CHI SALE E CHI SCENDE TRA I FEDELISSIMI DI GIORGIA MELONI: ACCANTO AI DIOSCURI FAZZOLARI E PROCACCINI E AI NUMI TUTELARI LA RUSSA, FOTI E FITTO, TORNA A BRILLARE LA STELLA DI LOLLO
SECONDO FONTI DI VIA DELLA SCROFA, IL RITORNO DI “LOLLO” DÀ LA MISURA DELLA PREOCCUPAZIONE DI MELONI: SENTE CHE IL PARTITO “È LASCIATO SGUARNITO”
L’unico sole, dentro Fratelli d’Italia, è Giorgia Meloni. Colloquialmente «Giorgia» per tutti quelli che parlano di lei con una confidenza spesso più millantata che vera. In realtà, chi può dire di avere davvero un rapporto stretto con la leader del primo partito italiano si conta sulle dita di una mano.
A vantare una strada privilegiata per parlare con lei sono i vecchi compagni delle giovanili e dell’ormai mitico congresso di Viterbo del 2004. Gli altri le gravitano intorno, sperano di attirare la sua attenzione e la citano con ossequio, ma infine eseguiranno qualsiasi decisione presa da via della Scrofa.
Eppure, negli ultimi mesi, la ruota della fortuna dentro Fratelli d’Italia ha ricominciato a girare. Un moto perpetuo tipico della politica e in fondo fisiologico, ma che ha movimentato internamente il partito, facendo sorridere alcuni e storcere la bocca ad altri.
Un dirigente di peso spiega che, per un partito strutturato come FdI, è sbagliato ragionare in termini di chi scende e chi sale nel gradimento: «Immaginatelo più come una serie di anelli concentrici, con in centro Giorgia. C’è chi si abbronza al sole e basta, i dirigenti di peso invece passano da un anello all’altro,
con alterne fortune». Accogliendo la similitudine, partiamo dal primo anello più vicino alla premier.
Nel primo cerchio ci sono i dioscuri. Uno a presidio di palazzo Chigi e uno del parlamento europeo. Sono il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, e l’eurodeputato e copresidente di Ecr, Nicola Procaccini.
Il primo – messinese di nascita ma cresciuto e formatosi politicamente a Roma – tiene le redini della comunicazione (che ogni tanto gli scappano con clamorose fughe di notizie) ed è il consigliere più ascoltato. Il secondo – cresciuto tra Roma e Terracina, di cui è stato sindaco – è la spalla su cui fare affidamento nel complicato mondo di Bruxelles, l’unico titolato a dare la linea.
In posizione «altra», tutti collocano Arianna Meloni: sorella, confidente, braccio destro a prescindere da ogni errore politico (a Roma tutti ricordano ancora la scelta sciagurata di Enrico Michetti come candidato sindaco).
A seguire il trio di numi tutelari, persone delle quali la premier si fida ma che sono generazionalmente lontane da lei, ci sono coloro che rispondono a un criterio di fedeltà meno viscerale e più cerebrale.
Il primo è il presidente del Senato Ignazio La Russa. Un’altra generazione rispetto a Meloni, rappresenta il legame con la storia del Movimento sociale, veterano del parlamento e uomo forte tra Lombardia e Sicilia, è sufficientemente spregiudicato da mantenere un suo spazio politico anche dallo scranno super partes a palazzo Madama.
A lui la leader ha perdonato qualche scivolone comunicativo che aveva infastidito il Quirinale, e si fida dei suoi consigli strategici, pur ben consapevole che alcuni suoi legami – primo tra tutti
quello con la ministra Daniela Santanchè – sono un rischio.
Ci sono poi Tommaso Foti, spigoloso ex capogruppo alla Camera ora promosso ministro, considerato fedele esecutore dei disegni di Meloni, e il commissario europeo Raffaele Fitto. Il primo è quello più in ascesa, il secondo è forse l’uomo che lei più stima – non a caso gli ha affidato il ruolo di pontiere con la Commissione di Ursula von der Leyen – nonostante pesi la distanza di formazione politica che li separa: democristiano lui, missina lei.
