A SEI MESI DAL VOTO TRUMP HA PAURA
LE ACCUSE SENZA PROVE A PECHINO, LA PROMESSA DI UN VACCINO, IL SOSTEGNO ALLE PROTESTE ANTI-LOCKDOWN: LA CAMPAGNA DISPERATA PER NON ESSERE SCONFITTO
Le accuse frontali a Pechino per il “terribile errore” commesso in laboratorio; la tentazione di applicare il motto America First anche al vaccino; il sostegno alle proteste anti-lockdown, per provare a scaricare sui governatori il malcontento della crisi: è su queste tre direttrici che si muove il contrattacco di Trump alla minaccia elettorale scatenatagli contro da Covid-19.
Per The Donald, infatti, la pandemia non è “solo” emergenza sanitaria ed economica, ma anche emergenza elettorale.
A sei mesi dal voto, i sondaggi fotografano un’emorragia costante dei suoi consensi. Secondo un sondaggio CBS News/YouGov, condotto tra il 28 aprile e il primo maggio, l’ex vicepresidente Joe Biden — che pure ha i suoi notevoli problemi — guida la corsa per la Casa Bianca di 6 punti, con il 49% contro il 43% del presidente. Nella media dei sondaggi realizzata da RealClearPolitics il distacco è lievemente inferiore, ma comunque netto: Biden è avanti con il 47,6%, Trump lo insegue al 42,3.
La maggior parte degli americani — dicono le ultime rilevazioni – disapprova la gestione di Trump dell’emergenza, e molti esprimono insofferenza per la sua sovraesposizione mediatica: il 53% degli intervistati afferma di aver sentito fin troppo dal presidente sulla pandemia, mentre solo l’11% ne avrebbe voluto sentire di più.
Quello della sovraesposizione, del resto, è un problema difficilmente risolvibile, e non solo per il suo ruolo di commander-in-chief: malgrado gli sforzi dei suoi consiglieri e i suggerimenti del partito, è semplicemente impossibile per uno come Trump vestire i panni del moderato e non giocare d’attacco.
Lo schema è dei più classici: attaccare per difendersi, e farlo su più fronti possibili. È così che il nemico cinese — storicamente centrale nella retorica trumpiana — diventa il bersaglio da incolpare per tutti i mali possibili, dall’aver creato il virus in laboratorio all’aver nascosto informazioni cruciali, fino all’aver tagliato le sue esportazioni di forniture mediche “prima di notificare all’Oms che il Covid-19 era contagioso”.
È questa l’ultima accusa contenuta in un report del governo Usa su Pechino e il coronavirus di cui la Cnn ha rivelato qualche stralcio e che ieri notte il presidente Trump ha dichiarato che sarà diffuso a breve.
Se sul piano geopolitico l’attacco — facile – è rivolto a Pechino, sul piano sanitario la campagna elettorale di Trump è più in difficoltà .
Ieri il presidente ha dovuto rivedere al rialzo la stima delle vittime di Covid in America, parlando per la prima volta di un bilancio a sei cifre. Per le falle del sistema sanitario non può incolpare altri, vista la guerra fatta alla riforma di Barack Obama e a qualsiasi proposta di riforma del settore.
Così Trump punta sulla promessa di un vaccino “entro la fine dell’anno”, un traguardo da rivendicare come un successo americano.
Finora — fa notare Politico.com — il presidente non ha mostrato il benchè minimo interesse per le iniziative globali volte alla ricerca e allo sviluppo di un vaccino. Quando i leader globali si sono riuniti il mese scorso per volere dell’Oms per impegnarsi a distribuire un futuro vaccino contro il coronavirus in modo equo a livello internazionale, gli Stati Uniti non hanno aderito.
Stesso discorso per la conferenza dei donatori convocata oggi dall’Ue: una maratona che vede coinvolti — oltre all’Ue — i governi di Gran Bretagna, Norvegia, Giappone, Canada e Arabia Saudita, ma non vistosamente gli Stati Uniti.
Il timore è che anche la corsa al vaccino si trasformi in una competizione globale con la Cina, che nel frattempo sta investendo tutto il possibile per passare alla storia come il Paese che ha trovato una soluzione per fermare la pandemia, dopo esserne stata — almeno geograficamente – l’origine.
Sul fronte interno, infine, la campagna di Trump punta a solidarizzare il più possibile con gli americani colpiti da una crisi da record, che in sei settimane ha colpito oltre 30 milioni di americani.
Ieri, durante la town hall virtuale trasmessa da Fox News dal Lincoln Memorial, si è presentato come mediatore tra i dimostranti anti lockdown e i governatori degli stati più colpiti dall’epidemia. “Penso che veramente si possa andare al parco e in spiaggia, se si mantiene una certa distanza”, ha detto Trump, sostenendo che è possibile “soddisfare entrambi”, cittadini ansiosi di ripartire e governatori preoccupati dalla curva epidemica.
Le dichiarazioni di Trump sono arrivate dopo un weekend di nuove proteste in diversi stati da parte del movimento antilockdown, animato da una coalizione di gruppi pro armi, vere e proprie milizie dell’estrema destra, gruppi no vax, con il sostegno, finanziario e logistico, di esponenti del mondo del business che premono per la riapertura dell’economia.
(da “Huffingtonpost”)
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