ADDIO BORSE DI STUDIO UNIVERSITARIE: TAGLIO DEL 90% DELLA GELMINI
RIDOTTI I FONDI DEGLI ATENEI, A DISPOSIZIONE APPENA 26 MILIONI: LA RICEVERANNO SOLO DUE STUDENTI DI DIECI CHE AVREBBERO DIRITTO ALL’ASSEGNO…IN DUE ANNI SI E’ PASSATI DA 246 MILIONI DI EURO A 25,7 MILIONI DI EURO A DISPOSIZIONE… CHE FUTURO PUO’ AVERE UN PAESE CHE TAGLIA SCUOLA, CULTURA E RICERCA?
Con un passaggio della manovra finanziaria fin qui rimasto nascosto il ministro Maria Stella Gelmini, ha decretato la fine dell’istituto della borsa di studio.
Un taglio ai finanziamenti del 90% per mancanza fondi, dopo la riduzione del tempo pieno, la cancellazione delle graduatorie dei ricercatori, la soppressione di alcuni atenei.
Era nata con il Regio decreto 574 del 1946, la borsa di studio universitaria e ha accompagnato l’evoluzione della democrazia scolastica offrendo fino al 2001 una possibilità di mantenimento a studenti in corso, fuori sede, sotto le soglie dell’Isee, meritevoli.
In due anni, con il colpo d’accetta tirato lo scorso 14 ottobre sul tavolo del penultimo Consiglio dei ministri, l’ammontare in euro delle borse da erogare è passato da 246 milioni a 25,7.
Un meno 89,55% che peggio di così c’è solo la loro soppressione.
E nel 2012 si arriverà a 13 milioni scarsi trasformando la borsa universitaria in un premio per èlite scelte.
Questa – 25,7 milioni – è la quota di finanziamento governativo per il 2011 all’interno di un sistema, quello delle università , fortemente regionalizzato.
Lo stato di crisi generale delle Regioni italiane, in particolare al Sud, abbatte le residue speranze.
Così oggi su una platea di 184.034 aventi diritto, l’80 per cento non prenderà quei mille, a volte duemila euro (si decide per bandi regionali) che spesso rappresentano una necessità per gli studenti che li ricevono.
Con una borsa di studio, oggi ci si mantiene, si paga un pezzo dell’affitto se si vive fuori dalla propria sede naturale, si paga l’abbonamento mensile alla municipalizzata trasporti.
Libri, dispense, aggiornamenti, viaggi di preparazione restano già oggi fuori da una borsa di studio.
Gli iper tagli dell’assegno universitario dicono come il fragile welfare studentesco italiano stia franando e contribuisca ad acuire le distanze tra università del Sud e del Nord.
Chi ha un reddito familiare (della famiglia di provenienza) sotto i 17mila euro, oggi può accedere alla possibilità di un finanziamento pubblico.
E se ottiene medie scolastiche sopra la media, può entrare nella graduatoria degli aventi diritto.
Nella maggior parte dei casi inutilmente: per otto studenti su dieci non ci sono soldi.
Tra l’altro, le graduatorie regionali del 2010 sono per definizione amministrativa “definitive non confermate”. Cioè, non valgono nulla fin qui: l’autunno è inoltrato e gli studenti d’ateneo ancora non sanno a chi toccherà lo scalpo della borsa di studio.
Dall’assegno universitario istituito nel 1963 e immaginato come un pre-salario – 200mila lire per gli studenti che vivevano nella loro città , 360mila lire per i fuori sede – alle norme legislative dell’aprile 2001, la borsa di studio ha seguito, e a volte anticipato, le conquiste lavorative e civili del paese.
Nelle ultime due stagioni il governo Berlusconi ha smantellato tutto.
In Italia l’80% dei meritevoli e bisognosi studenti italiani non percepisce l’assegno meritato, mentre in Francia si scende al 70%, in Germania al 60%, in Olanda addirittura al 4%.
D’altronde l’Italia, appare sempre meno un caso, resta il paese con il tasso d’abbandono universitario più alto.
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