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COME MAI LADY GIORGIA INFLIGGE ALLA “NAZIONE”, IN VISTA DEL 2026, UNA FINANZIARIA COSÌ MICRAGNOSA, CORRENDO IL RISCHIO DI PERDERE CONSENSI?

Novembre 6th, 2025 Riccardo Fucile

FINENDO SOTTO IL 3% DEL PIL, IL GOVERNO USCIRÀ CON UN ANNO IN ANTICIPO DALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE PER DEFICIT ECCESSIVO. COSÌ SARÀ LIBERA PER CONFEZIONARE NEL 2026 UNA FINANZIARIA RICCA DI DEFICIT, SPESE E “MENO TASSE PER TUTTI!”, PROPRIO IN PERFETTA COINCIDENZA CON I TEMPI DELLE POLITICHE DEL 2027 … E GLI ITALIANI NELLA CABINA ELETTORALE POTRANNO COSÌ RICOMPENSARE LA BONTÀ DELLA REGINA GIORGIA

Mai si era vista una manovra finanziaria micragnosa in vista del 2026: una miseria che si aggira intorno a 18 miliardi di euro. Basti pensare che lo scorso anno il valore complessivo totalizzava circa 24 miliardi di euro, saliti a 28 con i primi decreti attuativi.
Nel 2023, la prima partorita da Meloni premier (quella del 2022 fu fatta sostanzialmente dal governo Draghi), raggiunse la ragguardevole sommetta di 35 miliardi.
Come mai la Statista della Sgarbatella ha dato il via libera a una
tale manovra formato mignon, che fa correre il rischio di perdere consensi?
Il taglio di due punti dell’aliquota Irpef, dal 35% al 33%, è praticamente una presa per il culo perché destinato ai redditi sotto i 50 mila euro lordi all’anno: santocielo! oggi si può far rientrare tale compenso nella categoria dei ricchi?).
I tartassati possono stare tranquilli: la pressione fiscale dovrebbe rimanere ben salda al 42,8% raggiunto nel 2025, sui valori massimi degli ultimi dieci anni.
Una finanziaria che sta facendo spuntare le corna del toro a Matteo Salvini, sempre più in affanno per i consensi perduti dalla Lega, che vuole che le banche e le assicurazioni sgancino un altro miliardino, oltre ai 4,5 che bonificheranno al governo, per aumentare gli stipendi delle forze dell’ordine.Salvini è ovviamente incazzato come una biscia con il suo compagno di partito e ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per la misura sulla rottamazione delle cartelle elettorali: vuole allargare la platea, includendo anche chi è stato già raggiunto da un accertamento fiscale.
Altro tema caldo sono le pensioni: in barba alla legge Fornero, il “Capitone” aveva promesso che avrebbe bloccato l’allungamento di tre mesi dell’età pensionabile che scatta dal 2027, ma alla fine lo stop varrà solo per chi svolge lavori “gravosi e usuranti”.
Anche Forza Italia ha alzato le barricate: oltre agli esborsi coatti alle banche e assicurazioni, Tajani è contrarissimo all’aumento dal 21% al 26% della cedolare secca sugli affitti brevi (‘’la prima
casa in affitto non si tocca’’) e si oppone alla norma che alza dall’1,2% al 24% le tasse sui dividendi che vengono incassati per partecipazioni minori del 10% in una società.
