovava anche l’inviato speciale del canale, Oleksandr Kolychev, che è sopravvissuto seppur sia rimasto ferito ed è stato trasportato in ospedale.
Uno dei conduttori della tv, Yuriy Kulinich ha sottolineato che Elena e Yevhen lavoravano nei “punti più caldi” della regione di Donetsk e ha espresso le sue condoglianze ai parenti delle vittime. Olena Hubanova era nata a Yenakiieve, nella regione di Donetsk, nel 1982 ed ha sempre lavorato nel mondo del
giornalismo. Yevhen Karmazin era originario di Kramatorsk e aveva 33 anni. Con loro sale a 15 il numero di giornalisti morti dal 24 febbraio 2022, nel 113 dal 2014.
Intanto, Donald Trump ha dato il “via libera” al trasferimento dei sistemi di difesa aerea Patriot a Kiev. Lo afferma il capo dell’ufficio presidenziale, Andriy Yermak, in un’intervista rilasciata a Rbc-Ucraina . “La cosa più importante è che Trump abbia dato il via libera, quindi le questioni in questo senso sono per lo più tecniche”, ha affermato il responsabile dell’ufficio presidenziale ucraino.

(da agenzie)

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GIUSI BARTOLOZZI CON IL MARITO A CAPRI SU UNA BARCA DELLA GUARDIA DI FINANZA: A CHE TITOLO?

Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile

AL CONVEGNO SULLA DIGITALIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA LA ZARINA, CAPO DI GABINETTO DI NORDIO, HA UTILIZZATO IL DISPOSITIVO DI SICUREZZA RISERVATO AL MINISTRO ASSENTE

Il capo di gabinetto di Carlo Nordio Giusi Bartolozzi è stata a Capri con il marito per il convegno sulla digitalizzazione della giustizia il 4 e il 5 ottobre. Ed è stata la sola ad arrivare sull’isola a bordo di una motovedetta delle forze di polizia. Ovvero il dispositivo di sicurezza predisposto per il Guardasigilli. Che avrebbe dovuto parlare quel giorno ma all’ultimo momento ha disdetto tutto.
Repubblica scrive che la Guardia di Finanza ha confermato l’uso di una loro imbarcazione. Per raggiungere Capri partendo dal porto di Napoli, nel rispetto dei protocolli di sicurezza.
La zarina di via Arenula
Bartolozzi si è guadagnata diversi epiteti in questi mesi. Tra cui quello di “zarina” di via Arenula. Dove, secondo le malelingue, conterebbe più del ministro. E il suo ruolo si è visto nel caso di Najem Osama Almasri. A Capri almeno altre due persone, con le stesse cautele di sicurezza, hanno viaggiato da Napoli a Capri sui traghetti normali. Con Bartolozzi c’era anche il marito, Gaetano Armao, professore universitario, avvocato e per un decennio vicepresidente della Regione Sicilia. Bartolozzi avrebbe anche provato a invitare qualcuno a bordo dell’imbarcazione. Ma quella domenica c’era brutto tempo.
Il parcheggio e Bartolozzi
Nei giorni scorsi il Foglio ha raccontato che Bartolozzi ha anche fermato le auto del vice ministro Francesco Paolo Sisto e del sottosegretario Andrea Ostellari a via Arenula. Impedendo di parcheggiare all’interno del ministero. E costringendoli a fare marcia indietro per ragioni di sicurezza. Perché alcune auto erano state incendiate nei giorni precedenti proprio vicino alla sede del ministero. Per ragioni di opportunità tutti avevano convenuto che le vetture dei vertici del ministero dovessero stare nel cortile.
(da agenzie)

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