Subito dietro c’è il trittico della Camera. Sara Kelany, Francesco Filini e Luca Sbardella. Tratti in comune: origini laziali, stessa generazione, attitudine pragmatica. Kelany, avvocata con padre egiziano e madre di Formia, presidia i temi dei diritti e dell’immigrazione. Filini quelli dei media e dell’economia, come responsabile del programma di FdI. Sbardella, invece, è il Mr. Wolf: risolve problemi. È quello con la formazione politica più variegata: romano, portaborse dell’ex onorevole di An Pietro Armani, ne ha ereditato il collegio elettorale in Lombardia, dove ha ottenuto anche l’appoggio di un altro big come La Russa.
Quel che gli manca in doti oratorie lo compensa con la capacità organizzativa, tanto da essere spedito in Sicilia come commissario per resettare il partito dilaniato da faide interne.
Divide et impera Allargando il cerchio ecco arrivare i due eterni rivali nel Lazio: l’ex cognato Francesco Lollobrigida e l’ex mentore Fabio Rampelli. Dopo quasi un anno di damnatio memoriae legato alla separazione da Arianna Meloni, il primo è tornato a intervenire nelle vicende politiche e la sua intervista sul Foglio contro il ministro Orazio Schillaci (tecnico ma espresso da FdI) ha fatto alzare le antenne a tutti nel partito: è stato il segnale che qualcosa si è sbloccato. Secondo fonti di via della
Scrofa, «il ritorno di “Lollo” dà la misura della preoccupazione di Meloni. Lei è tutta impegnata sul fronte internazionale e sente che il partito è lasciato sguarnito».
Così ecco rispuntare il ministro dell’Agricoltura, che in questi mesi ai margini ha rafforzato – e non era scontato – la sua presa interna sui parlamentari (tutti ricordano il suo controllo capillare quando era capogruppo) e ha dimostrato di saper aspettare che Meloni avesse di nuovo bisogno della sua esperienza. E così è stato.
Opposto e alternativo, Fabio Rampelli. Ritornato in auge quando la stella di Lollobrigida si è offuscata, anche nella polemica Schillaci gli ha fatto il controcanto, difendendo il ministro. I due si sono sempre mal sopportati, ed è cosa nota che negli ultimi mesi proprio Rampelli, la cui ambizione è tentare la corsa al Campidoglio, sia tornato ad avvicinarsi alla sua ex discepola.
«Lei ha provato a uccidere politicamente suo padre, nel momento del bisogno però lo ha ritrovato come fedele consigliere. Lui ha incassato tutto, anche di essere stato l’unico a non venir promosso quando FdI è andata al governo», è la mitologia interna.
Ora i due si ritrovano testa a testa a contendersi lo spazio accanto a Meloni, e a lei, tutto sommato, non dispiace averli riavvicinati entrambi: ognuno con la sua funzione nell’organigramma interno e comunque a debita distanza.
Gli esecutori Infine, a condividere il cerchio più lontano ma comunque sempre nell’orbita di Meloni, c’è la schiera degli ex giovani del Fronte della gioventù. Tutti legati da una conoscenza trentennale con la premier e dunque fidati, ma tutti nati fuori dal Gra: sono il responsabile dell’organizzazione, il toscano Giovanni Donzelli, il sottosegretario alla Giustizia, il piemontese Andrea Delmastro, e il capogruppo alla Camera, l’emiliano Galeazzo Bignami. Tutti hanno avuto alti e bassi nell’ultimo anno, e rapporti più o meno distesi anche tra di loro.
Donzelli è stato, nei fatti, il responsabile della condanna di Delmastro per il caso Cospito.
Delmastro invece ha messo in imbarazzo il partito con la vicenda della sparatoria di Capodanno. Bignami non ha convinto del tutto nella gestione del gruppo parlamentare come successore di Foti.
Eppure rimangono gli esecutori più diretti della linea della premier. Donzelli in particolare «può sembrare in calo ma ha un know how che per Giorgia è inestimabile. È l’uomo macchina che conosce le beghe di ogni sezione di FdI e, bene o male, è lui a gestirle», viene ammesso anche da chi, nel partito, non lo stima.
Infatti rimane la voce del partito sulla stampa quando Meloni non può esporsi ed è molto temuto a livello locale. «Se lo decide, saltano le teste», spiega un dirigente del Nord.
Alcuni sgomitano per crescere di più (vedi Marcello Gemmato e Carlo Fidanza), altri per riavvicinarsi (vedi Edmondo Cirielli e Chiara Colosimo), altri ancora sono spariti (vedi Adolfo Urso e Nello Musumeci).
(da Il Foglio)
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