Sullo sfondo rumoreggiano i mugugni e i vaffa di gran parte dei ministri che sono stati costretti ad usare l’accetta al bilancio dei loro dicasteri. Il ministero più colpito dai tagli è quello delle Infrastrutture e trasporti di Salvini (oltre 520 milioni), seguito dall’Economia (oltre 450 milioni) e dall’Ambiente e Sicurezza energetica (oltre 370 milioni).
In mezzo alla riduzione di 81 milioni agli Interni e 78 alla Cultura, 76 all’Agricoltura e 64 al Turismo, eccetera, grida vendetta il taglio cesareo di 89 milioni a un ministero come quella della Sanità, che si dibatte in uno stato di emergenza continua, con disparità regionali e indecenti liste d’attesa anche di un anno per una radiografia o una Tac, tutto a vantaggio, per coloro che se lo possono permettere, della crescente sanità privata.
Per non parlare poi dell’impatto negativo che la manovra ha ricevuto dal mondo industriale: per le imprese, sono previsti zero incentivi per sollevare l’economia dallo “zero virgola” in cui è nuovamente impantanata (malgrado i miliardi del Pnrr). Alcun sostegno è stato stanziato nemmeno per le aziende che esportano negli Stati Uniti, finite sotto la ghigliottina dei dazismo trumpiano.
Un muro del pianto si è sbriciolato alla visione del documento presentato da Giorgetti a Bruxelles il 15 ottobre, e che va ratificato e soprattutto difeso in parlamento dalla pioggia di emendamenti alzando il ritmo del ritornello “dov’è la copertura della spesa?” entro il 31 dicembre, che ha dietro un ottimo, fantastico motivo.
Per Giorgia Meloni, infatti, presentare una finanziaria particolarmente asfittica che vale lo 0,8% del Pil, facendo finire il Deficit sotto il 3% del Pil, a fronte del 3,3% concordato con la Ue, permetterà al governo alla Fiamma di uscire con un anno in anticipo dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo attivata dall’Unione europea nel 2024.
Una volta comunicato alla Ue il virtuoso rientro del deficit sotto la soglia di attenzione e ottenuto il conseguente via libera all’uscita dell’Italia dalla procedura per disavanzo eccessivi, Giorgia Meloni potrà dedicarsi con allegria alla manovra del 2026 che, guarda caso!, coincide proprio con i tempi delle elezioni politiche della primavera del 2027.
Non avendo più la necessità di evitare sostanziosi finanziamenti
in deficit, libera e bella di fare le cose in grande sul lato della spesa (e delle imposte), sarà una finanziaria finalmente espansiva, ricca di botti e fuochi di artificio. E gli italiani che entreranno nella cabina elettorale potranno così ricompensare la generosità di Sua Maestà, la Regina Giorgia.
Nel frattempo, dobbiamo stringere la cinghia per mettere a dieta il debito pubblico che a fine agosto 2025 ha raggiunto la cifra record di circa 3.082 miliardi di euro, attestandosi intorno al 135,3% del Pil, dato relativo al 2024. La manovra per il 2026,
infatti, vale appena lo 0,8% del Pil, la metà del valore medio nel decennio precedente.
Ci attende dunque un anno di carestia. Ma Lady Giorgia è tranquilla: sa che siamo pronti a tutto per Lei, oro alla patria e salto nel cerchio di fuoco compreso, nell’attesa della Befana del 2027…
(da Dagoreport)

