ADDIO AZEGLIO, SI PUO’ ARRIVARE TERZI E VINCERE
E’ MANCATO IL CT DELLE NOTTI MAGICHE
Ricordo bene, quei giorni. Quelle notti, che furono davvero magiche.
E il beffardo colpo di testa di Caniggia e poi i rigori sbagliati, in semifinale contro l’Argentina, non potranno mai cancellare la bellezza e l’allegria di quella nazionale, arrivata poi terza tra gli applausi e i rimpianti.
Erano i giorni di Italia ’90, e il mondo scopriva i dribbling e le meraviglie di Roberto Baggio, i gol di Schillaci detto Totò, che esultava con quegli occhi stupiti e spiritati, il ritmo cadenzato di Giannini, la potenza e la classe di Vialli, le parate di Zenga (a parte quell’uscita mancata su Caniggia: ma fu l’unico neo del nostro estremo difensore).
Una squadra gestita da un artigiano del pallone, da un principe della zolla, da un commissario tecnico che aveva fatto, in maniera brillante, la trafila nelle Under, prima di diventare il successore di Bearzot, il grande Vecio di Spagna ’82, ed ereditarne, quindi, la panchina dopo il fallimento del mundial messicano del 1986, quello della mano e di ogni prodezza possibile e impossibile di Diego Armando Maradona, il Borges del pelota: Azeglio Vicini, che giocò nel Lanerossi Vicenza (esordendo in A nel 1955), nella Sampdoria e nel Brescia, ma che aveva, soprattutto nel cuore e nelle vene, la passione per insegnare il calcio.
Era un maestro. Era un persona splendidamente perbene.
Se n’è andato a 84 anni, nella sua amata Brescia, lasciando un segno indelebile nel suo passaggio dai prati verdi. Il segno di un uomo preparato, giusto e onesto. Che sapeva sdrammatizzare qualsiasi situazione, che sapeva guidare i suoi giocatori con la pazienza, con il sorriso, ma anche con la fermezza di chi non ammetteva, in nessun frangente, la presunzione e la superficialità .
Da cronista, per il quotidiano Tuttosport, ho avuto modo di apprezzare la sua competenza e la sua straordinaria umanità . Era una persona semplice, arguta, ironica, che aveva il gusto, tipicamente romagnolo, per la battuta.
Quante trasferte, quanti discorsi a tirar tardi la sera, e non solo sul pallone: amava la musica, la buona letteratura, la sua terra.
La moglie Ines lo accompagnava spesso in quei viaggi in giro per stadi e sogni: una coppia d’altri tempi, splendida.
Vicini lasciò la nazionale azzurra per cedere il posto, nel ’91, a un altro romagnolo: Arrigo Sacchi. Il calcio conosceva la sua rivoluzione tattica, voltava pagina, la poesia lasciava spazio alla prosa.
Vicini fu uno degli ultimi romantici.
(da “Huffingtonpost”)
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