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LA TOPPA SUL CASO ALMASRI È PEGGIO DEL BUCO. IL TRIBUNALE DEI MINISTRI SBUGIARDA NORDIO SUL MANDATO DI ARRESTO PER IL TORTURATORE LIBICO: “LADDOVE IL MINISTRO HA CERCATO DI GIUSTIFICARE LA PROPRIA MANCATA TEMPESTIVA RISPOSTA ALLA CPI E ALLA PROCURA GENERALE CON LA NECESSITÀ DI VALUTARE TALE CONCORRENTE RICHIESTA DI ESTRADIZIONE, SI È ATTRIBUITO UN POTERE CHE NON GLI COMPETEVA”

Novembre 6th, 2025 Riccardo Fucile

LA RICHIESTA DI ESTRADIZIONE PER ALMASRI ERA PERVENUTA IL 22 GENNAIO, MA ALMASRI ERA STATO RIMPATRIATO IL GIORNO PRIMA

Il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale per Osama Njeem Almasri, secondo la legge, prevale sulla concorrente richiesta di estradizione che era giunta a Roma dal Procuratore generale della Libia.
Dunque, “laddove il Ministro (Nordio, ndr) ha cercato di giustificare la propria mancata tempestiva risposta alla Cpi e alla Procura generale con la necessità di valutare tale concorrente richiesta di estradizione, si è attribuito un potere che non gli competeva”.
Lo scrive il Tribunale dei ministri nell’atto di conclusione delle indagini sul sottosegretario Alfredo Mantovano e sui ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi. Dalla relazione emerge anche che la richiesta di estradizione per il comandante libico accusato di torture e crimini contro l’umanità è pervenuta al Dipartimento affari generali del ministero della Giustizia il 22 gennaio alle 10.39.
Ma Almasri era stato rimpatriato a Tripoli la mattina del giorno precedente. Secondo i funzionari di Via Arenula ascoltati dal Trbunale “si trattava tecnicamente di una richiesta di estradizione strumentale, una mossa strumentale per cercare di mettere in difficoltà l’Autorità nell’ipotesi in cui decidesse di dar corso”.
Il 21 gennaio alle ore 12.15, si legge ancora nel documento, è arrvata alla Direzione generale degli Affari internazionali e della cooperazione giudiziaria del ministero della Giustizia, tramite il ministero degli Esteri, “una nota verbale datata 20.1.25 dell’Ambasciata di Libia in Italia che, nel presentare i suoi complimenti al ministeri degli Affari Esteri e cooperazione internazionale in merito all’arresto dei cittadini libici operato in Torino domenica 19 gennaio, esprimeva il suo massimo interesse al caso, chiedendo di chiarire la motivazione dell’arresto e dell’azione legale contro di loro, … chiarimenti da fornire con la massima urgenza, sottolineando il rispetto dei diritti dei cittadini libici e della legge internazionale in vigore”.
Ma mentre la prima nota verbale dell’Ambasciata libica era pervenuta il giorno stesso, rilevano i giudici, “quella con la richiesta di estradizione era pervenuta il 21 al ministero degli Esteri e solo il 22 gennaio a quello della Giustizia. In più, dai documenti acquisiti presso l’Aise, risulta che la traduzione in lingua italiana della richiesta di estradizione era stata effettuata, a cura della stessa Ambasciata italiana a Tripoli, in orario compreso tra le ore 18:28 e le ore 20:02 del 21.1.25.
Dal momento che la persona indicata era già rientrata in Libia, loro (i dirigenti della Giustizia, ndr) si erano limitati a protocollare la richiesta e chiudere il procedimento, con un non luogo a provvedere”. Era stato il direttore dell’Aise, Giovanni Caravelli, indica la relazione del Tribunale dei ministri, ad informare nel corso di una riunione del 20 gennaio col sottosegretario Mantovano, “di aver ricevuto da Tripoli, in anticipazione, ma che era stata appena trasmessa all’Ambasciata libica a Roma, una richiesta di estradizione elaborata e firmata dal Procuratore Generale libico Alsaddiq Ahmed Alsour, evidenziando che quest’ultimo rivendicava la possibilità di poter perseguire in Libia il generale Njeem Almasri”.
Caravelli aveva inoltre informato che, successivamente, “non gli risultava che l’Almasri fosse stato rimosso dall’incarico di vertice della Rada, né tanto meno arrestato in patria”.
(da agenzie)

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SECONDO BANKITALIA, LA RIDUZIONE DELL’ALIQUOTA IRPEF FAVORISCE PRINCIPALMENTE I NUCLEI DEI DUE QUINTI PIÙ ALTI DELLA DISTRIBUZIONE

Novembre 6th, 2025 Riccardo Fucile

LA DETASSAZIONE SALARIALE? “È IMPROPRIO ASSEGNARE AL BILANCIO PUBBLICO IL COMPITO DI RECUPERARE IL POTERE D’ACQUISTO PERDUTO”… LA STRONCATURA DELLA ROTTAMAZIONE BY SALVINI: “UNO STRUMENTO CHE IN PASSATO NON HA ACCRESCIUTO L’EFFICACIA NEL RECUPERO DI GETTITO”

Le misure contenute nel ddl bilancio «si può stimare che non comportino variazioni significative della disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile equivalente tra le famiglie».
Sono le parole del vicecapo del Dipartimento di Economia e statistica della Banca d’Italia, Fabrizio Balassone, in audizione in Senato. Secondo via Nazionale, la riduzione dell’aliquota Irpef favorisce principalmente i nuclei dei due quinti più alti della distribuzione, con aumenti percentualmente modesti del reddito disponibile.
Gli interventi di assistenza sociale si concentrano sui primi due quinti delle famiglie, ma anche in questo caso l’effetto resta contenuto.
Nell’intervento in aula, Balassone ha spiegato che le modifiche al calcolo Isee, in particolare, potrebbero alterare l’accesso a servizi razionati come asili nido e mense scolastiche, favorendo famiglie numerose e proprietarie di casa a scapito di quelle più giovani e straniere.
Sulla detassazione salariale, Bankitalia è netta: «È improprio assegnare al bilancio pubblico il compito di recuperare il potere d’acquisto perduto dai lavoratori, soprattutto quando la
redditività delle imprese può consentire che questo avvenga attraverso la contrattazione».
La crescita dei salari reali, sottolinea l’istituto, deve essere sostenuta da un sistema di relazioni industriali funzionante e dal rilancio della produttività del lavoro, calata di oltre un punto percentuale dalla fine del 2019.
Evasione fiscale: la rottamazione non funziona
Il vicecapo del Dipartimento Economia e Statistica Fabrizio Balassone ha lanciato un allarme su alcune misure presenti nel ddl bilancio in materia di fisco: «L’evasione fiscale, come noto, danneggia la crescita e produce iniquità, sfavorendo le imprese e i cittadini onesti».
La manovra prevede una nuova rottamazione, ma si tratta di «uno strumento che in passato non ha accresciuto l’efficacia nel recupero di gettito».
Venendo ai numeri, la nuova definizione agevolata comporta una perdita di gettito stimata in 1,5 miliardi nel 2026 e 0,5 miliardi in media nei due anni successivi.
I dati dell’Agenzia delle Entrate mostrano che al marzo scorso i pagamenti effettuati sulle precedenti rottamazioni erano circa la metà di quanto dovuto. «Problemi di riscossione analoghi potrebbero manifestarsi anche con la procedura prevista dalla nuova definizione agevolata», ha avvertito Balassone.
(da La Stampa)

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“MODELLO ALBANIA”, LA CORTE D’APPELLO DI ROMA HA PRESENTATO UN “RINVIO PREGIUDIZIALE” ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA IN CUI CHIEDE DI DICHIARARE “ILLEGITTIMO” IL PROTOCOLLO FIRMATO NEL 2023 DA GIORGIA MELONI ED EDI RAMA PER SPEDIRE I MIGRANTI IRREGOLARI NEI CENTRI ALBANESI

Novembre 6th, 2025 Riccardo Fucile

L’ITALIA NON POTEVA STIPULARE UN TRATTATO SU UNA MATERIA GIÀ REGOLATA DAL DIRITTO EUROPEO … LA RICHIESTA PARTE DAL CASO DI UN MAROCCHINO FINITO NELLA STRUTTURA DI GJADER

Corte di giustizia dell’Unione europea, di’ se abbiamo ragione a ritenere che l’Italia il 6 novembre 2023 non potesse proprio neanche stipulare con Tirana il Protocollo per la delocalizzazione in Albania (Paese extra Ue) delle procedure di rimpatrio in aree interne albanesi, equiparate a zone di frontiera e sotto giurisdizione italiana, di migranti soccorsi in mare o di irregolari destinatari di provvedimenti di trattenimento.
Ieri un’ordinanza della Corte d’appello di Roma mina alla radice la legittimità del Protocollo, al punto da far quasi scolorare le precedenti polemiche sulla designazione dei «Paesi sicuri» da parte del governo, non arginate dalla sentenza l’1 agosto della Corte di giustizia Ue che aveva dato ragione ai giudici italiani.
Ora la giudice Antonella Marrone chiede alla Corte Ue, attraverso lo strumento del «rinvio pregiudiziale» del quesito nel caso di un cittadino marocchino, di confermare l’esattezza o meno della propria convinzione che la stipula del Protocollo Italia-Albania violi il Trattato sul Funzionamento dell’Unione «secondo cui l’Unione ha competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali allorché tale conclusione può incidere su norme comuni o modificarne la portata».
Il marocchino è irregolare, senza lavoro o famiglia in Italia, dopo 9 mesi di carcere è finito al Cpr a Torino e poi con decreto d
trattenimento del questore di Roma nel centro albanese di Gjader in attesa di espulsione, e per la giudice è plausibile abbia strumentalmente chiesto asilo.
Ma ciò non toglie che il protocollo sulla cui base è stato trasferito in Albania per la giudice sia stato firmato da uno Stato Ue (l’Italia) che non aveva competenza per farlo in base alle regole Ue per le quali gli Stati membri, in una materia già normata dal sistema comune europeo di asilo («Ceas»), «adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione», e «si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione».
(da agenzie)

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ILDAR ABDRAZAKOV ESCLUSO DAL DON GIOVANNI, IL BARITONO PROPAGANDISTA DI PUTIN NON CANTERA’ A VERONA

Novembre 6th, 2025 Riccardo Fucile

LA FONDAZIONE ARENA DI VERONA LO DEPENNA DOPO LE PROTESTE… LA VILLA DI LUSSO IN TOSCANA DEL “FIDUCIARIO” DI PUTIN

La Fondazione Arena di Verona ha deciso di depennare il suo nome dal programma del prossimo gennaio dopo le proteste della fondazione creata da Navalny, il principale oppositore di Putin morto nel 2024. Un caso simile questa estate con Gergiev
Il baritono russo Ildar Abdrazakov non canterà il Don Giovanni di Mozart dal palco del Teatro Filarmonico di Verona. Lo ha comunicato la Fondazione Arena di Verona dopo che il cantante lirico era stato bersaglio di forti proteste per le sue posizioni apertamente vicine al leader del Cremlino, Vladimir Putin. Abdrazakov, stando a quanto ha anticipato la Fondazione nella sua brevissima nota, non prenderà parte a nessuno degli
spettacoli previsti il 18, 21, 23 e 25 gennaio 2026.
Il legame tra Abdrazakov e Putin
La denuncia, come nel caso del direttore d’orchestra Valerik Gergiev, è partita dalla Fbk, la fondazione figlia del maggiore oppositore di Putin, Aleksej Navalny, morto in carcere nel febbraio 2024. Dopo quasi una settimana di forte pressione mediatica, in quel caso la Reggia di Caserta aveva annullato il concerto.
In questo caso nel mirino delle proteste è finito proprio Abdrazakov, direttore del teatro dell’Opera e del balletto di Sebastopoli, città nella penisola di Crimea che nel 2014 è stata annessa illegalmente dall’esercito russo. Due anni fa, in vista delle elezioni presidenziali russe del 2024, Abdrazakov era stato inserito da Putin nella lista dei suoi «fiduciari», cioè quelle persone attive nel mondo culturale che erano autorizzate ufficialmente a fare campagna elettorale a nome dello stesso presidente. Insomma, una longa manus.
La villa di lusso in Toscana e il precedente di Gergiev
«Annulliamo l’esibizione in Italia di Ildar Abdrazakov, fiduciario di Putin!», scrive online Fbk, definendo Abdrazakov «rinomato basso-baritono e sostenitore pubblico di Putin». Poi la fondazione di Navalny aggiunte: «L’apparizione di tali personaggi sui palcoscenici europei contribuisce a ripulire la reputazione di Putin attraverso la cultura, come nel caso di Valerij Gergiev». Il riferimento è appunto al direttore d’orchestra, oggi a capo dei teatri Bolshoj di Mosca e Marinskij
di San Pietroburgo. Sempre stando a Fbk, Abdrazakov sarebbe il proprietario di una villa sul mare a Massa, in Toscana. Negli scorsi mesi sono saltate sue esibizioni in tutta Europa, da Parigi a Vienna Gino a Zurigo e Napoli. «Facciamo appello alla direzione del teatro affinché sostituisca l’artista e rinforzi il principio che i teatri europei non devono trasformarsi in vetrine per i sostenitori pubblici di Putin e della guerra», ha scritto la Fondazione Navalny. Un appello che è stato accolto a piene mani dalla Fondazione Arena di Verona.
(da agenzie)

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PROVACI ANCORA, NORDIO

Novembre 6th, 2025 Riccardo Fucile

NORDIO E PIANTEDOSI COME TOTO’ E PEPPINO

Quando Totò e Peppino, al secolo Nordio e Piantedosi, liberarono l’ex capo della polizia giudiziaria libica Almasri che la magistratura e la polizia italiane avevano arrestato su ordine della Corte penale internazionale per torture, stupri e traffico di migranti e lo caricarono su un aereo di Stato per pagargli pure il viaggio di ritorno in Libia, ci scappò una battuta: “Ora manca soltanto che lo arrestino i libici”.
Mai fare battute: rischiano di avverarsi. E infatti. Ascoltando Peppino Piantedosi chiedere in Parlamento un bell’applauso alla polizia che l’aveva arrestato perché era pericoloso e Totò Nordio spiegare di averlo liberato perché era pericoloso, la magistratura libica ha avuto come il sospetto che Almasri fosse pericoloso.
E, priva com’è della nostra cultura garantista e riformista, ha reagito con l’impulsività tipica dei cavernicoli giustizialisti e manettari: l’ha arrestato.
E, badate bene, il mandato di cattura non è partito da un giudice terzo, ma dalla Procura generale di Tripoli. Cioè dagli orridi magistrati requirenti: mica dai giudicanti, neppure interpellati. Un pm che arresta un tizio, non so se mi spiego. E non un tizio qualunque: un superpoliziotto, malauguratamente sprovvisto dello scudo penale che il governo Meloni sta approntando per le forze dell’ordine italiane.
E, quel che è più grave, l’hanno arrestato su due piedi, a sorpresa, senza neppure avvertirlo cinque giorni prima e convocarlo per chiedergli che ne pensava, come prescritto dal Diritto Nordiano, dove infatti gli arrestandi con un minimo di sale in zucca se la danno a gambe levate.
Niente. In Libia, quando devi arrestare qualcuno, non glielo dici in anticipo: lo vai a prendere e basta
Ora manca solo di scoprire che l’hanno pure intercettato (pratica che il nostro Guardagingilli reputa “una barbarie medievale”) e magari financo perquisito, quasi certamente senza avvertire i suoi avvocati due ore prima, come prescritto dalla prossima riforma Nordio per dare tempo e modo ai perquisendi di far sparire tutto.
Tutte barbarie da toghe rosse africane. Ce n’è abbastanza perché l’Italia si faccia sentire nelle sedi opportune per sottrarre il torturatore (presunto, si capisce) alle torture della giustizia libica e rivendicare la primigenia competenza sul caso. Non era forse l’Italia il Paese incaricato dalla Cpi di arrestare Almasri? Bene: ora a Nordio non rimane che sollevare un conflitto di competenza con la Procura generale di Tripoli, chiedere l’immediata estradizione di Almasri, mandarlo a prendere dall’apposita zarina Bartolozzi con lo stesso aereo dei Servizi che l’aveva portato lì e, appena atterrato a Ciampino, liberarlo di
nuovo. Oppure, in alternativa, ordinare a Tripoli di separare le carriere dei pm e dei giudici libici.
Marco Travaglio
(da Il Fatto Quotidiano)

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ALTRO CHE AIUTARE IL CETO MEDIO, IL GOVERNO RIDUCE LE TASSE AI RICCHI: L’ISTAT CERTIFICA CHE LA RIDUZIONE DELL’IRPEF PREVISTO DALLA MANOVRA “AVVANTAGGIA LE FAMIGLIE PIÙ RICCHE”

Novembre 6th, 2025 Riccardo Fucile

DALLE SIMULAZIONI ILLUSTRATE DALL’ISTAT DURANTE L’AUDIZIONE IN COMMISSIONE BILANCIO, EMERGE COME “OLTRE L’85% DELLE RISORSE SIANO DESTINATE ALLE FAMIGLIE DEI QUINTI PIÙ RICCHI DELLA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO

“Effettivamente sì, il taglio Irpef avvantaggia le famiglie più ricche. Le nostre analisi proponendo a questo tipo di interpretazione”. Così Claudio Vicarelli, del servizio per l’analisi dei dati e la ricerca economica, ambientale e sociale dell’Istat rispondendo alle domande in commissioni Bilancio di Camera e Senato sulla manovra.
Dalle simulazioni illustrate durante l’audizione emerge come oltre l’85% delle risorse siano destinate alle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito: sono infatti interessate dalla misura oltre il 90% delle famiglie del quinto più ricco e oltre due terzi di quelle del penultimo quinto.
Il guadagno medio va dai 102 euro per le famiglie del primo
quinto ai 411 delle famiglie dell’ultimo. Per tutte le classi di reddito il beneficio comporta una variazione inferiore all’1% sul reddito familiare.
Il taglio dell’Irpef previsto in manovra “coinvolgerebbe poco più di 14 milioni di contribuenti, con un beneficio annuo pari in media a circa 230 euro. Le famiglie beneficiarie sarebbero circa 11 milioni (44% delle famiglie residenti) e il beneficio medio di circa 276 euro (in ogni famiglia ci può essere più di un contribuente)”. Lo sottolinea il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli nell’audizione di fronte alle commissioni Bilancio di Senato e Camera.
“Ordinando le famiglie in base al reddito disponibile equivalente e dividendole in cinque gruppi di uguale numerosità – ha proseguito – emerge come oltre l’85% delle risorse siano destinate alle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito: sono infatti interessate dalla misura oltre il 90% delle famiglie del quinto più ricco e oltre due terzi di quelle del penultimo quinto. Il guadagno medio va dai 102 euro per le famiglie del primo quinto ai 411 delle famiglie dell’ultimo.
Per tutte le classi di reddito il beneficio comporta una variazione inferiore all’1% sul reddito familiare”.
(da agenzie)

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E IL DIRITTO ALLA SALUTE? COL CAZZO! NEL 2024 IL 9,9% DEGLI ITALIANI HA DICHIARATO DI AVER RINUNCIATO A CURARSI

Novembre 6th, 2025 Riccardo Fucile

I MOTIVI? LE LUNGHE LISTE DI ATTESA E LE DIFFICOLTÀ ECONOMICHE: SI TRATTA DI 5,8 MILIONI DI PERSONE, A FRONTE DI 4,5 MILIONI NELL’ANNO PRECEDENTE (7,6%) … MA LA MELONI NON AVEVA PROMESSO DI ABBATTERE I TEMPI PER ACCEDERE ALLE CURE?

“Nel 2024 il 9,9% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a curarsi per problemi legati alle liste di attesa, alle difficoltà economiche o alla scomodità delle strutture sanitarie: si tratta di 5,8 milioni di individui, a fronte di 4,5 milioni nell’anno precedente (7,6%)”.
Lo ha detto il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, in audizione sulla manovra. “La rinuncia a causa delle lunghe liste di attesa costituisce la motivazione principale, indicata dal 6,8% della popolazione, e risulta anche la componente che ha fatto registrare l’aumento maggiore negli ultimi anni: era il 4,5% nel 2023 e il 2,8% nel 2019”, e “la rinuncia in conseguenza delle lunghe liste di attesa è più elevata per le persone adulte di 45-64 anni (8,3%) e tra gli anziani di 65 anni e più (9,1%). Il fenomeno è più diffuso tra le donne (7,7%), sia nelle età centrali (9,4% a
45-64 anni) sia in quelle avanzate (9,2% a 65 anni e più)”, ha spiegato il presidente.
Snocciolando alcuni dati il presidente Istat ha illustrato che nel 2024 la spesa sanitaria totale è pari a 185,1 miliardi di euro; la componente finanziata dal settore pubblico si attesta a 137,5 miliardi (74,3% del totale) e la spesa sostenuta dalle famiglie a 41,3 (22,3% del totale), mentre quella sostenuta dai regimi di finanziamento volontari ammonta a 6,4 miliardi; per quanto riguarda quest’ultima, la parte intermediata dalle assicurazioni private è pari a 4,7 miliardi, la spesa sostenuta dalle imprese a 929 milioni, mentre i restanti 698 milioni provengono dalle Istituzioni senza scopo di lucro.
Tra il 2023 e il 2024, l’incremento della spesa sanitaria (in termini nominali) è stato del 3,3%, grazie all’aumento della componente pubblica; la spesa privata ha fatto invece registrare una diminuzione del 2,5%. Nel complesso del periodo 2019-2024, la dinamica è stata caratterizzata da una crescita media annua del 3,8% per la spesa.
(da agenzie)

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LE IMPRESE TORNANO A CHIEDERE AL GOVERNO SCONTI E INCENTIVI SULL’ENERGIA, MA DALL’INIZIO DELL’ANNO IL PREZZO ALL’INGROSSO DI LUCE E GAS È SCESO: A GRAVARE SONO GLI ONERI DI SISTEMA E LE TASSE

Novembre 6th, 2025 Riccardo Fucile

NEGLI ULTIMI 15 ANNI LE GRANDI AZIENDE ITALIANE HANNO RICEVUTO SUSSIDI STATALI PER 20 MILIARDI DI EURO, SOLDI CHE HANNO CONTRIBUITO A IRROBUSTIRE GLI UTILI DELLE IMPRESE, MENTRE A PAGARE SONO I CITTADINI, CHE PAGANO IN MEDIA IL 9% IN PIÙ RISPETTO AL RESTO DEGLI EUROPEI

Il ritornello è sempre lo stesso. Comincia con il canonico «la bolletta della luce continua a crescere» e si chiude con il classico «in Italia l’energia costa il triplo rispetto ai nostri concorrenti».
Il pressing delle imprese sul governo per ottenere sconti e incentivi è costante, e si fa più insistente a ridosso della legge di Bilancio.
Eppure, guardando i numeri, la realtà è diversa. Dall’inizio dell’anno il prezzo all’ingrosso di luce e gas è sceso sensibilmente: a fine ottobre era tornato ai livelli dell’estate 2021, cioè dopo la pandemia ma ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina.
Un ritorno alla normalità che però mette a nudo tutte le fragilità del sistema Paese, e rilancia il tema dell’indipendenza energetica
— obiettivo dichiarato anche dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Ma che non spiega la richiesta di aiuti da parte del settore delle imprese.
Anche perché negli ultimi 15 anni le grandi imprese italiane hanno ricevuto sussidi energetici per circa 20 miliardi di euro da parte della collettività generale. Attraverso un prelievo in bolletta.
Soldi che sono serviti a tenere sotto controllo la spesa e che negli anni hanno contribuito a irrobustire gli utili delle aziende. Anche perché nel tempo, i finanziamenti sono progressivamente cresciuti arrivando a oltre due miliardi di euro l’anno.
Anche perché la rete italiana è una delle più efficienti d’Europa e, secondo uno studio di EY, ha costi inferiori ai grandi Paesi Ue: i cittadini italiani spendono in media 11 euro al mese contro una media europea di 17 euro e i 23 euro della Germania. Un vantaggio che si traduce in un risparmio complessivo di circa 3 miliardi di euro l’anno.
Anche per questo le grandi aziende energivore insieme ai produttori di energia sono pronti a presentare al governo un accordo condiviso, senza oneri per lo Stato, che sostenga la competitività del sistema Paese.
D’altra parte va sottolineato che il prezzo all’ingrosso dell’energia non è quello che arriva in bolletta. Proprio come accade con il petrolio e la benzina, tra la materia prima e il prezzo finale ci sono più voci intermedie: la rete, gli oneri di sistema, le imposte.
Eurostat, però, ha messo nero su bianco che – per i consumator domestici – il prezzo dell’energia incide solo sul 57% del prezzo finale e che in media un consumatore tipo italiano paga 61,6 euro al mese contro i 56,4 euro dell’Eurozona: il 9,2% in più, ma non il triplo.
E a livello di singoli Paesi paghiamo meno della Germania, ma più di Spagna e Francia, che possono contare su un mix energetico più ricco di rinnovabili e, nel caso francese, sul nucleare.
D’altra parte, al di là della richiesta di aiuti generalizzati, il vero nodo che la politica dovrebbe sciogliere è quello del mix di generazione: l’Italia continua a dipende in larga misura dal gas e ha una quota di rinnovabili sotto il 30%, con il paradosso che la Germania produce più energia solare della Penisola.
Al di là del dibattito sul nucleare che continua a dividere, un aumento della produzione di energia rinnovabile permetterebbe di calmierare in maniera sensibile la spesa. Produttori e investitori ne sono consapevoli e sul tavolo ci sono progetti per 150 Gigawatt di energia verda, ma i progetti sono ancora bloccati degli iter autorizzativi. In Italia servono in media tre anni per far partire un impianto fotovoltaico e cinque per l’eolico, mentre a Madrid si impiega la metà del tempo.
Anche per questo Von der Leyen insiste sul bisogno di «snellire le procedure autorizzative» e chiede di «favorire i contratti di lungo termine» per avere costi certi e controllati.
(da agenzie)

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